“Illustre
Maestro, questo Parrozzo – il Pan rozzo d’Abruzzo – vi viene da me offerto con
un piccolo nome legato alla vostra e alla mia giovinezza”.
Terminava
così la lettera che Luigi d’Amico scrisse al “Vate”, il 27 settembre del 1919
accompagnando la sua creazione dolciaria realizzata proprio in omaggio
all’amico Gabriele D’Annunzio.
Questo
dolce tradizionale dalla forma semisferica, ha quindi un’origine ben precisa
legata al nome del suo creatore, ma come per ogni piatto che si rispetti,
l’ispirazione arriva da lontano.
Il
Parrozzo deve la sua forma ed il suo colore al ricordo di un antico pane
presente sulle tavole contadine abruzzesi, preparato dai pastori con l’utilizzo
della farina di mais, del latte delle greggi e profumato di timo ed erbe
aromatiche dei pascoli.
Gli veniva data una forma a cupola quindi cotto nel
forno a legna, dove finiva con l’acquisire una crosta scura e leggermente
fuligginosa.
Questo
pane si chiamava Pan Rozzo ed aveva il pregio di durare molti giorni.
Luigi
D’Amico, proprietario di un frequentato caffè di Pescara, in un moto di
nostalgia per la propria infanzia, volle creare un dolce “tromple l’eoil”,
qualcosa di delizioso ma dall’aspetto rustico e modesto come il pane di mais
della transumanza.
Utilizzò
una discreta quantità di uova per ottenere una pasta gialla che ricordasse il
colore del mais; le mandorle tritate grossolanamente per regalare un senso di ruvidità
al palato, in cui aggiunse mandorle amare per esaltarne l’aroma.
Ma il
tocco d’artista fu la copertura, che doveva ricordare la crosta scura e
leggermente bruciacchiata del pane data dalla cottura in forno, per la quale
scelse di utilizzare del finissimo cioccolato fondente, distribuito sulla
cupola con una spatola in maniera che il risultato finale non fosse
perfettamente liscio, ma conferisse un aspetto rustico.
L’esperimento
riuscì così bene che l’autore pensò di spedirne uno all’amico Gabriele
D’Annunzio proprio al Vittoriale e la risposta del Vate fu la seguente:
“È tante
‘bbone stu parrozze nove che pare na pazzie de San Ciattè, c’avesse messe a su
gran forne tè la terre lavorata da lu bbove, la terre grasse e lustre che se
coce e che dovente a poche a poche chiù doce de qualunque cosa doce. Benedette
D’Amiche e San Ciattè.”
Solo più
tardi, nel 1927, quando il Parrozzo raggiunse la fama anche nella propria città
diventando un dolce di tradizione sulle tavole abruzzesi, in particolare nel
periodo natalizio, Luigi d’Amico volle pubblicare sulla confezione in cui era
venduto, i versi scritti dal poeta, che ricordano quanto egli amasse questo
dolce:
“Dice
Dante che là da Tagliacozzo,
ove senz’arme
visse il vecchio Alardo,
Curradino
avrie vinto quel leccardo
se abbuto
avesse usbergo di Parrozzo”.
Ancora una volta il Calendario del Cibo Italiano mi dà l'opportunità di parlare di una ricetta della tradizione italiana, un dolce tipicamente preparato nel periodo Natalizio ma la cui bontà lo rende speciale sempre.
Si tratta del Parrozzo Pescarese, di cui celebriamo oggi la Giornata Nazionale sul Calendario del Cibo Italiano. La nostra ambasciatrice per la giornata è Ilaria Talimani del blog Soffici , che racconterà curiosità e segreti di questo dolce così speciale.
Il vi lascio la ricetta che ho utilizzato e che mi ha dato un bellissimo risultato.
Si tratta del Parrozzo Pescarese, di cui celebriamo oggi la Giornata Nazionale sul Calendario del Cibo Italiano. La nostra ambasciatrice per la giornata è Ilaria Talimani del blog Soffici , che racconterà curiosità e segreti di questo dolce così speciale.
Il vi lascio la ricetta che ho utilizzato e che mi ha dato un bellissimo risultato.
