mercoledì 30 marzo 2011

L'attitudine del carciofo e l'agente di viaggio: caponatina di primavera.

Sono un’agente di viaggio
Potrei usare mille definizioni ma alla fine qui si ritorna. Ho un' agenzia di viaggio, vendo e organizzo viaggi ovvero: il nulla fatto sogno. Da quasi 20 anni faccio questo lavoro e mi sembra una vita perché il vantaggio di questa professione è che cambia ogni giorno ed un anno di lavoro ti sembran dieci tanto i giorni sono diversi  l’uno dall’altro. La mia fortuna principale è che da tempo non ho più il contatto con il pubblico, se non in sporadiche occasioni, ma mi dedico completamente alla “creazione” di viaggi per clienti stranieri che vengono in Italia. Lavoro dietro le quinte. Naturalmente è inutile dire che adoro farlo, soprattutto perché il mio campo è l’eno-gastronomia: i miei viaggi sono pieni di cose buone, di corsi di cucina, di cantine e frantoi, di ristoranti spettacolari, di castelli, masserie, hotel de charme e di luoghi indimenticabili del nostro paese. I miei clienti sono per lo più americani, ovvero bambini troppo cresciuti, pieni di curiosità ed entusiasmo, che quando arrivano in Italia trovano la Disneyland del gusto e diventano matti. E’ divertente, è faticoso, a volte è un incubo.


Questa settimana, mancando la mia collega al front office, ho spesso trascorso il mio tempo al banco con un ritorno alle origini ovvero “la guerra con il cliente”.
Perché non si pensi che il lavoro di chi vende viaggi sia una professione romantica e piena di avventure. Le avventure effettivamente ci sono, non mancan mai, ma sono quelle che ti fanno venire l’ulcera e ti amareggiano la vita.
La cosa più complicata di vendere il nulla è che devi essere molto bravo a farlo. 
E quando ti rendi conto che sei diventato bravo, devi organizzarti e dotarti di: una laurea in psicologia, geografia planetaria, meteorologia, storia dei trattati internazionali, ingegneria civile, medicina e malattie infettive, lingue orientali e nordiche, senza dimenticare un master in astrologia comparata con lettura della sfera di cristallo.
Una volta acquisite tutte queste competenze (e si acquisiscono, ve lo posso garantire), affrontare il cliente è ancora difficile.
Perché se ti viene un cinese in agenzia per acquistare un biglietto aereo e alla domanda “Con che compagnia vuole volare?” ti senti rispondere “ No compagnia, io volale solo!” – capisci che qualsiasi risorsa tu possa tirare fuori dalla manica, non servirebbe. 
Ma anche quando il cliente distinto, con prosopopea si siede di fronte a te ed annuncia serio che lui “vuole fare una vacanza balneare in Austria” e tu vorresti dirgli che forse si è sbagliato con l’Australia, che ancora in Austria il mare non ce l’han portato ma una soluzione potrebbe esserci allagando la Svizzera, capisci proprio in quel momento di essere un professionista con i controfiocchi perché non ti sei lanciato in una risata oscena davanti agli occhi del carciofo rivestito, ma lo hai difeso dall’umiliazione con un rispettoso silenzio.
Alla fine ti viene il dubbio se tutta questa educazione e rispetto del cliente ripaghi la maleducazione ed arroganza di molti individui che entrano in agenzia con la convinzione che tu stia lì per hobby, perché questo "è un lavoro da ragazzi e da stagiste e tanto io prenoto su internet"….
Mah, al diavolo i carciofi rivestiti e consoliamoci con una caponatina di primavera!
Appena aperto il frigorifero, la vide.
La caponatina! Sciavuròsa, colorita, abbondante, riempiva un piatto funnùto, una porzione per almeno quattro pirsone. Erano mesi che la cammarera Adelina non gliela faceva trovare. Il pane, nel sacco di plastica, era fresco, accattato nella matinata. Naturali, spontanee, gli acchianarono in bocca le note della marcia trionfale dell'Aida.

(La gita a Tindari - A. Camilleri - pag. 219)
Questo è il primo libro sul commissario Montalbano che ho letto ed è stato amore a prima lettura. Le avventure di Montalbano non sono semplici gialli ma vere e proprie immersioni in una cultura magnifica e ricca di contraddizioni come quella siciliana. Camilleri ha l'abilità di trascinarci in situazioni, colori, sapori e persino profumi con una potenza evocativa senza eguali, aiutata dal una scrittura sinuosa e musicale dove il dialetto è l'abbellimento e l'acciaccatura sopra lo spartito della narrazione. 
Con "La gita a Tindari" mi sono sentita un po' presa in causa, e siccome da buona agente di viaggio in genere organizzo le gite per le comitive preferibilmente in primavera ed in autunno, ho immaginato questo viaggio a Tindari nella primavera inoltrata. La ricetta che propongo, non è la tradizionale caponata estiva, con le melanzane, ma una più leggera caponata con i carciofi, di grande tradizione nel periodo invernale e primaverile. Sicuramente il commissario Montalbano l'avrebbe gradita in ugual misura. 
Ingredienti per 4 persone:
- 4 bei carciofi non "rivestiti" (siciliani se si trovano)
- 300 gr. di polpa di pomodoro
- 2 gambi di sedano
- olive verdi denocciolate (io ho usato le mie nere di Kalamata, splendide)
- capperi sotto sale
- 2 cucchiaiate di pinoli
- cipolla, sale, pepe q.b
- foglioline di basilico
- Olio extra vergine d'Oliva di Castelvetrano
Pulire i carciofi, ridurli a spicchi e metterli in una bacinella con acqua acidulata con 1 limone. 
In una padella scaldare 3 cucchiai d'olio, quindi mettere i carciofi, salare e pepare e lasciare cuocere per 8/10 min. Devono restare croccanti. Se necessario aggiungere un paio di cucchiai d'acqua. Al termine della cottura, mettere da parte. 
Pulite e tagliate il sedano a rondelle 
In una piccola casseruola fate imbiondire la cipolla tritata con un po' d'olio quindi aggiungete il sedano e la polpa di pomodoro e fate cuocere per una decina di minuti. Aggiungete successivamente le olive, i capperi dissalati e qualche fogliolina di basilico. Salate e pepate e fate cuocere per altri 10 minuti. 
Sistemate i carciofi su un piatto di portata e copriteli con la salsa che avrete preparato. Lasciate riposare almeno 2 ore prima o per l'intera notte. Prima di servire, decorate con foglioline di basilico ed i pinoli tostati. 

