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mercoledì 11 settembre 2024

TONNO DEL CHIANTI: un trompe l'oeuil di stagione.

La giornata si è aperta sotto una cortina di nebbia fitta. 
Mi sono alzata alle 4.00. 
Ho accompagnato mia figlia in aeroporto per la sua vacanza di fine estate e sono rientrata a casa alle 7.00. 
Ho fatto una ricca colazione con brioche alla crema ancora calda e doppio Ginseng presi alla panetteria dove vado di solito, ma me li sono portati a casa perché - se mi conoscete bene - odio fare colazione in piedi come i cavalli, specialmente al bar. 
Ho messo su la lavatrice e agguantato il computer per scrivere questo post dopo oltre due mesi di silenzio.
Non è che avessi poco da dire, ma sto cominciando a credere che tra il caldo ed il livello di attenzione delle persone ci sia una forza indirettamente proporzionale che li spinge lontani. 
Così, quando anche la voglia di cucinare scema, il blog va in stand by e ci si rivede a Settembre. 
Quindi, bentornati a voi e a me, se ancora avrete voglia di fermarvi da queste parti.
Le ricette che aspettano di essere pubblicate sono molte ed il tempo poco, ma piano piano ce la faremo. 
Intanto prendete al volo questa, che sa proprio di fine estate, quando si lavora alacremente per conservare cose buone per l'inverno. 
Qui c'è una preparazione ormai classica della nostra regione, in particolare di quel territorio molto amato tra Siena e Firenze, che ha dato il nome al suo prodotto più famoso: il Chianti. 
Non si parla di pesce. 
Questo è un tromple-l'oeuil bello e soprattutto buono! 
Prendete quel geniaccio del Cecchini e i racconti di qualche anziana massaia chiantigiana e il piatto è servito. 
Tenera carne di maiale che viene conservata sott'olio attraverso un procedimento che è molto vicino a quello per la conservazione del tonno, ma anche al suo aspetto finale.
Il sapore è fantastico, profumi intensi di erbe e spezie, la delicatezza di un ottimo extravergine e la semplicità del tutto. 
Potrete servire questa bontà accompagnandola con verdure fresche o una giardiniera di verdure della Pasticceria Bonci, per la quale ho realizzato questa ricetta.  
In effetti il tonno del Chianti viene esaltato da queste verdure piccanti e agrodolci assolutamente deliziose. 

Andiamo alla ricetta. 

1 kg di lonza di maiale
1 kg di sale grosso
2 l di vino bianco secco
500 ml di acqua
10 foglie d'alloro
6 bacche di ginepro
2-3 cucchiaini di pepe in grani
8 rametti di rosmarino e un mazzetto di salvia 
2 l di olio extra vergine di oliva Chianti Dop 
alcuni spicchi d'aglio 
  • Distendere la carne sul tagliere. Se è stata conservata in frigo, riportarla a temperatura ambiente prima di lavorarla. 
  • Eliminare dalla carne tutte le parti grasse
  • Tagliarla a fette di circa 4-6 cm di spessore. In una pirofila stendere un piccolo strato di sale grosso, sistemare i pezzi di carne e ricoprire tutto con il sale aggiungendo qualche foglia di salvia e rosmarino. Proteggere la pirofila con la pellicola e lasciare in frigo per circa 24 ore.
  • Trascorso il tempo necessario, lavare accuratamente la carne in acqua corrente fredda. Intanto far bollire il vino con 500 g di acqua, 4 foglie d'alloro un cucchiaino di grani di pepe e le bacche di ginepro. Unire la carne, fare riprendere il bollore e continuare la cottura sobbollendo a fiamma dolce e pentola coperta per 5 ore.
  • A cottura ultimata, lasciar raffreddare la carne all'interno del liquido di cottura anche tutta la notte. 
  • Una volta fredda, sfilacciatela con le mani nella dimensione che preferite in modo che ricordi i filetti di tonno. 
  • Riempire i vasetti  sterilizzati alternando la carne con foglie d'alloro, rametti di rosmarino e foglie di salvia, aglio a fette spesse e grani di pepe nero. Potrete usare dei vasetti da 250 o 500 ml (consiglio quelli più grandi). 
  • Ricoprite il tutto con olio extra vergine di oliva Chianti Dop, assicurandosi che la carne sia perfettamente coperta. Prima di chiudere i vasetti con il tappo ermetico, lasciate qualche minuto in modo che l’olio entri in ogni angolo e non ci siano bolle. In caso battete con delicatezza il vaso su un canovaccio appoggiato sul tavolo, quindi richiudete e riponete in frigorifero. Si può conservare fino a 2/3 mesi. 

Note

  • Le fette dovranno essere spesse perché il sale tende a seccarle privandole dei succhi quindi si rischia che la carne resti dura anche dopo cottura. 
  • Servite il Tonno con la giardiniera piccante Bonci e le cipolline borratane all’agro di mele. 



lunedì 5 settembre 2016

Confettura di pesche bianche e salvia ananas: il potere dei gesti ripetuti.

