domenica 30 aprile 2017

Il Budinone Senese e le merende di quando s'era piccini.

La Sinfonia dei Giocattoli - Leopold Mozart
"Quando ero piccino piccino
e in contrada andavo a giocar..."
Così comincia una celebre canzone senese che i bambini di questa città imparano fin da piccoli.
Una canzone che parla di amore per la propria città e di speranza: la speranza di poter vincere il Palio, un giorno, ma che soprattutto è la speranza di diventare grandi, e forti e sempre pronti a lottare per un sogno.
Le mamme senesi sapevano bene come sostenere i giochi e le corse dei propri bambini all'ombra della Torre.
Tra le merende più amate della tradizione mezzadrile persa nella memoria della mia città, c'è questo Budinone, così chiamato dalle nonne e da quei personaggi femminili che hanno fatto la storia di Siena.
Se provate a chiedere a persone della mia generazione, informazioni sul budinone, sapranno dirvi ben poco e forse non lo ricorderanno nemmeno. Il suo posto è stato preso dal più celebre "budino", dolcetto monoporzione che non manca mai sui banchi dei bar e delle pasticcerie nostrali.
Però del più raffinato budino, il budinone ha ben poco.
Non è avvolto da frolla leggera ed è arricchito dal profumo del cedro e del Vin Santo.
E soprattutto è grande, spesso preparato in stampi rettangolari e tagliato a losanga.
Era la merenda ricca che sostituiva il "panino col presciutto" ed aiutava le mamme a tenere a bada lo stomaco dei bimbi vivaci, fino alla cena frugale, spesso rappresentata da zuppe di verdure o di pane.
Ringrazio Nicola Natili per aver custodito la memoria di questa ricetta all'interno del delizioso libro " La Dolce Strada" scritto a quattro mani con Veronica Grandetti (Ed. Il Leccio).
Il libro raccoglie le ricette dei dolci tradizionali di Siena in una sorta di favola, raccontata attraverso gli occhi di Caterina, una bimba curiosa e golosa che scopre la nostra provincia ed il suo patrimonio di ingredienti "speciali" che ne delineano l'inconfondibile identità.
Un libro che consulto spesso quando cerco il rispetto della tradizione gastronomica della mia città.
La mia passione per i dolci a base di riso è molto forte e su questo blog potrete trovare ben più di una ricetta: La torta di riso autunnale, Budino con amarene, frangipane e riso caramellato , l 'Arroz con leche spagnolo ed i Budini tradizionali citati sopra.
Insomma, per la Giornata Nazionale dei Dolci di Riso all'interno del Calendario della Cucina Italiana, offro anche io il mio contributo con una ricetta che racconta un dolce sconosciuto ma forse simile a molti altri del nostro Paese, realizzati con lo stesso ingrediente di base: il riso.
Vi invito a visitare il sito del Calendario dove troverete un interessante articolo sull'argomento e la pagina FB collegata  su cui oggi pioveranno decine di torte di riso da tutta Italia.
Ingredienti per uno stampo da 18 cm di diametro
250 g di riso Originario
750 ml di latte intero
100 g di zucchero semolato
la scorza grattugiata di un limone non trattato
75 g di cedro o arancia canditi
40 g di uvetta
2 uova medie
25 g di burro fuso
1 bicchierino di Vin Santo
1 pizzico di sale
zucchero a velo per rifinire
  • Versate il latte in una larga casseruola con il fondo spesso ed aggiungetevi la scorza grattugiata del limone e lo zucchero ed un pizzico di sale. Aggiungete il riso e mescolate tutto bene quindi portate ad ebollizione a fiamma dolce e lasciate cuocere fino a che il riso non avrà assorbito completamente il latte e sarà morbido ma non spappolato.
  • Lasciate raffreddare. Una volta freddo aggiungete le uova, il burro fuso, l'uvetta (non strizzata) ed il suo Vin Santo, il cedro ridotto a dadini e mescolate tutto in modo da avere un composto omogeneo e morbido.
  • Versate il tutto nello stampo ben imburrato e leggermente infarinato (io ho usato farina di riso per avere una torta completamente gluten free) e livellate bene pressando con un cucchiaio. 
  • Una variante della ricetta vuole che prima di informare, la superficie venga cosparsa di cioccolato fondente grattugiato. A me l'idea non piace granché quindi non l'ho messo.
  • Fate cuocere per c.ca 40 minuti, o comunque fino a che la superficie non sia bella dorata, in forno preriscaldato a 180°. 
  • Una volta pronto, lasciate intiepidire appena quindi sformatelo. E' buonissimo tiepido o a temperatura ambiente e migliora nel tempo. 
  • Servitelo, se vi piace, spolverato di zucchero a velo. 

