The more you ignore me - Morrissey
Sono Toscana. D'adozione.
Non mi sentirei così tanto legata a questa meravigliosa terra neanche se ci fossi nata.
E questa toscanità pervade ogni ambito della mia vita, rinnovandosi ogni giorno attraverso i sensi, in particolare il gusto.
Il mio blog è come me: aperto al mondo dove fuggo quando posso, ma fortemente radicato nel luogo in cui ho trovato il mio equilibro, ovvero qui, dove lo sguardo segue il moto ondulatorio delle colline.
Questo piatto nasce un po' come una dichiarazione d'amore pubblica alla mia regione, come in realtà spesso succede nei miei piatti.
Giocando, ho immaginato la Mozzarella di Bufala come un'elegante dama bianca in visita ad un nobile decaduto, il mio adorato cavolo nero.
Quel che è successo durante il loro incontro, lo racconta questa "zuppa".
Zuppa di Mezzi Paccheri del Pastificio Dei Campi e Mozzarella di Bufala Campana DOP , con passatina di Fagioli Zolfini, Cavolo nero e Cipolla di Certaldo caramellata: "Una Campana in terra Toscana"
Tre prodotti chiave della cucina Toscana:
1) Il Cavolo nero: immancabile presenza nella cucina contadina, raggiunge il suo massimo splendore proprio in questo periodo, dopo le gelate invernali. L'intenso gusto amaro è però sempre accompagnato da ingredienti che lo ingentiliscono e lo valorizzano, anche se io lo adoro proprio come ho voluto servirlo, ovvero stufato lentamente con del porro, in cui poi ho saltato i mezzi paccheri.
2) I Fagioli Zolfini di Pratomagno: l'oro del Valdarno. Se ne producono in così esigue quantità che non è facilissimo trovarli ed il costo è piuttosto elevato. Il nome pare derivi dal loro lieve colore giallo che ricorda quello dello zolfo ma la loro struttura piccola, panciuta, dalla buccia molto sottile, li rende prelibati, fondenti e meravigliosi al palato. Hanno un leggero gusto metallico molto caratteristico. Se li usate nella ribollita al posto dei classici cannellini, servirete un piatto da Re.
3) La Cipolla rossa di Certaldo: ne parla anche il Boccaccio nel Decameron ed è da sempre il vanto di questa cittadina. Ho usato la Vernina, la qualità che viene prodotta da agosto a tutto l'inverno, che ha un gusto più pungente, anche se egualmente dolce, della Statina, che viene prodotta in primavera. Caramellata è splendida e ne consiglio l'uso con formaggi di struttura.
L'abbinamento con la Bufala è stata una scoperta.
Il resto è semplice: ottimo Olio Extravergine di Trequanda Dop ed immancabile pane Toscano Dop ridotto a dadini e fritto nello stesso olio. Perché nella zuppa il pane non manca mai.
Veniamo alla ricetta, la mia seconda proposta per Le Strade della Mozzarella Pasta e Bufala Veggie style.
Ingredienti per 4 persone
250 g di mezzi paccheri Pastificio dei Campi
250 g di bocconcini di Bufala Campana Dop
250 g di Fagioli Zolfini di Pratomagno, peso da secchi
200 g di Cavolo nero
2 fette di pane Toscano leggermente raffermo
1 porro
1 spicchio d'aglio in camicia
3 foglie di salvia
1 rametto di rosmarino
Olio Extra vergine Trequanda Dop
Sale q.b.
Pepe nero macinato fresco
Per la cipolla caramellata
1 cipolla di Certaldo Vernina grande
1 cucchiaio di zucchero muscovado
1 cucchiaino di aceto Balsamico di Modena
1 pizzico di sale
olio extravergine
Cuocete in anticipo i fagioli Zolfini.
Non hanno bisogno di ammollo ma la cottura è di c.ca 3 ore a lieve sobbollitura.
Sciacquate bene i fagioli e metteteli in una capiente casseruola, coprendoli con acqua per 2 volte il loro peso. Aggiungete 2 foglie di salvia, lo spicchio d'aglio in camicia portate a ebollizione.
Una volta raggiunta l'ebollizione, abbassate la fiamma mantenendo sempre la sobbollitura e coprite con un coperchio, lasciato aperto su un lato con un cucchiaio di legno.
Aggiungete acqua se necessario. I fagioli dovranno essere sempre coperti di acqua.
Salate solo a 20 minuti dalla fine della cottura e tenete da parte nel loro liquido. Dovranno essere morbidi ma non sfatti.
Preparate il cavolo nero.
Lavatelo bene e privatelo della costa centrale con un coltello affilato.
Riducetelo in una julienne molto sottile.
In un larga padella di alluminio in grado poi di contenere la pasta, versate 3 cucchiai di olio extravergine ed il porro pulito e affettato sottilmente.
Fate passire il porro a fiamma dolce facendo attenzione a non bruciarlo. Nel caso, aggiungere qualche cucchiaio d'acqua calda.
Una volta cotto, mettete un pizzico di sale, mescolate ed aggiungete il cavolo nero.
Fate cuocere a fiamma sempre dolce mescolando spesso ed aggiungendo acqua per stufarlo. Continuate la cottura per c.ca 10 minuti. Dovrà restare leggermente al dente.
Aggiustate di sale e mettete da parte.
Preparate la cipolla caramellata.
Affettate sottilmente la cipolla di Certaldo quindi versate un paio di cucchiai d'olio extravergine in una larga padella antiaderente.
Cuocete la cipolla a fiamma dolce, fino a che non sarà quasi trasparente, non meno di 10 minuti.
Aggiungete un pizzico di sale, mescolate, quindi aggiungete lo zucchero Muscovado e l'aceto balsamico quindi alzate leggermente la fiamma e mescolate continuamente fino che la cipolla non sia perfettamente caramellata.
Tenete da parte.
Preparate i crostini di pane
Tagliate le fette di pane in dadini non più grandi di un centimetro e friggeteli in olio extravergine.
Scolateli su carta assorbente, salateli e teneteli da parte.
Preparate la passatina di Zolfini.
In un grande bicchiere per mixer a immersione, versate i fagioli tenendone da parte 2 cucchiaiate, il loro liquido, la foglia di salvia, una manciata di aghi di rosmarino, sale.
Cominciate a frullare riducendo i fagioli in una purea fluida che emulsionerete aggiungendo un cucchiaio di olio Extravergine. Dovrete ottenere un composto scorrevole e vellutato.
Al termine passatelo allo chinois e tenete in caldo.
In un'ampia casseruola a bordi alti, fate bollire abbondante acqua salata quindi versate i mezzi paccheri. Fate cuocere 10 minuti.
Nel frattempo preparate i piatti di servizio, le scodelle che dovranno essere ben calde.
Versate sul fondo un dito di passatina di Zolfini.
Riducete i bocconcini di Bufala in stracci non troppo grandi.
Scolate la pasta e saltatela a fiamma sostenuta nella padella con il cavolo nero.
Con un cucchiaio sistemate i mezzi paccheri al centro del piatto in maniera aggraziata quindi rifiniteli con gli stracci di Bufala, su cui sistemerete la cipolla caramellata.
Decorate con i crostini di pane e qualche fagiolo zolfino intero, irrorate con generoso olio extravergine e chiudete con una bella macinata di pepe nero.
Servite immediatamente. Da mangiare con il cucchiaio.
giovedì 28 gennaio 2016
domenica 24 gennaio 2016
La Sbroscia: una zuppa antica ed un nome equivoco per l'MTC #53
Please please please, let me get what I want - The Smiths
Si sa che i Toscani hanno la capacità tutta speciale di giocare con le parole, aggiustarle secondo le proprie necessità snaturandole per potenziarne l'eloquenza, burlandosi del loro primario significato.
Pur vivendo qui da tutta una vita, non smetto di sorprendermi ogni qualvolta mi trovo di fronte a parole che ho sempre utilizzato per definire qualcosa che originariamente invece, è tutt'altro.
Sbroscia, in casa mia così come fra amici, è qualcosa di immangiabile, brutta a vedersi e di sapore orrendo.
Generalmente riferito a pentolami di roba liquida che non daresti neanche al tuo cane.
Spesso mi capita di usare questo termine anche quando esco da ristoranti che non mi hanno resa felice, quando non voglio essere troppo cattiva.
Indagando più a fondo, ho scoperto che la stessa accezione viene utilizzata in gran parte della Toscana, proprio ad indicare minestre brodose ed insipide, mentre sul dizionario etimologico trovo la seguente definizione: "minestraccia dei poveri fatta con avanzi di tavola con brodo. Voce familiare che vale Minestra lunga o scipita oppure bibita senza sostanza".
Nella provincia di Pistoia la sbroscia è la neve sciolta o calpestata, che crea la tradizionale poltiglia ma che in questo caso, deriva dalla parola "bioscia" che ha appunto questo significato.
Quando poi mi sono trovata fra le mani un piccolo libro della Fazzi Editore dal titolo "Zuppe della Toscana" scritto da Sandra Lotti capitando sulla pagina della "Sbroscia", mi è venuto un colpo.
Del tipo che sono crollate tutte le mie convinzioni: come faccio adesso a dire ai miei "E stasera per cena... Sbroscia!"?
In ogni caso, tornando alla nostra zuppa dal nome onomatopeico, l'autrice del libro racconta che la Sbroscia sia una zuppa antica, probabilmente nata nei conventi francescani e conosciuta soprattutto in Versilia.
Non va confusa con l'omonima tradizionale zuppa di pesce del lago di Bolsena, tutt'ora di grande fama.
Quale che sia l'origine, nel territorio Versiliano è ben nota, anche se pochi ancora la preparano: gli ingredienti principali erano zucca o zucchini, accompagnati da fagioli borlotti quindi un piatto essenziale.
Lo squisito risultato finale, era dovuto ad una base aromatica molto sostenuta, che appunto "dava sapore" al poco.
Nella Sbroscia, gli ingredienti venivano buttati "a braccio", spesso consistevano in quello che offriva l'orto per cui in stagione poteva variare, e veniva lasciata cuocere sul fuoco del camino, lontano dalla fiamma e lentamente così che la zuppa si insaporisse intensamente.
Una volta pronta, non doveva essere troppo liquida ma conservare quella parte di brodo che avrebbe inzuppato degnamente il pane raffermo su cui veniva versata.
In genere pane scuro, di farine antiche ed integrali abbruscato sulla brace.
Sugli ingredienti ho voluto affidarmi allla ricetta codificata da Sandra Lotti anche se mi sono permessa di aggiungere maggiori aromi al fondo secondo l'uso toscano, che sicuramente non saranno mancati.
Il fondo, che non è un vero è proprio soffritto, è la parte fondamentale di questo piatto: va preparato con lentezza, a fiamma dolcissima ed è quello che costituirà "il cuore aromatico" del piatto.
Io ho servito la zuppa con del pane a lievitazione naturale fatto con farine di grani antichi ed acquistato presso il Mercato della Terra a Bologna: veramente stupendo.
Ingredienti per 4 persone
300 g di zucca gialla (peso della polpa)
300 g di fagioli borlotti (peso da secchi)
1 costa grande di sedano
1 carota
1 cipolla
2 spicchi d'aglio (1 lasciato in camicia)
prezzemolo
4 o 5 foglie di salvia
1 rametto di rosmarino
1 rametto di timo
olio extra vergine d'oliva Colline Lucchesi DOP
sale qb
peperoncino a piacere
Per prima cosa preparate i fagioli. Metteteli a bagno in acqua fredda ed una manciata di sale grosso per tutta la notte.
La mattina fateli cuocere in abbondante acqua fredda con 3 foglie di salvia ed uno spicchio di aglio in camicia. Avranno bisogno di c.ca 30 minuti di cottura dal momento della bollitura: ricordate di farli cuocere soltanto sobbollendo e salare solo a dieci minuti dalla fine della cottura.
Tenete da parte nel loro liquido.
Pulite la carota, il sedano, la cipolla e lo spicchio d'aglio e tritateli finemente.
Tritate anche il prezzemolo, il rosmarino, due foglioline di salvia ed il timo e mettete tutti gli odori in una casseruola dal fondo spesso a cui avrete coperto il fondo con olio extravergine.
Fate passire dolcemente, aggiungendo uno o due cucchiai d'acqua se necessario: gli odori dovranno cuocere almeno per 20 minuti. Insaporite con un pizzico di sale.
Mentre gli odori passiscono, preparate una pentola che possa contenere tutta la zuppa, possibilmente una pignatta di terracotta e riempitela a metà con acqua portandola ad ebollizione.