Con questa ricetta, partecipo con grande piacere alla sfida de l'Acqua 'Dorosa "Il delitto è servito"

lunedì 28 marzo 2011

Se fossi una ricetta? Crostata alle amarene

Tutta colpa di Juls.
Una pensa di sapere poco della vita e di come va il mondo considerando che spesso la realtà supera ogni più scatenata fantasia, ma di conoscere almeno qualcosa su se stessa, specialmente se ci convive da più di quarant’anni.
Poi basta un piccolo gioco che facevamo da ragazzine in classe, all’ora della ricreazione, il “Se fosse…”, ve lo ricordate? – per entrare in confusione e ritrovarsi a rimuginare ore e ore su quale ricetta potrebbe rappresentare al meglio ciò che siamo.  
Naturalmente, dopo lo sconforto iniziale, parte la fase sondaggio, e si chiede a marito e figlia che puntualmente rispondono elencando piatti a cui mai avrei pensato, il che fa aumentare in maniera esponenziale la sensazione di smarrimento, se non che entrambi dicono un dolce ed almeno in questo forse ci siamo. Si, perché se fossi una ricetta sarei la parte finale del menù e almeno quello l’ho sempre saputo.
Ma non mi ci vedo in un dolce con la panna come mi descrive mio marito (a dire il vero lui ha detto che sono un bignè alla panna, affermazione che mi ha intenerito non poco, e nonostante tutto non riesco a trovarmi d’accordo con lui). Anche con mia figlia, che mi vuole torta al cioccolato, non ho potuto essere d’accordo. 
Poi, quando ho smesso di pensarci, anzi quando mi sono dimenticata del Contest di Giulia, improvvisamente ho trovato la risposta.
Se fossi una ricetta sarei una crostata.
Sarei sicuramente un dolce di pastafrolla, e per essere dettagliati, sarei una Crostata di Amarene con marmellata fatta rigorosamente in casa (ed in questo caso cito la marmellata di Nonna Mela, la più buona marmellata di amarene dell’universo conosciuto).
La crostata è un dolce complesso mascherato da semplice torta per merenda o colazione. Fosse nient’altro che per la preparazione della frolla che da sola necessita anni di tentativi prima di ottenere il risultato perfetto.
La crostata ha un aspetto semplice, pulito, un design lineare, basico. 
La crostata è elegante con semplicità. 
E’ versatile, un dolce da bosco e da riviera: viene farcita in migliaia di modi diversi tanto da poter essere tranquillamente servita anche in occasioni importanti. 
La crostata è un dolce rassicurante, non nasconde nulla e quanto è fatta bene, è buona e basta.
Ma la cosa più entusiasmante di questo dolce è il sapore. La meravigliosa sensazione della frolla che si sbriciola sotto i denti sprigionando tutto l'avvolgente aroma del burro, lasciando poi spazio alla densità della confettura che crea l’armonia perfetta.
La crostata è un dolce sorridente.
La crostata diventa più buona con il passar del tempo, sempre che non venga finita un’ora dopo averla sfornata.
La crostata è del Capricorno ascendente Cancro, come me, e non si può negare. E’ Capricorno nella sua essenzialità, e un dolce materno e confortante come il Cancro, il mio ascendente.
La crostata di amarene è la mia crostata, ovvero sono io, una persona estremamente semplice nell’involucro ma complessa all’interno. Una persona senza troppi fronzoli, con un cuore friabile e decisamente sorridente. Per armonizzare la dolcezza della frolla, la marmellata di amarene è fondamentale: la punta amarognola ed agretta rappresenta la mia parte autoironica e a volte brontolona, un po’ maschiaccia.
Se fossi una ricetta, cara Juls, sarei una bella crostata di amarene.
Ingredienti per una crostata grande e qualche crostatina (questa è la ricetta per la frolla che ho acquisito al Cordon Bleu di Firenze) :
gr 440 di farina 00 (ho usato quella del Molino Chiavazza)
gr 250 di burro
gr 140 di zucchero
1 uovo e un tuorlo
un pizzico di sale
(scorza di limone grattugiata o vanillina a piacere – io non la metto)
In una grande ciotola versate la farina e lo zucchero e miscelateli con una mano. Mettete un pizzico di sale quindi tagliate il burro a cubetti e versatelo nella farina. Con la punta delle dita, molto velocemente, pizzicate il burro con la farina fino ad ottenere un composto bricioloso. Aggiungete le uova e mischiate con un cucchiaio, quindi rovesciate il composto su una spianatoia e lavorate il tutto molto velocemente fino ad ottenere una palla morbida e liscia (è fondamentale che questa operazione venga effettuata in pochi secondi per non sciogliere il burro e sviluppare glutine che renderebbe il composto troppo duro e non friabile dopo cotto).
Avvolgere la palla nella pellicola e lasciarla riposare almeno un’ora in frigorifero. 
Stendere quindi la pasta in una sfoglia di c.ca 4/5 mm e foderare uno stampo per crostata di 28 cm preventivamente imburrato e infarinato. Accendere il forno a 180°C.
Bucherellare il guscio di pasta con i rebbi di una forchetta e versare la marmellata che preferite. Cercate di rendere liquida la vs. marmellata con un paio di cucchiai di acqua tiepida in modo che possa essere distribuita uniformemente sulla pasta e durante la cottura non si asciughi troppo.
Decorate poi la vs. crostata con strisce di pasta a losanghe, oppure motivi ottenuti con dei tagliabiscotti o come la vs. fantasia vi suggerisca.
Cuocere per .ca 45 min, fino a quando la pasta non sarà lievemente dorata.


