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lunedì 21 novembre 2016

Settimana Nazionale dell'Olio Extravergine: Minestra di ceci alloro ed aglio di Vessalico

Green song - Elvis Costello e Anne Sofie von Otter
Oggi parlo di lui, il mio grande amore in cucina.
L'ingrediente a cui non potrei rinunciare, il vero principe della Dieta Mediterranea, l'oro della nostra tavola.
Parlo dell'olio extravergine nella Settimana Nazionale a lui dedicata all'interno del Calendario del Cibo Italiano. 
Sul sito dell'Associazione Italiana Food Blogger  si celebra oggi un simbolo del nostro paese, secondo produttore al mondo solo dopo la Spagna, del grasso vegetale più salutare e prezioso.
Vi invito a leggere l'articolo che ho scritto e che spero potrà chiarire le idee a chi di extravergine sa ancora poco o vuole scoprirne di più.
Per quanto mi riguarda, ho sempre avuto una passione per l'extravergine, pubblicamente ammessa nelle centinaia di ricette in cui l'ho raccontato in questo blog, nella sezione in cui lo celebro e dove ho spiegato spesso come sceglierlo, rispettarlo nella conservazione, utilizzarlo senza timore e capirlo nei suoi pregi e difetti.
L'Olio extravergine è ancora troppo poco conosciuto dal consumatore e merita la dignità che gli compete.
Ricordiamoci che non esiste l'olio ma gli oli extravergine, originati dalle centinaia di cultivar di cui la nostra penisola è ricca.
Impariamo a conoscere le DOP e le IGP partendo da quelle della vostra regione e piano piano andando alla scoperta delle altre, perché ognuno di questi oli ha caratteristiche ben diverse, peculiarità che lo rendono unico e lo trasformano in un vero e proprio ingrediente da utilizzare nelle vostre ricette, non solo come semplice condimento a crudo.

Vin invito anche a leggere il bell'articolo scritto da Lidia del blog The Spicy Note in cui racconta la vita di un'azienda olivicola ed il suo prodotto.
Il vi lascio con una ricetta semplice e veloce, di quelle che tanto piacciono a me per le serate invernali.
Per questa minestra ho voluto usare dell'Olio Extravegine Trevi Dop, particolarmente fruttato e non eccessivamente amaro o piccante come potrebbe essere un giovane olio toscano Chianti Dop o Trequanda Dop, abbinandolo ad un aglio splendido, che arriva da terre liguri, in particolare dalla Valle Arroscia.
Si tratta di un aglio gentile e ben digeribile grazie all'anima estremamente ridotta (causa principale dei disturbi), dall'aroma non aggressivo, prodotto in quantità limitata da pochi produttori di quell'area geografica. Va conservato bene al buio perché tende a seguire proprio ciclo vitale, germogliando con facilità.
Ingredienti per 4 persone
350 g di ceci secchi piccoli del Chianti
3 spicchi di aglio di Vessalico
2 foglie di Alloro
50 ml di passata di pomodori
Olio Extravergine Trevi Dop
Sale - Pepe nero al mulinello.

  • Mettete i ceci a bagno tutta la notte con un pizzico di sale grosso
  • Fateli cuocere in abbondante acqua salata con una foglia di alloro, fino a che non saranno morbidi ma ancora integri.
  • Scolateli ma conservate l'acqua di cottura e divideteli nello stesso peso in due ciotole.
  • Versate 3 cucchiai d'olio in una casseruola insieme all'aglio ed alla foglia di alloro. Fate profumare a fiamma dolce quindi aggiungete la prima metà di ceci. Mescolate bene quindi aggiungete il pomodoro e copriteli a filo con l'acqua di cottura rimasta, e fate cuocere una 20na di minuti.
  • In una bicchiere per mixer a immersione, versate i restanti ceci e versate un mestolo di acqua di cottura, 2 cucchiai di extravergine e frullate fino a ridurre ad una crema. Versate il tutto nella casseruola e proseguite la cottura per altri 10 minuti. 
  • Una volta pronto, servite con pane toscano abbruscato, irrorate di abbondante olio extravergine e completate con una generosa macinata di pepe nero. Servite subito. 

martedì 1 novembre 2016

Il Pan co' Santi per la sua Giornata Nazionale.