lunedì 24 aprile 2017

Sartù bianco allo zafferano per l'Mtc 65

Time after time - Tuck & Patty 
Mentre dedicavo parte di due mezze giornate improvvisamente risultate disponibili, alle innumerevoli preparazioni della ricetta Mtc di aprile, ho lasciato che il flusso dei pensieri mi avvolgesse come liquido amniotico.
Mai come affrontando il Sartù, ho percepito la metafora della mia vita in questo preciso attimo, dove il "nascondimento" di delizie dentro uno scrigno di riso cucinato ad arte, si allinea alla difficoltà di celare sentimenti profondi, emozioni contrastanti, ricordi amorevoli ed l'opportunistico desiderio di abbandonarsi allo sconforto.
La vita ha l'abitudine di metterci alla prova quando tutto ci sembra giunto alla sua completezza, quando le certezze del nostro quotidiano nella loro routine, diventano un rassicurante viatico alla paura del vivere.
Non che la mia vita sia stata fino ad oggi un viaggio comodo e sicuro.
Anzi, pensandoci bene, le schicchere non mi sono mancate e per dirla alla maniera di una vecchia giocatrice di Monopoli, sono spesso finita "in prigione" senza passare dal via.
Eppure, per carattere, per indole o forse solo per educazione, non ho mai abbassato la testa: ho smadonnato indulgendo all'auto commiserazione il tempo di un attimo e poi sono ripartita.
Di nuovo, più ignorante e determinata di prima.
Ricorderò questo Sartù soprattutto per questo, perché proprio come la vita, non è mai quello che sembra e soprattutto, non sai mai quello che ti aspetta.
Che io sia una donna che in cucina ama volgere lo sguardo al passato, è noto a coloro che seguono questo blog.
Non è quindi una sorpresa che abbia  esultato intimamente nell'apprendere la scelta di Marina, la mia demoiselle preferita, vincitrice della sfida sulle terrine e adorabile donna di altri tempi.
Fin da subito ho cominciato ad immaginare come sarebbe stato il mio Sartù, arrampicandomi con il pensiero su preparazioni complicate e spettacolari a partire dall'ingrediente prescelto (il piccione).
Per poi fare marcia indietro di fronte alle difficoltà nel reperire il momento giusto (e sopratutto l'umore) per realizzarlo.
Ad un certo punto ho saputo che non avrei partecipato alla sfida.
Durante le lunghe ore trascorse in ospedale in questi ultimi giorni, quando non potevo sedere vicino a mio padre per tenergli compagnia, cercavo di distrarmi dentro libri e riviste.
Ma meno potevo cucinare e più avevo il desiderio della mia cucina, come luogo catartico e fuga dal dolore.
Non riuscivo a togliermi dalla testa questo Sartù, che lentamente prendeva forma nella sua basica semplicità, assecondando i miei gusti e placando il mio ego.
Sul quadernino che porto sempre con me, annotavo gli ingredienti e la loro combinazione, con la certezza che l'insieme sarebbe stato quello che mi avrebbe dato maggiore soddisfazione: un involucro dal profumo intenso di zafferano, come il primo risotto che ho mangiato da bambina e che resta il mio preferito fra millemila preparazioni.
Il ripieno doveva essere necessariamente un ragù bianco, corposo nel sapore grazie alla presenza del fegatino ma profumato di spezia e addolcito dalla birra rossa. Il ragù che preparo nei giorni di festa.
Le polpettine le ho volute di pane, per abbracciare il ragù senza mortificarlo, dal lieve aroma di aglio e saporite grazie al caciocavallo Ragusano. Croccanti dal cuore morbido.
Il tutto avvolto dall'intenso profumo del porcino e dalla dolcezza dei pisellini di stagione. Immancabili.
Qualsiasi formaggio avrebbe potuto minare l'equilibrio del ripieno, così ho optato per della burrata, che ha il pregio di avere un cuore "neutro" grazie alla panna ed un involucro filante ma non aggressivo.
Il Sartù era lì, pronto per essere preparato.

Ingredienti per uno stampo di alluminio di 20 cm di base e 14 cm di altezza.
Una nota per lo stampo: la cara Lucia si è prodigata nel procurarmi uno stampo tradizionale arrivato direttamente da Napoli e che era in attesa di essere utilizzato.
Poi il tempo passava e con lui la Pasqua e ogni mia convinzione di poter partecipare.
Dal Molise, mia suocera ha saputo che stavo preparandomi ad affrontare questa ricetta e senza avviso, mi ha fatto avere il suo stampo.
Spero che Lucia non me ne voglia, se ho usato quest'ultimo.
Ma credo che mi capirà.

Per il riso
600 g di riso Carnaroli
2 l di brodo di gallina
1g 1/2 g di pistilli di zafferano di S. Gimignano
1/2 bicchiere di birra rossa doppio malto
40 g di parmigiano grattugiato
40 g di caciocavallo Ragusano grattugiato
olio extravergine d'oliva Garda Orientale Dop
sale - pepe qb

Per le polpettine di pane
150 g di di pane toscano raffermo
1 mazzo di prezzemolo (c.ca 2 cucchiai tritati)
mezzo spicchio d'aglio tritato finemente
50 g di caciocavallo Ragusano grattugiato
1 uovo piccolo
sale - pepe qb
pane grattato per rifinire

Per il ragù bianco 
300 g di macinato di manzo
200 g di macinato di maiale
1 salsiccia toscana fresca (c.ca 80 g)
80 g di fegatelli di pollo
1 carota
1 cipolla bionda
1 gambo di sedano
1 rametto di rosmarino
2 foglioline di salvia
mezzo bicchiere di birra rossa doppio malto
1 cucchiaino di spezie "Saporita"
pepe nero macinato fresco
sale qb
1 litro 1/2 Brodo di gallina (lo stesso che vi servirà per il risotto)

Per il ripieno 
250 g di burrata freschissima
300 g di porcini surgelati (io ho usato porcini dell'Amiata)
300 g di pisellini freschi sgranati
1 porro
1 spicchio d'aglio
prezzemolo tritato
sale - pepe qb.