 Con questo post partecipo al Contest di Giulia "Se fossi una ricetta" realizzato in collaborazione con Macchine Alimentari .

giovedì 24 marzo 2011

La Pasta degli Studenti (e non solo) - Caserecce (88 "e casecavalle") alla crudaiola



Evito di pensarci, anche solo di fare il conto: sono stata studentessa universitaria un’era fa! Per certe cose non ci si capacita che sia passato così tanto tempo. Poi arrivano dei Contest come questo e uno cerca di darsi un tono, di sfoggiare una certa esperienza in merito e in realtà è vero, è proprio così, sono stata una studentessa universitaria squattrinata e praticamente sempre affamata.
Ma devo confessare una cosa: ho studiato a Siena, a casa mia e la pappa me la faceva la mia mamma! Ecco, l’ho detto!
Così, anche se sono convinta che il contest proposto da Il Pomodoro Rosso sia assolutamente bellissimo, oggi sono in vena di confessioni e posso dire che il Sig. Garofalo può dormire sonni tranquilli: le ricette con pochi ingredienti e tempi di preparazione che rasentano i 15, massimo 20 minuti, le usiamo anche e soprattutto noi, donne lavoratrici, mamme e aspiranti factotum.
Perché non si creda che avendo un foodblog, uno cucini tutti i giorni come se dovesse avere per pranzo la Regina di Inghilterra in persona. E’ no cari miei!
Succede invece che più di una volta nell'arco di un mese, aprendo il frigorifero una venga presa dalla depressione per lo spettacolo penoso che le si prospetta di fronte, simile al passaggio di Attila su suolo nemico. E che le uniche cose disponibili siano mezza crosta di parmigiano, 3 pomodori in fila a chiedere la pensione e qualche uovo vagante con data di scadenza caduta in prescrizione.
Io faccio la spesa una volta a settimana, generalmente il sabato e non torno quasi mai a pranzo a casa. Quando rientro a casa la sera con mio marito e mia figlia, sono già le 20.00 e se non si ha la prontezza di cucinare qualcosa di veloce e poco impegnativa, si finisce col mangiare in orari improbabili. Ecco perché applaudo al contest di Cleare, per dire che le ricette degli studenti vanno benissimo anche per noi, mamme lavoratrici con un occhio al budget familiare.

lunedì 21 marzo 2011

Le Spumiglie, il Pane Brot e la macchina del tempo.

Prélude à l'après-midi d'un faune - Debussy
Spumiglie, sospiri, spumini, meringhette, spumoni….quanti nomi per chiamare questi piccoli nidi di zucchero che svaniscono al solo contatto del calore della nostra bocca. Ne conoscete altri? Mi piacerebbe saperlo.
Confesso che “sospiri”, come li chiamiamo qui da noi, rende bene l’idea…un sospiro è un desiderio inespresso, una parola sospesa e mai pronunciata, un’idea zuccherina che sembra sabbia e miele sulla nostra lingua e svanendo ci lascia con lo stupore divertito dei bambini.
Quando da piccola trascorrevo le vacanze sul lago di Garda, la mamma ci portava in paese a fare la spesa e ci fermavamo sempre dallo stesso fornaio che aveva sull’insegna una strana parola “ Pane – Brot”. La cosa faceva ridere a crepapelle me e mia sorella, che associavamo il suono della parola a scostumati versacci corporali, mentre mia madre, che conosceva bene l’amore del popolo tedesco per quella parte d’Italia, continuava a ripeterci che Brot era il pane, il paneeee!. Ovviamente fino alla volta successiva, quando il gioco ricominciava.
La cosa più meravigliosa di quella panetteria, era la vetrina, da cui troneggiavano splendenti delle meringhe gigantesche, candide e lievi come gardenie. La mamma riusciva a portarci via da lì solo promettendoci che avrebbe comprato una spumiglia a testa, e quello era il regalo più bello della giornata. La meringona gigante con noi due non aveva vita facile.
Ho rivisto delle meringhe di quelle dimensioni lo scorso autunno a Stresa.
Sapete che Stresa è famosa per le Margheritine, quei meravigliosi biscottini di frolla superfrollosa, fatte con tonnellate di burro e tuorli sodi, e generosalmente coperte di zucchero a velo. Ecco, durante l’ennesimo giro con il mio gruppo di americani, nell’unico momento di tempo libero sono scappata nella mia pasticceria preferita per fare incetta di Margheritine, ed è stato lì che le ho viste: delle meringhe giganti, grosse quanto pompelmi e lo sapete cosa è successo? Avete presente il film Ratatuille, quando il critico Ego assaggia il piatto preparato dal petit chef ed ha una regressione strabiliante alla sua infanzia? Ecco, io ho avuto la stessa emozione, un flash back potentissimo che mi ha risucchiata dentro la panetteria con Brot sull’insegna, le risate con mia sorella e le spumiglione che ci comprava la mamma….Per un momento ho trattenuto una lacrima, poi non ho potuto che cedere alla bellezza di quei fiori di zucchero: me ne sono comprata 3, numero perfetto.
Solo dopo ho capito che per smaltire tutti i bianchi d’uovo avanzati dalla preparazione delle Margheritine, è necessario trovare degli escamotage…
Meravigliose spumiglie giganti, la mia macchina del tempo personale
Qual'è la vostra? 


