lunedì 31 agosto 2015

Fregola con le Arselle: il vento Sardo dell'estate

Il vento caldo dell'estate - Alice
A ritroso nel tempo e prima che l'Estate scivoli via definitivamente insieme all'acqua degli ultimi temporali di Agosto, voglio tornare col pensiero al colore di un luogo che non finirà mai di stupirmi.
E' l'azzurro del mare di Sardegna ed il giallo delle sue rocce bruciate dal sole.
E' il verde della macchia dal profumo di mirto e cisto, ginepro e lentisco che si incontrano ovunque lungo la costa e nell'entroterra.
Il mio ultimo viaggio di luglio mi ha riportato a Cagliari, grazie all'invito della Provincia di Cagliari ed alle sue Strade del Vino, in una quattro giorni indimenticabile perché vero è che quest'isola andrebbe scoperta fuori stagione, ma certi luoghi in estate ti scavano dentro e ti lasciano impronte indelebili.
A ritroso dicevo, perché voglio raccontare di questi giorni partendo dalla fine.
Nell'ultimo giorno di esplorazione ho capito l'anima di una parte di Sardegna che a dirla tutta di anime ne ha millanta. Non basterebbe una vita a scoprirle.
Al Convento di S. Giuseppe ho imparato il sacro rito dell'accoglienza.
Un secolo fa i viandanti chiedevano ospitalità ai conventi o nelle case dei pastori e l'uso non era quello di aprire immediatamente il portone.
Si sottoponeva il richiedente ad un interrogatorio lungo e dettagliato che non aveva lo scopo di accettare o rifiutare il pretendente, ma di dichiarare fra le righe "io mi fido di te, ti accolgo nella mia casa. Usami lo stesso rispetto".
Con la bocca spalancata ho ascoltato lo scambio fra la misteriosa donna dietro al portone e la mia accompagnatrice in una lingua arcaica e musicale ed in un lampo sono precipitata indietro nel tempo.
Il portone si è aperto.
Nascondeva un giardino rigoglioso, ricco di fiori e frutti come nei migliori racconti delle "Mille e una notte". Si, quella è stata la mia prima impressione.
Solo che il sottofondo non era il canto degli uccelli, ma la voce divertita di un gruppo di "cantores" femminile, in costumi tradizionali.
Narravano in musica storie di vendemmia, amori sbocciati nella campagna, la convivialità del buon cibo e del vino che scorre a fiumi.
Come sempre preferisco partire dalle immagini.
La Sardegna nell'immaginario collettivo è mare e spiagge incontaminate.
Il suo sud effettivamente è anche questo all'ennesima potenza.
Un pomeriggio in visita al sito archeologico di Nora,  sconosciuto a molti.
I resti di una florida città fondata dai Fenici (e pare la più antica dell'isola), situati su una lingua di terra incantevole, che denota l'intelligenza dei suoi fondatori, in quali sceglievano accuratamente i luoghi più belli ove edificare (vedi Tharros, città gemella, situata sulla penisola del Sinis).
Intorno al sito, un mare incantevole, una spiaggia corallina ed un silenzio che rende tutto molto mistico.
Consiglio la visita all'ultimo turno, per ammirare i colori del tramonto.

La vita dentro un Convento è laboriosa e parca.
Quello che oggi è un luogo di festa, celebrazioni e incontri, quasi mille anni fa era una piccola Chiesa campestre.
Più tardi i monaci Vittorini la trasformarono in un convento mettendo in pratica il verbo "ora et labora".
Solo nel '600 gli Scolopi dedicarono questo luogo a S. Giuseppe Calasanzio.
Due secoli più tardi, la famiglia che ancora oggi possiede il Convento, ne fece una fattoria che si affacciava alle porte di Cagliari.
Nel tempo, la città che cresceva, lo abbracciò fino a circondarlo.
Paolo e Luisa, i due proprietari, sono un'esplosione di entusiasmo ed idee ed hanno recuperato l'intero complesso restaurandolo con cura amorevole.
Da vent'anni molti ospiti hanno scelto il Convento per ricordare e celebrare momenti felici.
Luisa raccoglie i fioroni nel giardino

Per celebrare la gioia dello stare insieme, al convento si fa tutto in casa.
Dalla pasta alla brace, dal pane delle feste e i dolci alla fregola.
Il tutto in una catena produttiva che ha dell'ipnotico, che ricorda quanto le famiglie matriarcali di un lontano passato, fossero in grado di nutrire e crescere generazioni di uomini e donne forti.
Il rito della preparazione del convivio ha una valenza sacra e commovente che personalmente mi porta a rimpiangere quanto abbiamo perduto ed a sperare che luoghi come questi diventino sempre di più, nel recupero di una memoria che è purtroppo è ogni giorno più fragile.