Per la Velouté allo zafferano
500 ml di brodo di gallina
25 g di burro
25 g di farina
1 bustina di zafferano in polvere di S. Gimignano

La base principale di molte delle preparazioni di questo piatto, è un buon brodo.
Io ho utilizzato un brodo di gallina preparato con metà gallina, carota, sedano e cipolla steccata con chiodi di garofano, una foglia di alloro ed un mazzetto di prezzemolo.
Ho usato questo brodo per il ragù, il risotto e la velouté.
La sera prima ho preparato il ragù, la preparazione che richiede maggior tempo.
  • In una larga casseruola ho fatto scaldare 3 cucchiai di olio extravergine con un trito di cipolla, carota e sedano, ai quali ho aggiunto il rosmarino e la salvia tritati al coltello finemente. Li ho fatti passire a fiamma dolcissima per almeno 20 minuti, aggiungendo dei piccoli mestoli di brodo via via che la base si asciugava.
  • Una volta morbidi, ho aggiunto le carni, prima il fegatino tritato al coltello e la salsiccia sbriciolata, privata del budellino. Ho mescolato facendo rosolare bene le carni, quindi ho aggiunto il manzo ed il maiale macinato ed ho mescolato bene al tutto. Ho alzato la fiamma a medio calore. Le carni dovranno cuocere almeno 15/20 minuti rosolando bene ed una volta che i succhi saranno bene asciugati (lo noterete quando dal basso i succhi delle carni non risaliranno verso l'alto e le carni cominceranno a sfrigolare) alzate la fiamma a fuoco vivo e sfumate con la birra, mescolando velocemente per far evaporare l'alcool, per c.ca 1 minuto.
  • Ho aggiunto la spezia ed il pepe e mescolato per poi abbassare la fiamma al minimo.
  • Ho coperto il ragù con il brodo, mescolato bene, coperto con un coperchio e lasciato andare per quasi 3 ore, aggiungendo brodo via via, in modo che il ragù si mantenesse sempre bello morbido e succoso. 
  • Una ventina di minuti prima di spegnere, ho aggiustato di sale. 
Subito dopo ho preparato le polpettine.
  • Ho messo il pane tagliato a fette a mollo semicoperto da acqua fredda. L'ho lasciato a bagno una decina di minuti quindi l'ho strizzato bene e sbriciolato. Il pane toscano resta bello consistente una volta bagnato, e per nulla colloso.
  • Ho tritato il prezzemolo insieme all'aglio di Vessalico, profumatissimo, ed ho aggiunto il trito al pane, insieme al caciocavallo grattugiato.
  • Con le mani ho mescolato bene il composto e poi ho aggiunto sale, una macinata di pepe e l'uovo ed ho impastato bene l'impasto.
  • Ho preparato le polpettine grandi come una nocciola, le ho passate nel pan grattato e le ho fritte in un dito di olio extravergine. Ho scolato su carta assorbente ed ho tenuto il tutto da parte. 
  • Successivamente ho preparato i porcini, facendoli cuocere ancora surgelati in olio extravergine ed uno spicchio d'aglio fino a che non sono stati belli rosolati. Ho aggiunto una manciata di prezzemolo ed ho aggiustato di sale. 
  • Dopo i porcini, ho cotto i pisellini in olio extravergine in cui ho fatto passire del porro fresco affettato finemente. Li ho cotti una decina di minuti aggiungendo poca acqua e salandoli nel finale. 
Tutti gli ingredienti del ripieno sono pronti, quindi è ora di passare alla preparazione del risotto.
Vi consiglio di leggere l'illuminante post di Marina e farvi un giro sul sito Mtchallenge dove troverete tanti trucchi e consigli per preparare il riso perfetto per il Sartù 
La preparazione del Sartù bianco prevede una cottura del riso diversa da quella in rosso. 
Mentre il tradizionale Sartù rosso viene cotto in una minima quantità di acqua con un mestolo di ragù che gli conferisce il caratteristico colore, per il Sartù in bianco si procede come se dovessimo preparare un risotto. 
Quindi dobbiamo fare brillare il riso e portarlo a 2/3 della cottura aggiungendo il brodo.
Il resto della cottura avverrà in forno.