Ingredienti per uno stampo classico da Zuccotto (24 cm diametro)
220
g di zucchero semolato
3
cucchiai di olio extravergine d’oliva Aprutino Pescarese Dop
150
g di mandorle dolci macinate con la buccia
150
g di semolino
7-8
mandorle amare (o armelline – l’interno dei noccioli di albicocca)
6
uova cat A
un
pizzico di sale
scorza
grattugiata di limone (o arancia)
1
cucchiaio di liquore pescarese Aurum (facoltativo)
Per
la copertura
200
g di cioccolato fondente
50 g
di burro
In una terrina montate i tuorli con lo zucchero usando la frusta a mano fino a che il composto non sarà chiaro e gonfio.
Unite le mandorle tritate miscelate alle armelline, alternandole al semolino versato a pioggia. Incorporate il tutto con delicatezza con una spatola
Aggiungete l’olio, il cucchiaio di liquore e le scorze grattugiate dell’agrume che preferite. Incorpora bene.
Montate gli albumi a neve ferma quindi aggiungeteli al composto che ammorbidirete prima con una cucchiaiata di albume, e successivamente incorporerete con la spatola, con un movimento circolare dall’alto in basso per non smontare il tutto.
Foderate con carta da forno una tortiera per zuccotto di 24 cm di diametro e versateci il composto livellandolo con la spatola.
Cuocete per c.ca 40/45 minuti in forno a 170° senza mai aprire il forno prima dei 40 minuti perché questo tipo di impasto senza lievito e sostenuto solo dalla lavorazione delle uova, tende a sgonfiarsi. Fate la prova stecchino per verificare la cottura.
Una volta pronto, togliete il dolce dallo stampo aiutandovi con la carta e fatelo raffreddare completamente sulla gratella.
Fate sciogliere il cioccolato tritato grossolanamente con il burro a bagno maria. Una volta liquido, versatelo sulla cupola ed aiutandovi con una spatola, distribuite la glassa in maniera uniforme su tutto il dolce. Se vi piace una crosta più spessa, putete aumentare la quantità di cioccolato.
Il dolce si conserva molti giorni, anche due settimane se tenuto in un contenitore ermetico e dà il suo massimo dopo un paio di giorni.
A Natale, sulle tavole di Pescara, si serve accompagnato dal liquore tradizionale Aurum, ottenuto da brandy e infuso di arance, dal bellissimo colore arancio dorato. Dolce e aromatico è anche molto adatto per profumare torte e preparazioni di pasticceria.
E' una meraviglia Patrizia,un'opera d'arte, erano anni che avevo voglia di farlo e adesso vedo che si può fare, molto bello ;)
RispondiEliminaCara Patrizia, non ho fatto apposta foto al parrozzo nudo perché la tua era stupenda :-)
RispondiEliminaGrazie della partecipazione e della collaborazione.
Ilaria
Ciao... il tuo Parrozzo è a dir poco meraviglioso!
RispondiEliminaBuona Giornata Nazionale. :)
Che bella storia, non la conoscevo! Sarei curiosa di assaggiare anche il pane originale però ^^
RispondiEliminaBella proposta!!! Complimenti
RispondiEliminaNon conoscevo questa specialità,grazie mille per la condivisione della splendida ricetta (ti faccio i miei migliori complimenti in quanto ti è venuto benissimo,perfetto a dir poco:))e della storia che c'è dietro:)).
RispondiEliminaUn bacione:))
Rosy
Alla faccia del pan rozzo! Non conoscevo questa specialità abruzzese, ho letto con grande interesse sia il post dell'ambasciatrice che questo, grazie per aver condiviso questo dolce dalla storia così singolare e documentata!
RispondiEliminaMi piace molto anche questo sia la ricetta orginale che quella raffinata
RispondiEliminaCiao Una domanda le mandorle non vanno spalmate giusto? Ma neanche tostate? Grazie della ricetta , anch'io ce l'ho ma tostavo e sbucciavo le mandorle, voglio provare la tutta, grazie
RispondiEliminaCiao Teresa, scusa il ritardo. Credo che intendessi che le mandorle non vanno spellate. Si, restano al naturale. Puoi anche pensare di farne metà e metà. A presto e grazie per essere passata.
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