venerdì 29 novembre 2013

Mini Pie di mele selvatiche: una questione di atteggiamento.

I say a little payer - Aretha Franklin
"La nostra paura più profonda non è di essere inadeguati.
La nostra paura più profonda è di essere potenti oltre misura.
E' la nostra Luce, non le nostre Tenebre, ciò che più ci spaventa.
Ci domandiamo: chi sono io per essere brillante, splendido, ricco di talento, favoloso?
In realtà, chi NON devi essere?
Sei un figlio di Dio. Farti piccolo non serve al Mondo.
Non vi e nulla di illuminante nel restringersi cosicché gli altri attorno a te non si sentano insicuri.  Noi siamo nati per rendere manifesto il divino che è dentro di noi. 
Non è soltanto in alcuni di noi: è in tutti.
Facendo brillare la nostra Luce, inconsciamente diamo agli altri il permesso di fare lo stesso. 
Mentre noi ci liberiamo della nostra paura, la nostra presenza automaticamente libera gli altri." 
(Nelson Mandela, dal discorso di Insediamento del 1994).

Oggi voglio raccontarvi una storia che ho letto qualche tempo fa ma non ricordo bene dove, che mi torna in mente ogni volta che mi sento come oggi, ovvero completamente smarrita e senza alcuna percezione di quel che sarà il mio futuro. Questa sensazione purtroppo è ciclica e puntualmente si presenta alla fine di un anno complesso, duro, frustrante e possibilmente da dimenticare, come quello che sta chiudendosi.
Mi aggrappo con le unghie e con i denti a questo pensiero e spero che sia utile anche a voi, se non altro per non perdere mai la voglia di guardare avanti, di avere fiducia e credere profondamente in se stessi.

Nel dicembre del 1914, il laboratorio di Thomas Edison, fu ridotto in cenere da un terribile incendio che si scatenò nell'edificio per motivi mai chiariti.
I danni furono enormi, terribili, ed all'epoca superavano i 2 milioni di dollari.
Per ironia della sorte, il laboratorio era coperto da un'assicurazione che però risarciva solo 1 decimo dei danni stimati, perché essendo i muri di cemento, erano considerati resistenti alle fiamme.
Il lavoro di una vita dello scienziato andò in fiamme quella notte, sviluppando un incendio di spettacolare portata.
Il giovane figlio ventenne di Edison, Charles, cercava il padre disperatamente non trovandolo tra il fumo e le macerie, quando ad un certo punto lo vide seduto sui resti di un muretto.
L'uomo osservava pacifico la scena, il volto illuminato dalle fiamme ed i bianchi capelli mossi dal vento.
Charles sentì il cuore stringersi alla vista di quel vecchio che guardava la sua vita incenerirsi senza battere ciglio.
Il vecchio Edison, all'epoca quasi settantenne, vide il figlio e di colpo cominciò ad urlare: "Dov'è tua madre? Trovala immediatamente, portala qui: non vedrà mai uno spettacolo del genere in tutta la sua vita."
Il giorno dopo, tornando sul luogo del disastro, lo scienziato abbracciando il figlio disse: "Un disastro è molto utile. Tutti i nostri errori sono inceneriti.
Grazie a Dio siamo ancora qui e possiamo ricominciare".
Tre settimane dopo l'incendio, Thomas Edison consegnò il suo primo fonografo.
Non devo dire nulla di questa ricetta, in realtà è di una semplicità disarmante e di una bontà che non ha eguali e che naturalmente è scontata ogni qualvolta si ha come protagonista un semplice frutto come una mela.
In questo caso si tratta di mele selvatiche, che arrivano direttamente dal Molise, dagli alberi selvatici della Casa del Vento (un giorno vi parlerò anche di lei).
Sono mele di cui non conosco l'origine, ma hanno un gusto dolce e lievemente acidulo, con un lontano sentore di rosa. Sono fantastiche al naturale...ma ve le farei sentire cotte!
Se vorrete provare la ricette, scegliete le vostre mele preferite, in particolare quelle non troppo dolci, toste e che non si sfarinino con la cottura.
Usate la ricetta di questa frolla meravigliosa, che in realtà è una "shortcrust", la vera base usata per le pie, in cui non sono aggiunte né uova né zucchero.
Il contrasto sapido della frolla estremamente friabile e profumata di burro, con il ricco ripieno, rende queste mini pie irresistibili.
Ingredienti per 6 piccole pie 
Per la frolla
260 g di  farina 00
1/2 cucchiaino di sale
110 g di burro non salato
acqua gelata q.b.
Per il ripieno
400 g di mele tagliate in spicchi e quindi a fettine sottili
50 g di uvetta
50 g di burro salato
1 cucchiaio di zucchero muscovado
1 cucchiaino di cannella in polvere
il succo di mezzo limone.
Preparate la frolla
Mettete la farina, il burro freddo a cubetti ed il sale nella planetaria e cominciate a mescolare a media velocità fino ad ottenere delle fini briciole. A questo punto abbassate la velocità ed aggiungete un cucchiaio di acqua gelata, continuando a mescolare e ad aggiungere acqua (lentamente e senza esagerare). Alzate la velocità e appena il composto starà insieme in una palla, interrompete, avvolgete il tutto nella pellicola e passate in frigo per un'ora.
Mentre riposa la frolla, preparate il ripieno.
Mettete a mollo l'uvetta in acqua calda.
Sbucciate ed affettate le mele e mettete le fettine in una larga ciotola.
Versate il succo del limone, aggiungete lo zucchero, la cannella e l'uvetta ammorbidita e ben strizzata. Mescolate bene.
Tirate la sfoglia ad uno spessore di 3 mm c.ca quindi con un coppapasta rotondo, ricavate dei cerchi con cui andrete a foderare uno stampo da 6 di muffin che avrete pre-imburrato ed infarinato.
fate in modo che parte della pasta sbordi dagli stampini. Bucate i fondi con una forchetta.
Riempite le tortine con il ripieno di mele e su ogni ripieno, mettete un pezzettino di burro salato. Tagliate i "coperchi" delle pie ai quali farete un piccolo foro centrale per consentire al vapore di uscire durante la cottura.
Pizzicate la pasta in modo sigillare bene i bordi con il "coperchio" e passate in forno a 180°C per c.ca 30 minuti.
Controllate la cottura: quando le pie saranno dorate, togliete lo stampo.
Fate raffreddare qualche minuto, quindi formate e fate raffreddare su una griglia.
Servitele ancora tiepide...sono perfette con gelato alla vaniglia, crema inglese o semplice panna.