  • Ho fatto tostare il riso in poco olio extravergine fino a che i chicchi non sono sembrati trasparenti (c.ca 5 minuti). Non ho aggiunto alcun soffritto ma ho sfumato il riso con la birra rossa. Ho cominciato la cottura aggiungendo il brodo bollente e lo zafferano. I pistilli vanno messi a bagno in poca acqua per qualche ora, meglio se la notte prima, in modo che rilascino in pieno colore e aroma. 
  • Ho proseguito la cottura per c.a 12 minuti ed ho tolto il riso dal fuoco una volta ben tirato. 
  • Ho versato il riso in una ampia ciotola d'acciaio, mescolando velocemente e mettendola a bagno in acqua gelata per cercare di interrompere la cottura del riso. Ho aspettato che intiepidisse.
  • Una volta tiepido ho aggiunto 2 cucchiai di extravergine ed i formaggi mescolando bene. Poi ho cominciato ad aggiungere le uova, uno alla volta. Avendo usato uova grandi, ne ho messe solo cinque, perché già dopo la quinta, il composto di riso risultava morbido ed avevo paura che non aderisse bene alle pareti dello stampo.
  • Ho imburrato bene bene lo stampo e qui ho commesso un errore. Ho lasciato dei pezzetti di burro come si vede in foto, pensando che con la cottura si sciogliessero e facessero dorare bene la crosticina. Invece il burro ha creato una sorta di impronta che si vede chiaramente nella foto in alto. Pare strano, ma è così. Quindi non lasciate burro in eccesso. Piuttosto mettetene tanto. Ho rifinito con il pan grattato.
  • Ho cominciato a formare il Sartù: uno strato di riso sulla base alto 1 cm c.ca, pressandolo bene con il cucchiaio, e salendo lungo le pareti piano piano. Il mio riso era morbido ed aveva la tendenza a scendere quindi ho lavorato molto col cucchiaio. 
  • Ho riempito il guscio fino a poco meno della metà dello stampo, con ragù, polpettine, verdure e burrata quindi un ultimo strato di ragù ed ho coperto questo prima strato di ripieno con uno strato di 1 cm di riso compattando bene, quindi ho continuato a foderare le pareti di riso fino alla cima. 
  • Ho riempito con il resto degli ingredienti ed ho coperto il tutto con l'ultimo strato di riso (la quantità perfetta...non mi è avanzato un solo chiccho di riso). Ho pressato bene ed ho cosparso di fiocchetti di burro. 
  • Nel forno preriscaldato a 180° ho fatto cuocere per 50 minuti, per il semplice fatto che il mio riso era un po' più morbido e lo stampo un po' più alto. Quando ho visto che i bordi erano staccati dallo stampo, ho interrotto la cottura. La mia preoccupazione era quella di ottenere un Sartù non stracotto, il cui ripieno potesse divincolarsi dall'abbraccio del riso e abbandonarsi morbidamente nella fetta, ancora succosa e morbida. Ero terrorizzata dall'idea di ottenere un Sartù cementificato e rigido, con effetto soffocamento all'assaggio. Ho lasciato riposare il Sartù 20 minuti esatti quindi, con un moto di puro panico, ho proceduto al rovesciamento. 
  • Ho posizionato il piatto di portata sulla base del Sartù e con un veloce movimento plastico, ho capovolto il Sartù. Naturalmente non è successo niente. Così ho passato una lama sottile lungo tutto il bordo ed ho ricominciato. E voilà...il Sartù si è palesato in tutta la sua maestosità. 
Ho servito il Sartù accompagnato da una velouté allo zafferano. 
La velouté si realizza preparando un roux biondo con burro e farina. Una volta sciolto il burro in una casseruola dal fondo spesso, si aggiunge in un colpo solo la farina e con una frusta si mescola velocemente facendo cuocere a fiamma dolce per 2/3 minuti fino ad ottenere un roux dorato.
A questo punto si aggiunge a filo il brodo caldo aromatizzato con lo zafferano, continuando a mescolare con la frusta per sciogliere eventuali grumi. 
Si lascia sobbollire per 10/15 minuti, fino a quando non prenderà una consistenza fluida e vellutata, da cui prende il nome. 
Versarla tiepida sul Sartù e servire. 
Con questa ricetta partecipo alla sfida MTC #65 sul Sartù di Mademoiselle Marina.


venerdì 14 aprile 2017

La Pastilla Marocchina per lo Starbooks di Aprile

Marrakesh express - Crosby Stills & Nash
Bella, romantica, suggestiva come un tramonto dietro i Monti dell'Atlante.
E' la Pastilla Marocchina, un piatto straordinariamente complesso ed unico, che ci racconta di commistioni spagnole e moresche, passando dal dolce al sapido, dal croccante al morbido e pieno.
Se amate le preparazioni di carattere, i sapori strutturati, l'aspetto tra il magico ed il sognante, la Pastilla è il vostro piatto.
Per tutte le indicazioni, non perdetevi il post di oggi su Starbooks 



AUGURO A TUTTI UNA PASQUA DI PACE E SERENITA' 


mercoledì 12 aprile 2017

La Focaccia di Recco ed i disperati tentativi di emulazione.

Ventura Highway - America 
Tante sono le ricette in questo nostro meraviglioso paese che vorremmo essere in grado di riprodurre nelle nostre case, per ritrovare l'emozione dell'attimo in cui le abbiamo scoperte là, dove nascono.
La Focaccia di Recco è una di queste e nel mio caso, non ho neanche mai avuto la pretesa di provarla perché sapevo che la delusione sarebbe stata dietro l'angolo.
Il mio incontro ravvicinato con questa indimenticabile focaccia è avvenuto per caso, in un tempo in cui la passione per la cucina era ancora latente ma il piacere di mangiare sempre acceso.
Mio marito ed io, fin da fidanzati, abbiamo sempre viaggiato spinti dal piacere della scoperta e dell'assaggio e spesso, là dove non ci convinceva il Museo o la piazza, riusciva l'osteria.
In nessun caso, scoperto un luogo, abbiamo piantato picchetto per passare oltre:  torneremmo ovunque siamo già stati perché c'è sempre tanto da scoprire e viaggiare non è riempire un album di figurine (celo, manca...)
Per farla breve, la Focaccia di Recco ci è venuta incontro al ritorno da un lungo viaggio in Liguria, dalla riviera di Ponente ed i suoi incantevoli borghi, noti o nascosti (Imperia, Cervo, Badalucco), verso la Toscana, con tappe mordi e fuggi a Portofino, S. Margherita, Camogli (dove fu impossibile parcheggiare), e finalmente Recco.
All'epoca conoscevo i luoghi grazie al mio lavoro.
Consigliavo soste, tracciavo itinerari del gusto (quello che faccio anche oggi ma erano 20 anni fa).
Recco mi rimbalzava nella testa per questo binomio con la focaccia, ma non l'avevo mai assaggiata prima.
Stremati dal viaggio e dalle tappe, decidemmo di fare l'ultima sosta per rinfocillarci (come se non l'avessimo fatto già per tutto il viaggio) con il pretesto del "ma la focaccia di Recco non l'assaggiamo?"
Non ricordo oggi il forno in cui ci fermammo.
So solo che il profumo che arrivava all'esterno era come il suono di un pifferaio magico che ti incantava.
La fila ovviamente, fino fuori la bottega e dentro, enormi testi di rame con farinata appena sfornata e focaccia filante che andava via alla velocità della luce.
Giunti al nostro turno, fummo presi dalla timidezza e prendemmo giusto un trancio a testa.
Che non durò l'attimo di un respiro perché eravamo di nuovo lì a fare la fila come dei mendicanti davanti all'Esercito della Salvezza.
Stavolta ci portammo via un vassoio ricolmo di focaccia.
Il viaggio di ritorno non sarebbe stato certo noioso.
Giornata Nazionale della Focaccia di Recco per il Calendario del Cibo Italiano.
Non dovete perdervi per nulla al mondo l'articolo che trovate sul sito del Calendario perché contiene uno stupendo reportage sulla vera ed unica Focaccia di Recco, con tutti i segreti per tentare di riprodurla al meglio, scritto dalla nostra Vittoria Traversa, ligure doc.