Meringhe con nocciole di Alba.
In seguito alla preparazione della torta alle mandorle e lemon curd di un paio di post fa, mi sono avanzati ben 8 bianchi d’uovo e non ho trovato altra soluzione d’utilizzo che quella di preparare delle meringhe a cui ho però deciso di aggiungere delle belle nocciole di Alba che avevo ben nascosto nella mia dispensa (ho un paio di topi in casa, uno grande ed uno piccolo che periodicamente mi fanno fuori cioccolata, frutta secca, guarnizioni di zucchero…quindi bisogna correre ai ripari).
Ingredienti per c.ca 25 meringhe
-         250 gr di zucchero a velo
-         120 gr di bianco d’uovo (circa 3 bianchi)
-         150 gr di nocciole
-         succo di limone – sale  o un pizzico di cremor tartaro se preferite.
Ho proceduto preparando una meringa all’italiana, montando con il Kitchenaid a velocità ridotta i bianchi con un pizzico di sale e qualche goccia di succo di limone (che aiuta la meringa a restare candida), a temperatura ambiente, aumentandola via via che si rassodavano, ed aggiungendo gradatamente metà dello zucchero a velo setacciato.
Quando il composto è finalmente gonfio e lucido e la meringa fa delle punte ferme, interrompete ed aggiungete delicatamente con una spatola il resto dello zucchero, in 2 o tre tempi, mescolando dal basso verso l’alto affinché la meringa non si smonti. Aggiungete le nocciole e mescolate amalgamandole al composto.
Con un cucchiaio disponete dei mucchietti di meringa su una teglia rivestita di carta da forno e fate cuocere in forno ventilato a 100°C per c.ca 2h30. Fate si che lo sportello del forno resti leggermente aperto apponendo un cucchiaio di legno a contrasto, in maniera che all’interno non si formi umidità.
 Al termine della cottura, spegnete il forno e fate raffreddare le meringhe all’interno del forno stesso. Non le togliete fino a che non saranno fredde. Conservatele poi in una scatola ermetica. Si conservano a lungo (se non avete topi ingordi in casa!).


giovedì 17 marzo 2011

Italia bagnata, Italia fortunata? 150 anni sotto la pioggia e pollo arrosto per consolazione.

Inno di Mameli
Come avete trascorso la vostra giornata di celebrazioni?
Con una certa emozione ieri sera alle 22.00, ho appeso la bandiera al balconcino della finestra della cucina. Non pensavo che avrei potuto farlo semplicemente perché non avevo una bandiera.
Mia figlia è tornata da scuola con un piccolo tricolore di carta fatto a mano, dipinto con i pennarelli e sorretto da una cannuccia di plastica rigida. Che bello - ho pensato - almeno un piccolo simbolo in casa ce l’avremo. Mi intristiva però l’idea di non avere una bella bandiera grande e lucida da far sventolare in un giorno come questo.
Invece mio marito mi ha sorpresa e rientrando tardi dopo due giorni di viaggio, mi porge un pacchettino morbido da cui scivola fuori una grande bandiera in rayon pronta per essere ammainata. Probabilmente vi sembrerò stupida, ma tenendola in mano mi sono emozionata, così come appendendola ho provato un moto d’orgoglio e mi è sembrato un gesto molto solenne.
Stamattina era bello vederla sventolare gonfiata dal vento e resistere alla pioggia che non ha interrotto per un istante di disturbare il desiderio di festa.
Il programma della giornata prevedeva un’uscita in centro nel pomeriggio per approfittare dell’apertura dei musei cittadini, in particolare di quello del Monte dei Paschi, la sede storica, la cui visita è sottoposta ad autorizzazioni complicatissime durante l’anno, ma che oggi apriva i suoi saloni medievali a chiunque desiderasse scoprirne le meraviglie. Alle tre del pomeriggio il vento schiaffeggiava la pioggia sui vetri di casa con un rumore assordante; alle quattro uno scatafascio d’acqua allagava il giardino.
Senza proferire parola, mia figlia si è chiusa in camera a giocare, mio marito, che fino a mezz’ora prima manteneva un ottimismo incredulo affermando “adesso si apre, adesso smette di piovere” – ha miseramente ceduto all’abbiocco post-pranzo ed io ho deciso che avrei potuto anche mettermi a stirare per dare una bella smazzata alla piramide di Cheope di panni che mi guardavano severi dal cesto della biancheria. Così niente festa, niente musei, tanta acqua ovunque.
Spero che siate state più coraggiose di me e vi siate buttate nella mischia. Ditemi come l’avete trascorso questo compleanno.
Compleanno bagnato, compleanno fortunato si spera.  La bandiera però lì appesa ce la lascio: il compleanno dura tutto l’anno, e poi mica sarà così facile essere presenti al prossimo, almeno cerchiamo di ricordarci questo. Voglio fare un augurio a questa Italia: che sia sempre forte come la mia bandiera, si gonfi al vento e resista alla pioggia. Ed abbia sempre intorno tanta gente come me che la ama, nonostante tutto.  Viva l’Italia!

