mercoledì 29 luglio 2015

Matera: un paradosso che guarda al domani.

Città Vuota - Mina 
Non posso immaginare la reazione del viaggiatore che un secolo fa raggiungeva Matera.
Posso però pensare che sia stata poco dissimile dalla mia: uno stupore rumoroso, incredulo, difficilmente trattenuto.
Ancor più intenso se fra i Sassi ti capita di giungere all'imbrunire o nella notte.
Il buio che tutto inghiotte, non riesce a celare la bellezza che impavida si fa strada fra il pallido bagliore delle torce o dei lampioni.
Il bianco della pietra riflette un chiarore lattiginoso che confonde ancor più che di giorno e copre tutto di un'atmosfera onirica, destabilizzante: è luglio inoltrato ma di fronte a te si apre una scena dalla Natività cristallizzata nella roccia.
Matera è un enorme, vibrante, imperscrutabile paradosso di Escher.
Nei tre giorni in cui ho avuto la fortuna di avvicinarmi a questo luogo, ho provato tante e tali emozioni che da tempo non mi capitava di vivere.
E si che posso dire di provenire da una terra meravigliosa ed da una città ancora più bella.
Eppure Matera, nella sua altera e rude bellezza, mi ha totalmente conquistata, tanto che sto programmando mentalmente il giorno in cui potrò tornare.
Matera, città di pietra e polvere.
Camminando fra i vicoli, calpestando il selciato liscio e accecante sotto la luce del sole, arrampicandosi su scalinate erte e lucenti, non si può non percepire quanto possa essere stato difficile, duro, ingrato essere nati fra questi sassi in un non troppo lontano passato.
In una terra dimenticata da Dio e dall'uomo e riscoperta neanche troppo tempo fa.
Il paradosso di Matera rappresenta oggi, a mio modesto avviso, uno dei più esaltanti e vivificanti esempi di speranza a cui il nostro paese dovrebbe guardare.
In un'Italia in cui sta sparendo una generazione alla ricerca di fortuna all'estero, fuggendo dalla piccola provincia schiacciata dalla crisi, gettando la spugna sui propri sogni, a Matera si resta.
Anzi, alcuni arrivano rischiando il tutto per tutto, reinventandosi e scommettendo su una vita migliore.
Matera rilancia mentre tutti passano. Questo è il grande paradosso di Matera.
Ho pensato che la mia fosse una sensazione determinata dall'evidente ed innegabile bellezza di questo luogo, dall'estate e da piazze gremite di gente fino a tarda notte.
Eppure anche i miei compagni di viaggio hanno confidato lo stesso medesimo sentire.
Non credo di dover dire molto altro se non lasciare parlare qualche immagine della città.
Matera è il paradiso per i fotografi e credo di avere scattato oltre 400 foto.
Alla fine ho deciso che le migliori immagini dovevo imprimermele bene nella testa e smettere di guardarla attraverso un obiettivo.
Questo post si apre con una delle ultime foto che ho scattato. In una domenica di sole rovente, mentre rubavamo le ultime ore perdendoci tra vicoli sconosciuti.
Ho alzato lo sguardo ed in cima alla scalinata ho visto un cuore disegnato sul muro da una mano gentile.
Ho pensato che fosse la più perfetta dichiarazione d'amore a questa città.
A Matera per la prima volta. Mi imbarazza ammetterlo.
Pensavo di essere l'unica eppure nello sparuto gruppo di amici blogger che mi hanno accompagnata in questa avventura, era per tutti così.
Una prima volta corale per la quale devo ringraziare l'Associazione Città dell'Olio, la Camera di Commercio di Matera e la Regione Basilicata Assessorato all'Agricoltura, che qui hanno voluto celebrare la Tappa Inaugurale di Girolio d'Italia. 
Olivi nel cuore della città e a perdita d'occhio nelle campagne circostanti, ai bordi della Gravina e nei giardini segreti fra i Sassi. Basta scrutare con attenzione per scovare questi alberi meravigliosi.
Matera è un labirinto di vicoli e scale sui quali si aprono portoni imponenti che nascondo cantine o frantoi ipogei (ve ne sono moltissimi nascosti nel cuore della città).
Perdersi non è difficile ma è anche un modo per "sentire" la vera anima di questa città schiva cresciuta nella pietra. Nel pomeriggio estivo le strade sono deserte e silenziose per poi animarsi non appena cala il sole.