Amarantine - Enya
Se la testa va per conto suo ed i pensieri scappano impazziti come formiche da un formicaio calpestato da piede crudele, c'è un unico modo per riprendere in mano la situazione.
Che ovviamente è diverso per ognuno di noi, ma alla fine è simile ed è la ricerca di un ritmo che si accosti il più possibile a quello del battito del cuore.
Un cuore calmo ovviamente.
Io mi rifugio nei gesti ripetuti.
Lenti, conosciuti, sicuri.
Azioni che potrei eseguire ad occhi chiusi ma che nel loro identico susseguirsi, hanno un potere ipnotico e rassicurante in grado di trascinare con sé e sgombrare la mente dal casino più totale.
Di un'estate di cui vorrei cancellare traccia, resteranno perciò decine di vasetti di confettura deliziosa, profumata e discreta come un'amica a cui confidi un amore o un dolore, che tanto è lo stesso.
Il paradosso sta proprio nell'osservare come la difficoltà del vivere raggiunga la sua catarsi sbucciando una pesca succosa e cercando di impedire che i suoi pezzi ti sfuggano dalle dita come pesci guizzanti.
La lama del coltello sfiora più volte i polpastrelli ma il segreto per evitare di provarne i denti, è la lentezza, l'occhio che si aggrappa al disegno della buccia vellutata rimossa dalla polpa.
Il ritmo costante dei pezzetti che cadono nella bassina, le bolle che increspano lo sciroppo di zucchero trasparenti come vetro, il cucchiaio di legno che rotea lento nella materia rovente e la placa per un istante, per poi ricominciare.
Sento i pensieri sciogliersi nello zucchero come la polpa delle pesche e prego che non mi vengano restituiti quando spalmerò quel nettare su del pane fresco.
Una cassa di pesche bianche ancora calde di sole mi è arrivata dalla Puglia, la metà già sofferente per il viaggio.
Nonostante il caldo allucinante di questi giorni, ho deciso che non le avrei perse e le avrei trasformate in confettura.
Per quanto io ami le pesche mangiate nature, con tanto di buccia, la confettura non mi entusiasma.
In genere la trovo troppo dolce e poco personale.
Le pesche bianche che ho avuto in dono sono magnifiche: una polpa candida ed un cuore acceso di un rosso purpureo. Un sapore pieno, zuccherino, armoniosamente acidulo.
Mi hanno conquistato immediatamente ed ho deciso che le avrei sposate a della salvia ananas, che da dono splendido da parte dei miei amici Jury e Daniela, è diventata un cespuglio rigoglioso sulla mia terrazza delle erbe aromatiche.
La Salvia Ananas (Salvia Rutilans) prende il suo nome dall'ammiccante profumo di ananas che sprigiona una volta strofinata fra le dita.
E' splendida se usata nelle macedonie, nei cocktail ghiacciati, in qualche crema sorprendente, ma anche nella preparazione di chutney o liquori. Ho studiato l'argomento perché inventarmi come usare un cespuglio di tali dimensioni ci vuole fantasia.
In più è bellissima all'aspetto: foglia ovale allungata e coperta di peluria non urticante, ha un colore verde bottiglia accesso ed in autunno i vertici si riempiono di fiori allungati di un rosso appassionato.
Con le pesche bianche è un matrimonio d'amore: provare per credere. Io ne sono conquistata.

Ingredienti per 4 vasetti da 220 g c.ca
1 kg di pesche bianche al netto di buccia e noccioli
300 g di zucchero
il succo di mezzo limone
10 foglie di salvia ananas
Sbucciate le pesche un un coltello dalla lama a seghetto e tagliatele a pezzi grandi staccando accuratamente la polpa dal nocciolo.
Una volta pulita tutta la frutta, tagliatela a pezzi piccoli quindi pesatela.
Mettete la frutta nella bassina in cui la cuocerete (o in una larga ciotola), aggiungete lo zucchero,  6 foglie di salvia ananas.
Mescolate bene e coprite con una pellicola.
Tenete al fresco per tutta la notte. Durante questo tempo le pesche rilasceranno una grande quantità di succo e assorbiranno l'aroma della salvia.
Il giorno dopo, scolate le pesche attraverso un setaccio, raccogliendo bene lo sciroppo formatosi.
Versate lo sciroppo nella bassina, eliminate le foglie di salvia ed accendente il fuoco a fiamma sostenuta.
Fate ridurre lo sciroppo per c.ca 20 minuti e quando raggiungerà la temperatura di 105° (controllate con un termometro da zucchero), potrete versare la frutta nello sciroppo, facendo molta attenzione a non alzare schizzi. Aggiungete il succo di limone.
Se amate la confettura a pezzi, potrete proseguire la cottura abbassando a fiamma media, fino a che la confettura non si sarà addensata alla consistenza che preferite (non vi serviranno più di 20/30 minuti). A me piace che sia morbida e bella spalmabile.
Se invece preferite una confettura più cremosa (come piace a me), prima di versare la frutta nello sciroppo, potrete passarne 2/3 nel passaverdure oppure utilizzare un mixer a immersione, riducendo parte delle pesche in purea.
Proseguite poi la cottura come indicato sopra, schiumando via via per ottenere una confettura limpida e lucida.
Ricordate che la lunga cottura ossida la frutta, scurendo inevitabilmente il bel colore delle pesche (nel mio caso la confettura ha un bellissimo colore rosa antico) e indurendola.
Con il raffreddamento poi, la confettura diventa ancora più dura.
Quando sarà pronta, inserite una foglia di salvia ananas sul fondo dei vasetti  che avrete precedentemente sterilizzato e versatevi la confettura ancora bollente.
Chiudeteli con cura e capovolgeteli su un foglio di carta di giornale.
Coprite i vasetti con un canovaccio in modo che non prendano luce e lasciate raffreddare completamente prima di capovolgerli nuovamente (meglio tutta la notte).
Conservate il luogo fresco e buio e consumate entro l'anno.
Ho preparato questa ricetta con il metodo di Christine Ferber, che preserva la frutta dall'ossidazione e dall'eccessiva cottura.

venerdì 10 luglio 2015

Precoche sciroppate: ricordo di vacanze laboriose e felici.