The Autumn leaves - Eric Clapton
La notte più misteriosa e inquieta dell'anno, con il suo carico di zucche, caramelle, maschere e costumi spaventosi, si scioglie in un alba mistica.
L'alba di un giorno di festa, a ricordo di tutti i nostri Santi e di seguito, dei nostri cari ormai lontani dai nostri occhi ma non dal nostro cuore.
Il Pan co' Santi è senese.
Nella mia città, già dai primi di ottobre, compare sui banchi delle panetterie e pasticcerie il simbolo di questo periodo riflessivo e rispettoso.
Non "il pane dei Santi" come spesso mi è capitato di sentire.
Certo, lo è il pane di Tutti i Santi, visto che in questi giorni non c'è tavola a Siena, su cui a fine pasto non si serva questa pagnottella povera e modesta.
Ma i Santi, come dice il nome, stanno dentro.
E la regola vuole che siano tanti, generosi quel che basta a confondere l'idea di povertà, che di noci e uva passa se n'è messa via una bella scorta, l'olio è quello novo e il pepe è a spregio degli avari.
Il Pan co' Santi piace a tutti.
Chi lo incontra per la prima volta, lo guarda circospetto, lo assaggia un po' restio, perché, diciamocela tutta, non è che sia proprio una bellezza.
E se ha la fortuna di addentarlo fresco di forno, se ne innamora, perché le noci tostate nell'olio invitano ad un nuovo morso, l'uva passa ti corrompe con la sua dolcezza ed il profumo del pepe scalda il palato e lo pungola al desiderio di un sorso di Vin Santo.
Il Pan co' Santi non è un dolce, non è un pane, non è una torta: è un compromesso con quanto offriva la campagna all'inizio della stagione più cupa e difficile.
Un'invenzione commovente che invita alla sobrietà ed alla meditazione.
Con l'animo predisposto al ricordo, si mangia Pan co' Santi fino a Natale.
Per la Giornata Nazionale del Pan co' Santi, all'interno del Calendario del Cibo Italiano Aifb, non potevo che partecipare alla celebrazione di uno dei miei lievitati del cuore.
Lo preparo ogni anno e lo distribuisco ai miei cari che lo aspettano golosi.
Va consumato in breve tempo, massimo 3 giorni perché poi secca e non ha più il suo irresistibile appeal, anche se conosco chi lo ama secco inzuppato nel vino.
Quest'anno l'ho impastato a mano e sono rimasta sorpresa del risultato così ho deciso che in futuro non userò la planetaria perché ne vale assolutamente la pena.
Inoltre ho idratato l'impasto lievemente e ridotto la quantità di lievito, prolungando la lievitazione.
Risultato: un pane morbido e fragrante anche il secondo giorno.
Per scoprire di più sulla storia di questo lievitato, vi consiglio di andare a leggere il post ufficiale a cura di Erica Repaci autrice del blog Cibo e Altre Storie.
Io vi invito a provarlo e magari, se verrete a Siena nei prossimi giorni, a comprarlo perché sono certa che ne resterete affascinati.

Ingredienti per 6 panetti (potete provare dimezzando gli ingredienti la prima volta)
500 g di farina 00 

500 g di farina forte (330 w) o Manitoba
250 gr di uva sultanina (io abbondo a 300) 
400 gr di noci sgusciate
20 gr di lievito di birra
420 gr di acqua tiepida
250 gr di olio d'oliva extravergine (qualcuno utilizza metà olio e metà strutto)
10 cucchiai di zucchero
3 cucchiaini di pepe
3 cucchiaini di sale

1 cucchiaino di miele per attivare il lievito
1 tuorlo d'uovo per lucidare i panetti