Fra i Sassi si vive la notte.
Matera è come una vecchia serratura attraverso la quale puoi intuire meraviglie.
Non so quale sia la chiave per disarmarla: certo è che quanto non ho ancora visto mi fa credere che sia infinitamente più prezioso di ciò che mi è stato svelato.
Matera è una città che pare divisa in due per la sua conformazione geografica.
In realtà queste sue due parti chiamate Rioni, il Sasso Barisano ed il Sasso Caveoso, si inseguono e si confondono aprendosi di fronte al baratro, la Gravina, in fondo alla quale scorre un fiume antico.
La stratificazione degli edifici racconta la storia della sua umanità, una delle più antiche al mondo, in un rincorrersi di grotte sotto chiese, case sopra scale, alberi e chiazze verdi sospesi nel bianco, così che allo sguardo finisci per perderti dentro un labirinto di pietra simile ad un disegno di Escher.
Un luogo come questo non poteva non ricevere un riconoscimento speciale.
Nel 1993 è divenuta Patrimonio dell'Umanità Unesco ed è stata la prima città nel sud Italia a fregiarsi di questo onore. Quello che ho scoperto però, è che il riconoscimento non è giunto a Matera per quanto noi vediamo, per i suoi Sassi incantevoli, ma per quello che cela sotto di sé ovvero ciò che le conferisce l'appellativo di "Città Sotterranea".
Il Palombaro: nel 1991, durante i lavori di ristrutturazione della grande Piazza Vittorio Veneto, improvvisamente è venuto alla luce uno dei tesori più incredibili ed importanti per questa città.
Una maestosa cisterna antichissima in grado di raccogliere ed ospitare fino a 5 milioni di litri d'acqua. I cittadini di Matera erano a conoscenza di questo incredibile luogo ma dal dopoguerra e dal momento in cui l'acqua ha cominciato ad arrivare nelle case, la cisterna non è più servita.
La memoria storica si è assopita e la Cisterna lunga è stata dimenticata.
Invece era lì, silenziosa sotto il passeggio dei materani, sotto i loro tavolini del caffè, nel cuore della vita cittadina, com'era logico che fosse.
Il Palombaro di Matera ha una struttura che ricorda le radici di una pianta capovolte: tante piccole cisterne collegate in basso a cisterne più grandi. L'Unesco ha voluto preservare con il suo riconoscimento, questo incredibile sistema idrico unico al mondo.
Non si può lasciare Matera senza aver visitato il Palombaro.
Il momento piu incantevole è l'imbrunire.
La pietra comincia a vibrare di impercettibili luci. I colori si spengono, l'occhio riposa ed il cuore si quieta. E' il momento perfetto per passeggiare ed entrare nelle botteghe o per sedersi ad osservare il paesaggio e la gente.
Parlando di chi resta e chi sceglie Matera come sfida di vita, abbiamo incontrato due giovani esempi per i quali nutro profonda ammirazione.
I vizi degli Angeli è un nome splendido da affidare ad una gelateria e nasce dalla fusione dei cognomi della giovane coppia di titolari che hanno abbandonato la loro vita precedente di professionisti in tutt'altri campi a Roma, per venire a vivere a Matera. Una scommessa vinta visto che il loro gelato riscuote grande apprezzamento dalla città, e che utilizza i prodotti della terra di Basilicata, tra cui un ottimo extravergine. Questo è il loro "pane e olio"
Chi resta è invece Massimo Casiello, giovanissimo maestro tornitore che nella creazione di oggetti antichi come i timbri per il pane di Matera, racconta ogni giorno la sua storia d'amore per questa incredibile città. La sua bottega è aperta a tutti e lo si può osservare in pieno lavoro passando di là.
Altri simboli della città sono i galletti di coccio, ocarine decorate a mano con colori sgargianti che mi hanno rubato il cuore.
Non vi parlo oggi di ciò che considero il vero simbolo di questa città, ovvero il "pane".
Dire Matera e pensare al pane è tutt'uno.
Una di quelle cose a causa delle quali la nostalgia diventa potente e palpabile.
Ve ne parlerò a lungo nel prossimo post. Per il momento vi lascio qualche altra immagine di questa città davvero unica.
Se ancora non siete stati a Matera, è il momento per programmare.