Per questa giornata importante, sono andata sul classico. Non avevo voglia di sperimentazioni e sorprese; sentivo che era necessario andare sul tradizionale e su un piatto che piace sempre a grandi e piccini (ed io ne avevo una voglia matta). Ho preparato un bel pollo arrosto con patate alla salvia come le faceva la mia nonna Gina.
Ingredienti per 4 persone
Pollo arrosto:
-          Un pollo intero eviscerato di c.ca 1 kg
-          Rosmarino, salvia, aglio, timo
-          Olio extravergine d’oliva
-          Sale q.b.
Patate alla salvia
-          1 kg di patate a pasta bianca
-          salvia
-          olio extravergine d’oliva
-          sale
Lavate il pollo ed asciugatelo bene. Cospargete bene l’interno con sale marino quindi inserite un ramo di rosmarino, salvia, rametti di timo e 2 spicchi d’aglio in camicia. Spennellate il busto, cosce ed ali con abbondante olio d’oliva quindi strofinate il tutto bene con sale fino. Ponete il pollo in una casseruola, irroratelo con un po’ d’olio e mettetelo in forno caldo a 180°C.
Durante la cottura che sarà di c.ca 2 ore e comunque fino a quando la pelle non sarà bella dorata, dovrete continuare ad irrorarlo (ogni 10 minuti c.ca) con i propri liquidi usando un cucchiaio o un pennello. Fate attenzione a non bucare la pelle e la carne per non fare disperdere i liquidi della carne.

Tagliate a grossi spicchi le patate e mettetele in una larga padella antiaderente in cui avrete scaldato bene 5 bei cucchiai d’olio e diverse foglie di salvia. Cuocete le patate a fiamma media, mescolandole di tanto in tanto fino a che non saranno belle croccanti e dorate. Salate direttamente nella padella qualche minuto prima di finire la cottura e servitele su un piatto di portata con il pollo. 

lunedì 14 marzo 2011

Fracchia e Il compleanno di papà: torta di mandorle al lemon curd e glassa al cioccolato

Happy Birthday to you - Stevie Wonder
Avete presente il film “Fracchia la belva umana”? Ho dei ricordi vaghi sull’intera storia ma una parte è stampata in maniera indelebile nella mia corteccia celebrale, ovvero il pranzo a casa della madre, in questo caso rappresentata da un Gigi Reder (mitico Ragionier Filini) in panni mammeschi, con terrificante accento dialettale (com’era, siciliano? Calabrese?, aiutatemi ho un vuoto). Si, insomma, il nostro povero Fracchia scambiato per un sosia, è costretto dalla situazione a pranzare a casa della sedicente madre, che ha preparato un menù in grado di sterminare una banda di boscaioli del Montana a digiuno da un mese. Il povero Cristo ingurgita l’impossibile e alla fine, stremato, viene sottoposto ad una lavanda gastrica (o clistere? ho rimosso). Per la durata dell’intera sequenza, non so voi, ma io ho sofferto come un cane, non mi faceva tanto ridere, piuttosto mi provocava un certo fastidio alla bocca dello stomaco.
Perché parlo di Fracchia? Semplicemente perché le mamme, e mi riferisco a tutte le mamme (oddio, anche io sono una mamma), si trasformano e vengono possedute dallo spirito della mamma di Fracchia quando si tratta di un pranzo in famiglia.


Oggi, per il compleanno di mio padre, siamo andati a pranzo a casa dei miei. Prevedendo l’epilogo, mi ero offerta di preparare il pranzo “così mamma non ti stanchi e vi rilassate”, ma Dio ce ne scampi e liberi, non si può assolutamente! Per tutta risposta lei mi fa: “tu porti il dolce!”
Ok, tanto ci avrei pensato io comunque. “ E non ti preoccupare” mi fa di rimando – “ Tanto preparo solo due cosine”- Ecco, sono proprio le due cosine che mi preoccupano!
Beh, non è che io mi spaventi di fronte ad una tavola imbandita, tutt’altro, mi piace mangiare e quando torno a casa dai miei, non so, sedermi a tavola con loro e ritrovare i sapori della mia infanzia e adolescenza, mi riempie di emozione e triplica l’appetito. 
Così è successo oggi. 
Siamo arrivati che eravamo già affamati. Sulla tavola, apparecchiata per le grandi occasioni, c’erano già gli antipasti, all’Italian way,: crostini, affettati, olive, verdurine sott’olio fatte in casa, scaglie di parmigiano, ecc, ecc. Arrivata mia sorella, eravamo già lì che mangiavamo a quattro palmenti. E già con l’antipasto, dai una bella smazzata alla fame e saresti quasi a posto, se non fosse che mancano ancora i primi, i secondi i contorni, i formaggi perché “la boca no l’è straca se no la sa de vaca”, la torta di compleanno, i biscottini al vinsanto e se non sei ancora esploso con un boato che ti sentono fino a Piazza del Campo, la frutta per pulire la bocca….
Naturalmente per educazione e affetto, non puoi esimerti dall’assaggiare tutto (se per assaggio si intende una porzione da camionista), che poi tutto è veramente buono, ma verso i formaggi cominciano i primi cenni di cedimento strutturale e guardando la faccia di mia sorella che con gli occhi imploranti fa il gesto di time out con la manina, cerco di far capire alla mamma che forse non c’è bisogno di tirare fuori l’Asiago e il pecorino se non vuole far fuori tutta la famiglia!
Siamo in casa adesso. Mio marito è sdraiato sul divano come un cetaceo spiaggiato ed ogni tanto da’ dei cenni di vita attraverso sbadigli che assomigliano a dei twister. Io cerco di capire quando riuscirò a digerire il costoleccio che balla il tip tap nello stomaco, e probabilmente mi toccherà andare avanti a verdure bollite per le prossime 2 settimane. Però è stato bello (ma non lo dite in giro, qualcuno potrebbe farsi venire l’idea di usare i pranzi in famiglia come armi di sterminio di massa).