  • In una larga padella antiaderente fate dorare le noci con un filo d'olio e lasciate raffreddare.
  • Mettete a mollo l'uvetta nell'acqua calda per almeno 40 minuti. 
  • Setacciate e mescolate le farine in un ciotola molto capiente, quindi aggiungete lo zucchero ed il pepe, le noci una volta fredde. Mescolate tutto con un cucchiaio di legno e ricavate un pozzetto al centro. Disponete il sale sui bordi in modo che sia l'ultimo ad entrare nell'impasto. 
  • Scolate e strizzate bene l'uvetta. 
  • Versate l'olio al centro quindi aggiungete il lievito già sciolto nell'acqua tiepida con un cucchiaino di miele. Cominciate ad incorporare farina con un cucchiaio poi, lentamente versate l'acqua e fate in modo di incorporare tutta la farina, facendo in modo che il sale non venga a contatto con il lievito. 
  • Una volta ottenuto un impasto grezzo e appiccicoso,  aggiungete l'uvetta ed impastate a lungo, almeno per 20/25 minuti in modo da incordare bene la massa. 
  • Passato questo tempo, fate una palla e sistematela in una ciotola ampia ed oleata. La pasta deve avere spazio per lievitare con tranquillità. 
  • Coprite con un canovaccio e lasciate lievitare da 6 ore a tutta la notte. 
  • Quando l'impasto avrà fatto la sua prima lievitazione, rovesciatelo su una spianatoia leggermente infarinata e ricavate 6 panottelle di c.ca 320 g ciascuna. Pirlate ogni pagnottella in modo da dare maggiore forza al glutine per la prossima lievitazione e sistemate i panetti su teglie coperte da carta da forno (in genere si riescono a mettere 3 panetti a teglia)
  • Incidete una croce profonda su ognuno dei vostri panetti, con animo grato. 
  • Dovranno lievitare da una a 2 ore in luogo tiepido (il forno con la lucina accesa è l'ideale). 
  • Prima di informare, lucidateli con un tuorlo d'uovo sbattuto con un cucchiaino d'acqua. 
  • Fateli cuocere in forno preriscaldato a 190° per c.ca 35 minuti. Dovranno essere belli dorati e suonare a vuoto se battuti sul fondo. 
  • Toglieteli immediatamente dalla teglia e fateli raffreddare su una griglia. Consumateli a temperatura ambiente e conservateli in buste di plastica ben chiuse. 

giovedì 6 agosto 2015

La storia di Matera è scritta nel suo pane. Capunti con crema di melanzane e briciole di peperoni cruschi.