venerdì 17 luglio 2015

Il blogger ed il libero arbitrio

Honesty - Billy Joel


Mi capita di osservare sempre più di frequente, esternazioni più o meno veementi circa un tema che tocca da vicino il mondo del food blogging.
Gli strumenti social sono mezzi potenti e indubbiamente catartici e spesso ne siamo utilizzatori compulsivi e tendiamo ad avvalercene, male, per reiterare il messaggio.
So per certo che risulterò impopolare scrivendo questo post, ma diciamo che mi esce dalle dita in maniera automatica e sento di doverlo fare.
Premetto che non sono qui a condannare il cosa ma il come.
In vita mia ho dovuto combattere molte battaglie, alcune completamente fallimentari, altre un po' meno ed avendo sempre lavorato come libera professionista, credo di aver faticato un bel po' per restare a galla. Chi è nella mia condizione sa bene di cosa parlo.
Ma da quando ho un blog, che ho aperto mossa esclusivamente dalla passione, ho potuto osservare dinamiche contraddittorie che mi fanno tutt'ora pensare. Certo è che qualcuno potrebbe scriverci un trattato di sociologia.
Venendo al nodo, il mondo del food blogging (ed immagino anche quello di altri "settori" blogger) ruota intorno al fenomeno delle "collaborazioni".
Termine che è chiarissimo a chi sta dietro ad un monitor ma che probabilmente non ha alcun significato per chi ci legge, per il lettore appassionato.
Così magari caro lettore, potresti essere informato che chi scrive può decidere o meno di intraprendere collaborazioni con aziende alimentari o di strumenti per la cucina e parlarne sul proprio blog. Puoi anche non esserne informato in maniera palese, ma lo intuirai da piccoli segnali sparsi sul blog come briciole di pane, banner, link o immagini.
Non sempre la collaborazione intrapresa dal blogger è coerente con il messaggio generale del proprio blog, ma questa è un'altra storia.
Di certo tu lettore affezionato continuerai a leggere il tuo blog preferito se questo continuerà, con i suoi contenuti e le sue ricette, a divertirti, interessarti, farti svagare per qualche minuto.
Per fortuna ogni lettore è dotato di sano spirito critico e potrà decidere di fare zapping fra blog come meglio crede.
Ma ovviamente il fulcro della questione è un altro.
I primi blog di cibo italiani sono comparsi sul web tra il 2004/2005.
Lentamente con entusiasmo ed energia hanno cominciato a raccogliere i primi lettori.
Fra il 2008/2010 il panorama food blog era già rigoglioso e proprio in questo periodo hanno cominciato ad apparire i primi segni di collaborazioni.
ll bello della storia è che all'epoca le aziende non avevano idea di cosa fosse un food blogger. Diciamo che erano all'età della pietra della comunicazione.
Televisione, radio o giornali erano gli unici strumenti attraverso i quali raggiungere il consumatore.
Chi gli ha spiegato cosa fosse un food blogger? Beh, facile: noi.
Blogger intraprendenti con grande seguito, hanno cominciato a scrivere ad aziende presentandosi, mettendosi a disposizione per "raccontare" i loro prodotti.