Anna perfetta produttrice di fregola
Al Convento ho scoperto la fregola.
Non che non la conoscessi ovviamente.
Ma nella testa non riuscivo a capire come potesse venire prodotta.
E se vi dico che è un lavoro lungo e neanche troppo facile, credetemi. Si parte da una semola di grano duro a grana grossa (che da noi non si trova) e da lì, si aggiungono gocce di un composto di acqua, uova e zafferano e pizzichi della stessa semola, e si ruotano con delicatezza le dita ed i palmi delle mani sulla semola, che piano piano incorpora il tutto e aumenta la sua dimensione dando vita a delle palline perfette e di identico calibro.
Questo ovviamente succede alle mani esperte delle donne sarde.
Dalle mie sono uscite delle palline che avevano la sembianza....lontana di fregola.
Come sempre la ricettina, donatami al volo da Giuseppina, il nostro angelo custode durante il tour, innamorata della sua città e della sua terra che tornerà presto nei miei racconti.
Ricetta facilissima a patto che troviate un'ottima fregola (io l'ho riportata dal viaggio ma si può trovare anche al super scegliendo fra i prodotti regionali), e delle vere arselle (no vongole o vongole veraci - nella maggior parte dei casi questa ricetta in rete utilizza le vongole!)
La mia versione è asciutta, come me l'ha raccontata Giuseppina, ma esiste anche la versione in brodo
Ingredienti per 4 persone
1kg di arselle freschissime
330 g di fregola
2 spicchi di aglio
un bel mazzetto di prezzemolo fresco tritato grossolanamente
una decina di pomodorini datterino maturi
olio extravergine d'oliva Sardegna DOP
mezzo bicchiere di vino bianco secco (facoltativo)
Sale qb - peperoncino a piacere
Fate spurgare bene arselle per una mattinata in acqua fredda salata, cambiandola spesso e mescolando le arselle con una mano affinché rilascino eventuale sabbia.
In una larga padella dove possano entrare tutti i molluschi della quale avete anche un coperchio, versate 4 cucchiai di olio extravergine ed uno spicchio d'aglio e fate insaporire a fiamma dolce.
Versatevi le arselle, mescolate e coprite.
Dovranno aprisi in pochissimi minuti.
Una volta aperte, alzate la fiamma e irroratele con il vino bianco fino a farlo evaporare (questo passaggio è facoltativo, qualcuno non lo usa).
A questo punto con grande pazienza sgusciate tutte le arselle tranne una manciata per decorare i piatti, e tenetele da parte in caldo.
Filtrate accuratamente il liquido rilasciato, possibilmente con un panno di mussolina sottile, quindi tenetelo da parte.
Nella stessa padella versate sempre 3 cucchiai di extravergine ed uno spicchio d'aglio.
Fate imbiondire a fiamma dolce l'aglio quindi eliminatelo ed aggiungete il prezzemolo tritato.
Mescolate sempre con cura per non bruciare gli odori ed aggiungete i pomodorini tagliati a metà.
Fate cuocere qualche minuto in modo che i pomodorini si ammorbidiscano e rilascino parte del succo.
Versate la fregola in una pentola in cui avrete portato ad ebollizione abbondante acqua salata e fate cuocere assaggiando via via. La fregola perde velocemente la cottura quindi siate scrupolose nel controllare.
Una volta pronta scolatela tenendo da parte un po' di acqua di cottura.
Versate la fregola nella padella a fiamma dolce, aggiungete le arselle, il liquido da loro rilasciato e se necessario un po' di acqua di cottura e mescolate qualche istante per amalgamare ed insaporire bene il tutto.
Servite immediatamente nei piatti di portata decorando con le arselle in guscio.
Meravigliosa.






giovedì 6 agosto 2015

La storia di Matera è scritta nel suo pane. Capunti con crema di melanzane e briciole di peperoni cruschi.