Riducete la zucca a pezzetti non troppo piccoli.
Quando il fondo sarà pronto, versatelo nella pignatta ed aggiungete la zucca.
Mescolate bene e fate cuocere a fiamma basa fino a quando la zucca non sarà morbida ma non sfatta.
A questo punto aggiungete i fagioli scolati dal loro liquido e fate cuocere ancora una decina di minuti per insaporire.
Aggiustate di sale.
Con una forchetta schiacciate solo una piccola parte di zucca e fagioli dentro la zuppa.
Preparate le ciotole in cui avrete deposto sul fondo una fettina di pane raffermo o abbruscato, possibilmente casereccio e senza sale.
Rifinite con generoso olio extravergine e servite caldissime.
Con questo secondo contributo, partecipo alla sfida Mtc #53 sulle Zuppe e Minestre proposta da Vittoria del blog La cucina piccolina.
Si sa che i Toscani hanno la capacità tutta speciale di giocare con le parole, aggiustarle secondo le proprie necessità snaturandole per potenziarne l'eloquenza, burlandosi del loro primario significato.
Pur vivendo qui da tutta una vita, non smetto di sorprendermi ogni qualvolta mi trovo di fronte a parole che ho sempre utilizzato per definire qualcosa che originariamente invece, è tutt'altro.
Sbroscia, in casa mia così come fra amici, è qualcosa di immangiabile, brutta a vedersi e di sapore orrendo.
Generalmente riferito a pentolami di roba liquida che non daresti neanche al tuo cane.
Spesso mi capita di usare questo termine anche quando esco da ristoranti che non mi hanno resa felice, quando non voglio essere troppo cattiva.
Indagando più a fondo, ho scoperto che la stessa accezione viene utilizzata in gran parte della Toscana, proprio ad indicare minestre brodose ed insipide, mentre sul dizionario etimologico trovo la seguente definizione: "minestraccia dei poveri fatta con avanzi di tavola con brodo. Voce familiare che vale Minestra lunga o scipita oppure bibita senza sostanza".
Nella provincia di Pistoia la sbroscia è la neve sciolta o calpestata, che crea la tradizionale poltiglia ma che in questo caso, deriva dalla parola "bioscia" che ha appunto questo significato.
Quando poi mi sono trovata fra le mani un piccolo libro della Fazzi Editore dal titolo "Zuppe della Toscana" scritto da Sandra Lotti capitando sulla pagina della "Sbroscia", mi è venuto un colpo.
Del tipo che sono crollate tutte le mie convinzioni: come faccio adesso a dire ai miei "E stasera per cena... Sbroscia!"?
In ogni caso, tornando alla nostra zuppa dal nome onomatopeico, l'autrice del libro racconta che la Sbroscia sia una zuppa antica, probabilmente nata nei conventi francescani e conosciuta soprattutto in Versilia.
Non va confusa con l'omonima tradizionale zuppa di pesce del lago di Bolsena, tutt'ora di grande fama.
Quale che sia l'origine, nel territorio Versiliano è ben nota, anche se pochi ancora la preparano: gli ingredienti principali erano zucca o zucchini, accompagnati da fagioli borlotti quindi un piatto essenziale.
Lo squisito risultato finale, era dovuto ad una base aromatica molto sostenuta, che appunto "dava sapore" al poco.
Nella Sbroscia, gli ingredienti venivano buttati "a braccio", spesso consistevano in quello che offriva l'orto per cui in stagione poteva variare, e veniva lasciata cuocere sul fuoco del camino, lontano dalla fiamma e lentamente così che la zuppa si insaporisse intensamente.
Una volta pronta, non doveva essere troppo liquida ma conservare quella parte di brodo che avrebbe inzuppato degnamente il pane raffermo su cui veniva versata.
In genere pane scuro, di farine antiche ed integrali abbruscato sulla brace.
Sugli ingredienti ho voluto affidarmi allla ricetta codificata da Sandra Lotti anche se mi sono permessa di aggiungere maggiori aromi al fondo secondo l'uso toscano, che sicuramente non saranno mancati.
Il fondo, che non è un vero è proprio soffritto, è la parte fondamentale di questo piatto: va preparato con lentezza, a fiamma dolcissima ed è quello che costituirà "il cuore aromatico" del piatto.
Io ho servito la zuppa con del pane a lievitazione naturale fatto con farine di grani antichi ed acquistato presso il Mercato della Terra a Bologna: veramente stupendo.
Ingredienti per 4 persone
300 g di zucca gialla (peso della polpa)
300 g di fagioli borlotti (peso da secchi)
1 costa grande di sedano
1 carota
1 cipolla
2 spicchi d'aglio (1 lasciato in camicia)
prezzemolo
4 o 5 foglie di salvia
1 rametto di rosmarino
1 rametto di timo
olio extra vergine d'oliva Colline Lucchesi DOP
sale qb
peperoncino a piacere
Per prima cosa preparate i fagioli. Metteteli a bagno in acqua fredda ed una manciata di sale grosso per tutta la notte.
La mattina fateli cuocere in abbondante acqua fredda con 3 foglie di salvia ed uno spicchio di aglio in camicia. Avranno bisogno di c.ca 30 minuti di cottura dal momento della bollitura: ricordate di farli cuocere soltanto sobbollendo e salare solo a dieci minuti dalla fine della cottura.
Tenete da parte nel loro liquido.
Pulite la carota, il sedano, la cipolla e lo spicchio d'aglio e tritateli finemente.
Tritate anche il prezzemolo, il rosmarino, due foglioline di salvia ed il timo e mettete tutti gli odori in una casseruola dal fondo spesso a cui avrete coperto il fondo con olio extravergine.
Fate passire dolcemente, aggiungendo uno o due cucchiai d'acqua se necessario: gli odori dovranno cuocere almeno per 20 minuti. Insaporite con un pizzico di sale.
Mentre gli odori passiscono, preparate una pentola che possa contenere tutta la zuppa, possibilmente una pignatta di terracotta e riempitela a metà con acqua portandola ad ebollizione.
Riducete la zucca a pezzetti non troppo piccoli.
Quando il fondo sarà pronto, versatelo nella pignatta ed aggiungete la zucca.
Mescolate bene e fate cuocere a fiamma basa fino a quando la zucca non sarà morbida ma non sfatta.
A questo punto aggiungete i fagioli scolati dal loro liquido e fate cuocere ancora una decina di minuti per insaporire.
Aggiustate di sale.
Con una forchetta schiacciate solo una piccola parte di zucca e fagioli dentro la zuppa.
Preparate le ciotole in cui avrete deposto sul fondo una fettina di pane raffermo o abbruscato, possibilmente casereccio e senza sale.
Rifinite con generoso olio extravergine e servite caldissime.
Con questo secondo contributo, partecipo alla sfida Mtc #53 sulle Zuppe e Minestre proposta da Vittoria del blog La cucina piccolina.
giovedì 21 gennaio 2016
Insalata di arance finocchiella e spinaci novelli ai due pepi per la Giornata Nazionale dell'insalata di Arance e Finocchi
Fields of Gold - Sting
Ho dovuto correre ai ripari.
Dopo un inconsulto Dicembre fatto di totale sregolatezza nel mangiare (credo che un po' tutti ne siano stati vittime), ho cominciato gennaio con propositi di "alleggerimento" e da una decina di giorni sto seguendo un regime alimentare piuttosto rigido anche se completo, che con mio enorme piacere mi sta facendo sentire molto meglio.
La mia dieta di questo periodo è ricchissima di vegetali, molto pesce, poca carne e misurata, pasta ogni tanto e cereali e legumi in buona dose.
Zero zuccheri e latticini (e qui si soffre e parecchio).
Ma voglio essere brava e mantenere l'impegno una volta tanto, così i prossimi due mesi cercherò di non farmi distrarre dalle tentazioni.
Ovviamente ogni tanto mi capiterà di postare qualche dolcino perché ultimamente sto facendo il buon samaritano, distribuendo ai colleghi d'ufficio (la torta del mio compleanno se la son pappata loro!), ma principalmente vi proporrò ricettine sane e leggere.
Una delle quali è proprio questa stupenda insalata di finocchiella e arance Tarocco arrivate da un produttore siciliano, alla quale ho deciso di aggiungere delle foglioline di spinacini novelli, per dare un piccolo spunto tannico.
Condimento semplice: Olio extravergine Riva del Garda Dop, con una bella nota piccante, emulsionato con il succo delle arance, un pizzico di sale di Cervia in fiocchi, pepe nero macinato fresco e pepe rosa per finire con una sfumatura aromatica inattesa.
Ah, dimenticavo: io l'ho chiamata "ai due pepi", ma il pepe rosa in realtà non è un pepe ma una bacca aromatica chiamata anche "falso pepe", per la sua somiglianza al primo.
Facile e veloce, a me è piaciuta moltissimo.
Oggi è la Giornata Nazionale dell'Insalata di Finocchi e Arance per il Calendario del Cibo Italiano, inserita nella Settimana Nazionale degli Agrumi.
L'ambasciatrice di questa giornata è Raffaella Fenoglio del blog Tre Civette sul Comò.
Il suo bellissimo articolo racconta la storia di questo piatto e vi offre l'opportunità di leggere numerose versioni attraverso i contributi dei soci AIFB
Che aspettate allora? A tutta vitamina C!
Ingredienti per 4 persone:
4 piccole finocchielle maschi
8 arance Tarocco di media dimensione + 1
100 g di Spinacini novelli (le foglie più piccole e tenere)
Olio Extravergine Riva del Garda Dop
Sale di Cervia in fiocchi qb
Pepe nero e pepe rosa qb
Pulite al vivo le arance soltanto nella parte esterna ed ai poli quindi tagliatele a fettine non più spesse di 5 mm. Spremete una arancia e tenete il succo da parte.
Pulite i finocchi togliendo le estemità con le barbe e le parti più dure, ma mantenendo il "globo" intero. Con un coltello affilato o una mandolina, affettate i finocchi sottilmente partendo dal "culetto" cercando di mantenere le fettine integre con tutti i cerchi concentrici.
Pulite bene gli spinaci eliminando i gambi.
Assemblate il piatto alternando arance a finocchi e completando con gli spinaci.
Condite con l'emulsione ottenuta dal succo di arancia, 3 cucchiai di olio extravergine.
Completate con il sale in fiocchi, una macinata di pepe nero e chicchi di pepe rosa a piacere.
Servite subito.
Ho dovuto correre ai ripari.
Dopo un inconsulto Dicembre fatto di totale sregolatezza nel mangiare (credo che un po' tutti ne siano stati vittime), ho cominciato gennaio con propositi di "alleggerimento" e da una decina di giorni sto seguendo un regime alimentare piuttosto rigido anche se completo, che con mio enorme piacere mi sta facendo sentire molto meglio.
La mia dieta di questo periodo è ricchissima di vegetali, molto pesce, poca carne e misurata, pasta ogni tanto e cereali e legumi in buona dose.
Zero zuccheri e latticini (e qui si soffre e parecchio).
Ma voglio essere brava e mantenere l'impegno una volta tanto, così i prossimi due mesi cercherò di non farmi distrarre dalle tentazioni.
Ovviamente ogni tanto mi capiterà di postare qualche dolcino perché ultimamente sto facendo il buon samaritano, distribuendo ai colleghi d'ufficio (la torta del mio compleanno se la son pappata loro!), ma principalmente vi proporrò ricettine sane e leggere.
Una delle quali è proprio questa stupenda insalata di finocchiella e arance Tarocco arrivate da un produttore siciliano, alla quale ho deciso di aggiungere delle foglioline di spinacini novelli, per dare un piccolo spunto tannico.
Condimento semplice: Olio extravergine Riva del Garda Dop, con una bella nota piccante, emulsionato con il succo delle arance, un pizzico di sale di Cervia in fiocchi, pepe nero macinato fresco e pepe rosa per finire con una sfumatura aromatica inattesa.
Ah, dimenticavo: io l'ho chiamata "ai due pepi", ma il pepe rosa in realtà non è un pepe ma una bacca aromatica chiamata anche "falso pepe", per la sua somiglianza al primo.
Facile e veloce, a me è piaciuta moltissimo.
Oggi è la Giornata Nazionale dell'Insalata di Finocchi e Arance per il Calendario del Cibo Italiano, inserita nella Settimana Nazionale degli Agrumi.
L'ambasciatrice di questa giornata è Raffaella Fenoglio del blog Tre Civette sul Comò.
Il suo bellissimo articolo racconta la storia di questo piatto e vi offre l'opportunità di leggere numerose versioni attraverso i contributi dei soci AIFB
Che aspettate allora? A tutta vitamina C!