Always the sun - The Stranglers
Come diligenti formichine, affrontiamo l'estate lavorando alacremente per imprigionare i sapori del sole e delle cose buone che questa stagione meravigliosa ci mette a disposizione.
E' faticoso, è impegnativo, è fonte giornaliera di incasinamento e botte di calore.
Eppure i nostri barattoli sono lì, belli in fila e pronti ad accogliere i frutti del nostro indefesso lavoro.
All'orecchio vi confido che una volta tanto vorrei essere "cicala" e stare spaparanzata al sole cantando la mia gioia oziabonda.
Le pesche sono un frutto capace di trascinarmi indietro nel tempo, alle vacanze che passavo con la mia famiglia all'Ansedonia.
Trascorrevamo il mese di agosto in una tenuta a poca distanza dal mare.
Un luogo incantevole con una ricco frutteto.
Il nostro soggiorno coincideva con la maturazione dei frutti per cui anche noi bambini aiutavamo i grandi a raccogliere le pesche, le lavavamo improvvisando guerre d'acqua in giardino ed alla fine eravamo i primi ad assaggiare le pesche pronte per essere versate nello sciroppo o la marmellata bollente da invasare.
Erano pesche rosse, così profumate e succose che credo di non averne più mangiate di così buone.
La pelle si toglieva incidendo con un'unghia alla fossetta del picciolo, e veniva via docile senza rompersi, lasciando il frutto nudo, perfetto, lucido e ancora caldo di sole.
Con un coltello e facendo molta attenzione, dividevamo le pesche a metà e queste si staccavano croccanti dal nocciolo che cadeva pulito e asciutto nel piatto.
Il resto passava alle mamme che procedevano alla cottura.
Ricordo che per ogni tre pesche sbucciate, la quarta finiva nella mia bocca, sgocciolando generosa lungo il mento ed attirando stormi di api pronte a gettarsi su quel nettare profumato.
Il divertimento di partecipare a quella catena laboriosa ci faceva sentire grandi e indispensabili. L'attenzione durava molto più del normale, ma il premio finale era troppo ghiotto.
Pagherei perché mia figlia avesse ricordi del genere.
Le pesche cotogne o precoche come le chiamano al sud, non sono così facili da trattare.
Purtroppo la loro buccia è ostinatamente attaccata alla polpa e vanno necessariamente pulite con uno spelucchino.
Inoltre il nocciolo è radicato nel cuore del frutto ed anche lì bisogna avere pazienza e scavare con la lama al fine di recuperare più polpa possibile.
Ma il loro sapore è unico e ricorda davvero tutto il sole dell'estate.
Quello che vi lascio è il procedimento per sciroppare le precoche utilizzato dai miei parenti in Puglia. E queste pesche arrivano proprio da lì.

Ingredienti per 3 vasi da 500 ml
PESCHE COTOGNE (PRECOCHE) SCIROPPATE
1 KG DI pesche cotogne o precoche a metà maturazione
440 g di zucchero
1 litro d’acqua
1 baccello di vaniglia
1 bicchierino di ruhm

Prendete le pesche e pelatele accuratamente con uno spelucchino. 
Tagliatele poi a pezzi grandi, spicchi o metà, anche se sarà difficile staccarle dal nocciolo.
In un litro d’acqua fate bollire lo zucchero con il baccello di vaniglia inciso sulla lunghezza per almeno 10 minuti fino a quando non si formeranno delle bolle grandi in superficie.
A questo punto versateci le pesche, il ruhm e fate bollire per non più di 5 minuti.
Prendete dei vasi grandi distillati in precedenza, in cui potrete mettere tutte le pesche.
Filtrate velocemente lo sciroppo e riempite i vasi comprendo bene le pesche. Chiudete ermeticamente.
Lasciatele al buio e fresco per almeno 3 mesi.
Potrete consumare le pesche e conservare lo sciroppo come bagna per dolci e farciture.

lunedì 1 settembre 2014

Settembre ricomincia con ThreeF

The sweetest thing - U2
Considerando l'estate appena passata, fatta di bombe d'acqua (e non gavettoni), temporali al limite del nubifragio, vento inarrestabile, grandine e si, anche neve, probabilmente il mese di Settembre che sta appena cominciando, ci riserverà giornate calde e temperate dal colore dorato.
Dico probabilmente perché gli ultimi mesi ci hanno provato che nulla, mai va dato per scontato quando si parla di meteo.
In ogni caso, se avete nostalgia di calore e cercate l'evasione dalle rogne del maltempo, ci ha pensato la Redazione di ThreeF a creare l'atmosfera perfetta per imprigionare la bellezza dell'estate.
Tra le pagine del numero di Settembre, che potrete sfogliare a partire da oggi, c'è tutta la fantasia e creatività delle amiche in materia di recupero e trasformazione.
Nulla si spreca e tutto si rinnova, sempre con un occhio attento alla stagionalità ed al sapore, al gusto.
Immagini come sempre bellissime ed evocative, con il tocco minimale e delicato che contraddistingue lo stile di ThreeF.
Inoltre potrete scoprire qualcosa delle persone che da ormai 7 numeri, lavorano dietro lo quinte di questo piccolo gioiello. Le tre F misteriose che per la prima volta si presentano a voi.
Scaricate e sfogliate il numero 7 di ThreeF e buona lettura a tutti.

lunedì 11 febbraio 2013

Marmellata di arance e le storie del Belèssa.