Bread and roses - J. Denver
"La storia di Matera è scritta nel suo pane". 
Così ha esordito Massimo Cifarelli, giovanissimo Presidente del Consorzio di Tutela del Pane di Matera IGP in occasione del laboratorio organizzato per il Blog tour AIFB di Girolio.
Durante la sua lezione su come nasce quello che a mia modesta opinione è il vero cuore di questa incantevole città, ci ha preso per mano e ci ha regalato una presentazione emozionante, segno di una passione riconoscibile a mille chilometri di distanza.
Ce l'ha trasmessa tutta, con impeto e simpatia trasformando questo "laboratorio" in uno dei momenti più intensi ed indimenticabili del nostro tour a Matera.
Nella sua esposizione è stato supportato dalla nostra preparatissima guida ed instancabile chaperon, Francesco Linzalone, fiduciario Slow Food della città
Il Pane di Matera conosciuto in tutto il mondo, è indubbiamente una importante risorsa economica per l'intera provincia ma è soprattutto frutto di un gesto ancestrale che torna a ripetersi dalla notte dei tempi.
Ma cos'ha di così speciale questo pane?
Intanto è prodotto esclusivamente con farina di grano duro.
Semola rimacinata di grani provenienti dai raccolti della campagna locale, in primis il celebre grano Senatore Cappelli, di cui vi ho già raccontato in questo post  che vi invito a rileggere.
Nella maggior parte dei casi al Senatore Cappelli viene aggiunta una percentuale minore di grani autoctoni come il Duro Lucano o l'Appulo, ma questo dipende da panificatore a panificatore.
Il rito del pane ha sempre seguito un iter rigoroso. In primis la panificazione andava programmata solo dopo aver controllato lo stato del lievito. Quando parliamo di lievito a Matera, si parla della "madre", il lievito naturale per antonomasia che "abitava" ogni casa per generazioni, veniva tramandato da madre a figlia, e nel caso fosse morto, veniva chiesto soltanto a persone di estrema fiducia.
Per sottolineare l'importanza del lievito, basti sapere che le donne lo portavano in dote mentre lo sposo portava con sé il timbro per il pane.
Una volta pronti, si impastava, cominciando alle due di notte con grande fatica e devozione.
Il Consorzio di Tutela ha effettuato lunghe ricerche per capire come venisse realizzato il lievito madre, andando indietro nel tempo e nella memoria storica degli ultimi anziani della città.
Quali ingredienti venivano usati per ricreare la carica batterica in grado di far fermentare la farina?
Nessuno riusciva a fornire informazioni, fino a che un giorno, una signora molto anziana ha risposto: "La cacca di mucca"!
Ovviamente la risposta non è una provocazione né una barzelletta anche se è abbastanza surreale pensare di mangiare del pane alla cui base sta letteralmente dell'escremento animale.
Scientificamente non fa una piega in quanto i micro organismi presenti in questo elemento sono fondamentali per la fermentazione e la scintilla vitale del lievito.
In alternativa ovviamente veniva utilizzata la frutta molto matura (e qui vi sento sospirare di sollievo).
La celebre forma arrotolata del pane di Matera è la risposta della necessità di risparmiare spazio. Quando la richiesta del pane aumentò considerevolmente, la tradizionale pagnotta venne arrotolata su se stessa dando origine ad un pane alto e stretto, con una caratteristica crosta spessa ed una ampio cuore mollicoso. La grande percentuale di mollica si mantiene morbida per giorni in base alla pezzatura. I grandi pani di 3 kg si mantengono umidi fino a 9/10 giorni.
La curiosità: il famoso "cornetto di Matera" è invece stato inventato solo negli anni '80, per soddisfare la richiesta di un pane più ricco di crosta.
Per finire, ecco la valenza religiosa di questo rito immortale. 
Dopo aver effettuato le tradizionali piegature che vi mostrerò qui di seguito, si procedeva ad effettuare 3 tagli per aiutare il pane a crescere, e nell'atto dell'incisione si pronunciava la sacra formula "nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" .
Ma qual'è la ricetta di questo pane?
Vi riporto quello che prevede il disciplinare del Consorzio:
100 kg di semola rimacinata
40 kg di lievito madre
2.5 kg di sale
700 g di lievito di birra
Acqua
E il lievito di birra, direte voi?
Questa è stata una sorpresa ma anche qui c'è una ragione.
In questo caso accorcia tempi di lievitazione (ragione economica) ma come potete notare la quantità è minima, altrimenti come succede per tutti quegli alimenti che lo contengono, il lievito di birra sopravvivendo alla cottura, continua la sua azione nutrendosi dell'umidità presente ed asciugando inesorabilmente il prodotto.
Una nota a parte merita il famoso "timbro" del pane. Come molti sapranno fino al secondo dopo guerra in quasi tutti i paesi dell'Italia rurale ed in particolare nel meridione, esistevano i forni dove la gente andava a cuocere il proprio pane ed altre preparazioni. Difficilmente il pane si comprava ma si pagava in natura l'uso del forno.
Per riconoscere il proprio pane dagli altri, lo si marchiava con il timbro di famiglia, inciso in legno direttamente dalle mani dei proprietari. Il marchio veniva posto una volta effettuate le pieghe, prima dell'ultima lievitazione e non scompariva con la cottura.
Massimo Cifarelli, grano tenero e grano duro
Il grano Senatore Cappelli e le sue caratteristiche ariste nere
Si impara a conoscere il grano fin da piccoli
Le mani di Laura Adani e le pieghe del pane di Matera
Alla fine si timbra
La grande forma di pane appema sfornato
La nostra guida Francesco Linzalone che taglia il pane nel modo tradizionale
Il vero CUORE di Matera
Tornando alla semola ed al grano duro, il nostro laboratorio materano si è concluso con una splendida lezione durante la quale abbiamo osservato la Sig.ra Teresa, maestra di orecchiette e capunti, realizzare i suoi piccoli capolavori.
Acqua, semola e tanto olio di gomito per ottenere un impasto liscio ed uniforme come seta.
Io ho voluto cimentarmi come ho già fatto in passato, ed ho realizzato una piccola e facilissima ricetta estiva che vi lascio al termine del post.
Ma adesso ancora qualche immagine di mani laboriose.
Teresa, membro del Club delle Orecchiette, prepara la pasta di semola
La pasta pronta ad essere tirata