Ingredienti per 4 persone:
4 piccole finocchielle maschi
8 arance Tarocco di media dimensione + 1
100 g di Spinacini novelli (le foglie più piccole e tenere)
Olio Extravergine Riva del Garda Dop
Sale di Cervia in fiocchi qb
Pepe nero e pepe rosa qb
Pulite al vivo le arance soltanto nella parte esterna ed ai poli quindi tagliatele a fettine non più spesse di 5 mm. Spremete una arancia e tenete il succo da parte.
Pulite i finocchi togliendo le estemità con le barbe e le parti più dure, ma mantenendo il "globo" intero. Con un coltello affilato o una mandolina, affettate i finocchi sottilmente partendo dal "culetto" cercando di mantenere le fettine integre con tutti i cerchi concentrici.
Pulite bene gli spinaci eliminando i gambi.
Assemblate il piatto alternando arance a finocchi e completando con gli spinaci.
Condite con l'emulsione ottenuta dal succo di arancia, 3 cucchiai di olio extravergine.
Completate con il sale in fiocchi, una macinata di pepe nero e chicchi di pepe rosa a piacere.
Servite subito.
mercoledì 20 gennaio 2016
Cake di Clementine per la Settimana Nazionale degli Agrumi - Calendario del Cibo Italiano
Here comes the sun - The Beatles
Un dolce facile, di casa, che si vorrebbe sempre trovare sulla tavola della colazione o al pomeriggio, quando si affaccia quel certo languorino.
I cake sono sempre i benvenuti, in tutte le loro molteplici versioni.
Io non ho resistito quando l'ho visto la prima volta a casa sua, la persona con cui credo di avere il maggior numero di coincidenze vitali (alcune direi pure telepatiche) e quella che al momento mi procura più trauma da separazione.
Bando alle ciance, vista e fatta e a questo punto quale occasione migliore per condividerla con voi in occasione della Settimana degli Agrumi in corso proprio in questi giorni grazie al Calendario del Cibo Italiano di cui già vi ho parlato ampiamente nei giorni scorsi?
La nostra Ambasciatrice Aurelia del blog Profumi in Cucina racconta proprio tutto sulla storia ed utilizzo di questi frutti meravigliosi e sulla pagina ufficiale del Sito AIFB potrete trovare una lista incredibile di proposte tutte piene di vitamina C.
Vi invito a dare una occhiata prima di buttarvi sulla preparazione di questo facilissimo dolce.
Un raccomandazione quando vi accingerete a preparare questo dolce: tutti gli ingredienti devono possibilmente avere la stessa temperatura. Se ad esempio userete uova di frigo, al momento in cui le aggiungerete al composto a base di burro, vedrete che questo si indurirà creando un effetto "stracciatella", compromettendo la texture della torta.
Ingredienti per uno stampo da cake di 750 ml
250 g farina 00
250 g di burro ammorbidito
250 g di zucchero
4 uova medie intere a temperatura ambiente
un bicchierino di liquore Aurum
4 clementine intere
1 cucchiaino di estratto naturale di vaniglia
1 bustina di lievito
Pelate gli spicchi di clementine al vivo.
Montate il burro con lo zucchero con le fruste elettriche fino a che non otterrete un composto bianco e soffice.
Continuando a montare, aggiungete un uovo alla volta, senza aggiungere il successivo prima che il precedente non sia stato perfettamente incorporato.
Unite poi gli aromi: il liquore, la vaniglia e per ultimo la farina setacciata con il lievito.
Mescolate bene quindi versate metà composto nello stampo foderato con carta da forno.
Disponete le clementine pelate su tutta la superficie, leggermente sovrapposti l'uno all'altro.
Completate versando il resto del composto e muovendo lo stampo per livellare bene.
Fate cuocere a 180° per c.ca 40/50 minuti, controllando con lo stecchino.
Se notate che la superficie tende a scurirsi, coprite con un foglio di alluminio.
Una volta pronto, fate raffreddare un attimo quindi toglietelo dallo stampo e fate raffreddare completamente su una gratella.
Decorate con glassa alle clementine se preferite, o servite nature, che è comunque strepitoso.
Si conserva a lungo protetto da una pellicola.
Un dolce facile, di casa, che si vorrebbe sempre trovare sulla tavola della colazione o al pomeriggio, quando si affaccia quel certo languorino.
I cake sono sempre i benvenuti, in tutte le loro molteplici versioni.
Io non ho resistito quando l'ho visto la prima volta a casa sua, la persona con cui credo di avere il maggior numero di coincidenze vitali (alcune direi pure telepatiche) e quella che al momento mi procura più trauma da separazione.
Bando alle ciance, vista e fatta e a questo punto quale occasione migliore per condividerla con voi in occasione della Settimana degli Agrumi in corso proprio in questi giorni grazie al Calendario del Cibo Italiano di cui già vi ho parlato ampiamente nei giorni scorsi?
La nostra Ambasciatrice Aurelia del blog Profumi in Cucina racconta proprio tutto sulla storia ed utilizzo di questi frutti meravigliosi e sulla pagina ufficiale del Sito AIFB potrete trovare una lista incredibile di proposte tutte piene di vitamina C.
Vi invito a dare una occhiata prima di buttarvi sulla preparazione di questo facilissimo dolce.
Un raccomandazione quando vi accingerete a preparare questo dolce: tutti gli ingredienti devono possibilmente avere la stessa temperatura. Se ad esempio userete uova di frigo, al momento in cui le aggiungerete al composto a base di burro, vedrete che questo si indurirà creando un effetto "stracciatella", compromettendo la texture della torta.
Ingredienti per uno stampo da cake di 750 ml
250 g farina 00
250 g di burro ammorbidito
250 g di zucchero
4 uova medie intere a temperatura ambiente
un bicchierino di liquore Aurum
4 clementine intere
1 cucchiaino di estratto naturale di vaniglia
1 bustina di lievito
Pelate gli spicchi di clementine al vivo.
Montate il burro con lo zucchero con le fruste elettriche fino a che non otterrete un composto bianco e soffice.
Continuando a montare, aggiungete un uovo alla volta, senza aggiungere il successivo prima che il precedente non sia stato perfettamente incorporato.
Unite poi gli aromi: il liquore, la vaniglia e per ultimo la farina setacciata con il lievito.
Mescolate bene quindi versate metà composto nello stampo foderato con carta da forno.
Disponete le clementine pelate su tutta la superficie, leggermente sovrapposti l'uno all'altro.
Completate versando il resto del composto e muovendo lo stampo per livellare bene.
Fate cuocere a 180° per c.ca 40/50 minuti, controllando con lo stecchino.
Se notate che la superficie tende a scurirsi, coprite con un foglio di alluminio.
Una volta pronto, fate raffreddare un attimo quindi toglietelo dallo stampo e fate raffreddare completamente su una gratella.
Decorate con glassa alle clementine se preferite, o servite nature, che è comunque strepitoso.
Si conserva a lungo protetto da una pellicola.
lunedì 18 gennaio 2016
Bucatini con senape selvatica e stracci di Bufala su "pane e pomodoro" e briciole piccanti per "Pasta e Mozzarella veggie style" #LSDM
Born to be wild - Steppenwolf
Da tantissimo tempo non partecipo a Contest.
Le ragioni sono molte, il tempo a disposizione in primo luogo e successivamente il fatto che non mi diverte più molto.
Poi, ricevo l'invito da Le Strade della Mozzarella per il Contest Pasta e Mozzarella Veggie Style e mi dico che non posso passare la mano. Non questa volta.
Per l'occasione, il Pastificio dei Campi ci mette a disposizione ben 2 formati di pasta.
Un istante secco dopo aver confermato la mia partecipazione, entro nel panico.
Un panico talmente pervasivo che nella schizofrenia del momento scelgo un formato di pasta da perfetti masochisti: il bucatino!
Adesso, chiunque lo abbia cucinato almeno una volta nella vita, sa che il bucatino E' VIVO.
Si anima dopo la cottura e domarlo al momento dell'impiattamento, specialmente se vuoi intrecciarlo a delle verdure, diventa un'impresa di Giobbe.
Comunque.
Quando il gioco si fa duro, i duri arrotolano i bucatini ed io mi tuffo di pancia in questa magnifica sfida.
Perché di pancia ed anche parecchio di cuore nasce questa idea.
In primis, dall'aver scoperto da pochissimo, una verdura spontanea, la Senape Selvatica (o "sinepe" come la chiama mia suocera molisana, complice della scoperta), per la quale ho avuto un innamoramento subitaneo: dolce amara con un delicato aroma acido che ricorda chiaramente la senape, è strepitosa anche solo lessata e condita con generoso extravergine di nuova frangitura.
Vista la sua struttura a steli e foglie allungati che giovani sono estremamente teneri e privi di filamenti, ho pensato che si accordasse perfettamente ad una pasta lunga e che potesse flirtare alla grande con la Mozzarella di Bufala Campana.
La Bufala nella mia testa (ma anche nella mia bocca), è al naturale.
"Nature", possibilmente presa dalla vasca e mangiata a morsi in diretta, con conseguente sbrodolamento mentogolacollo.
Per questa prima ricetta, ho deciso che l'avrei utilizzata stracciata senza ulteriori manipolazioni.
L'idea generale è stata quella di far rivivere quei piatti contadini del nostro meridione, dove la pasta era spesso sposata alla verdura anche più povera, e quando la pasta non c'era, interveniva il pane magari raffermo, cotto nell'acqua delle verdure e con queste celebrato.
Da qui ho pensato di servire i bucatini su una crema di pane e pomodoro, realizzata con pane di Altopascio (di conseguenza senza sale) e pomodorini Minuetto di S. Margherita di Pula, essiccati e sotto sale (saranno loro a dare la sapidità necessaria), di cui ho fatto scorta la scorsa estate e che hanno letteralmente il sapore del sole.
Il tutto rifinito con briciole dello stesso pane, tostate in olio piccante.
Una nota sull'extravergine utilizzato: un siciliano Dop Valle del Belice giovanissimo, dai meravigliosi sentori di foglia di pomodoro, che si fonde e valorizza l'intero piatto.
Ingredienti per 4 persone
360 g di Bucatini del Pastificio dei Campi di Gragnano
300 g di Senape selvatica (peso da cotta)
400 g di Mozzarella di Bufala Campana Dop
2 spicchi d'aglio
Olio Extravergine DOP Valle del Belice
Per la salsa di "pane e pomodoro"
250 g di pane raffermo di Altopascio
4 mezzi pomodorini Minuetto essiccati e dissalati
4 cucchiai di siero di latte di Mozzarella di Bufala
Olio Extravergine DOP Valle del Belice
Brodo vegetale qb
Per le briciole piccanti
2 fette di pane di Altopascio private di crosta
2 cucchiai di Olio Extravergine DOP Valle del Belice
la punta di un coltello di polvere di peperoncino
Per le gocce di pomodoro
4 mezzi pomodorini Minuetto essiccati e dissalati
Olio Extravergine DOP Valle del Belice
Brodo vegetale qb
Come prima cosa, fate cuocere la Senape selvatica.
In una capace pentola dove poi cuocerete la pasta, fate bollire abbondante acqua salata quindi tuffatevi la senape; abbassate la fiamma facendo lievemente sobbollire e lessate la verdura per c.ca 8 minuti. Assaggiate: dovrà restare al dente.
Toglietela dalla pentola conservando l'acqua, quindi tuffatela dentro una ciotola piena di acqua ghiacciata. Lasciatela qualche istante quindi scolatela bene. Tenete da parte.
Tagliate il pane raffermo in pezzetti non troppo grandi.
In una casseruola d'alluminio smaltata versate 2 cucchiai di extravergine e lo spicchio d'aglio.
Fate insaporire l'olio a fiamma dolcissima per qualche istante quindi eliminate l'aglio e versatevi il pane.
Mescolate bene per fare insaporire e tostare quindi versate l'acqua di cottura della senape che dovrà coprire il pane di due dita. Mescolate.
Fate cuocere con fiamma al minimo fino a che il pane non si sarà disfatto completamente.
Se necessario aggiungere altra acqua via via. Ci vorranno dai 20 ai 30 minuti.
Durante questo tempo, mettete i pomodorini in un piccola ciotola con acqua tiepida per eliminare il sale e cambiate acqua un paio di volte senza maneggiarli troppo. Scolateli e teneteli da parte.
Quando il pane sarà pronto, avrete ottenuto purea molto morbida.
Trasferitela in un bicchiere per mixer a immersione ed aggiungete i pomodorini, il siero di latte di Bufala. Frullate emulsionando con l'olio a filo fino ad ottenere una salsa fluida e lucida.