Amarcord - N. Rota
Appena calava il sole, correvamo a guardarlo. 
Sapevamo di trovarlo là, con la falce in mano. Faceva lenti movimenti circolari, ritmici, perfetti e la lunga erba che un minuto prima era lì, alta quasi fino alle ginocchia, adesso formava mucchietti di fieno che lui sistemava ordinatamente intorno a sé. 
Noi bambini sedevamo sul prato, le ginocchia fra le braccia e lo osservavamo in silenzio, ipnotizzati. 
Il suono della falce era un sibilo di vento. 
La lama luccicava fra l'erba. 
Il nonno era grande. O almeno io lo ricordo così. Spalle larghe, forti, un bel portamento elegante. Era alto ed aveva un'espressione mite, rassicurante. Ricordo la sua onda nei capelli anche quando era scarmigliato. 
Lavorava la sua campagna silenzioso ed ogni tanto ci lasciava usare il rastrello di legno che era così lungo da doverlo tirare in due. 
Quando aveva finito con la falce, si sciacquava nella fonte, si sedeva sotto la pergola accanto al tavolo di pietra, e si rollava una sigaretta. 
Mi chiedevo ogni volta come riuscisse a prepararsi una sigaretta così sottile con quelle manone. 
Usava una scatoletta magica: sfilava una cartina da una piccola busta, prendeva un pizzico di tabacco  da una tasca e delicatamente riempiva lo spazio concavo sulla cartina appoggiata alla scatola. Poi chiudeva il coperchio e la sigaretta usciva rotolando dall'alto. La magia era fatta. 
Fumava piano, tenendo la cicca tra il pollice e l'indice, lo sguardo sempre rivolto al suo lago. Finita la sigaretta, si faceva un bicchiere del suo vino e se ci avvicinavamo, ce lo offriva inzuppando un pezzetto di michetta. 
Se era buono quel pane colorato di rosso. 
In paese lo chiamavano El Belèssa. Era figlio del Belèssa, il mio bisnonno che non ho mai conosciuto e come lui si meritò questo appellativo. Il Bellezza. 
Di conseguenza mia madre, anche lei bellissima, divenne "la fioea del Belèssa". 
Un nonno bello anche quando si ammalò e perse la parola, lui che amava tanto raccontare. 
Negli ultimi tempi, nel letto d'ospedale, il suo più grande dispiacere era non poter parlare con noi. 
Si arrabbiava come una furia e nel tentativo di articolare qualche suono, potevamo riconoscere le sue classiche parolacce in dialetto. Allora scoppiavamo a ridere come matti (trattenendo un groppo in gola) e lui si calmava e rideva con noi.
In quelle sere d'estate trascorse al lago, ci sedevamo all'aperto e ascoltavamo sue avventure. Aveva una voce baritonale, sicura e parlava un bell'italiano interrotto ogni tanto da qualche parola dialettale. Questo rendeva tutto più colorito. 
Il nonno ci rapiva ogni volta con la storia del "Regolo". 
Nelle valli intorno alla casa dei nonni, si trovavano spesso serpenti, salamandre, ramarri e non era difficile incontrare vipere. 
Noi bambini eravamo costantemente avvisati: e non salite sulle rocce, e non camminate nell'erba alta, e attenti a dove mettete le mani....insomma una vera e propria litania di raccomandazioni. 
Che venivano puntualmente ignorate. 
Il nonno invece ci incuteva un terrore senza limiti con una semplice storia. 
"Il Regolo è il re dei serpenti. Quello che ha vissuto più a lungo e che può arrivare ad oltre cento anni. Allora si trasforma e diventa il Regolo. E' velenoso e terribile ma è cieco, corto e tozzo, non può muoversi con velocità. 
Ha la testa grossa come quella di un gatto e se si sente in pericolo emette un fischio che richiama a sé tutti i serpenti della zona. Allora tu sei spacciato". 
Il nonno affermava di averlo visto da lontano in una piccola radura e che, senza farsi accorgere lo aveva sorpreso ed ucciso con una badilata. Lo aveva poi infilato in un sacco e mostrato a mia nonna, ma non a mia madre, perché a quel tempo era incinta di mia sorella e si sarebbe spaventata. 
La fantasia di noi bambini andava al galoppo. Eravamo curiosi e al contempo terrorizzati. Avremmo voluto vedere questo Re dei Serpenti e magari incontrarlo, ma per tutta risposta finivamo col sognarcelo la notte e risvegliarci madidi di sudore. 
Il nonno rideva di gusto a vederci così spaventati e ripartiva con un'altra delle sue meravigliose storie. 
Le sere d'estate volavano via dietro la sua voce.
Questa è una foto di mio nonno Donato scattata da un fotografo tedesco che passava per la mulattiera lungo la quale sorge la casa dei miei nonni. 
Stava scattando foto al paesaggio e quando vide mio nonno, allora già over 70, gli chiese di posare per una foto. Stava andando nella sua campagna come ha fatto per tutta la vita fino al giorno in cui l'ictus si è portato via le sue parole e le sue gambe.
Io lo ricordo sempre così, con i suoi attrezzi ed io suo bel sorriso sincero.  
Mio nonno amava mangiare bene
Mia nonna Gina non amava molto cucinare e preparava spesso le solite cose, che però erano piatti portentosi. Ma mia madre, da grande, quando ormai sposata aveva imparato a cucinare dei buoni mangiarini, viziava mio nonno ogni volta che andavamo al lago. Lui era goloso di dolci ed una delle suo cose preferite era la zuppa inglese ed i biscotti inzuppati nel vino. 
Quando mi sarei divertita a coccolarlo con il cibo se ci fosse ancora. 







Questa ricetta è da un po' che aspetta di essere pubblicata. 
La coincidenza ha voluto che l'ultima volta che ho parlato del lago, stessi preparando la confettura di albicocche. 
Questa volta sono arance, in una ricetta abbastanza semplice e veloce anche se richiede una discreta pazienza e l'uso di arance buonissime! 
Marmellata di arance (per c.ca 6 vasetti medi)
2 chili di arance bionde di Sicilia
1 chilo di zucchero
il succo di 2 limoni
2 cucchiai abbondanti di buon Rum
Pelate la buccia di un'arancia togliendo accuratamente solo la parte arancio e tagliatela a julienne sottili. Mettete acqua fredda in un padellino, aggiungete la scorza a julienne. Portate a ebollizione quindi scolate. Ripetete l'operazione 3 volte. Questo serve ad eliminare l'amaro dalle scorzette. Tenete da parte.
Adesso comincia il lavoro più lungo. Dovete pelare al vivo le arance. Usate un coltellino affilato con lama a seghetto e togliete quanto più bianco riuscite perché nella cottura è proprio lui a rilasciare l'amaro. 
Versate la polpa dell'arancia in una larga pentola (possibilmente antiaderente) ed aggiungete lo zucchero. Mescolate e cuocete a fiamma vivace per almeno 40 minuti. La frutta comincerà a schiumare ma non c'è bisogno che togliate la schiuma. Piano piano, con la cottura, si assorbirà. 
Dopo c.ca 40 minuti, il composto sarà ancora liquido. Se a voi piace la marmellata senza pezzetti di frutta, potrete a questo punto passare velocemente il mixer a immersione, altrimenti lasciate tutto così com'è ed aggiungete le scorzette. Proseguite la cottura per almeno altri 30/40 minuti, monitorando la densità della marmellata. Scegliete il vs. grado di cottura, ma ricordate che raffreddandosi la marmellata diventa più "dura". Io ho preferito lasciarla un po' più morbida. 
Una volta pronta (se volete, fate la prova piattino, ovvero controllate se una goccia di marmellata versata sul piattino scivoli fluida o molto lentamente. Nel secondo caso la marmellata è pronta), spegnete la fiamma e versate il succo dei limoni ed il rum nella marmellata ancora calda. Mescolate bene e versate immediatamente in vasetti sterilizzati. Tappate con cura e capovolgete. Fate raffreddare e conservate al fresco, possibilmente in un luogo lontano dalla luce. 
Se attendete un mese prima di consumarla, sarà sicuramente ancora più buona. 