Capunti con crema di melanzane violette e briciole di peperoni cruschi. 
Ingredienti per 4 persone
360 g di capunti freschi
2 melanzane violette
8 pomodorini secchi sotto sale
30 g di peperoni cruschi ridotti in briciole
1 paio di peperoncini piccanti
1 spicchio d'aglio
1 ciuffo di basilico fresco
Olio extravergine d'oliva di Rapolla (Basilicata)
Sale qb
Per preparare i Capunti in casa vi consiglio di leggere questo post dove c'è anche un piccolo tutorial su come si realizzano.
Sono facilissimi e divertenti e sono certa che avrete grande soddisfazione una volta fatti.
Per il condimento, altrettanto facile, invece seguite queste indicazioni.
Sbucciate le melanzane con un pelapatate e tagliatele a dadi grandi.
Fatele cuocere in acqua bollente e salata dentro una larga casseruola per 10 minuti fino a che non saranno morbide.
Raccoglietele con un mestolo forato senza buttare l'acqua e fatele scolare bene quindi mettetele dentro un bicchiere per mixer a immersione ed aggiungete un paio di cucchiai di olio extravergine.
Frullate bene fino ad ottenere una crema liscia e vellutata.
In una larga padella dove potrete saltare la pasta, versate 3 cucchiai di olio extravergine, uno spicchio d'aglio sbucciato ed un peperoncino intero.
Sciacquate e riducete a filetti sottili i pomodorini secchi sotto sale, quindi aggiungeteli al fondo. Fate cuocere profumando bene l'olio e stando attenti che l'aglio non bruci. Fiamma dolce.
Dopo qualche minuto versatevi la crema di melanzane e mescolate bene facendo insaporire.
Assaggiate ed aggiustate di sale. Rimuovete l'aglio.
Cuocete la pasta in abbondante acqua salata quindi scolatela ed aggiungetela alla crema.
Saltate velocemente quindi impiattate, finendo con un bel giro d'olio extravergine di Rapolla e cospargendo le briciole di peperoni cruschi e foglioline di basilico.
Servite subito.

BUONE VACANZE A TUTTI!