Se risultasse troppo densa potrete aggiungere uno o due cucchiai di acqua di cottura della senape.
Tenete in caldo.
Frullate i pomodorini con olio extravergine e 3 cucchiai di acqua della senape fino ad ottenere una crema non troppo densa. Passatela al colino fitto per ricavare una salsa lucida e liscia. Tenete da parte.
Mettete le fette di pane in un cutter e frullatele grossolanemente.
In una padella antiaderente versate 2 cucchiai di olio in cui avrete sciolto il peperoncino e scaldatelo a fiamma media quindi aggiungete le briciole mescolando bene per tostarle, fino a che non saranno croccanti e dorate. Tenete da parte.
Portate a bollore l'acqua della senape, aggiungendone altra per averne a sufficienza per cuocere i bucatini. Aggiustate di sale.
Mentre l'acqua bolle, in una larga padella d'alluminio versate 3 cucchiai d'olio ed uno spicchio d'aglio, rolosatelo a fiamma dolce per qualche istante quindi saltatevi la senape insaporendola bene.
Cuocete i bucatini nell'acqua bollente per una decina di minuti.
Scolateli leggermente al dente e saltateli per un minuto nella padella con la senape, se necessario aggiungendo un po' di acqua di cottura.
Togliete dal fuoco e cospargete i bucatini con la Bufala stracciata ed immediatamente con un forchettone, porzionateli arrotolandoli e sistemandoli sui piatti di portata, su cui avrete preparato un generoso fondo di salsa di pane e pomodoro.
Adagiateli sulla salsa di pane, cospargeteli di briciole piccanti e di gocce di pomodoro ed irrorateli con olio Dop Valle del Belice a crudo.
Servite immediatamente.
Da tantissimo tempo non partecipo a Contest.
Le ragioni sono molte, il tempo a disposizione in primo luogo e successivamente il fatto che non mi diverte più molto.
Poi, ricevo l'invito da Le Strade della Mozzarella per il Contest Pasta e Mozzarella Veggie Style e mi dico che non posso passare la mano. Non questa volta.
Per l'occasione, il Pastificio dei Campi ci mette a disposizione ben 2 formati di pasta.
Un istante secco dopo aver confermato la mia partecipazione, entro nel panico.
Un panico talmente pervasivo che nella schizofrenia del momento scelgo un formato di pasta da perfetti masochisti: il bucatino!
Adesso, chiunque lo abbia cucinato almeno una volta nella vita, sa che il bucatino E' VIVO.
Si anima dopo la cottura e domarlo al momento dell'impiattamento, specialmente se vuoi intrecciarlo a delle verdure, diventa un'impresa di Giobbe.
Comunque.
Quando il gioco si fa duro, i duri arrotolano i bucatini ed io mi tuffo di pancia in questa magnifica sfida.
Perché di pancia ed anche parecchio di cuore nasce questa idea.
In primis, dall'aver scoperto da pochissimo, una verdura spontanea, la Senape Selvatica (o "sinepe" come la chiama mia suocera molisana, complice della scoperta), per la quale ho avuto un innamoramento subitaneo: dolce amara con un delicato aroma acido che ricorda chiaramente la senape, è strepitosa anche solo lessata e condita con generoso extravergine di nuova frangitura.
Vista la sua struttura a steli e foglie allungati che giovani sono estremamente teneri e privi di filamenti, ho pensato che si accordasse perfettamente ad una pasta lunga e che potesse flirtare alla grande con la Mozzarella di Bufala Campana.
La Bufala nella mia testa (ma anche nella mia bocca), è al naturale.
"Nature", possibilmente presa dalla vasca e mangiata a morsi in diretta, con conseguente sbrodolamento mentogolacollo.
Per questa prima ricetta, ho deciso che l'avrei utilizzata stracciata senza ulteriori manipolazioni.
L'idea generale è stata quella di far rivivere quei piatti contadini del nostro meridione, dove la pasta era spesso sposata alla verdura anche più povera, e quando la pasta non c'era, interveniva il pane magari raffermo, cotto nell'acqua delle verdure e con queste celebrato.
Da qui ho pensato di servire i bucatini su una crema di pane e pomodoro, realizzata con pane di Altopascio (di conseguenza senza sale) e pomodorini Minuetto di S. Margherita di Pula, essiccati e sotto sale (saranno loro a dare la sapidità necessaria), di cui ho fatto scorta la scorsa estate e che hanno letteralmente il sapore del sole.
Il tutto rifinito con briciole dello stesso pane, tostate in olio piccante.
Una nota sull'extravergine utilizzato: un siciliano Dop Valle del Belice giovanissimo, dai meravigliosi sentori di foglia di pomodoro, che si fonde e valorizza l'intero piatto.
Ingredienti per 4 persone
360 g di Bucatini del Pastificio dei Campi di Gragnano
300 g di Senape selvatica (peso da cotta)
400 g di Mozzarella di Bufala Campana Dop
2 spicchi d'aglio
Olio Extravergine DOP Valle del Belice
Per la salsa di "pane e pomodoro"
250 g di pane raffermo di Altopascio
4 mezzi pomodorini Minuetto essiccati e dissalati
4 cucchiai di siero di latte di Mozzarella di Bufala
Olio Extravergine DOP Valle del Belice
Brodo vegetale qb
Per le briciole piccanti
2 fette di pane di Altopascio private di crosta
2 cucchiai di Olio Extravergine DOP Valle del Belice
la punta di un coltello di polvere di peperoncino
Per le gocce di pomodoro
4 mezzi pomodorini Minuetto essiccati e dissalati
Olio Extravergine DOP Valle del Belice
Brodo vegetale qb
Come prima cosa, fate cuocere la Senape selvatica.
In una capace pentola dove poi cuocerete la pasta, fate bollire abbondante acqua salata quindi tuffatevi la senape; abbassate la fiamma facendo lievemente sobbollire e lessate la verdura per c.ca 8 minuti. Assaggiate: dovrà restare al dente.
Toglietela dalla pentola conservando l'acqua, quindi tuffatela dentro una ciotola piena di acqua ghiacciata. Lasciatela qualche istante quindi scolatela bene. Tenete da parte.
Tagliate il pane raffermo in pezzetti non troppo grandi.
In una casseruola d'alluminio smaltata versate 2 cucchiai di extravergine e lo spicchio d'aglio.
Fate insaporire l'olio a fiamma dolcissima per qualche istante quindi eliminate l'aglio e versatevi il pane.
Mescolate bene per fare insaporire e tostare quindi versate l'acqua di cottura della senape che dovrà coprire il pane di due dita. Mescolate.
Fate cuocere con fiamma al minimo fino a che il pane non si sarà disfatto completamente.
Se necessario aggiungere altra acqua via via. Ci vorranno dai 20 ai 30 minuti.
Durante questo tempo, mettete i pomodorini in un piccola ciotola con acqua tiepida per eliminare il sale e cambiate acqua un paio di volte senza maneggiarli troppo. Scolateli e teneteli da parte.
Quando il pane sarà pronto, avrete ottenuto purea molto morbida.
Trasferitela in un bicchiere per mixer a immersione ed aggiungete i pomodorini, il siero di latte di Bufala. Frullate emulsionando con l'olio a filo fino ad ottenere una salsa fluida e lucida.
Se risultasse troppo densa potrete aggiungere uno o due cucchiai di acqua di cottura della senape.
Tenete in caldo.
Frullate i pomodorini con olio extravergine e 3 cucchiai di acqua della senape fino ad ottenere una crema non troppo densa. Passatela al colino fitto per ricavare una salsa lucida e liscia. Tenete da parte.
Mettete le fette di pane in un cutter e frullatele grossolanemente.
In una padella antiaderente versate 2 cucchiai di olio in cui avrete sciolto il peperoncino e scaldatelo a fiamma media quindi aggiungete le briciole mescolando bene per tostarle, fino a che non saranno croccanti e dorate. Tenete da parte.
Portate a bollore l'acqua della senape, aggiungendone altra per averne a sufficienza per cuocere i bucatini. Aggiustate di sale.
Mentre l'acqua bolle, in una larga padella d'alluminio versate 3 cucchiai d'olio ed uno spicchio d'aglio, rolosatelo a fiamma dolce per qualche istante quindi saltatevi la senape insaporendola bene.
Cuocete i bucatini nell'acqua bollente per una decina di minuti.
Scolateli leggermente al dente e saltateli per un minuto nella padella con la senape, se necessario aggiungendo un po' di acqua di cottura.
Togliete dal fuoco e cospargete i bucatini con la Bufala stracciata ed immediatamente con un forchettone, porzionateli arrotolandoli e sistemandoli sui piatti di portata, su cui avrete preparato un generoso fondo di salsa di pane e pomodoro.
Adagiateli sulla salsa di pane, cospargeteli di briciole piccanti e di gocce di pomodoro ed irrorateli con olio Dop Valle del Belice a crudo.
Servite immediatamente.
venerdì 15 gennaio 2016
Zuppa di orzo e cavolfiore con speck croccante per l'MTC #53
Grande grande grande - Mina
La prima sfida dell'anno Mtcino 2016 è un respiro di sollievo per molti.
E' la festa del cucchiaio colmo, della ciotola fumante, delle verdure rese velluto e della semplicità.
Per chi ancora riesce a "tepossinarmi" a distanza di un paio di mesi dalla sfida di Jack the Ripper, è arrivato il momento del riscatto ed della "normalità" se così vogliamo chiamarla.
Perché se ben ci pensiamo, la minestra o zuppa che dir si voglia a volte è talmente normale da essere insopportabile.
Ne sa qualcosa un mito della mia adolescenza, l'adorabile Mafalda, 50 anni e non sentirli, che per tutta la sua eterna infanzia ha intrapreso una battaglia senza esclusione di colpi contro la detestabile MINESTRA.
E di minestra, nelle strisce di Quino, se ne vede molta, talmente tanta da chiedersi se Raquel, la mamma di Mafalda, non fosse una casalinga senza fantasia.
Insomma, una di quelle donne per cui l'emancipazione ha finito col produrre solo danni, tra i quali l'odio per la cucina e l'inevitabile esibizione in disperate variazioni sul tema "minestra del cornuto" (simpatico modo usato da mia madre per definire la minestra di dado).
Non si spiega.
Non si capisce perché Mafalda odi così tanto la minestra da lanciarsi in battute meravigliose e memorabili come "Le tue mani madre, si sono macchiate di brodo innocente!!"
Però, pensandoci bene, Quino era un genio.
Non perché abbia dato vita ad un personaggio così autenticamente ribelle, privo di filtri, contestatore ed esilarante come solo i bambini di 6 anni sanno essere, ma perché attraverso Mafalda, ha cercato di spingere ognuno di noi a ricordare come eravamo a quell'età.
E se vogliamo essere onesti fino in fondo, da bambini ODIAVAMO la minestra.
Tutti l'abbiamo odiata: noiosa da vedere, lenta da mangiare, causa di ustioni a tradimento e sbrodolamenti senza controllo. Con la minestra non ci si può riempire la bocca all'estremo come col maccherone, né parlare ciancicando.
La minestra ti costringe all'ordine, detestato da ogni ragazzino sano di mente, e se l'abbiamo mangiata, è perché siamo stati dei bravi soldatini che obbedivano al comandante.
Mi pare già di sentirvi: "ma no, i miei l'adorano, me la chiedono, mangiano tutto, puliscono la ciotola..."
Vabbè, ditelo che siete delle illuse.
I vostri figli (a parte qualche rarissima eccezione di infante nato già vecchio) la minestra proprio non la sopportano.
Provate a dare loro la scelta: "Topino che ti faccio per cena? Spaghetti al pomodoro o minestrone?"
Ci siamo capiti.
Mafalda dice la verità: i bambini hanno troppa fantasia per amare le minestre.
La differenza tra un adulto ed un bambino è facile da dire: sta in un piatto di zuppa.
Ed io sono definitamente un adulto.
Mio malgrado sono una mangiaminestre seriale ed anche un po' pigra, ospite di una terra in cui la zuppa è quasi un simbolo sacro.
Pigra perché non amo le lunghe preparazioni, a parte quelle per i legumi di cui sono innamorata e perché il tempo che ho a disposizione per preparare una cena è sempre uguale a zero.
Meno tempo ci vuole a prepararla, più io sono felice.
Quindi accolgo la sfida di Vittoria, vincitrice dell'Mtc di novembre, con l'entusiasmo di Raquel, casalinga senza fantasia, che alla fine di questa manche avrà a disposizione centinaia di meravigliose versioni a cui attingere.