Bread and roses - J. Denver
"La storia di Matera è scritta nel suo pane". 
Così ha esordito Massimo Cifarelli, giovanissimo Presidente del Consorzio di Tutela del Pane di Matera IGP in occasione del laboratorio organizzato per il Blog tour AIFB di Girolio.
Durante la sua lezione su come nasce quello che a mia modesta opinione è il vero cuore di questa incantevole città, ci ha preso per mano e ci ha regalato una presentazione emozionante, segno di una passione riconoscibile a mille chilometri di distanza.
Ce l'ha trasmessa tutta, con impeto e simpatia trasformando questo "laboratorio" in uno dei momenti più intensi ed indimenticabili del nostro tour a Matera.
Nella sua esposizione è stato supportato dalla nostra preparatissima guida ed instancabile chaperon, Francesco Linzalone, fiduciario Slow Food della città
Il Pane di Matera conosciuto in tutto il mondo, è indubbiamente una importante risorsa economica per l'intera provincia ma è soprattutto frutto di un gesto ancestrale che torna a ripetersi dalla notte dei tempi.
Ma cos'ha di così speciale questo pane?
Intanto è prodotto esclusivamente con farina di grano duro.
Semola rimacinata di grani provenienti dai raccolti della campagna locale, in primis il celebre grano Senatore Cappelli, di cui vi ho già raccontato in questo post  che vi invito a rileggere.
Nella maggior parte dei casi al Senatore Cappelli viene aggiunta una percentuale minore di grani autoctoni come il Duro Lucano o l'Appulo, ma questo dipende da panificatore a panificatore.
Il rito del pane ha sempre seguito un iter rigoroso. In primis la panificazione andava programmata solo dopo aver controllato lo stato del lievito. Quando parliamo di lievito a Matera, si parla della "madre", il lievito naturale per antonomasia che "abitava" ogni casa per generazioni, veniva tramandato da madre a figlia, e nel caso fosse morto, veniva chiesto soltanto a persone di estrema fiducia.
Per sottolineare l'importanza del lievito, basti sapere che le donne lo portavano in dote mentre lo sposo portava con sé il timbro per il pane.
Una volta pronti, si impastava, cominciando alle due di notte con grande fatica e devozione.
Il Consorzio di Tutela ha effettuato lunghe ricerche per capire come venisse realizzato il lievito madre, andando indietro nel tempo e nella memoria storica degli ultimi anziani della città.
Quali ingredienti venivano usati per ricreare la carica batterica in grado di far fermentare la farina?
Nessuno riusciva a fornire informazioni, fino a che un giorno, una signora molto anziana ha risposto: "La cacca di mucca"!
Ovviamente la risposta non è una provocazione né una barzelletta anche se è abbastanza surreale pensare di mangiare del pane alla cui base sta letteralmente dell'escremento animale.
Scientificamente non fa una piega in quanto i micro organismi presenti in questo elemento sono fondamentali per la fermentazione e la scintilla vitale del lievito.
In alternativa ovviamente veniva utilizzata la frutta molto matura (e qui vi sento sospirare di sollievo).
La celebre forma arrotolata del pane di Matera è la risposta della necessità di risparmiare spazio. Quando la richiesta del pane aumentò considerevolmente, la tradizionale pagnotta venne arrotolata su se stessa dando origine ad un pane alto e stretto, con una caratteristica crosta spessa ed una ampio cuore mollicoso. La grande percentuale di mollica si mantiene morbida per giorni in base alla pezzatura. I grandi pani di 3 kg si mantengono umidi fino a 9/10 giorni.
La curiosità: il famoso "cornetto di Matera" è invece stato inventato solo negli anni '80, per soddisfare la richiesta di un pane più ricco di crosta.
Per finire, ecco la valenza religiosa di questo rito immortale. 
Dopo aver effettuato le tradizionali piegature che vi mostrerò qui di seguito, si procedeva ad effettuare 3 tagli per aiutare il pane a crescere, e nell'atto dell'incisione si pronunciava la sacra formula "nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" .
Ma qual'è la ricetta di questo pane?
Vi riporto quello che prevede il disciplinare del Consorzio:
100 kg di semola rimacinata
40 kg di lievito madre
2.5 kg di sale
700 g di lievito di birra
Acqua
E il lievito di birra, direte voi?
Questa è stata una sorpresa ma anche qui c'è una ragione.
In questo caso accorcia tempi di lievitazione (ragione economica) ma come potete notare la quantità è minima, altrimenti come succede per tutti quegli alimenti che lo contengono, il lievito di birra sopravvivendo alla cottura, continua la sua azione nutrendosi dell'umidità presente ed asciugando inesorabilmente il prodotto.
Una nota a parte merita il famoso "timbro" del pane. Come molti sapranno fino al secondo dopo guerra in quasi tutti i paesi dell'Italia rurale ed in particolare nel meridione, esistevano i forni dove la gente andava a cuocere il proprio pane ed altre preparazioni. Difficilmente il pane si comprava ma si pagava in natura l'uso del forno.
Per riconoscere il proprio pane dagli altri, lo si marchiava con il timbro di famiglia, inciso in legno direttamente dalle mani dei proprietari. Il marchio veniva posto una volta effettuate le pieghe, prima dell'ultima lievitazione e non scompariva con la cottura.
Massimo Cifarelli, grano tenero e grano duro
Il grano Senatore Cappelli e le sue caratteristiche ariste nere
Si impara a conoscere il grano fin da piccoli
Le mani di Laura Adani e le pieghe del pane di Matera
Alla fine si timbra
La grande forma di pane appema sfornato
La nostra guida Francesco Linzalone che taglia il pane nel modo tradizionale
Il vero CUORE di Matera
Tornando alla semola ed al grano duro, il nostro laboratorio materano si è concluso con una splendida lezione durante la quale abbiamo osservato la Sig.ra Teresa, maestra di orecchiette e capunti, realizzare i suoi piccoli capolavori.
Acqua, semola e tanto olio di gomito per ottenere un impasto liscio ed uniforme come seta.
Io ho voluto cimentarmi come ho già fatto in passato, ed ho realizzato una piccola e facilissima ricetta estiva che vi lascio al termine del post.
Ma adesso ancora qualche immagine di mani laboriose.
Teresa, membro del Club delle Orecchiette, prepara la pasta di semola
La pasta pronta ad essere tirata