venerdì 7 settembre 2012

La mia polpa pronta e della salsa fatta in casa

Let's call the whole thing off - Ella Fitzgerald and Louis Amstrong
Una cosa che in casa mia non si compra, non si è mai comprata e probabilmente mai si farà, è la passata di pomodoro. 
Chiamatela salsa, chiamatela conserva, chiamatela come volete, ma se fosse per la mia famiglia e quella di mio marito, la Cirio e affini, avrebbero vita molto difficile. 
Non avevo neanche 4 anni, ed uno dei primi ricordi chiari che ho impressi nella mia mente, sono gli agosti trascorsi a Roma a casa di mia nonna Emma ed il rito della salsa. Perché di vero e proprio rito trattasi. 
La famiglia di mio padre era molto numerosa: sei fratelli, tutti sposati e all'epoca piuttosto prolifici (io sono la prima nipote ma dopo di me si è scatenato l'inferno) e fare la salsa non era una roba per vecchi. 
Mia nonna comprava mediamente dai 5 ai 6 quintali di pomodori. 
Non ridete: fate il rapporto tra i 6 quintali che mia nonna comprava per produrre salsa per c.ca 18 persone e mia suocera che ne compra 3 per sole 7 persone. 
Adesso potete capire perché in casa mia la salsa fatta in casa è una cosa seria. 
All'epoca fare la salsa non solo era un rito, ma tutto si trasformava in un pretesto per far festa. Si cominciava il pomeriggio, quando il solleone si placava e noi bambini a lavare tutti 'sti pomodori galleggianti nelle tinozze e a spruzzarci dalla testa ai piedi. 
Le donne erano le addette alle bottiglie. Il lavaggio era la cosa più fastidiosa e lunga e quando le bottiglie erano pronte (in genere si cominciava la sera prima ...avete idea del numero di bottiglie?), i pomodori puliti venivano tagliati a metà. Nonna dirigeva i lavori e di regola, sedeva al passaverdura elettrico dove cominciavano a venire passati i pomodori. Gli uomini erano gli addetti a riempire e tappare le bottiglie con l'inserimento del basilico (fondamentale). 
Si finiva di tappare le ultime bottiglie intorno alla mezzanotte. Centinaia di bottigliette di birra piene di questo oro rosso, venivano sistemate in 3 caldaie gigantesche (dove avremmo potuto entrare con facilità anche noi bambini) alternate con la carta di giornale affinché bollendo, non si spaccassero. Restavano a bollire coperte di acqua, tutta la notte.
Nel frattempo, nonna aveva approntato una tavolata nel cortile, dove tutti quanti, stanchi ma felici, Ci ritempravamo con pane e pomodoro, pane e olio, mozzarelle e l'immancabile anguria gigante. 
Quando mi sono sposata, questa eredità che ho avuto fortuna di ricevere fino a oltre 20 anni (poi nonna ha smesso ed ha cominciato mia madre), mi è ritornata da mia suocera, che tutt'ora nonostante l'età e gli acciacchi, non rinuncia alla salsa fatta in casa per tutta la famiglia. 
Confesso che 2 anni fa io e mia cognata ci siamo offerte di fare la salsa. Abbiamo affrontato i famigerati 3 quintali di pomodori e tutto è avvenuto il giorno di Ferragosto. Indimenticabile: vi garantisco che, dopo la vendemmia, fare la salsa è una delle cose più estenuanti che esistano. 


Dal mio ultimo viaggio in Molise, la settimana scorsa, ho riportato una discreta quantità di pomodori San Marzano favolosi: dolci, maturi, con una pelle sottilissima...insomma in una parola perfetti. 
Mia suocera me li ha impacchettati ben bene e la mia idea era quella di farci qualche barattolo di polpa pronta, perché a me piace molto il pomodoro intero o a pezzettini, tanto per alternarlo alla salsa. Così mi sono messa al lavoro. Erano solo 5 o 6 chili, quindi ho fatto presto. Ma non c'è cosa più facile al mondo se volete imprigionare l'estate ed avere qualcosa di veramente buono con cui vestire i vostri spaghetti quest'inverno. 
Ingredienti:
- Pomodori San Marzano maturi (da loro dipende la qualità della vs conserva)
- Un bel mazzo di basilico 
- Vasetti sterilizzati
- Una caldaia d'alluminio grande. 
Mettete a bollire una pentola piena d'acqua e tuffateci pochi pomodori alla volta. Fateli bollire pochi secondi, quindi toglieteli con un mestolo forato. Con uno spilucchino incideteli sulla pancia e la pelle verrà via con estrema facilità. Possibilmente fate questa operazione con i pomodori ancora caldi. Lo so, è fastidioso, ma farete velocissimo. Conservate le bucce.
Una volta pelati tutti i pomodori, tagliateli a metà e eliminate i semi ed il frenulo centrale in modo da ottenere solo due metà completamente pulite. Conservate i semi e i frenuli.
Prendete i vostri petali di pomodoro e tagliateli a metà nella lunghezza quindi  striscioline non troppo sottili. 
Mettete qualche foglia di basilico sul fondo dei barattoli, quindi cominciate a invasare, ricordandovi di mettere altro basilico a metà del barattolo, quindi in cima una volta riempito. 
Chiudete bene i barattoli e sistemateli nella caldaia, usando anche degli strofinacci per separarli, affinché non urtino tra loro durante la bollitura. 
Coprite i barattoli di acqua fredda e portate a ebollizione. Devono bollire almeno 30 minuti. Una volta trascorso il tempo. Spegnete il gas e fate raffreddare nell'acqua. 
E con le bucce e semini? Qui non si butta via niente. 
Passateli bene al passaverdure ed avrete la vostra salsa pronta per la spaghettata di domani. 
Psssss....tanti auguri Amore mio! 