Ingredienti per 4 persone
1 piccolo cavolfiore di cca 800 g
400 g di patate
160 g di orzo perlato
80 g di Speck dell'Alto Adige tagliato a fettine sottili
1 gamba di porro
150 ml di latte intero
olio extravergine d'oliva Garda Dop
sale - pepe nero macinato fresco
Lavate bene il cavolfiore tagliandolo a cimette ed eliminando i gambi alla base (non buttate i gambi che potrete utilizzare per altri minestroni o passati di verdure).
Pulite il porro tagliando le radici e recidendolo all'inizio della parte verde. Non buttate la parte verde che pulita adeguatamente può essere usata per aromatizzare il vostro brodo vegetale.
Eliminate la prima (e nel caso anche la seconda) guaina esterna e lavatelo bene sotto acqua corrente quindi affettate sottilmente e mettetelo in una larga casseruola con due cucchiai di olio extravergine.
Fate passire a fiamma molto dolce.
Nel frattempo pelate le patate e dividetele a dadini.
Quando il porro sarà cotto e morbido (se necessario durante questa operazione aggiungete piccole quantità di acqua), aggiungete le patate ed il cavolfiore e mescolate bene per insaporire qualche minuto, quindi versate il latte ed acqua in quantità sufficiente per coprire le verdure a filo.
Fate cuocere per una ventina di minuti fino a che le verdure non saranno morbide.
Aggiustate di sale.
Il latte, oltre a conferire alla zuppa una morbidezza di sapore, ha la capacità di assorbire il caratteristico odore sprigionato dal cavolfiore, a patto che si abbia l'accortezza di non far bollire il liquido in cui si cuoce.
La cottura quindi deve essere sempre dolce quasi a fremito e posso garantire che all'ingresso dei vostri cari in casa, non sentirete ripetere la solita frase " E anche oggi son cavoli nostri!"
Mentre le verdure cuociono, cuocete separatamente l'orzo perlato secondo le indicazioni presentate sulla confezione. Nel mio caso 20 minuti versato in acqua fredda nella casseruola.
Una volta pronto scolate e tenete da parte.
Frullate solo parzialmente con un mix a immersione la zuppa pronta quindi aggiungete l'orzo e riportate a ebollizione.
Fate abbrustolire lo speck su una piastra asciugandolo nella carta assorbente prima di tagliarlo a fettine sottili.
Versate la zuppa nelle ciotole quindi rifinite con un filo d'olio e una generosa macinata di pepe e posizionate lo speck croccante sulla zuppa.
Servite subito con crostini di pane o quello che preferite.
Con questa ricetta lascio il mio primo contributo alla Sfida MTC 53 sulle Zuppe e Minestre.
La prima sfida dell'anno Mtcino 2016 è un respiro di sollievo per molti.
E' la festa del cucchiaio colmo, della ciotola fumante, delle verdure rese velluto e della semplicità.
Per chi ancora riesce a "tepossinarmi" a distanza di un paio di mesi dalla sfida di Jack the Ripper, è arrivato il momento del riscatto ed della "normalità" se così vogliamo chiamarla.
Perché se ben ci pensiamo, la minestra o zuppa che dir si voglia a volte è talmente normale da essere insopportabile.
Ne sa qualcosa un mito della mia adolescenza, l'adorabile Mafalda, 50 anni e non sentirli, che per tutta la sua eterna infanzia ha intrapreso una battaglia senza esclusione di colpi contro la detestabile MINESTRA.
E di minestra, nelle strisce di Quino, se ne vede molta, talmente tanta da chiedersi se Raquel, la mamma di Mafalda, non fosse una casalinga senza fantasia.
Insomma, una di quelle donne per cui l'emancipazione ha finito col produrre solo danni, tra i quali l'odio per la cucina e l'inevitabile esibizione in disperate variazioni sul tema "minestra del cornuto" (simpatico modo usato da mia madre per definire la minestra di dado).
Non si spiega.
Non si capisce perché Mafalda odi così tanto la minestra da lanciarsi in battute meravigliose e memorabili come "Le tue mani madre, si sono macchiate di brodo innocente!!"
Però, pensandoci bene, Quino era un genio.
Non perché abbia dato vita ad un personaggio così autenticamente ribelle, privo di filtri, contestatore ed esilarante come solo i bambini di 6 anni sanno essere, ma perché attraverso Mafalda, ha cercato di spingere ognuno di noi a ricordare come eravamo a quell'età.
E se vogliamo essere onesti fino in fondo, da bambini ODIAVAMO la minestra.
Tutti l'abbiamo odiata: noiosa da vedere, lenta da mangiare, causa di ustioni a tradimento e sbrodolamenti senza controllo. Con la minestra non ci si può riempire la bocca all'estremo come col maccherone, né parlare ciancicando.
La minestra ti costringe all'ordine, detestato da ogni ragazzino sano di mente, e se l'abbiamo mangiata, è perché siamo stati dei bravi soldatini che obbedivano al comandante.
Mi pare già di sentirvi: "ma no, i miei l'adorano, me la chiedono, mangiano tutto, puliscono la ciotola..."
Vabbè, ditelo che siete delle illuse.
I vostri figli (a parte qualche rarissima eccezione di infante nato già vecchio) la minestra proprio non la sopportano.
Provate a dare loro la scelta: "Topino che ti faccio per cena? Spaghetti al pomodoro o minestrone?"
Ci siamo capiti.
Mafalda dice la verità: i bambini hanno troppa fantasia per amare le minestre.
La differenza tra un adulto ed un bambino è facile da dire: sta in un piatto di zuppa.
Ed io sono definitamente un adulto.
Mio malgrado sono una mangiaminestre seriale ed anche un po' pigra, ospite di una terra in cui la zuppa è quasi un simbolo sacro.
Pigra perché non amo le lunghe preparazioni, a parte quelle per i legumi di cui sono innamorata e perché il tempo che ho a disposizione per preparare una cena è sempre uguale a zero.
Meno tempo ci vuole a prepararla, più io sono felice.
Quindi accolgo la sfida di Vittoria, vincitrice dell'Mtc di novembre, con l'entusiasmo di Raquel, casalinga senza fantasia, che alla fine di questa manche avrà a disposizione centinaia di meravigliose versioni a cui attingere.
Ingredienti per 4 persone
1 piccolo cavolfiore di cca 800 g
400 g di patate
160 g di orzo perlato
80 g di Speck dell'Alto Adige tagliato a fettine sottili
1 gamba di porro
150 ml di latte intero
olio extravergine d'oliva Garda Dop
sale - pepe nero macinato fresco
Lavate bene il cavolfiore tagliandolo a cimette ed eliminando i gambi alla base (non buttate i gambi che potrete utilizzare per altri minestroni o passati di verdure).
Pulite il porro tagliando le radici e recidendolo all'inizio della parte verde. Non buttate la parte verde che pulita adeguatamente può essere usata per aromatizzare il vostro brodo vegetale.
Eliminate la prima (e nel caso anche la seconda) guaina esterna e lavatelo bene sotto acqua corrente quindi affettate sottilmente e mettetelo in una larga casseruola con due cucchiai di olio extravergine.
Fate passire a fiamma molto dolce.
Nel frattempo pelate le patate e dividetele a dadini.
Quando il porro sarà cotto e morbido (se necessario durante questa operazione aggiungete piccole quantità di acqua), aggiungete le patate ed il cavolfiore e mescolate bene per insaporire qualche minuto, quindi versate il latte ed acqua in quantità sufficiente per coprire le verdure a filo.
Fate cuocere per una ventina di minuti fino a che le verdure non saranno morbide.
Aggiustate di sale.
Il latte, oltre a conferire alla zuppa una morbidezza di sapore, ha la capacità di assorbire il caratteristico odore sprigionato dal cavolfiore, a patto che si abbia l'accortezza di non far bollire il liquido in cui si cuoce.
La cottura quindi deve essere sempre dolce quasi a fremito e posso garantire che all'ingresso dei vostri cari in casa, non sentirete ripetere la solita frase " E anche oggi son cavoli nostri!"
Mentre le verdure cuociono, cuocete separatamente l'orzo perlato secondo le indicazioni presentate sulla confezione. Nel mio caso 20 minuti versato in acqua fredda nella casseruola.
Una volta pronto scolate e tenete da parte.
Frullate solo parzialmente con un mix a immersione la zuppa pronta quindi aggiungete l'orzo e riportate a ebollizione.
Fate abbrustolire lo speck su una piastra asciugandolo nella carta assorbente prima di tagliarlo a fettine sottili.
Versate la zuppa nelle ciotole quindi rifinite con un filo d'olio e una generosa macinata di pepe e posizionate lo speck croccante sulla zuppa.
Servite subito con crostini di pane o quello che preferite.
Con questa ricetta lascio il mio primo contributo alla Sfida MTC 53 sulle Zuppe e Minestre.
mercoledì 13 gennaio 2016
Cinque anni di Blog e molti, molti di più di vita: Chiffon cake al Te e Cioccolato
Heroes - David Bowie live
Ieri ho cominciato!
E' così: chi se lo dimentica quel post intimorito, stupefatto, incredulo che non volevo decidermi a lanciare nell'etere.
Ci ho messo quasi un mese, cercando di dimenticarmene, di prendere tempo. Alla fine mi sono ritrovata a dare alla luce questo blog il giorno stesso in cui celebravo la mia nascita, in maniera completamente non premeditata.
In quell'istante ricordo di essermi sentita come sul palcoscenico di un teatro vuoto, la platea al buio.
Un' unica domanda: ma che cavolo sto facendo?
E' bastato un commento e poi due e non ero più libera.
Cinque anni di blog mi turbano assai: penso a tutte le parole spese, le ore rubate, i piatti finiti nella rumenta, i chili accumulati, la voglia di lasciare perdere tutto (quella è piuttosto frequente) e di controparte, il calore di amicizie nate qui ma cresciute nella vita vera (grazie a Dio).
Di tutto quello che questo spazio riesce a darmi, l'aspetto umano è quello che porterò sempre con me e che, sono certa, continuerà oltre queste pagine.
Cinque anni in realtà non sono nulla se confrontati ai quasi 50 che mi appresto a compiere, eppure oggi mi sento come la Patty che si chiedeva: " Il primo post è come il primo dentino o il primo bacio, o il primo amore che non si scorda mai?".
E' un giorno speciale e va certamente festeggiato: Tanti auguri a me!
Due volte :D
Una torta, non poteva essere altrimenti.
Un torta grande, alta e morbida (un po' come me :) ), con una mise elegante per l'occasione ed un profumo decisamente unico.
La Chiffon, un semplice ciambellone di origine americana che richiede solo una premura: quella di montare bene gli albumi ed incorporarli al resto con estrema delicatezza.
Un risultato che lascia sempre incantati, in particolare al taglio della fetta, quando si scopre una consistenza leggera, soffice e leggermente umida. Una morbidezza che resta tale a lungo.
Per questa giornata ho pensato ad una Chiffon al Te e Cioccolato, utilizzando un te molto aromatico, un Earl Grey dalle note agrumate.
Può sembrare un abbinamento azzardato ma provare per credere.
E per favore, non chiamatela Fluffosa :)
Chiffon al Te e Cioccolato
Ieri ho cominciato!
E' così: chi se lo dimentica quel post intimorito, stupefatto, incredulo che non volevo decidermi a lanciare nell'etere.
Ci ho messo quasi un mese, cercando di dimenticarmene, di prendere tempo. Alla fine mi sono ritrovata a dare alla luce questo blog il giorno stesso in cui celebravo la mia nascita, in maniera completamente non premeditata.
In quell'istante ricordo di essermi sentita come sul palcoscenico di un teatro vuoto, la platea al buio.
Un' unica domanda: ma che cavolo sto facendo?
E' bastato un commento e poi due e non ero più libera.
Cinque anni di blog mi turbano assai: penso a tutte le parole spese, le ore rubate, i piatti finiti nella rumenta, i chili accumulati, la voglia di lasciare perdere tutto (quella è piuttosto frequente) e di controparte, il calore di amicizie nate qui ma cresciute nella vita vera (grazie a Dio).
Di tutto quello che questo spazio riesce a darmi, l'aspetto umano è quello che porterò sempre con me e che, sono certa, continuerà oltre queste pagine.
Cinque anni in realtà non sono nulla se confrontati ai quasi 50 che mi appresto a compiere, eppure oggi mi sento come la Patty che si chiedeva: " Il primo post è come il primo dentino o il primo bacio, o il primo amore che non si scorda mai?".