Ora, preparare la focaccia di Recco non è la cosa più difficile del mondo se non che:
- Sarebbe auspicabile avere un forno a legna
- Serve una manualità da giocoliere per tirare la sfoglia sottile come un velo e decisamente non è un gioco da ragazzi
- Se non azzeccate il formaggio del ripieno, potete anche andare in prigione senza passare dal via.
Che è quello che ho fatto io in questo gioco fallimentare della ricerca del gusto perduto.
Perché anche se ho un forno che raggiunge ottime temperature e ringrazio la natura di avermi dotato di una manualità decente, con il formaggio ho decisamente toppato.
Hai voglia a leggere, documentarti, essere certo che puoi usare uno stracchino o una crescenza di ottima qualità, che non rilasci troppa acqua in cottura (che finirebbe con l'ammollare l'impasto), che non coaguli cuocendo, che non sia troppo dolce...sei convinto di averla trovata e voilà...non va bene.
La mia non si è sciolta come doveva.
Per la paura di avere un ripieno acquoso, l'ho presa troppo "dura" e non si è lasciata andare come si deve, formando la caratteristica crema "lattiginosa" che si distribuisce voluttuosamente fra le due sfoglie sottili.
Il sapore, con quel lieve tono acido e fresco era perfetto, ma mancava la cremosità.
Però l'impasto della sfoglia era ottimo e sicuramente la rifarò presto con un'altra crescenza.

Per la ricetta ho ovviamente usato quella del disciplinare. Chiedo venia ai cultori, ma questo è il primo tentativo di una lunga lunga serie.

Ingredienti per 1 teglia da 30x40 
300 g di farina 00 o Manitoba (io ho usato la Manitoba)
175 g di acqua a temperatura ambiente
30 g di olio extravergine d'oliva (meglio se Riviera di Levante Dop)
6 g di sale
500 g di stracchino o crescenza morbida

Usate un formaggio morbido e con buona percentuale di grassi in modo che non rilasci acqua durante la cottura o non si indurisca coagulandosi con l'alta temperatura.

  • Sulla spianatoia fate la fontana e versate al centro i liquidi con il sale. Cominciate ad impastare incorporando farina al centro ed una volta che i liquidi avranno assorbito sufficiente farina, impastate con energia per qualche minuto, per ottenere una palla liscia e morbida. 
  • Dividete la pasta in due parti, una che dovrà avere i 2/3 del pesto totale e l'altra, che servirà a coprire il ripieno, di 1/3 del totale. Ungetele lievemente e fatele riposare non meno di 30 minuti coperte da pellicola. 
  • Accendete il forno al massimo (non meno di 280/300°)
  • Stendete la base della focaccia, prima con un matterello, quindi continuate ad allargare la sfoglia con un movimento circolare, aiutandovi con il dorso delle mani ed agendo soprattutto lungo i bordi, facendo grande attenzione ad non bucare la pasta. Quando sarà sottile almeno 1 mm, sistematela sulla teglia bel oleata, con la pasta che sporge oltre i bordi.
  • Distribuite la crescenza in pezzetti grossi come una noce, ravvicinati in modo che tutta la superficie possa essere coperta in maniera uniforme
  • Precedete stendendo il "coperchio", questa volta ancora più sottilmente (dovrebbe vedersi il ripieno), nella stessa maniera con cui avete preparato la base. Quindi stendetelo sul ripieno facendolo aderire ai bordi
  • Una volta chiuso il ripieno, attendete una decina di minuti prima di rifilare la pasta in eccesso e sigillare bene i bordi.
  • Pizzicate la pasta in più punti provocando dei buchi (potete usare anche la punta delle forbici) quindi versate un filo d'olio e salate leggermente. 
  • In un forno a legna, il tempo di cottura andrebbe dai 6/8 minuti. A me ne sono serviti 12 con un passaggio iniziale nella parte bassa del forno, per cuocere bene la base e gli ultimi 5 minuti in alto, per dorare la superficie. 
  • Si presenta bella dorata, con punti più scuri e striature maggiormente brunate tipiche della Focaccia di Recco. 
  • Servire subito ben calda. 



lunedì 10 aprile 2017

Crostata di riso con carciofi ricotta e pomodorini Pachino: ragione e insensatezza