Per le aziende il vantaggio era indubbio: nessuno costo se non l'invio di campioni e un passa parola garantito.
Da quel momento in poi il fenomeno è diventato esponenziale.
Tanto che adesso sono le aziende a proporsi ai blogger offrendo collaborazioni in cambio merce.
Peccato che per ogni azienda che si propone al blogger, ci sono ancora almeno 20 blogger che scrivono ad aziende chiedendo prodotti. Di qualsiasi genere si tratti.
Una catena senza fine.
Stendo un velo pietoso sulla sfacciataggine di aziende e agenzie di comunicazione/marketing che propongono collaborazioni che sono vero e proprio lavoro in cambio di visibilità.
Così faccio anche su quei blogger che tormentano come gocce cinesi qualsiasi tipo di produttore, azienda, cooperativa.
Torno al punto che anticipavo. Lungi da me il voler criticare la scelta di ognuno.
Tutti noi abbiamo accettato questo genere di proposte agli albori del nostro blog.
Il fatto di essere cercati ci ha in qualche modo lusingato, ci siamo sentiti apprezzati e siamo caduti nella trappola.
Poi si cresce e si fanno delle scelte.
Ognuno fa le proprie ed io certo non sono qui per entrare nel merito di una scelta.
Quello che proprio mi dà fastidio è il modo in cui vengono combattute certe battaglie.
Ogni giorno ho la casella postale invasa da ogni genere di spam ed ogni genere di proposta.
Lo spam finisce nel cestino, le proposte vengono lette.
Quelle più naif mi provocano crisi di riso, quelle più sfacciate ricevono risposte decise, spesso ironiche, altre laconiche: no grazie.
L'indignazione su certe pretese è ormai roba vecchia.
Ci siamo indignati tutti, ne abbiamo parlato fino a perdere la voce, ci siamo venuti a noia a vicenda.
Mettere il Gran Pavese dell'indignazione su Facebook oltre che ad essere inutile, è fastidioso perchè tutti, ma proprio tutti siamo costantemente assaltati da proposte ridicole.
Il problema di base è la coerenza individuale.
Il blog dovrebbe essere una terra libera in cui dire e fare ciò in cui uno crede.
Può anche diventare uno strumento di lavoro ma le aziende, quelle che contano, quelle che retribuiscono un onesto lavoro, sanno riconoscere colui che lavora come un professionista.
Ricordiamoci che certi meccanismi e pratiche che noi condanniamo come il collaborare gratuitamente in cambio di visibilità, spesso ce le ritroviamo in casa senza battere ciglio.
Pensiamo forse che partecipare ad un Contest sia un gioco, un divertimento innocente?
Le aziende gongolano grazie ai Contest, e noi blogger ne siamo complici felici.
Massimo beneficio in minima spesa.
Quindi, chiudere la stalla quando i buoi sono scappati è una procedura un tantinello faticosa.
Mi piacerebbe che si smettesse di urlare allo scandalo sul web e si agisse secondo propria coscienza. Per ogni no deciso, ci saranno ancora tanti si entusiastici, ma sappiamo bene come funziona la rete. La coerenza, l'attenzione, la serietà, la preparazione, l'impegno.
Queste sono le sole cose a cui si dovrebbe anelare per nutrire il nostro blog e magari un giorno, diventare un bravo professionista.