E' un giorno speciale e va certamente festeggiato: Tanti auguri a me!
Due volte :D
Una torta, non poteva essere altrimenti.
Un torta grande, alta e morbida (un po' come me :) ), con una mise elegante per l'occasione ed un profumo decisamente unico.
La Chiffon, un semplice ciambellone di origine americana che richiede solo una premura: quella di montare bene gli albumi ed incorporarli al resto con estrema delicatezza.
Un risultato che lascia sempre incantati, in particolare al taglio della fetta, quando si scopre una consistenza leggera, soffice e leggermente umida. Una morbidezza che resta tale a lungo.
Per questa giornata ho pensato ad una Chiffon al Te e Cioccolato, utilizzando un te molto aromatico, un Earl Grey dalle note agrumate.
Può sembrare un abbinamento azzardato ma provare per credere.
E per favore, non chiamatela Fluffosa :)
Chiffon al Te e Cioccolato
Ingredienti per uno stampo di 26 cm di base inferiore e 20 di base superiore (stampo da Angel Cake)
- 225 gr di farina 00
- 300 gr di zucchero fine tipo Zefiro
- 60 g di Cacao amaro Olandese ben setacciato
- 6 uova grandi (il peso degli albumi deve essere di 350 gr)
- 180 ml di Te Earl Grey preparato e fatto raffreddare completamente.
- 120 gr di olio di semi
- 1 bustina di lievito per dolci
- 8 gr di cremor tartaro
- un cucchiaio di essenza naturale di vaniglia
- 2 cucchiai di Grand Marnier
- un pizzico di sale
Per la rifinitura
- Zucchero a Velo
- 50g di cioccolato fondente al 70%
Gli albumi costituiscono la struttura che consentirà a questo dolce di restare alto e gonfio nonchè morbidissimo, quindi montate gli albumi aggiungendo il cremor tartaro setacciato, con la planetaria. Fate questa operazione a lungo, fino a che non abbiano triplicato il loro volume.
Non usate il sale che non aiuta l'operazione come invece molti credono. Meglio un cucchiaino di limone.
Setacciate la farina con il cacao, lievito e lo zucchero ed un pizzico di sale in una ampia ciotola, quindi aggiungete l'olio, i tuorli, il te freddo, la vaniglia ed il liquore ed impastate con le fruste elettriche fino ad avere un composto omogeneo e molto liscio.
Adesso vanno aggiunti gli albumi all'impasto di farina e questa operazione va fatta in tre tempi, mescolando sempre dall'alto in basso per non smontare il tutto.
Quando l'impasto darà omogeneo e gonfio, versate il tutto nello stampo CHE NON AVRETE IMBURRATO(fondamentale) e mettete in forno già caldo a 160° per almeno 50 minuti.
Posizionate la torta sulla parte inferiore del forno affinché si cuocia bene anche sul fondo vista l'altezza dello stampo.
Senza togliere lo stampo dal forno, cuocete altri 10/15 minuti a 175/180°.
E' importante che conosciate bene il vostro forno. Prima di togliere la torta, fate sempre la prova stecchino: nel mio caso ho dovuto tenere la torta almeno 15 minuti in più.
Dopo i primi 20 minuti vi accorgerete che la torta è già cresciuta in maniera impressionante e continuerà a farlo elevandosi almeno 3/4 centimetri dal bordo dello stampo.
A cottura, toglietela dal forno e capovolgetela, appoggiandola sul collo di una bottiglia come potete vedere qui, fino a che non sarà completamente fredda.
Con un coltello sottile ed affilato tipo spilucchino, staccate con attenzione il dolce dallo stampo quindi capovolgetelo e fatelo scivolare fuori.
Appoggiatelo sulla gratella e spolveratelo abbondantemente con zucchero a velo.
Fate sciogliere il cioccolato a bagnomaria o nel microonde e versatelo in un conetto/sac a poche.
Decorate la superficie come preferite: io ho realizzato del cerchi e delle volute molto semplici, lasciando colare un po' di cioccolata anche sui lati.
Servite con un buon Moscato Naturale e brindate alla mia salute.
lunedì 11 gennaio 2016
Calendario Italiano del Cibo: Filetto di Maiale alla salvia ed uva per la Settimana del Maiale
Canzone Intelligente - Cochi e Renato
Del maiale non si butta via nulla e la grande generosità di questo animale in ambito culinario è la sua peculiarità più importante, diventando una risorsa indispensabile per le famiglie contadine dei secoli passati.
Il maiale era la più grande ricchezza di una famiglia: veniva nutrito, vezzeggiato, protetto e il momento del suo sacrificio assumeva un significato rituale a sottolineare la gratitudine di quel dono estremo, che spesso coincideva con la celebrazione della festa di S. Antonio Abate, accanto al quale è sempre rappresentato nell'iconografia tradizionale.
Noi possiamo solo raccontare la bontà della sua carne e della moltitudine di preparazioni che si ottengono da ogni singola parte del suo corpo, alcune delle quali hanno reso il nostro paese celebre in tutto il mondo.
Riesumo una ricettina facile facile di 3 anni fa.
Sono certa che non la ricordate ma desidero riproporla per un'occasione speciale.
Si apre oggi la "Settimana Nazionale del maiale" all'interno del Calendario Italiano del Cibo.
L'Ambasciatore prestigioso di questa settimana è Corrado Tumminelli del blog Corrado T e potrete leggere il suo esaustivo e divertente articolo sul sito ufficiale dell'Associazione Italiana Food Blogger .Del maiale non si butta via nulla e la grande generosità di questo animale in ambito culinario è la sua peculiarità più importante, diventando una risorsa indispensabile per le famiglie contadine dei secoli passati.
Il maiale era la più grande ricchezza di una famiglia: veniva nutrito, vezzeggiato, protetto e il momento del suo sacrificio assumeva un significato rituale a sottolineare la gratitudine di quel dono estremo, che spesso coincideva con la celebrazione della festa di S. Antonio Abate, accanto al quale è sempre rappresentato nell'iconografia tradizionale.
Noi possiamo solo raccontare la bontà della sua carne e della moltitudine di preparazioni che si ottengono da ogni singola parte del suo corpo, alcune delle quali hanno reso il nostro paese celebre in tutto il mondo.
Ammetto che la mia proposta non sia prettamente stagionale.
E' un piatto che infatti avevo preparato in Settembre ma la variazione che potrei consigliarvi in questo periodo quella di accompagnare il filetto da mele caramellate brevemente nel liquido di cottura del filetto.
La carne del maiale ama moltissimo l'abbinamento dolce con numerosi tipi di frutta, in particolare quella dolce/acidula che aiuta a "pulire" il palato dalla leggera grassezza tipica di questa carne. Perfette quindi anche le prugne (sia secche che fresche), la melagrana, le albicocche e quanto la vostra fantasia vi suggerisce.
Il filetto richiede di essere trattato il meno possibile e la cottura è piuttosto breve.
Anche per gli assoluti principianti questa è una ricetta di estrema facilità e sono convinta che vi farà fare una splendida figura.
Ingredienti per 4 persone
600 gr di filetto di maiale
100 gr di uva bianca tipo Italia
100 gr di uva rossa tipo Cardinal
1 bicchierino di Cointreau
20 gr di burro
2 cucchiai di olio extra vergine
½ limone
qualche foglia di salvia sale -
pepe bianco qb
Lasciate il filetto fuori dal frigo almeno un'ora prima di cucinarlo.
Massaggiate tutta la superficie con una miscela di sale e pepe bianco abbondantemente.
Disponete le foglie di salvia sulla lunghezza, quindi usate dello spago da cucina per arrotolarlo affinchè non perda la forma in cottura. Cercate di imprigionare le foglie di salvia con lo spago.
Fate fondere a fiamma media il burro con l’olio in una casseruola che possa contenere tutto il filetto. Fate rosolare bene la carne su tutti i lati fino a che non sia bella dorata quindi alzare la fiamma e bagnare con il liquore.
Una volta evaporato, versate un mestolino di acqua bollente sul filetto e fate cuocere a fiamma bassa per almeno 25/30 minuti, coperto.
Passato questo tempo, aggiungete gli acini d’uva lavati e la buccia grattugiata del limone.
Continuate a cuocere per 5/8 minuti fino a che noterete che la buccia degli acini comincerà a incresparsi.
Togliete dal fuoco. Fate riposare la carne per almeno 10 minuti prima di tagliarla e servitela con l’uva, il suoi succhi ed il contorno che preferite.
Io ho preparato una tempura di verdure di stagione e salvia.
Accompagnatelo da un Morellino di Scansano DOC.
venerdì 8 gennaio 2016
Calendario del Cibo Italiano: Giornata Nazionale delle Polpette e le mie Polpette di Lesso.
Titolo canzone
Da ragazzina, ogni volta che sentivo la parola "polpetta", a parte l'immediata salivazione, mi balzava in testa l'immagine di Poldo Sbaffini, altrimenti detto Polpetta, il migliore amico di Braccio di Ferro in continua ricerca di cibo.
Quando poi, durante l'azione, lo vedevi trangugiare il suo cibo preferito, ti rendevi conto che non erano polpette, bensì centinaia di Hamburger secondo l'uso americano.
All'epoca, verso i 5 o 6 anni, l'idea non mi sconfinferava granché: perché se il suo soprannome era "polpetta", quel pancione ci dava dentro con i panini?
Nella mia testa le polpette battevano 100 a 1 i panini e quell'incongruenza è stata ragione di lunghe elucubrazioni perché come ben sapete, la logica dei bambini non fa una grinza.
Crescendo mi sono rabbonita giustificando il fatto che gli hamburger sempre una polpetta di carne hanno al centro, quindi ci poteva stare, ma il gusto per le polpettine frutto di recupero e avanzi, continuano ad essere una golosità a cui difficilmente si resta indifferenti.
Oggi è la Giornata Nazionale della Polpetta per il Calendario del Cibo Italiano, e la nostra Ambasciatrice d'eccezione è Elena Castiglione del blog Chez Entity.
Nel suo dettagliato post ci racconta la storia di questo piatto inserito nella Settimana Nazionale degli Avanzi e potrete leggere tutto sul sito ufficiale AIFB.
Le mie polpette sono frutto dell'avanzo del bollito dell'Epifania (avanzo premeditato in verità) e credo che chiunque possa affermare che il lesso rifatto in qualsiasi formato, sia qualcosa di straordinariamente saporito.
In Toscana si usa saltarlo in padella con cipolla e pomodoro; si muta in polpetta da friggere oppure per estrema golosità, si finisce cotta brevemente in umido.
Che siano Bollito o Lesso piatti prelibati, in avanzo recuperano una dignità senza eguali.
Prossimamente vi parlerò del Bollito ma oggi ho anticipato i tempi con queste polpettine di casa, facilissime quando si ha già la materia prima pronta, e veloci da preparare quando il tempo di immaginarle.
Ingredienti per c.ca 12 polpette piccole
200 g di bollito misto avanzato privato di cartilagini, ossa e grasso
100 g di polpa di gallina bollita privata di pelle e ossa.
40 g di mollica di pane raffermo ammollata in acqua o latte e ben strizzata
25 g di parmigiano grattuggiato
1 patata ed una carota lesse da bollito
1 uovo grande
farina integrale di grano tenero in cui passare le polpettine
un ciuffo di prezzemolo fresco tritato grossolanamente
una macinata di noce moscata
pepe macinato fresco qb
sale qb
Olio extra vergine per friggere
Mettete la polpa della carne in un mixer insieme alla patata e la carota. Riducete in un composto non troppo fine e trasferite il tutto in una ciotola.
Aggiungete quindi il pane ben strizzato, il parmigiano, il prezzemolo, noce moscata, sale e pepe e l'uovo e mischiate tutto molto bene con le mani.
Fate delle polpette grosse poco più di una noce e passatele nella farina.
Friggete in un dito d'olio extavergine e girate via via per ottenere una bella crosticina.
Scolate su carta assorbente e servite caldissime con le salse che preferite.
Da ragazzina, ogni volta che sentivo la parola "polpetta", a parte l'immediata salivazione, mi balzava in testa l'immagine di Poldo Sbaffini, altrimenti detto Polpetta, il migliore amico di Braccio di Ferro in continua ricerca di cibo.
Quando poi, durante l'azione, lo vedevi trangugiare il suo cibo preferito, ti rendevi conto che non erano polpette, bensì centinaia di Hamburger secondo l'uso americano.
All'epoca, verso i 5 o 6 anni, l'idea non mi sconfinferava granché: perché se il suo soprannome era "polpetta", quel pancione ci dava dentro con i panini?