Visto che era il compleanno di papà e volevo fare una torta speciale, non ho pensato che probabilmente sarebbe andata bene anche una semplice crostata alla crema visto il probabile menù. No, ho dovuto strafare ed ho preparato una torta esagerata, che volevo fare da tanto, la cui ricetta si trova su una splendida raccolta di dolci al cioccolato di Sale e Pepe.
Torta alle mandorle e lemon culd glassata al cioccolato.
Un consiglio è di prepararla il giorno prima e glassarla la mattina dopo, prima di servirla. Gli ingredienti sono un tripudio di calorie:
Ingredienti per 10/14 persone
Per il lemon curd
8 tuorli grandi
375 gr di zucchero
1 cucchiaio ½ di scorza di limone grattugiata
125 ml di succo di limone
150 gr di burro a pezzetti
Per la torta
250 gr di mandorle spellate e tostate
375 gr di zucchero semolato
350 gr di burro ammorbidito
scorza di un limone grattugiata
6 uova grandi intere
80 ml di succo di limone
185 gr di farina
1 cucchiaino di lievito
Per la glassa al cioccolato
200 gr di cioccolato fondente
100 ml di panna fresca.
La crema
Sbatti i tuorli con lo zucchero fino a che non sono gonfi e spumosi quindi mettili in una casseruola con il succo ed la scorza di limone e cuoci a fiamma bassissima fino a che lo zucchero non si è sciolto ma facendo attenzione che il composto non si scaldi troppo altrimenti le uova si coagulano. Aggiungi il burro a pezzetti e continua a mescolare e cuocere per c.ca 5 minuti fino a che il composto non velerà il cucchiaio. Togli dal fuoco e lascia raffreddare quindi metti tutto in un contenitore e lascia in frigo a rassodare tutta la notte.
La Torta
Macina le mandorle e lo zucchero nel robot fino ad ottenere un composto granuloso. A parte nella planetaria monta il burro ammorbito fino ad ottenere un composto gonfio e spumoso. Aggiungi lentamente il composto di mandorle e zucchero e la scorza di limone, e mischia il tutto con la foglia. Sbatti leggermente le uova ed uniscile al composto gradatamente: passa alla cucchiaiata successiva solo quando quella precedente sarà ben amalgamata nell’impasto. Per ultimo, con una spatola di gomma, aggiungi la farina setacciata con il lievito ed il succo di limone.
Versa il composto il una tortiera di 25/26 cm a cerniera, imburrata e con il fondo foderato di carta da forno, e metti in forno preriscaldato a 170°C per c.ca 50 min. e comunque fino a che lo stecchino uscirà asciutto dalla torta.
Lascia raffreddare nello stampo.
La glassa
Porta a bollore la panna in un pentolino. Trita finemente il cioccolato ed aggiungilo alla panna fuori dal fuoco. Mescola fino ad ottenere un composto lucido e denso. Lascia raffreddare un po’ prima di glassare.
Componi il dolce tagliando la torta a metà. Metti il primo disco sul piatto di portata e spalmalo con uno strato di lemon curd tenendoti ad un cm. dal bordo. Appoggiaci sopra delicatamente il secondo disco, ricopri con la glassa e lascia indurire.
La torta è perfetta servita fredda. 



Con questa ricetta partecipo alla festa di compleanno del Molino Chiavazza 





venerdì 11 marzo 2011

Puntarelle Mediterranee

E’ tornato, sembra che abbia deciso di restare. Facciamo finta di niente, non diamogli importanza, magari decide di fare programmi a lungo periodo.
Parlo a sottovoce per dirvi che sono ben 5 giorni continuativi che qui splende il sole.
Lunedì e martedì, nonostante il cielo terso e pulito come un lenzuolo fresco di bucato, faceva un freddo che ti tagliava a fette. Ma lui, il sole, sempre lì, rubicondo e tranquillo come nulla fosse.
E’ quasi il fine settimana e lui non se n’è ancora andato: ci sarà una ragione? Forse che davvero davvero la Primavera si sta avvicinando? Mah, non ci voglio pensare, però il corpo reagisce immediatamente a questa luce, a questo calore, a questi profumi nuovi nell’aria e fa risvegliare nelle papille gustative, il desiderio di sapori  freschi, croccanti, salmastri.


Ho trovato dal fruttivendolo, un bel cespo di cicoria con le grasse puntarelle ben nascoste dietro le foglie sinuose di questa verdura amarognola. E’ scattato un desiderio irrefrenabile di freschezza ed avendo in casa alcuni ingredienti stuzzicanti, ho preparato questa ricca insalata che mio marito ed io ci siamo gustati mugolando a bocca piena.
Per 2 persone
Un cespo di cicoria con puntarelle
 6 pomodorini secchi sott’olio
6 acciughe siciliane sott’olio
10 olive di Kalamata sott’olio
10 fiori di capperi siciliani sott’olio
2 cucchiaini di pesto di pistacchi di Bronte
Il succo di un limone
olio EVO
sale, pepe q.b.
Pulire le puntarelle e lavarle bene quindi affettarle a piccoli ciuffi sottili che metterete in una ciotola di acqua fredda a cui avrete aggiunto dei cubetti di ghiaccio. Lasciare riposare per una 20na di minuti fino a che non si arricceranno.
Nel frattempo sminuzzate tutti gli ingredienti, denocciolate le olive e tagliatele a listarelle, tritate le acciughe finemente, preparate una vinaigrette con il succo del limone, il pesto di pistacchio e l’olio Evo, sale e pepe se gradito.
Scolate la vs. insalata e mettetela nelle ciotoline. Condite con gli ingredienti e versate la vinaigrette. Mischiate bene e servite.


lunedì 7 marzo 2011

DO YOU KNOW MOLISE? CAVATELLI!