Capunti con crema di melanzane violette e briciole di peperoni cruschi. 
Ingredienti per 4 persone
360 g di capunti freschi
2 melanzane violette
8 pomodorini secchi sotto sale
30 g di peperoni cruschi ridotti in briciole
1 paio di peperoncini piccanti
1 spicchio d'aglio
1 ciuffo di basilico fresco
Olio extravergine d'oliva di Rapolla (Basilicata)
Sale qb
Per preparare i Capunti in casa vi consiglio di leggere questo post dove c'è anche un piccolo tutorial su come si realizzano.
Sono facilissimi e divertenti e sono certa che avrete grande soddisfazione una volta fatti.
Per il condimento, altrettanto facile, invece seguite queste indicazioni.
Sbucciate le melanzane con un pelapatate e tagliatele a dadi grandi.
Fatele cuocere in acqua bollente e salata dentro una larga casseruola per 10 minuti fino a che non saranno morbide.
Raccoglietele con un mestolo forato senza buttare l'acqua e fatele scolare bene quindi mettetele dentro un bicchiere per mixer a immersione ed aggiungete un paio di cucchiai di olio extravergine.
Frullate bene fino ad ottenere una crema liscia e vellutata.
In una larga padella dove potrete saltare la pasta, versate 3 cucchiai di olio extravergine, uno spicchio d'aglio sbucciato ed un peperoncino intero.
Sciacquate e riducete a filetti sottili i pomodorini secchi sotto sale, quindi aggiungeteli al fondo. Fate cuocere profumando bene l'olio e stando attenti che l'aglio non bruci. Fiamma dolce.
Dopo qualche minuto versatevi la crema di melanzane e mescolate bene facendo insaporire.
Assaggiate ed aggiustate di sale. Rimuovete l'aglio.
Cuocete la pasta in abbondante acqua salata quindi scolatela ed aggiungetela alla crema.
Saltate velocemente quindi impiattate, finendo con un bel giro d'olio extravergine di Rapolla e cospargendo le briciole di peperoni cruschi e foglioline di basilico.
Servite subito.

BUONE VACANZE A TUTTI!