Con questa ricetta partecipo al contest di About Food sulle conserve



giovedì 3 novembre 2011

Oddio mi sto rimpicciolendo! Crema di marroni dell'Amiata

Eye in the sky - Alan Parsons Project
Fresca di diploma di maturità al linguistico (la bellezza di c.ca 26 anni fa), una sparuta spedizione di 4 sgallettate piene di sogni ed illusioni, tra cui la sottoscritta, prese il bus per Firenze e si recò all'allora sede dell'Alitalia, situata proprio a due passi da Ponte Vecchio. Timide ma risolute, le quattro signorine di provincia, chiesero informazioni su come si potesse diventare hostess di volo e quali fossero i requisiti fondamentali. Venne loro consegnato un modulo da compilare per la richiesta di partecipare all'esame di selezione, e fu comunicato frettolosamente che oltre alla perfetta conoscenza di due lingue, i requisiti fisici erano chiari: altezza non inferiore al m 1.68 e non superiore al m. 1,74, 10/10 di vista e bella presenza. In un colpo solo, delle 4 potenziali hostess, ne vennero fatte fuori 2: la mia amica Laura e la sottoscritta, entrambe cecate come talpe, che dall'alto dei nostri m.1,76, secondo Alitalia avremmo potuto dedicarci a spolverare allegramente il soffitto della fusoliera con il solo utilizzo delle nostre code di cavallo.  In quel momento però uno dei sogni di gioventù si chiuse frantumandosi contro l'ingiusto destino che mi aveva tolto diottrie e dotata di lunga coscia! Non vi sembri strano: per anni ho sofferto il fatto di essere lunga o alta, chiamatelo come volete. A 12 anni con il 40 di piede e già alta come adesso, i nomignoli più gentili che mi son portata dietro per anni sono stati Piedone a Hong Kong o "La cavalla" e voi sapete bene quanto possano essere crudeli gli adolescenti. Ero alta e atletica, una sorta di maschiaccio. Stavo nella squadra sportiva per obbligo perché ero un mastino competitivo e per anni sono stata una promessa dell'atletica locale; promessa interrotta repentinamente quando ho scoperto la musica. Quando poi ho capito di essere una femmina ed ho cominciato ad andare alle feste, a fine anni '80, è stato ancora peggio. Le feste erano nel pomeriggio. Si ballava e il tutto finiva relativamente presto perché la musica disturbava il vicinato. Ricordo con angoscia quella volta che mossa da delirio di vanità decisi di mettermi i tacchi e restai tutta la sera appiccicata alla parete per la vergogna di sentirmi come la giraffa Carmelina in un parterre di Puffi. Purtroppo, come sempre accade, ci accorgiamo della nostra fortuna quando ormai è troppo tardi. Ultimamente durante una visita medica generale, alla misurazione dell'altezza, il dottore ha sentenziato: "Altezza m 1,74". A bocca spalancata ho chiesto: "Mi scusi sa, ma io ho sempre saputo di essere alta 1,76". Lui, di tutta risposta, ridendo mi fa: "lei ERA alta 1,76, non sa che con gli anni ci si riduce? Lei ha perso 2 cm." 
Gosh...mioddio sto rimpicciolendo! 