“Mamma e che malinquenie
u bbèlle è che arrive sempre e quest’ore
Paree u professore e nen capisce.
Me ne revaie na casa enconre chiù tri’ste.
‘Stonche p’entrà…de colpe me passe:
so sparite?
Mo capisce, è esse
Scine è esse: a ddòre du rragù”
(Pasquale Di Lena)
Il Molise è una regione italiana posta tra l’Abruzzo e la Puglia.
No, non sono impazzita e non voglio neanche fare una lezione di geografia alle mie amiche di blog, ma una parentesi consentitemela: del Molise non sa quasi niente nessuno e questo è un dato di fatto.
Così permettetemi di trasferire quel poco che so e quel tanto che amo di questa terra piccolissima eppure così generosa. Se ho la fortuna di sentirmi in parte anche Molisana, è grazie alla famiglia di mio marito. Sua madre, Carmela, detta da noi tutti “Nonna Mèla” (appellativo guadagnatosi subito dopo la nascita di mia figlia, che non riusciva a pronunciare il suo nome), è nata a Larino, importante paese in provincia di Campobasso, a c.ca 25 km dalla costa e dalla più famosa Termoli, dove qualcuna di voi sarà probabilmente stato al mare. Ha sposato un pugliese che ha accettato di buon grado la cittadinanza onoraria e vive tutt’ora nel suo paese natale a cui è legata in maniera totalizzante.
Attraverso lei e suo fratello, zio Pasquale, uomo di grande cultura e devotamente innamorato della sua terra (l’autore della la bellissima poesia con cui ho aperto il post), ho lentamente cominciato a scoprire questa parte d’Italia praticamente dimenticata. Ed ogni volta che ci torno, mi rendo conto di quanto sia ancora vera e come sia difficile trovare dei luoghi in Italia così fortemente radicati alla propria tradizione e cultura del territorio.
Il Molise è un piccolo scrigno pieno di gioielli e quelli più preziosi sono legati al cibo. Non perché io sia leggermente fissata sull’argomento, ma perché, e ve lo posso garantire, ci sono dei piatti assolutamente fantastici, semplici, basici, ma incredibilmente potenti nella loro capacità evocativa di un passato ancora presente. 
Vorrei invitarvi a viaggiare e fermarvi in piccoli borghi dai nomi che sembrano usciti da un romanzo di Tolkien: Pietrabbondante, Agnone, Civitacampomarano, Casacalenda, Montorio, Guglionesi, Guardialfiera, Campomarino…e via discorrendo. Nemmeno la più fervida fantasia di uno scrittore poteva creare nomi così affascinanti e pieni di poesia. Non siete d’accordo? Sono piccoli paesi dove ancora regna l’uso di salutarsi quando ci si incontra (anche se non ci si conosce) e non è questo segno di grande civiltà? Dove le porte di casa restano aperte, i bambini giocano per strada, un lutto non passa inosservato e chi soffre potrà non cucinare per giorni perché i vicini assisteranno in silenzio e generosamente.
Potrei parlare per ore di questa bella terra e lo farò in altri post perché c’è veramente tanto da dire, ma questa volta lascerò parlare un piatto, per il quale non ringrazierò mai abbastanza Nonna Mèla per aver condiviso con me la sua conoscenza e maestria nel prepararlo. Si tratta dei famosi cavatelli. Da non confondere con i cavatelli pugliesi che, per carità hanno il proprio perché, ma questa è un’altra storia.
I cavatelli molisani sono diversi a seconda del luogo da cui provengono e della famiglia che li prepara, ma in genere a Larino e dintorni si fanno piccoli come l’unghia di un mignolo e come dice zio Pasquale, se sono perfetti devono entrare 10 in un cucchiaio. E’ una semplice pasta di semola di grano duro, povera e essenziale: acqua e farina. Il condimento è in genere una salsa di pomodoro con sentore lieve di aglio e basilico, e nei giorni di festa nel sugo possono far la loro apparizione delle sontuose cozze o dei pezzi di carne di manzo che sono stati lasciati cuocere a lungo nella salsa.
La meraviglia del cavatello sta nella sua delicatezza: quando si scava lo gnocchetto di pasta con la punta del dito, si compie un piccolo miracolo. Si da origine ad una minuscola conchiglia, un delicato petalo arricciato che raccoglie il sugo ed i sapori di casa ed è in grado di ammutolire anche il più cinico dei detrattori alimentari. E’ inutile dire che le mani delle donne molisane sanno creare dei piccoli capolavori ma potete riuscirci anche voi, con un po’ di pazienza ed esercizio: la mia bimba di 9 anni li prepara a velocità supersonica e pretende di mangiare solo quelli che prepara lei!
Ingredienti per 4 persone
350 gr di semola di grano duro
Acqua (quanta ne prende la farina)
Salsa di pomodoro fatta in casa (se possibile)
Basilico – Uno spicchio d’aglio
Olio extra vergine Gentile di Larino.
Sale qb.
Mettete la farina a fontana e aggiungete poco a poco l'acqua e pizzicate la farina in modo che questa venga assorbita e da un composto morbido che è in origine, cominci a prendere consistenza e corpo. Quindi prendete a lavorare la pasta a forza di braccia utilizzando i polsi come quando lavorate la pasta all'uovo. Lavorate a lungo fino a che non otterrete una bella pasta liscia ed elastica che lascerete riposare una 15na di minuti sotto una ciotola di vetro. 
Tagliate un pezzo di pasta che terrete sempre coperta per evitare che si secchi, e arrotolatela fino a ricavare una striscia sottile come un mignolo da cui taglierete poi tanti gnocchetti di forma romboidale. 
Comincia adesso il divertimento: con la punta delle dita (scegliete voi il preferito, io uso l'indice, il medio o il pollice) prendete uno gnocchetto e premete trascinandolo sulla spianatoia fino ad tterrete una piccola conchiglia. 
Alla fine gustatevi i cavatelli che cuoceranno in un battibaleno e quando saliranno in superficie della vs. bella pentola, scolateli, serviteli e...sognate. 