venerdì 10 luglio 2015

Precoche sciroppate: ricordo di vacanze laboriose e felici.

Always the sun - The Stranglers
Come diligenti formichine, affrontiamo l'estate lavorando alacremente per imprigionare i sapori del sole e delle cose buone che questa stagione meravigliosa ci mette a disposizione.
E' faticoso, è impegnativo, è fonte giornaliera di incasinamento e botte di calore.
Eppure i nostri barattoli sono lì, belli in fila e pronti ad accogliere i frutti del nostro indefesso lavoro.
All'orecchio vi confido che una volta tanto vorrei essere "cicala" e stare spaparanzata al sole cantando la mia gioia oziabonda.
Le pesche sono un frutto capace di trascinarmi indietro nel tempo, alle vacanze che passavo con la mia famiglia all'Ansedonia.
Trascorrevamo il mese di agosto in una tenuta a poca distanza dal mare.
Un luogo incantevole con una ricco frutteto.
Il nostro soggiorno coincideva con la maturazione dei frutti per cui anche noi bambini aiutavamo i grandi a raccogliere le pesche, le lavavamo improvvisando guerre d'acqua in giardino ed alla fine eravamo i primi ad assaggiare le pesche pronte per essere versate nello sciroppo o la marmellata bollente da invasare.
Erano pesche rosse, così profumate e succose che credo di non averne più mangiate di così buone.
La pelle si toglieva incidendo con un'unghia alla fossetta del picciolo, e veniva via docile senza rompersi, lasciando il frutto nudo, perfetto, lucido e ancora caldo di sole.
Con un coltello e facendo molta attenzione, dividevamo le pesche a metà e queste si staccavano croccanti dal nocciolo che cadeva pulito e asciutto nel piatto.
Il resto passava alle mamme che procedevano alla cottura.
Ricordo che per ogni tre pesche sbucciate, la quarta finiva nella mia bocca, sgocciolando generosa lungo il mento ed attirando stormi di api pronte a gettarsi su quel nettare profumato.
Il divertimento di partecipare a quella catena laboriosa ci faceva sentire grandi e indispensabili. L'attenzione durava molto più del normale, ma il premio finale era troppo ghiotto.
Pagherei perché mia figlia avesse ricordi del genere.
Le pesche cotogne o precoche come le chiamano al sud, non sono così facili da trattare.
Purtroppo la loro buccia è ostinatamente attaccata alla polpa e vanno necessariamente pulite con uno spelucchino.
Inoltre il nocciolo è radicato nel cuore del frutto ed anche lì bisogna avere pazienza e scavare con la lama al fine di recuperare più polpa possibile.
Ma il loro sapore è unico e ricorda davvero tutto il sole dell'estate.
Quello che vi lascio è il procedimento per sciroppare le precoche utilizzato dai miei parenti in Puglia. E queste pesche arrivano proprio da lì.

Ingredienti per 3 vasi da 500 ml
PESCHE COTOGNE (PRECOCHE) SCIROPPATE
1 KG DI pesche cotogne o precoche a metà maturazione
440 g di zucchero
1 litro d’acqua
1 baccello di vaniglia
1 bicchierino di ruhm

Prendete le pesche e pelatele accuratamente con uno spelucchino. 
Tagliatele poi a pezzi grandi, spicchi o metà, anche se sarà difficile staccarle dal nocciolo.
In un litro d’acqua fate bollire lo zucchero con il baccello di vaniglia inciso sulla lunghezza per almeno 10 minuti fino a quando non si formeranno delle bolle grandi in superficie.
A questo punto versateci le pesche, il ruhm e fate bollire per non più di 5 minuti.
Prendete dei vasi grandi distillati in precedenza, in cui potrete mettere tutte le pesche.
Filtrate velocemente lo sciroppo e riempite i vasi comprendo bene le pesche. Chiudete ermeticamente.
Lasciatele al buio e fresco per almeno 3 mesi.
Potrete consumare le pesche e conservare lo sciroppo come bagna per dolci e farciture.

mercoledì 8 luglio 2015

Pasteis de nata: allucinazioni estive e fobia da forno.