Why - Annie Lennox
Sto pensando che la Pasqua si avvicina e che sarà senza dubbio, la più difficile della mia vita.
Voglio aggrapparmi al simbolo primario di questa celebrazione, ovvero la speranza della rinascita, e credere che, se questi ultimi mesi di difficoltà e paura sono giunti al proprio capolinea proprio in questo periodo, una ragione ci sarà.
Cercare ragioni nell'insensato è un esercizio al quale il genere umano tende ad indulgere ogni qualvolta non trova risposta.
Quindi il più spesso possibile.
E' un esercizio pericoloso, che va di pari passo con il "Se avessi...", altro genere di tortura alla quale riusciamo ad abbandonarci senza alcuna riserva.
Quando qualcosa di grande come una malattia incurabile od una perdita repentina si abbatte sulle nostre vite, nulla di ciò che conoscevamo sembra trovare una dimensione accettabile nella nostra quotidianità.
Facciamo tutto come prima, secondo il vecchio detto "the show must go on", ma è come se il nostro io fosse seduto in un angolo ed osservasse dall'esterno ogni azione di quello sconosciuto che ci assomiglia, senza per altro provare il minimo interesse per tutto quel movimento.
Si resta in disparte, prigionieri di una bolla nella quale non si riesce a fare nulla se non continuare a chiedere risposte ad una sola ed unica insulsa domanda: "perchè".
Il voler a tutti i costi trovare la risposta all'evidente mistero universale, ci rende più piccoli e fragili di quanto già non ci sentiamo, ed anche molto stupidi, visto che la risposta invece dovremmo averla già capita.
E' la vita Bellezza!
Che la si voglia accettare o meno, abbiamo ricevuto il pacchetto all inclusive nel momento esatto in cui la nostra testa è uscita dal più sicuro nido del ventre di nostra madre, ed abbiamo urlato il nostro buongiorno al mondo. Non si può mica scegliere.
Ciò che invece fa la differenza, è la nostra capacità di accettare la prova, di saltare oltre il cerchio di fuoco, di reagire al dolore senza che questo finisca con l'avilupparci tra le sue spire.
Non so come si faccia.
Al momento, sono ancora lì, seduta in quell'angolo che mi osservo da fuori.
Ricetta che ha trovato ispirazione da un vecchio numero di Sale e Pepe (settembre 2014), adeguatamente rivisitata per la stagione visto che di mangiare carciofi non mi stanco mai, e che avvicinandosi il tempo dei pic nic si rivela perfetta.
L'aggiunta dei pomodorini, in questo caso gli imprescindibili ciliegini di Pachino IGP, apre le porte all'estate, già in vista all'orizzonte.
Facilissima e veloce, ve la consiglio di cuore

Ingredienti per uno stampo da 10x26 

Per il guscio
250 g di riso Arborio
3 uova
40 g di parmigiano grattugiato
30 g di caciocavallo stagionato
2 cucchiaini di pesto
qualche fogliolina di menta
un pizzico di sale
Una macinata di pepe a piacere

Per il ripieno
250 g di ricotta di pecora freschissima
4 carciofi morelli o similari
1 grappolo di pomodori Pachino ciliegino IGP
1 spicchio d'aglio
un mazzetto di prezzemolo
sale - pepe qb

  • Cuocete il riso in abbondante acqua salata quindi scolatelo molto al dente e passatelo sotto l'acqua fredda per bloccare la cottura. Fatelo sgocciolare bene quindi versatelo in una ampia terrina.
  • Aggiungete le uova, i formaggi grattugiati, la menta tritata ed il pesto. Mischiate tutto molto bene con un cucchiaio quindi aggiustate di sale e pepe.
  • imburrate lo stampo con fondo amovibile e foderate la base con carta da forno bagnata e strizzata. Con un cucchiaio cominciate a stendere il riso schiacciandolo bene alle pareti in uno spessore di 1 cm mentre la base in uno spessore di 5 mm. 
  • Coprite adesso il tutto con un foglio di alluminio o carta forno e riempitelo di legumi secchi. Cuocete in bianco in forno preriscaldato a 180° per c.ca 20/25 minuti. Quindi togliete la carta e rimettete in forno per altri 15 minuti o comunque fino a che il riso non sia dorato sui bordi. 
  • Mentre il riso cuoce, preparate il ripieno: pulite i carciofi privandoli delle foglie dure esterne e della punta. Metteteli a bagno in acqua acidulata con il succo di limone nel tempo in cui pulirete tutti i carciofi. Scolateli e tagliateli a metà ricavando 4/5 spicchi da ogni metà. 
  • Scaldate 3 cucchiai di olio extravergine in una larga padella con lo spicchio d'aglio e fatevi cuocere i carciofi a fiamma media, per 10/12 minuti, fino a che saranno cotti ma ancora croccanti. Se necessario aggiungete piccole quantità di acqua durante la cottura. 
  • Ad un paio di minuti dalla fine cottura, aggiustate di sale ed aggiungete una manciata generosa di prezzemolo tritato e foglioline di menta. 
  • Sulla base del guscio di riso, versate adesso la ricotta che avrete fatto scolare, e distribuitela grossolanamente lungo la superficie. 
  • Aggiungete i carciofi riempiendo il guscio.
  • Lavate i pomodorini Pachino mantenendo il picciolo. Passateli nella stessa padella dei carciofi, in un filo d'olio caldo e copriteli con un coperchio per un paio di minuti in modo che la pelle si ammorbidisca o si apra. Salateli abbondantemente quindi disponeteli con grazia sulla crostata. 
  • Rifinite con un filo d'olio extravergine e foglioline di menta fresca. Servite subito.
  • E' deliziosa anche a temperatura ambiente. 

mercoledì 5 aprile 2017

Salame di cioccolato senza uova! Credevo fosse amore e invece...