lunedì 8 agosto 2011

Raptus "libera tutti" e bio-pesto per Alice

La banda - Mina
Week end di lavori forsennati. Avete presente i raptus "libera tutti" ovvero quelle giornate in cui vi assale l'irrefrenabile voglia di svuotare mezza casa di tutto l'inutile ciarpame accumulato giorno dopo giorno, anno dopo anno?  Abitualmente questi momenti si presentano con l'arrivo della buona stagione, come se la rinascita della natura corrispondesse ad una sorta di catarsi individuale, ed invece di un cambio pelle, cambiamo l'ordine dei mobili, svuotiamo cassetti, scarichiamo pensili, ritroviamo oggetti che pensavamo perduti...insomma ci facciamo un mazzo tanto e alla fine ci sentiamo leggere e felici. Il mio week end è stato così e con mia grande soddisfazione sono riuscita a liberarmi di una gran quantità di cose assolutamente inutili e fare spazio là dove pensavo non sarei mai più riuscita a fare entrare uno spillo. Non sono queste soddisfazioni? Lo so, lo so, vi vedo lì a fare si con il capino. E' difficile staccarsi dalle cose, alcune hanno valore perchè ci ricordano un momento, una situazione. Ma poi, finiamo con il riporre tutto in una scatola e non lo guardiamo più. Non ci rendiamo conto che in realtà tutto è già dentro di noi, quel momento, quella situazione; a cosa ci serve dunque accumulare ricordi se questi sono già parte di noi? Poi spesso le cose finiscono con il riempire la nostra casa solo per pigrizia. Ci diciamo: oh, forse questa potrebbe essermi utile; oh, ma che cosa carina, potrei usarla....maddove? Non la userete mai, starà lì a prendere polvere e la sposterete da un luogo all'altro senza sapere cosa farne. Questo è il segno: buttare, via, via...non vi servirà mai! Ho scoperto che liberarsi delle cose è una terapia fantastica. Rimettere in ordine intorno a se è fare ordine dentro di se. Ogni volta che lo faccio, mi sento bene, sono felice e stranamente mi riempio di un'energia incredibile. Succede anche a voi? 
Al termine di queste giornate frenetiche, ho avuto anche il tempo per preparare il pesto per la mia asparagina. Rigorosamente bio, come potete notare. Quest'anno il mio basilico ha avuto uno sviluppo esagerato. Le piantine hanno raggiunto un'altezza tale che per questa prima mandata di vasetti, ho sfoltito mezzo cespuglio, ma come potete vedere, ho ancora un bel po' di basilico a disposizione per una seconda mandata. Non ne so neanche io la ragione, ma tutte le erbe aromatiche sono cresciute e prosperano felici nella mia fioriera: l'origano già in fiore, verrà presto tagliato per metterlo a seccare; il timo limoncello e la maggiorana sono lì che si danno la manina e ogni tanto vedo che ondeggiano a ritmo di musica; la salvia ha messo su dei muscoli che fa impressione. Dovrò quanto prima ridimensionarla e penso che la farò fritta (la adoooooroooo) anche se mio marito mi guarda male quando sente la parola "fritto" (perchè poi se ne mangia uno scatafascio). Se avete altre idee di come utilizzarla, sono tutt'orecchi. Un po' defilato se ne sta il rosmarino, perché dopo che l'abbiamo ridotto ai minimi termini (era diventato un cespuglio di quasi un metro), forse si è un po' offeso e cresce circospetto, sia mai che gli ritocchi subire lo stesso trattamento. 
Qualcuna di voi griderà allo scandalo ma io faccio il pesto senza aglio. Lo so, è come entrare in chiesa con i pantaloncini corti, ma sia io che mia figlia non andiamo molto d'accordo con l'aglio crudo. Così anni fa, dopo un primo esperimento con ricetta modificata, ho portato a tutti i miei colleghi un vasetto di pesto per averne un'opinione e mi sono sentita dire: ma non è che ne avresti ancora? Così ho continuato sulla mia strada ed il mio pesto adesso arriva in casa dei miei, di mia sorella e mia cognata ed io non mi vergogno più tanto di svelare la mia colpa. In più mia figlia lo adora e lo mangerebbe praticamente tutti i giorni. Ecco gli ingredienti:
Per 2 vasetti piccoli come quelli in foto:
- 200 dl di olio extra vergine d'oliva (io uso il delicatissimo "Gentile" di Larino, eccellente olio Molisano)
- 50 gr di basilico (rigorosamente bio-mio)
- 50 gr di pinoli
- 30 gr. di parmigiano grattugiato
- 30 gr. di pecorino sardo (o romano se preferite)
- un pizzico di sale grosso
Se avete un mortaio di marmo, potete farlo a mano, pestando le foglie con i pinoli, il sale ed il formaggio, ed aggiungendo a filo l'olio fino ad ottenere un composto cremoso, altrimenti usate il minipimer frullando insieme tutti gli ingredienti e facendo molta attenzione che le lame non si surriscaldino. In realtà ci vogliono pochi secondi ed il vostro pesto sarà perfetto. Si conserva qualche giorno in frigo e per lungo tempo in congelatore. 







giovedì 21 aprile 2011

Ritorno da Finibus Terrae - pomodorini secchi sott'olio alla Barese

Vieni a ballare in Puglia - Caparezza 
Casa. Rientro a Siena frastornata e ubriaca di stanchezza. La botta finale me l’ha data il volo del mattino da Bari a Firenze con scalo a Roma quindi navetta fino alla stazione dei bus e un’altra ora e mezzo per arrivare a casina. Alias, dalle 5.00 del mattino alle 2 del pomeriggio, ho impiegato ben 9 ore per tornare nei miei posti, lo stesso tempo che impiegherei per andare a N.Y. con più comodità.
Solo ieri ho salutato le mie amiche americane, baci abbracci e commozione d’uso, per tornare alla routine d’ufficio.
Il resto del nostro viaggio è stato un crescendo di emozioni ma lo sapevo già, perché il Salento è una terra spettacolare che merita tempo ed attenzione, ma il clima non ci è stato d’aiuto.
Scendendo da Andria ad Alberobello un vento di tramontana ci ha massacrate strattonandoci a destra e a manca; a Ostuni, un diluvio ci ha preso in pieno e abbiamo dovuto ripiegare come soldati in fuga prima di poter arrivare alla cattedrale. Siamo arrivate a Lecce nel tardo pomeriggio con un temporale incazzatissimo e fortunatamente la nostra quarta compagna, “the GPS Lady “, ci ha condotte sane e salve a destinazione di fronte al nostro Hotel, lo splendido Risorgimento, pieno centro.
Siamo entrate nella hall proprio mentre i partecipanti al Festival Internazionale del Cinema che alloggiavano nello stesso Hotel, scendevano per il cocktail. Per un momento avrei voluto essere invisibile, non per niente: delle 3, nessuna si salvava…sembravamo un gruppetto di scampate ad una centrifuga, vestite con decine di strati di roba perché prevedendo il bel tempo, nessuna di noi aveva pensato di munirsi di almeno un capo pesante; capelli alla Bridget Jones dopo la corsa in decappottabile, facce livide dal freddo: insomma delle splendide disperate!
Durante il check in, Carlo Verdone, Tony Servillo, Christian De Sica ed altri nomi di identica fama, chiacchieravano amabilmente ad un metro da noi ed io pregavo che non succedesse nulla che potesse attirare attenzione (avete presente Albachiara): proprio in quel momento è arrivato con grandi sorrisi e festeggiamenti, il direttore dell’Hotel, amico da tempo, che mi chiama per nome a gran voce. La morte civile. Cerco di mantenere un contegno ma già le teste si erano girate dalla nostra parte e per un momento ho avuto la netta impressione di non avere più circolazione sanguigna in nessuna parte del corpo: pallida lo sono di natura, ma in quel momento credo che la mia faccia abbia assunto il colore di una cagliata.