lunedì 2 febbraio 2015

Sardegna on my mind capitolo secondo: Malloreddus

Fly me to the moon - F. Sinatra
Se qualcuno mi chiedesse di descrivere la voce della Sardegna, quella vera, che non ha l'accento del cumenda milanese o del multimiliardario russo, io risponderei: ha il suono delle Launeddas.
Che è lo stesso suono che mi porto dentro dal momento in cui, durante quel viaggio di cui vi ho già cominciato a raccontare nel capitolo primo, ho avuto il privilegio e la fortuna di incontrare il Maestro Luigi Lai.
Nome che per buona parte del mondo non significa nulla ma per chi la musica la ama e la segue, rappresenta una sorta di piccolo miracolo nell'arte di Euterpe.
San Vito è un paese di 4000 anime, situato all'ombra del Monte Lora la cui silhouette ricorda il profilo di una donna dormiente.
Non ha monumenti particolari né storie per cui essere ricordato.
Non ha palazzi storici né piazze importanti che si aprono come fiori d'estate al centro di un borgo.
E' un piccolo paese come molti in Sardegna, circondato da una natura felice fatta di corbezzoli, sughere e macchia mediterranea ed una campagna ricca di agrumeti e vigneti.
A parte questo, per me, per la Patty che qui scrive senza troppi peli sulla lingua, S. Vito ha un tesoro unico e preziosissimo ed è la musica del Maestro Lai, il poeta delle Launeddas.
Se è vero com'è vero che il nostro corpo non si nutre solo di cibo, il mio secondo nutrimento è la musica.
Considero l'incontro con questo grande musicista, il dono più bello che la Camera di Commercio di Cagliari nella persona di Giuseppina Scorrano (innamorata profondamente delle Launeddas) potesse farci.
Questo strumento misterioso ha una tradizione millenaria di cui però non si conoscono le origini.
Composto da 3 canne, una lunga (che produce un suono basso) detta "su tumbu", legata ad una canna media, "sa mancosa", quindi infine la più piccola, indipendente dalle prime due e che ha il suono più acuto: è lei quella che esegue il tema musicale, chiamata "sa mancosetta".
Le tre canne sono dotate all'imboccatura di piccole ance (linguette sottili che sollecitate dal fiato vibrano producendo il suono) e possono essere riprodotte in diverse grandezze per diverse tonalità.
Non esiste una "liuteria" per le launeddas: è il musicista a costruirsele.
E lo fa per tutta la vita, in una estenuante ricerca di perfezione, suono, intonazione, senza per altro raggiungerla mai completamente.
Come avrete capito, le Launeddas sono uno strumento a fiato ma hanno una particolarità che le rende diverse da qualsiasi altro strumento dotato di ancia: la cassa armonica è la bocca del musicista.
Se pensate ad un oboe, un clarinetto o un sassofono, il bocchino e l'ancia consentono al musicista di immettere fiato nello strumento. La vibrazione dell'ancia produce l'onda sonora che ruotando all'interno dello strumento (la cassa armonica) si trasforma in suono.
Nel caso delle launeddas, è la bocca del musicista il luogo in cui si sviluppa il suono. L'imboccatura dello strumento è posta completamente all'interno della bocca, le ance vibrano sotto il palato ed il fiato viene modulato dalle guance in un ciclo continuo come avviene in una cornamusa, solo che lì c'è una sacca di pelle a contenere il fiato del musicista.
Immaginare tutto questo per me è di una difficoltà immensa, non che scoprire che Luigi Lai ha dedicato la sua esistenza a mantenere viva una tradizione che si sta perdendo.
Durante il breve tempo che siamo stati nello studio del Maestro, ho ripreso un piccolo video che mi piacerebbe vedeste, solo per capire quanto suggestivo e commovente sia il suono di questo strumento. Note che hanno una forza evocativa incredibile, un che di ancestrale in grado si smuovere emozioni lontane.
Vi confesso di essermi ritrovata con gli occhi umidi al termine del brano, per altro scritto dal Maestro Lai. Sono convinta che vi incanterà.
Dopo la musica, è stato tempo di dolcezza.
Giunti al Centro Ippico del Sarrabus, situato a Muravera, in un paradiso di agrumi, olivi e buganvillee inondati dal sole, abbiamo osservato un altro tipo di abilità, che è quella di trasformare un frutto in una marmellata deliziosa, attraverso le mani esperte delle padrone di casa che ci hanno incantato con la loro velocità e destrezza.
Gelatina di mele cotogne, marmellata di arance, miele dai mille profumi, verdure conservate sott'olio dai sapori autentici e delicati. Alla presenza del Gal Sole Grano Terra, abbiamo potuto osservare come l'entusiasmo e la passione di pochi possano costruire una rete di condivisioni e progetti a valorizzazione di un territorio e dei suoi prodotti.
Il senso di benessere e serenità trasmesso da questo luogo sono indubbi e se dovessi consigliare una vacanza da queste parti lo farei con grande piacere.
Per chi ama i cavalli, la natura incontaminata, i cibo che sa di casa, ed anche, perché no, gli amici disinteressati.
Il viaggio partito sulle note di un'arte antica, ha proseguito verso terre disabitate e brulle dove solo i pastori hanno il coraggio di fermarsi, per poi concludersi nel più classico dei modi, con una cena da "almeno una volta nella vita", al laboratorio del gusto dello chef Perella a Villasalto.
E qui ho serie difficoltà a raccontare perché quanto abbiamo assaggiato riesco a ricordarlo solo attraverso le foto rubate....ma quei ravioli, o mamma, ci hanno lasciate tutte senza parole.
E visto che le mani in pasta qui amiamo mettercele un po' tutte, per non perdere il vizio e per vincere la nostalgia, ho voluto provare a riprodurre un formato di pasta conosciutissima, figlia dell'isola tanto amata, e che spero di avere rispettato nella sua essenzialità.
Sul condimento mi sono limitata ad un ragù a base di salsiccia, ma voi potrete scegliere il condimento che più vi intriga.
L'importante è che proviate a fare i Malloreddus con le vostre mani.
Is Malloreddus, come li chiamano i sardi, o gnocchetti sardi come più facilmente li chiamiamo noi, sono un formato di pasta di sola semola ed acqua, che non richiede una grandissima manualità, se non lo sforzo di preparare un impasto che sia abbastanza sostenuto e poi divertirsi a rigare gli gnocchi con l'uso del pollice. Per i curiosi, il significato di malloreddu, al singolare, è vitellino!
Ingredienti per 4 persone
400 g di semola (io ho usato dell'ottima Senatore Cappelli)
250 ml di acqua in cui avrete messo in infusione per almeno un'ora un pizzico di pistilli di zafferano
Formate la fontana sulla spianatoia.
Cominciate a versare l'acqua filtrata per eliminare i pistilli, e mescolate con la mano per incorporare la semola. Aggiungete acqua via via che incorporate ma state attenti a non aggiungere troppo acqua per non avere una pasta troppo morbida.
L'impasto dovrà essere elastico ma sostenuto e dovrete lavorarlo a lungo per aumentarne l'elasticità, fino a che non avrete ottenuto una bella palla liscia e vellutata che lascerete riposare avvolta nella pellicole min 30 minuti.
A questo punto tagliate la pasta a pezzi e rollatela per ottenere dei cordoncini dal diametro inferiore al cm. Tagliateli con una lama in pezzettini lunghi non più di 2 cm.
In Sardegna dicono che non devono essere più lunghi di un fagiolo.
Adesso prendete un pezzetto di pasta e schiacciatelo con il dito pollice sul rigagnocchi seguendo il lato lungo fino a che la pasta si arricciolerà su se stessa formando il tradizionale gnocchetto.
Fate asciugare la pasta sulla spianatoia. Non dovreste avere bisogno di passarla nella semola in quanto la pasta non appiccica.
Cuoceteli in abbondante acqua salata e dal momento che salgono a galla fateli cuocere c.ca 3 minuti. Assaggiate e condite a vostro piacimento.