'O ssaje comme fa' o core - Pino Daniele e Massimo Troisi
Tutta la nostra vita è un continuo slalom fra ciò che pensiamo di aver capito e ciò che la realtà è come tale.
Ogni nostra decisione viene presa dopo aver attentamente valutato (ma anche no) ciò che ci interessa, senza renderci conto che il modo in cui vediamo "la questione", è solo una nostra mera interpretazione.
Se siamo bravi, se siamo anche fortunati, riusciamo a volte, ad avvicinarci al vero senso della "questione".
Ma nella maggior parte dei casi, come diceva il buon vecchio Troisi: "Credevo fosse amore, invece era un calesse".
Il maggiore ostacolo è la nostra incapacità di osservare una cosa, una persona, senza formulare un giudizio.
Ed il giudizio finisce col "deformare" irreparabilmente la realtà.
Che, nel caso del nostro "rapporto" con un oggetto, tira là: "questo telefono fa proprio schifo" (e scusate se come esempio ho preso un telefono, ma in questi giorni ne sono sprovvista quindi capirete il mio senso di alienazione).
Dove spesso il povero telefono funziona alla perfezione, ma è la nostra abilità di utilizzarlo al meglio che lascia a desiderare. Ergo, a fare schifo è qualcun altro.
Quando invece il rapporto è con una persona, qui diventiamo tutti dei professionisti nel farsi un'idea.
Che permane nella nostra testa fino a quando non scatta qualcosa che fa cadere quel velo che ci copre gli occhi: " ma sai che ti credevo più orso?"; "oddio, ma non eri così timida?"; "ho avuto sempre soggezione di te, così sostenuta"...e quante volte abbiamo sentito frasi del genere.
Giudizi, giudizi, sempre e solo giudizi.
Spesso gratuiti, di solito automatici.
Diventano una difesa nei confronti dell'altro e ci separano brutalmente da lui.
Nel 99% dei casi, ciò che crediamo sia la verità, è sbagliato.
Inutile che diciate: "ho intuito con le persone, so sempre chi è pronto a fregarmi".
Perché sarà proprio la persona con cui abbasserete le difese, quella di cui vi fiderete ad occhi chiusi che lo farà.
Così come quella che avrete sempre allontanato per mille ragioni, perché vi sembrava noiosa, senza spessore o semplicemente non era nelle vostre corde, che vi lascerà senza parole con attestazioni di stima inaspettata.
La capacità di formulare giudizi sommari è un elemento di involuzione, un abrutimento dei sensi, una castrazione della nostra sensibilità. Ma soprattutto l'anticamera della solitudine.
Il problema è che ne siamo talmente dominati da non essere più in grado di guardare qualcosa o qualcuno senza preconcetti.
Adesso, guardate questo salame.
Osservando l'ultima foto, avreste potuto dire: secondo me è un salame del contadino, magari pure di Cinta, sembra bello tirato...insomma qualche fetta nel pane fresco ci starebbe proprio bene.
E invece anche qui vi siete sbagliati.
Non avete aspettato il tempo che vi serviva per scoprire la verità, formulando subito un giudizio.
Errore che ho fatto anche io, per tutta la vita.
Perché dopo averlo preparato per la prima volta (questa), scegliendo di non utilizzare una ricetta in cui siano previste uova fresche (perdonate ma proprio non ce la faccio psicologicamente), dopo averlo assaggiato alle feste di bambini ed averlo considerato da sempre un dolce insulso (si, l'ho detto, insulso), ho dovuto riconsiderare la mia idea di "salame di cioccolato" .
Con un senso di imbarazzo profondissimo, lo ammetto, ma anche con una gioia diffusa perché, come dice il proverbio "non è mai troppo tardi", evviva il Salame di Cioccolato!

Sul sito del Calendario del Cibo Italiano, troverete molte diverse versioni di questa ricetta nella sua Giornata Nazionale. Vi invito a dare una occhiata.
Io qui, vi lascio la mia. Senza Uova, da una ricetta della magica Lorraine Pascal, della quale ho apportato lievi modifiche per trasformare un semplice fridge cake in un italianissimo salame al cioccolato.

Ingredienti (da una ricetta di Lorraine Pascal) 
200 g di cioccolato fondente al 50%
70 g di burro
1 cucchiaio ricolmo di Golden syrup
170 g di biscotti secchi tipo Marie
40 g di riso soffiato
  • Tritate finemente il cioccolato o grattugiatelo. 
  • Spezzettate i biscotti con le mani per ottenere delle briciole grossolane e versatele in una larga ciotola di vetro insieme al riso soffiato. Mescolate bene per miscelare gli ingredienti secchi. 
  • In una casseruola fate sciogliere il burro a fiamma dolce ed una volta fuso, aggiungete il golden syrup e la cioccolata e mescolando, fate sciogliere ed amalgamare completamente per un paio di minuti.
  • Versate il composto ancora caldo sui biscotti e con un cucchiaio mescolate bene per fare in modo che tutti gli ingredienti siamo ben amalgamati. 
  • Lasciate riposare 5 minuti quindi versate l'insieme su un foglio di carta da forno. Aiutandovi con le mani e con una spatola avvolgendo il tutto nella carta, cercate di ottenere la forma di un salame di c.ca 4/5 cm di diamentro (se la quantità fosse troppa, potete dividere l'impasto in due parti ed ottenere due salamini più piccoli).
  • Richiudete il salame nella carta da forno come se fosse un caramellone, e avvolgete lo stesso in un foglio di carta stagnola, sigillando bene. 
  • Fate riposare in frigo non meno di 4 ore o tutta la notte.
  • Per servire, tagliate a fette larghe 1 cm. Si conserva in frigo per 1 settimana. 

lunedì 3 aprile 2017

La torta Margherita: m'ama non m'ama ed i veri Principi.