Con questa ricetta partecipo con piacere al Contest "Paste Regionali" del Molino Chiavazza
ed al contest 150 anni di Unità d'Italia di Meris 




sabato 5 marzo 2011

Basta un ragù per fare festa: lasagnette con ragù di coniglio.

Proprio ieri sera mia figlia, di rientro poco prima di cena dalla lezione di danza, mi fa tutta agitata – “ Oh mamma, perché non rispondi al cellulare quando io e babbo ti chiamiamo? Ti ho chiamato un monte e tu non rispondevi…volevamo ordinarti la cena!”
Eh? Ordinarmi la cena? E che poco poco da quando tengo questo blog  mi hanno scambiato per un vagone ristorante?
A parte lo stupore iniziale dopo aver realizzato il contenuto della protesta, non ho potuto che scoppiare a ridere come una pazza, con un senso di tenerezza ed anche felicità. Proprio qualche minuto prima avevo parlato con mio marito il quale aveva espresso la sua preferenza per una cena leggera, passato di verdure o simile, ma lei in macchina con il padre, aveva cominciato a fare la lista di quello che avrebbe voluto mangiare, nell’ordine: spaghetti con il tonno, rotolo di frittata ripieno di stracchino e spinaci saltati in padella. Idee chiare, coincise, accattivanti. Mi sono piombati in casa tutti e due con la stessa pretesa e non ho potuto contraddirli. Però adoro quando sono così propositivi.
Oggi storia simile: - Mamma, perché non ci fai mai il ragù? Arghhh…
Vi è mai capitato di svegliarvi la domenica mattina intorno alle 9.30/10.00 (che meraviglia) ed andare in cucina pregustando già una colazione slow, sontuosa, piena di pani tostati, burro, marmellate, biscottini, formaggi, cappuccino fumante e venire investiti (orrore) dall’odore del soffritto per il ragù che fa il suo ingresso prepotente dalla finestra, proveniente dalla casa degli inquilini di fronte? Ecco, questa è l’idea che ho io del ragù! Non è che non mi piaccia cucinarlo, anzi, quando è pronto lo adoro, ma l’idea di cominciare così presto la mattina, quando le mie narici desiderano solo profumi derivanti da lieviti, caffè o te aromatici, mi destabilizza.
Ci ho rimuginato un po’ su e mi sono autoconvinta, pensando che alla fine il ragù si cuoce da solo, vuole il suo tempo ed io posso continuare a fare altre cose senza preoccuparmi più di tanto. E ragù sia.
Ragù di coniglio. Ho utilizzato una ricetta tradizionale umbra, dove il coniglio viene spesso cucinato in ragù e che arricchisce una carne così tenera e delicata, spesso poco considerata.
Ingredienti per 4 persone
- c.ca ½ kg di coniglio tagliato a pezzi
-          400 gr di pomodori maturi tipo piccadilly o (se non disponibili freschi) un vasetto di polpa di pomodoro (io ce l’ho fatta in casa e spesso uso quella)
-          carota, sedano, cipolla, aglio per il soffritto
-          aceto bianco (o di mele se preferite)
-          olio extra vergine d’olia
-          brodo vegetale
-          sale, pepe qb
-          250 gr di lasagnette all’uovo (io ho usato quelle di Capofilone)
-          pecorino
Dopo aver lavato bene il coniglio, lasciatelo a bagno per almeno un’ora nell’acqua e aceto quindi sciacquate, asciugate bene
Dopo aver preparato il trito per il soffritto, mettetelo in un tegame capiente e soffriggetelo in olio extra vergine quindi quando è imbiondito aggiungete il coniglio e fatelo rosolare bene su tutti i lati a fuoco vivace. Aggiungete i pomodori privati di buccia o la polpa di pomodoro, salate e pepate, quindi abbassate la fiamma e continuate la cottura a lungo, coprendo il tegame ed aggiungendo quando necessario del brodo vegetale caldo. La carne del coniglio dovrà staccarsi da sola dall’osso. A quel punto il ragù sarà pronto. Togliete dal tegame i pezzi di carne, disossateli e tagliate grossolanamente la polpa quindi rimettetela nel fondo di cottura, aggiungete ancora un mestolino di brodo e cuocete ancora 10/15 minuti.
Nel frattempo lessate la pasta in abbondante acqua salata, quindi scolatela, saltatela nel tegame e servite con una bella grattata di pecorino ed un filo di olio di Trevi o Montefalco.
Basta un ragù per fare festa!