Tornerò ancora a parlare di Sardegna nel terzo ed ultimo capitolo di questo viaggio, che spero non vi abbia annoiato troppo ;)

mercoledì 23 luglio 2014

I MAGNIFICI 6 - IL CONTEST DELL'ANNO

GO - Moby

Ci tengo tantissimo a farvi partecipi dell'apertura di questo magnifico contest, pensato per i soci dell'Associazione Italiana Food Blogger. 
Una sfida di grande contenuto, che ripercorre la storia di una cultura gastronomica inserita all'interno di un diktat che è quello della Dieta Mediterranea. La sfida è stata pensata e realizzata insieme all'Associazione Nazionale Città dell'Olio, che da vent'anni si fa difensore e promotore della cultura dell'extravergine e che da due anni sostiene un progetto europeo sulla MedDiet.
Così, per i nostri Soci, ma anche per tutti quelli che vorranno diventarlo (e rinnovo l'invito a venirci a trovare sul sito www.aifb.it per seguire la moltitudine di attività ed esperienze in divenire e ad oggi realizzate), ecco un contest ricco, importante e di grande spessore.
Uno spessore che troverete anche nella giuria che selezionerà le ricette e decreterà il vincitore.
Tutto il regolamento così come i dettagli del Contest, sono pubblicati qui .
Mi aspetto di vedervi partecipare numerosi e con grande entusiasmo.
Avete tempo fino al 1 Novembre!

giovedì 6 febbraio 2014

Nasce l'AIFB, Associazione Italiana Food Blogger

Onda su onda - Bruno Lauzi


Ci siamo. Emozionati, felici, ansiosi di condividere con voi un progetto in cui crediamo e che oggi viene alla  luce dopo due anni di lavoro ‘dietro le quinte’.

L’AIFB - Associazione Italiana Food Blogger - è appena nata, ma il suo embrione pulsante di vita aspettava da tempo di venire alla luce. 
Questo embrione aveva bisogno di un nido accogliente, di un ‘luogo’ ideale per crescere. 
Un luogo in cui persone che condividono il medesimo modo di vivere il cibo possano ritrovarsi, ufficializzare la propria presenza e sentirsi riconosciute come parti di un medesimo e più ampio progetto. 
Per istituzionalizzare quello che noi food blogger facciamo da sempre quando ci incontriamo: condividere una passione, parlare di cibo, degustare, scambiarsi conoscenze e esperienze, confrontarsi con altri mondi.

Fin dai suoi primi passi l’AIFB avrà bisogno di mani salde e amorevoli  che l’aiutino a crescere sana e forte, all’insegna di principi che consentano reali opportunità di condivisione, incontro, crescita e conoscenza per tutti coloro che amano il cibo e lo celebrano attraverso un blog.

Crediamo che tutto questo possa divenire realtà attraverso il vostro contributo e le vostre idee
Perché l’AIFB è di tutti e tutti noi possiamo aiutarla a crescere e prendere forma.

Salite a bordo con noi e AVANTI TUTTA!