Please don't eat the daisies - Doris Day
Bastava il primo sole che faceva risplendere l'erba punteggiata di bianco, che lei correva fuori con le gambette incerte e si inginocchiava, i piedini sotto il sedere, sollevando la gonnellina come una corolla ed allargandola con grazia intorno a sé.
Poi osservata il prato e si allungava in avanti, raccogliendo la più bella.
Staccava con delicatezza lo stelo e si portata il fiore al nasino.
Aspirava profondamente e sospirava: "Ahhhh che pofumo! "
Quindi accarezzava quei petali bianchi e sottili e dava un piccolo bacio al pistillo.
Chiudeva gli occhi concentrandosi per un istante e cominciava: "m'ama, non m'ama, m'ama, non m'ama..." in un mantra lento e flebile.
Mentre staccava i petali e li lasciava volare nell'aria distrattamente, pensava a quale principe azzurro potesse amarla così tanto da consentire ad una margherita di decidere per lei.
Si agitava presa da uno strano fastidio quando, mentre sfilava gli ultimi petali, capiva che il responso sarebbe stato negativo.
Allora si spingeva nuovamente in avanti, staccava un'altra margherita senza neanche scegliere, e ricominciava da capo, questa volta leggermente stizzita, senza carezze, senza baci, senza pensare.
L'ultimo petalo diceva allora "m'ama", e lei sentiva il piccolo cuore ruzzolarle nel petto.
Si voltava scrutando oltre la siepe del giardino per scoprire da dove sarebbe arrivato il suo principe.
Ma poi, come sarebbe stato?
Per concentrarsi strizzava gli occhietti e lentamente evocava l'immagine: due grandi occhi scuri che la guardavano con profonda tenerezza; i capelli neri e folti che incorniciavano dolcemente un viso sereno e amichevole; e poi la bocca, aperta in un sorriso divertito da cui si affacciavano denti perfetti, bianchi come sassolini di fiume.
L'immagine del suo principe era chiara adesso nella sua mente di bimba.
Il cuore le batteva forte per la felicità ed emozionata riapriva gli occhi: il suo principe era proprio lì, adesso.
Lei si alzava di corsa e volava ridendo verso di lui: " Ciao papàààà!"
Pioggia di Margherite oggi in rete, stavolta torte meravigliose che fanno parte della nostra tradizione, delle nostre merende di bambine e che profumano dell'indimenticabile odore delle nostre nonne.
Se la margherita è il fiore più semplice, simbolo di modestia e purezza, la torta ne rappresenta idealmente le virtù ed è sempre molto amata da grandi e piccini.
La ricordiamo oggi nel Calendario del Cibo Italiano e se vorrete partecipare alla festa, vi aspetta un vero e proprio Flash Mob su Instagram: per tutto il giorno potrete postare immagini di margherite, tra fiori, torte e donne che portano questo nome e quanto vi suggerisce la fantasia (la pizza non è ammessa).
Potrete accompagnare la vostra foto dall'hashtag #c52tortamargherita, #italianfoodcalendar e #foodcalendar52. Al termine della giornata, la redazione del Calendario sceglierà la foto più originale che apparirà sulla pagina FB del Calendario. Ti aspettiamo con le tue margherite! 
La mia Torta Margherita è semplice e senza farciture, accompagnata semplicemente da fragole ed è stata realizzata dalla ricetta del Maestro Igino Massari. 
Altre versioni estremamente creative potete trovarle sul Calendario e sulla nostra pagina FB.

Ingredienti per uno stampo da 22 cm e 6 tortine (Ricetta del Maestro Massari) 
270 g di uova (5 medie e 1/2)
150 g di tuorlo (7 tuorli e 1/2)
225 g di zucchero
200 g di fecola di patate
90 g di burro
la scorza grattugiata di 2 limoni
3 g di lievito in polvere
un pizzico di sale
zucchero a velo per rifinire
  • Rompete le uova in un recipiente di acciaio adatto al bagnomaria ed aggiungete lo zucchero e la scorza di limone. Scaldate le uova mescolando con una frusta, fino a raggiungere la temperatura di 55°C. 
  • A questo punto versate il composto nella ciotola della planetaria e cominciate a montare le uova a velocità 3, per almeno 10 minuti. Il volume delle uova dovrà triplicare e dovrà essere ben fermo e leggero. 
  • Versate a filo piccole quantità di tuorlo sbattuto e continuate a montare, aggiungendo il successivo goccio di tuorlo solo quando il precedente non sarà ben incorporato. Questa procedura aiuterà a stabilizzare il composto. Quando avrete terminato i tuorli, proseguite a montare per altri 4 minuti. Il composto sarà bello gonfio e molto stabile.
  • Adesso aggiungete la farina con sale e lievito, setacciata almeno 2 volte. Aggiungetene una piccola quantità alla volta ed incorporatela delicatamente con una spatola di silicone dall'alto in basso (personalmente ho usato una frusta per evitare che si formassero delle sacche e la farina non si incorporasse completamente). 
  • In ultimo va aggiunto il burro fuso, che dovrà essere non più caldo di 40° e versato lentamente, poco alla volta a filo. Per permettere al burro di arrivare alla giusta temperatura dopo la fusione, scioglietelo un po' prima, quando ancora state montando la massa. Poi controllate con il termometro prima di incorporare. 
  • Quando il burro sarà perfettamente incorporato nella massa, versate il composto negli stampi. Nel mio caso, uno stampo da 22 cm e 6 stampi piccoli da 8 cm di diametro. 
  • Fate cuocere la torta a 180° per 35/40 minuti. Non aprite assolutamente il forno prima dei 35 minuti e fate la prova stecchino. La torta si alzerà molto e la superficie dovrà prendere un colore biscottato ed essere resistente al tatto. 
  • Le tortine invece fatele cuocere a 190° per c.ca 15/20 minuti.
  • Fate raffreddare su una gratella e sformate. Rifinite con una abbondante nevicata di zucchero a velo e farcite come più gradite.