Parentesi hotel a parte, le nostra tappe successive sono state indimenticabili: domenica delle Palme eravamo a Otranto. Siamo arrivate che erano le 11.00 ed abbiamo trovato una città gremita di gente: bambini vestiti a festa con fasci di rami d’olivo più grandi di loro; carretti con incredibili palme intrecciate a mo’ di cesto guarnite di rose e steli di grano, bellissime; capannelli di uomini assiepati in piazzetta in attesa della fine della messa; bancarelle di dolci nella migliore tradizione; signore eleganti e frettolose con il pacchetto delle pastarelle…insomma una splendida giornata di festa. Non pioveva e dopo avere fatto il giro della città, un po’ di shopping e tentato senza successo di entrare nella Cattedrale (alle 12.00 in punto una signora malmostosa e totalmente sprovvista di carità cristiana, spingeva letteralmente fuori le persone dopo la messa, impedendo a chiunque di entrare perché “io c’ho da andà a mangiare” ), ci siamo sedute ad un bar lungo la passeggiata a mare, ed abbiamo ordinato un aperitivo. Con 4 euro a testa ci siamo viste portare una scatafasciata di piattini zeppi di ogni delizia, dalle olive ripiene, rustici di ogni tipo e colore, mandorle salate, mini friselle con pomodoro strofinato, mozzarelline e minuscoli tramezzini al prosciutto, bruschette al tonno e salmone...abbiamo fatto pranzo! Alle 13.30, improvvisamente, intorno a noi si è fatto il vuoto. Nessuno in strada, nessuno nella piazza, nessuno sul lungo mare...Abbiamo preso la macchina e siamo partite per Santa Maria di Leuca, attraversando paesi deserti, incrociando un paio di gatti ed un cane ed ogni volta la nostra macchina è stata guardata con fare curioso, come a dire "macchecavolo ci fate voi in giro invece di essere a magnà?". Abbiamo guidato lungo la costa emozionandoci di fronte ad un paesaggio addormentato ma poderosamente evocativo ed una volta a Leuca, siamo restate senza parlare per una decina di minuti di fronte alla bellezza del mare ed alla traccia che disegnano le correnti del mare Adriatico e quello Ionio al loro incontro.
Di ritorno a Lecce, ci siamo beate della bellezza del centro storico e dei suoi palazzi di pietra color avorio, decorati come merletti e stremate siamo rientrate in camera. Ci aspettava la cena migliore del nostro viaggio, che dopo la sosta ad Antichi Sapori, era veramente difficile da battere. Siamo state ospiti del Ristorante "Quattro Speziere" all'interno del Risorgimento, magistralmente diretto da Donato Episcopo, giovanissimo ma straordinario chef con il sole ed il mare salentino nelle vene. La luce all'interno del ristorante, non mi ha consentito di testimoniare la meraviglia visiva e cromatica  della presentazione dei vari piatti. Abbiamo gustato estasiate dei fusilli fatti rigorosamente con il ferro e freschissimi frutti di mare con filettini di zucchina, su letto di salsa al basilico e limone, e l'equilibrio dei sapori era così perfetto da poter distinguerne ogni singola sfumatura; il capolavoro della serata è stato un filetto di cernia in crosta di farina, sale e chiara d'uovo, una tecnica fantastica perchè consente di cucinare il pesce senza seccarlo, conferendo però alla polpa la fragranza del pane...il pesce servito su una salsa di asparagi, con spinaci al vapore e una quenelle di purea di patate al nero di seppia!!! Non potete immaginare il risultato cromatico di questo abbinamento, e come la patata nera, sciogliendosi sulla salsa di asparagi creasse dei disegni ipnotici e straordinari. Gusto incantevole e leggerissimo. Il dolce, un' architettura complessa di pasta sigaretta, ripiena di un sofficissimo composto di youghurt e meringa all'italiana, il tutto adagiato su un letto di ananas centrifugato e cremoso. La croccantezza della pasta sigaretta con la leggerezza aerea dello yougurt, ci ha mandato in estasi. 
Salutata Lecce con il cuore in lacrime, siamo partite alla volta di Bari dove abbiamo trascorso la nostra ultima notte pugliese. Ci siamo lasciate alle spalle un temporale e Bari ci ha accolte con un sole schietto e incoraggiante. Ho guidato le mie ospiti nelle stradine strette e colorate della città vecchia, dove dall'alto sventola allegro il bucato della giornata. Le signore piccole e sorridenti, smuovevano i loro setacci su cui riposavano orecchiette fresche di giornata ad asciugare al sole. Mi sono fermata in una bottega in cui a malapena potevano entrare 3 persone contemporaneamente, per comprare dei pomodorini secchi il cui profumo arrivava fino all'ingresso. Ne ho preso mezzo chilo: 3 euro! Con il cuore a pezzi per non poter comprare ogni tipo di bontà esposta nel negozietto (poi dove me li mettevo dovendo volare?), ci siamo avventurate questa volta nella via dello shopping, Via Sparano, e stanche ma felici, ci siamo concesse un aperitivo ad un simpatico bar all'aperto. 
Abbiamo brindato alla Puglia, alla meravigliosa terra ed alla sua gente con il desiderio di tornare al più presto.
Pomodorini secchi alla barese:
dalla ricettina consegnatami a voce dal proprietario della botteghina di Bari, un baldo ragazzotto simpatico con la verve tipica della gente di Bari:
Per 500 gr di pomodorini secchi vi servono:
1 litro 1/2 di acqua
1 litro di aceto di vino bianco
3 spicchi d'aglio
peperoncino piccante
prezzemolo
origano
1 litro di olio extra-vergine di oliva possibilmente di Andria o Corato
Mettere a bagno nella miscela di acqua e aceto i vostro pomodorini per c.ca 30 minuti. Scolare e strizzare bene, e lasciare asciugare accuratamente per tutta la notte.
Preparare la base con le vostre foglioline di prezzemolo spezzate a mano, gli spicchi d'aglio a fettine non troppo sottili, l'origano, il peperoncino (se gradite) ed alternate l'inserimento in barattolo con pomodorini e il resto degli ingredienti, preoccupandovi di mettere i pomodorini con la buccia rivolta verso il tappo. Coprire abbondantemente con l'olio d'oliva spingendo bene il tutto nel barattolo. Tappare accuratamente e conservare in luogo buio e fresco. 
Salute a Bari !