Nella mia testa le polpette battevano 100 a 1 i panini e quell'incongruenza è stata ragione di lunghe elucubrazioni perché come ben sapete, la logica dei bambini non fa una grinza.
Crescendo mi sono rabbonita giustificando il fatto che gli hamburger sempre una polpetta di carne hanno al centro, quindi ci poteva stare, ma il gusto per le polpettine frutto di recupero e avanzi, continuano ad essere una golosità a cui difficilmente si resta indifferenti.
Oggi è la Giornata Nazionale della Polpetta per il Calendario del Cibo Italiano, e la nostra Ambasciatrice d'eccezione è Elena Castiglione del blog Chez Entity.
Nel suo dettagliato post ci racconta la storia di questo piatto inserito nella Settimana Nazionale degli Avanzi e potrete leggere tutto sul sito ufficiale AIFB.
Le mie polpette sono frutto dell'avanzo del bollito dell'Epifania (avanzo premeditato in verità) e credo che chiunque possa affermare che il lesso rifatto in qualsiasi formato, sia qualcosa di straordinariamente saporito.
In Toscana si usa saltarlo in padella con cipolla e pomodoro; si muta in polpetta da friggere oppure per estrema golosità, si finisce cotta brevemente in umido.
Che siano Bollito o Lesso piatti prelibati, in avanzo recuperano una dignità senza eguali.
Prossimamente vi parlerò del Bollito ma oggi ho anticipato i tempi con queste polpettine di casa, facilissime quando si ha già la materia prima pronta, e veloci da preparare quando il tempo di immaginarle.
Ingredienti per c.ca 12 polpette piccole
200 g di bollito misto avanzato privato di cartilagini, ossa e grasso
100 g di polpa di gallina bollita privata di pelle e ossa.
40 g di mollica di pane raffermo ammollata in acqua o latte e ben strizzata
25 g di parmigiano grattuggiato
1 patata ed una carota lesse da bollito
1 uovo grande
farina integrale di grano tenero in cui passare le polpettine
un ciuffo di prezzemolo fresco tritato grossolanamente
una macinata di noce moscata
pepe macinato fresco qb
sale qb
Olio extra vergine per friggere
Mettete la polpa della carne in un mixer insieme alla patata e la carota. Riducete in un composto non troppo fine e trasferite il tutto in una ciotola.
Aggiungete quindi il pane ben strizzato, il parmigiano, il prezzemolo, noce moscata, sale e pepe e l'uovo e mischiate tutto molto bene con le mani.
Fate delle polpette grosse poco più di una noce e passatele nella farina.
Friggete in un dito d'olio extavergine e girate via via per ottenere una bella crosticina.
Scolate su carta assorbente e servite caldissime con le salse che preferite.
mercoledì 6 gennaio 2016
Settimana Nazionale degli Avanzi per il Calendario del Cibo Italiano: la torta di pane di casa mia
Holiday - Madonna
Buona Befana!
Si chiudono così le lunghe feste di Natale e come al solito questa giornata mi procura una lista indefinita di malinconie.
La prima ovviamente è il dover tornare al lavoro.
Ve la ricordate la giornata precedente al vostro rientro a scuola dopo il rilassamento delle vacanze natalizie? Un disastro. Il malumore è lo stesso.
Già tutta l'operazione di smontaggio dell'albero, presepe e decorazioni, riporle negli scatoloni e riportare la casa alla monotonia di sempre. Il tutto non aiuta.
Hai voglia a ripeterti che si ricomincia un nuovo anno pieno di opportunità, sorprese, novità, energie.
Quello forse andava bene quando avevi 18 anni.
Adesso alla soglia dei 50, si cerca di guardare alle prossime 24 ore più che ai prossimi 12 mesi.
Non intristiamoci.
Oggi è ancora festa e mentre sul fuoco bolle lentamente un pentolone pieno di lesso con le sue salsine pronte a celebrarlo, trattengo brandelli di allegria e cerco di programmare mentalmente la giornata.
Eviterò di sentirmi Befana almeno oggi.
La novità del 2016 è il Calendario del Cibo Italiano, progetto dell'Associazione Italiana Food Blogger di cui faccio parte.
Il mio blog come quello di molti associati, celebrerà molti dei piatti inseriti in Calendario e nelle 52 Settimane Nazionali.
In questi giorni si festeggia la Settimana degli Avanzi la cui ambasciatrice è Cinzia del blog Cindystar e per l'occasione ho voluto riproporre un must di casa mia, un dolce di recupero che io adoro letteralmente e che mia madre prepara spessissimo quando deve smaltire quantità di pane secco: la Torta di Pane.
La sua abitudine è passata a me ed ho scoperto che la stessa passione per questo dolce ce l'ha mia figlia. Lo adora e se lo finisce spesso da sola.
Una ricetta che avevo già pubblicato sul blog ma che ripropongo con grande gioia come contributo al motto "non si butta via niente", più attuale che mai.
Provatela e diventerà anche vostra.
Ingredienti per uno stampo da 18 cm di diametro
- 400 gr di pane raffermo o secco
- 1 litro di latte fresco o acqua
- 100 gr di amaretti sbriciolati
- 60 gr di uvetta
- 50 gr di pinoli
- 30 g albicocche disidratate
Buona Befana!
Si chiudono così le lunghe feste di Natale e come al solito questa giornata mi procura una lista indefinita di malinconie.
La prima ovviamente è il dover tornare al lavoro.
Ve la ricordate la giornata precedente al vostro rientro a scuola dopo il rilassamento delle vacanze natalizie? Un disastro. Il malumore è lo stesso.
Già tutta l'operazione di smontaggio dell'albero, presepe e decorazioni, riporle negli scatoloni e riportare la casa alla monotonia di sempre. Il tutto non aiuta.
Hai voglia a ripeterti che si ricomincia un nuovo anno pieno di opportunità, sorprese, novità, energie.
Quello forse andava bene quando avevi 18 anni.
Adesso alla soglia dei 50, si cerca di guardare alle prossime 24 ore più che ai prossimi 12 mesi.
Non intristiamoci.
Oggi è ancora festa e mentre sul fuoco bolle lentamente un pentolone pieno di lesso con le sue salsine pronte a celebrarlo, trattengo brandelli di allegria e cerco di programmare mentalmente la giornata.
Eviterò di sentirmi Befana almeno oggi.
La novità del 2016 è il Calendario del Cibo Italiano, progetto dell'Associazione Italiana Food Blogger di cui faccio parte.
Il mio blog come quello di molti associati, celebrerà molti dei piatti inseriti in Calendario e nelle 52 Settimane Nazionali.
In questi giorni si festeggia la Settimana degli Avanzi la cui ambasciatrice è Cinzia del blog Cindystar e per l'occasione ho voluto riproporre un must di casa mia, un dolce di recupero che io adoro letteralmente e che mia madre prepara spessissimo quando deve smaltire quantità di pane secco: la Torta di Pane.
La sua abitudine è passata a me ed ho scoperto che la stessa passione per questo dolce ce l'ha mia figlia. Lo adora e se lo finisce spesso da sola.
Una ricetta che avevo già pubblicato sul blog ma che ripropongo con grande gioia come contributo al motto "non si butta via niente", più attuale che mai.
Provatela e diventerà anche vostra.
Ingredienti per uno stampo da 18 cm di diametro
- 400 gr di pane raffermo o secco
- 1 litro di latte fresco o acqua
- 100 gr di amaretti sbriciolati
- 60 gr di uvetta
- 50 gr di pinoli
- 30 g albicocche disidratate
- 1 piccola mela
- 50 g di cioccolata a pezzetti
- noci a piacere
- 5 cucchiai di zucchero
- 2 cucchiai di cacao amaro
- zucchero a velo
Mettete l'uvetta a mollo nell'acqua tiepida per almeno 20 minuti; tagliate a pezzetti le albicocche, sbriciolate gli amaretti.
Spezzate il pane e mettetelo in una ciotola e versatevi sopra il latte o l'acqua molto caldi.
Fate assorbire e ammorbidire: ci vorrà dalla mezz'ora all'ora dipende dalla durezza del pane.
Quando è bello morbido, scolatelo ma non strizzatelo completamente e passatelo a mixer per ottenere una purea.
Fate intiepidire quindi aggiungete lo zucchero, gli amaretti, l'uvetta strizzata e infarinata, i pinoli, il cacao, le albicocche, le mele e il cioccolato e qualsiasi altra cosa che vi piace e vi avanza, e mischiate bene il tutto con le mani.
Rivestite una teglia a bordi alti con carta da forno e versateci il composto.
Fate cuocere in forno già caldo a 180 gr. per almeno un'ora. Si gonfierà ma poi tornerà basso raffreddandosi.
Cospargetelo di abbondante zucchero a velo. Migliora col tempo.
- 5 cucchiai di zucchero
- 2 cucchiai di cacao amaro
- zucchero a velo
Mettete l'uvetta a mollo nell'acqua tiepida per almeno 20 minuti; tagliate a pezzetti le albicocche, sbriciolate gli amaretti.
Spezzate il pane e mettetelo in una ciotola e versatevi sopra il latte o l'acqua molto caldi.
Fate assorbire e ammorbidire: ci vorrà dalla mezz'ora all'ora dipende dalla durezza del pane.
Quando è bello morbido, scolatelo ma non strizzatelo completamente e passatelo a mixer per ottenere una purea.
Fate intiepidire quindi aggiungete lo zucchero, gli amaretti, l'uvetta strizzata e infarinata, i pinoli, il cacao, le albicocche, le mele e il cioccolato e qualsiasi altra cosa che vi piace e vi avanza, e mischiate bene il tutto con le mani.
Rivestite una teglia a bordi alti con carta da forno e versateci il composto.
Fate cuocere in forno già caldo a 180 gr. per almeno un'ora. Si gonfierà ma poi tornerà basso raffreddandosi.
Cospargetelo di abbondante zucchero a velo. Migliora col tempo.
lunedì 4 gennaio 2016
Calendario del cibo italiano: la Giornata Nazionale degli involtini di verza
Stay with me - Sam Smith
Continua la meravigliosa avventura del Calendario del cibo Italiano.
Oggi è la Giornata Nazionale degli Involtini di Verza e la nostra Ambasciatrice è Ottavia Bielli del blog Mirepoix.
Potrete leggere il dettagliato racconto di questo piatto direttamente sulla pagina ufficiale del Blog AIFB e godere dei numerosi contributi rilasciati su questo argomento.
Sembrerà folle ma neanche oggi ho potuto rinunciare a partecipare ai festeggiamenti, pur essendo stata ieri Ambasciatrice dei Cavatelli.
Questo piatto ha per me un valore affettivo fortissimo, profondo ed è legato a doppio filo (ovviamente, trattandosi di involtino) alla figura della mia nonna materna Teresa, detta Gina.
Non per nulla questa è una ricetta che ritorna su questo blog dopo ben 5 anni.
Uno delle primissimi post da me pubblicati (mi pare addirittura il terzo) e che forse più di altri racconta di come il cibo sia soprattutto un fatto emozionale ed emotivo, legato alla memoria delle piccole cose e delle persone che ci hanno cresciuto ed amato.
Mia nonna Gina era una donna d'acciaio, sia fisicamente che nel carattere.
Piccola, minuta, capelli neri come la pece ed uno sguardo affilato come la lama di un coltello.
Era il terrore dei figli e dei nipoti.
Quando andavamo a trascorrere le estati al lago di Garda, dove viveva, sapevamo benissimo che più lontano le saremmo stati e meno avremmo attirato le sue furie.
Si, perché la Gina non era la classica nonna tutta coccole e regalini, quella che si ferma a giocare con te ed a raccontarti le storie.
Quello piuttosto era mio nonno Donato, suo marito, di cui ho già raccontato ampiamente in passato
Lei era un carabiniere a cui non sfuggiva nulla, una furia della natura che avrò visto ridere di gusto solo una decina di volte nella mia vita. Di pochissime parole, ma giuste per farsi capire e farti rigare dritto in un attimo.
Aveva un radar per le bugie e le malefatte: le bastava cambiare il tono della sua voce baritonale per far scendere il gelo intorno alla tavola.
In compenso era instancabile, non aveva paura di niente, era in grado di fare lavori maschili pesantissimi, si sciroppava 4 + 4 km a piedi lungo mulattiere impossibili che da casa la portavano al paese, giù al lago, con maggiore agilità di noi ragazzini. Al ritorno, tutto in salita, ci umiliava definitivamente arrivando a casa molto prima di noi.