Afama - Madredeus
Sono entrata in quel baratro terribile dove il solo pensare a cucinare mi crea un moto di puro terrore.
Purtroppo da quando lavoro in casa, il mio ufficio è la mia cucina ed in quell'ambiente passo praticamente ogni ora della mia giornata.
Il frigo ammicca.
Il forno sussurra.
I fuochi bisbigliano.
In qualsiasi altro momento dell'anno mi sarei lasciata sedurre.
Oggi rifuggo.
Qualche giorno fa, la sera del Palio (il Palio di Siena), ho invitato amici per ristorarci al fresco della terrazza dopo i bollori della Piazza.
Purtroppo non ho fatto i conti con un elemento: ok, bella la terrazza fresca. Ma chi cucina?
Mio marito ha semplificato il tutto: fai una bella insalata greca ed un po' di prosciutto e melone e voilà, la cena è servita.
Perfetto, benissimo, ma hai considerato chi sono le bocche che stazioneranno intorno alla tavola?
Così, mentre lui ed il resto della banda se ne sono andati ad affrontare l'adrenalina in piazza, io sono rimasta in casa a cucinare ed ho avuto la meravigliosa idea di mettere a lievitare un chilo di focaccia da servire insieme a formaggi freschi, bufala ed insalata greca.
Poi, già che c'ero, siccome mi avanzava un rotolo di pasta sfoglia in frigo, ho preparato anche una torta salata con fiori di zucca ripieni.
Il forno ha lavorato dalle cinque alle otto di sera.
La cucina era così rovente che ad un certo punto ho cominciato ad avere le allucinazioni: "anal natrak, utvas betod, do kiel dienvé" ...ho visto il respiro del drago serpeggiare fra le sedie.
Sono corsa in bagno a buttarmi bicchierate di acqua gelata in faccia, e per un momento ho avuto paura di intravedere Merlino fra gli asciugamani che mi trasformava in una cotoletta panata.
Basta.
Ho deciso che il forno riprende i suoi lavori a Settembre.
Vi posto questa ricetta che ho preparato prima che la mia casa si trasformasse nell'antro di Caronte.
Immensamente buoni, facili e belli: i Pasteis di Belem.
La mia mancanza è che non sono mai stata in Portogallo. Non ancora.
E' uno dei pochi paesi europei che non ho visitato e Lisbona una città che vorrei vedere da una vita.
Mi accontento di ascoltarne la musica attraverso le meravigliose sonorità dei Madredeus. Vi consiglio con tutto il cuore di ascoltare la colonna sonora del film Lisbon Story, davvero struggente come la voce cristallina della vocalist.
Vi farà viaggiare: Ainda, Guitarra, Alfama (che potete ascoltare qui come colonna sonora), un nuovo modo di dire Fado. Un CD che ho ascoltato fino ad esserne inebriata e che trovo sempre fresco e denso di suggestioni.
Accompagna alla perfezione questi dolcetti meravigliosi.
Ingredienti per 12 pasteis
1 rotolo di sfoglia pronta rettangolare
4 tuorli grandi
250 ml di panna
250 ml di latte parzialmente scremato
150 g di zucchero semolato
la scorza di un limone non trattato grattugiato
40 g di maizena
1 pizzico di sale
1 cucchiaino di cannella in polvere
Zucchero a velo e cannella in polvere per rifinire (facoltativo)
Preparate la crema che dovrà essere fredda quando la metterete nei gusci.
Mettete la panna in una larga casseruola a fondo alto e portatela a fremere con la scorza di limone ed un pizzico di sale.
Lasciate in infusione per almeno 30 minuti.
Miscelate la maizena con la cannella e lo zucchero.
In una ciotola versate la miscela di farina e 4 tuorli e con una forchetta incorporate bene il tutto e sbattete per qualche minuto in modo che il composto sia bene amalgamato.
Rompete l'impasto di uova con il latte versandolo a filo.
Mescolate bene quindi unite la crema alla panna nella casseruola ed accendete il fuoco.
Fate cuocere a fiamma dolce fino a che non otterrete una crema morbida. Non fatela addensare troppo.
Togliete dal fuoco, versatela in una ciotola di acciaio ben fredda, coprite con pellicola a contatto e cercate di fare raffreddare la crema velocemente, magari appoggiando la ciotola in un'altra ciotola ripiena di acqua e ghiaccio.
Predente il rotolo di sfoglia e stendetelo quindi arrotolatelo sul lato corto.
Tagliatelo in 12 rotolini larghi c.ca 2/3 cm.
Imburrate ed infarinate lo stampo per muffin piccoli e posizionate il rotolino di sfoglia sul lato del taglio come vedete in foto.
Con il pollice schiacciate al centro degli stampi e stendete la pasta facendola aderire ai lati.
Mettete in frigo per 15 minuti.
Adesso, quando la crema è fredda, riempite i gusci di sfoglia fino all'orlo e mettete in forno preriscaldato a 230° per cc.a 20 minuti.
Controllate bene la cottura. A me sono serviti 25 minuti ma il rischio di bruciare tutto è reale in quanto la temperatura è molto alta.
Questa serve ad ottenere un guscio molto croccante ed una crema caramellata ma l'occhio va tenuto ben attento.
Fate raffreddare su una griglia e sformate. Servite tiepidi o freddi, spolverati di zucchero e cannella se vi va.
Sono comunque meravigliosi anche il giorno dopo.