Non era una cuoca sopraffina ma era una che sapeva far rinascere il nulla. Come tutte le donne figlie della guerra, non sprecava la minima briciola e le mie colazioni più belle sono state a casa sua, con i panini raffermi inzuppati in tazzoni di latte caldo. Il suo budino al cioccolato era un modo non parlato per farsi voler bene ed i suoi formidabili cavalli di battaglia erano lo spiedo e gli involtini di verza.
Con lo spiedo, era lei che gestiva il fuoco e controllava la lenta cottura della carne, irrorando di burro raccolto via via dalla leccarda, i lunghi spiedi da cui sfrigolavano pezzi lucidi di carne e patate.
Mentre scrivo, posso sentirne il profumo ed il sapore pieno e sapido in bocca e quando nella vita si assaggiano cose di tale bontà, si finisce col cercare per sempre quello stesso irripetibile gusto.
Gli involtini invece, sono un piatto che mi parla di lei attraverso le parole di mia madre, perché la verità è che non l'ho mai vista prepararli.
Mia madre sa quanto questa ricetta mi faccia pensare a nonna Gina e me li prepara spesso, sapendo che così sazia più un bisogno del mio cuore che del mio stomaco.
Ho capito ed imparato ad amare profondamente mia nonna solo da adulta, quando era più facile sedersi accanto a lei, ormai fragile ma sempre lucidissima, per farsi raccontare le sue storie.
Dai vent'anni fino al giorno in cui si è spenta, non perdevo occasione per stringerla (mi sembrava così piccola fra le mie braccia) e lei trovava comunque il modo per borbottare bonariamente che la stritolavo.
Che mi manchi moltissimo non descrive il vuoto che ha lasciato.
In tempo di Guerra la carne non era disponibile quindi questi involtini erano fatti primariamente con pane, aglio e prezzemolo. Successivamente, con il benessere, anche nonna arricchì il ripieno alla sua maniera, utilizzando comunque avanzi e recuperando pane raffermo e quello che trovava in frigorifero.
Gli involtini di verza di nonna Gina
Ingredienti
Continua la meravigliosa avventura del Calendario del cibo Italiano.
Oggi è la Giornata Nazionale degli Involtini di Verza e la nostra Ambasciatrice è Ottavia Bielli del blog Mirepoix.
Potrete leggere il dettagliato racconto di questo piatto direttamente sulla pagina ufficiale del Blog AIFB e godere dei numerosi contributi rilasciati su questo argomento.
Sembrerà folle ma neanche oggi ho potuto rinunciare a partecipare ai festeggiamenti, pur essendo stata ieri Ambasciatrice dei Cavatelli.
Questo piatto ha per me un valore affettivo fortissimo, profondo ed è legato a doppio filo (ovviamente, trattandosi di involtino) alla figura della mia nonna materna Teresa, detta Gina.
Non per nulla questa è una ricetta che ritorna su questo blog dopo ben 5 anni.
Uno delle primissimi post da me pubblicati (mi pare addirittura il terzo) e che forse più di altri racconta di come il cibo sia soprattutto un fatto emozionale ed emotivo, legato alla memoria delle piccole cose e delle persone che ci hanno cresciuto ed amato.
Mia nonna Gina era una donna d'acciaio, sia fisicamente che nel carattere.
Piccola, minuta, capelli neri come la pece ed uno sguardo affilato come la lama di un coltello.
Era il terrore dei figli e dei nipoti.
Quando andavamo a trascorrere le estati al lago di Garda, dove viveva, sapevamo benissimo che più lontano le saremmo stati e meno avremmo attirato le sue furie.
Si, perché la Gina non era la classica nonna tutta coccole e regalini, quella che si ferma a giocare con te ed a raccontarti le storie.
Quello piuttosto era mio nonno Donato, suo marito, di cui ho già raccontato ampiamente in passato
Lei era un carabiniere a cui non sfuggiva nulla, una furia della natura che avrò visto ridere di gusto solo una decina di volte nella mia vita. Di pochissime parole, ma giuste per farsi capire e farti rigare dritto in un attimo.
Aveva un radar per le bugie e le malefatte: le bastava cambiare il tono della sua voce baritonale per far scendere il gelo intorno alla tavola.
In compenso era instancabile, non aveva paura di niente, era in grado di fare lavori maschili pesantissimi, si sciroppava 4 + 4 km a piedi lungo mulattiere impossibili che da casa la portavano al paese, giù al lago, con maggiore agilità di noi ragazzini. Al ritorno, tutto in salita, ci umiliava definitivamente arrivando a casa molto prima di noi.
Non era una cuoca sopraffina ma era una che sapeva far rinascere il nulla. Come tutte le donne figlie della guerra, non sprecava la minima briciola e le mie colazioni più belle sono state a casa sua, con i panini raffermi inzuppati in tazzoni di latte caldo. Il suo budino al cioccolato era un modo non parlato per farsi voler bene ed i suoi formidabili cavalli di battaglia erano lo spiedo e gli involtini di verza.
Con lo spiedo, era lei che gestiva il fuoco e controllava la lenta cottura della carne, irrorando di burro raccolto via via dalla leccarda, i lunghi spiedi da cui sfrigolavano pezzi lucidi di carne e patate.
Mentre scrivo, posso sentirne il profumo ed il sapore pieno e sapido in bocca e quando nella vita si assaggiano cose di tale bontà, si finisce col cercare per sempre quello stesso irripetibile gusto.
Gli involtini invece, sono un piatto che mi parla di lei attraverso le parole di mia madre, perché la verità è che non l'ho mai vista prepararli.
Mia madre sa quanto questa ricetta mi faccia pensare a nonna Gina e me li prepara spesso, sapendo che così sazia più un bisogno del mio cuore che del mio stomaco.
Ho capito ed imparato ad amare profondamente mia nonna solo da adulta, quando era più facile sedersi accanto a lei, ormai fragile ma sempre lucidissima, per farsi raccontare le sue storie.
Dai vent'anni fino al giorno in cui si è spenta, non perdevo occasione per stringerla (mi sembrava così piccola fra le mie braccia) e lei trovava comunque il modo per borbottare bonariamente che la stritolavo.
Che mi manchi moltissimo non descrive il vuoto che ha lasciato.
La mia nonna Gina e mia madre |
Gli involtini di verza di nonna Gina
Ingredienti
Involtini di verza di Nonna Gina.
- 400 gr di carne arrosto avanzata
- 80 gr di salame crudo, o salsiccia o mortadella a vs. piacere.
- 30 g di pane raffermo ammollato in acqua e ben strizzato
- 3 cucchiai di parmigiano
- 3 cucchiai di pan grattato ( a vs. piacere)
- 50 gr. di prezzemolo tritato
- 1 spicchio d’aglio tritato
- 1 uovo
- sale, pepe, noce moscata, q.b.
- 1 piccola verza (in Toscana è il Cavolo cappuccio) di c.ca 600 gr.
- brodo vegetale
- una cipolla
- pancetta dolce a dadini
- vino bianco
Preparate le vs. polpettine tritando la carne nel mixer (io non la faccio troppo fine perché è piacevole sentire una certa consistenza quando si mastica) insieme al salame, quindi aggiungo il parmigiano, il pan grattato, il pane ben strizzato e sbriciolato, l’aglio e il prezzemolo, l’uovo, il sale, il pepe e la noce moscata, e mischio tutto in una ciotola (ben bene con le mani perché i sapori si devono mischiare).
Preparo poi delle polpettine grandi come noci.
Successivamente scelgo le foglie più belle della verza, eliminando le prime più dure e le faccio lessare per un paio di minuti( 4 o 5 alla volta) in una capiente pentola con acqua bollente salata.
Le faccio asciugare su un canovaccio, tamponandole se necessario con carta assorbente.
Dopo avere eliminato la costa centrale e diviso le foglie a metà, comincio a confezionare i miei pacchettini di verza mettendo al centro una polpettina e chiudendo la foglia con un filo di rafia (o altra cordicella alimentare).
Questa e l’operazione più laboriosa, ma ci prenderete presto la mano.
Con questa quantità di impasto, dovreste ottenere c.ca 25 involtini.
Se avete un bel coccio di terracotta, sarà perfetto per la cottura.
Preparate la cipolla tritata e la fate passire con la pancetta in 2 bei cucchiai di olio extra vergine (in Lombardia usano il burro).
Quindi ponete i vostri involtini nel coccio e fateli rosolare qualche minuto quindi fate sfumare un po’ di vino bianco. Quando il vino si è tirato, cominciate la cottura versando via via del brodo vegetale caldo, coprite e proseguite per c.ca 30 minuti.
Lasciate che gli involtini assorbano il brodo formando un delizioso sughetto alla fine.
Io li servo con del riso bianco, Arborio o Vialone che si insaporisce con il sughetto degli involtini.
domenica 3 gennaio 2016
Il Calendario del Cibo Italiano: La Giornata Nazionale dei Cavatelli
Con le mani - Zucchero
Il Molise è una regione minuscola e sottovalutata.
Talmente così poco conosciuta che un giorno qualcuno simpaticamente ha lanciato il motto "Il Molise non esiste", tormentone che ha invaso la rete per un certo periodo qualche tempo fa.
Di controparte i Molisani ha risposto con un hashtag eloquente: #ilmoliseesiste, postando centinaia di foto dei luoghi più incantevoli di questa regione.
Perché il Molise sarà pure piccolo e sconosciuto ai più, ma la concentrazione di bellezze e luoghi ancora incontaminati è tale da lasciare a bocca aperta chiunque vi arrivi per la prima volta.
Perché ho così a cuore questa regione? Il destino mi ci ha condotta attraverso mio marito, la cui madre è Molisana doc e tutt'ora vive in un dei paesi più antichi del basso Molise: Larino.
Dopo quasi 30 anni di frequentazioni di quella terra, posso affermare di sentirmi per 1/4 molisana e di provare un sentimento speciale per qualsiasi cosa arrivi da qui, in particolare ovviamente, per la sua cucina, un concentrato di semplicità e essenzialità derivanti dalla difficile arte di arrangiarsi, cosa di cui i Molisani sembrano essere raffinati conoscitori.
Ho fortemente voluto essere Ambasciatrice per la Giornata Nazionale dei Cavatelli, per fare un omaggio al "mio" Molise, con la speranza di avere rispettato in toto questo piatto, simbolo incontrastato della cucina contadina di questa regione.
Vi invito a leggere la loro storia sul sito dell'Associazione Italiana Food Blogger dove oggi si celebra questa speciale giornata.
Non troverete solo la ricetta dei Cavatelli al sugo vedovo, ma anche un bel po' di contributi di amiche che hanno voluto partecipare alla loro festa!
Non avrete scuse per provare anche voi a cimentarvi nella preparazione di questa facilissima pasta fresca.
Buona lettura a tutti.
Il Molise è una regione minuscola e sottovalutata.
Talmente così poco conosciuta che un giorno qualcuno simpaticamente ha lanciato il motto "Il Molise non esiste", tormentone che ha invaso la rete per un certo periodo qualche tempo fa.
Di controparte i Molisani ha risposto con un hashtag eloquente: #ilmoliseesiste, postando centinaia di foto dei luoghi più incantevoli di questa regione.
Perché il Molise sarà pure piccolo e sconosciuto ai più, ma la concentrazione di bellezze e luoghi ancora incontaminati è tale da lasciare a bocca aperta chiunque vi arrivi per la prima volta.
Perché ho così a cuore questa regione? Il destino mi ci ha condotta attraverso mio marito, la cui madre è Molisana doc e tutt'ora vive in un dei paesi più antichi del basso Molise: Larino.
Dopo quasi 30 anni di frequentazioni di quella terra, posso affermare di sentirmi per 1/4 molisana e di provare un sentimento speciale per qualsiasi cosa arrivi da qui, in particolare ovviamente, per la sua cucina, un concentrato di semplicità e essenzialità derivanti dalla difficile arte di arrangiarsi, cosa di cui i Molisani sembrano essere raffinati conoscitori.
Ho fortemente voluto essere Ambasciatrice per la Giornata Nazionale dei Cavatelli, per fare un omaggio al "mio" Molise, con la speranza di avere rispettato in toto questo piatto, simbolo incontrastato della cucina contadina di questa regione.
Vi invito a leggere la loro storia sul sito dell'Associazione Italiana Food Blogger dove oggi si celebra questa speciale giornata.
Non troverete solo la ricetta dei Cavatelli al sugo vedovo, ma anche un bel po' di contributi di amiche che hanno voluto partecipare alla loro festa!
Non avrete scuse per provare anche voi a cimentarvi nella preparazione di questa facilissima pasta fresca.
Buona lettura a tutti.
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