mercoledì 27 novembre 2013

Cremosa bianca e Verde Laudemio. L'incredibile colore dell'eccellenza (parte prima)

Sesta Sinfonia "Pastorale" - L. V. Beethoven
Ritorno a parlare di olio extravergine.
Chi mi segue, conosce il mio amore per questo importante prodotto, fondamentale per la nostra cucina ancorché salute.
Nel mio piccolo mi sento una paladina del suo uso corretto, della sua conoscenza e soprattutto della sua valorizzazione perché tanto c'è ancora da dire sull'olio extravergine.
L'occasione questa volta me l'ha fornita la visita a due splendide aziende olivicole della mia regione, appartenenti al Consorzio Laudemio: il castello di Nipozzano e la Tenuta Santa Tea.
Il Laudemio Blog Tour mi ha infatti permesso, in compagnia di care amiche blogger, di ritornare in un'area della provincia di Firenze che amo molto, il Chianti Rufina, che si estende a pochi chilometri a sud di Firenze, dietro ai borghi di Pontassieve, Reggello e tra le innumerevoli pievi e castelli che si trovano aggrappolate a queste stupende colline.
Tempo di raccolta, ma l'autunno si sa, riserva sorprese e nel suo lento scorrere, le giornate spesso si svegliano coperte da un velo di bruma. La nebbia ed il maltempo non ci hanno però impedito di meravigliarci di fronte alla bellezza di questi luoghi, che a metà del giorno, hanno fatto capolino dietro un raggio di sole.
Il nostro primo ospite, di cui parlerò in questo post, è stato il Castello di Nipozzano, storica magione dei Marchesi de' Frescobaldi, la cui storia è direttamente allacciata alla storia di Firenze fin dal medioevo.
Banchieri, esploratori, poeti, musicisti, commercianti ma soprattutto uomini legati alle proprie terre ed ai frutti da esse ricavati, la famiglia de' Frescobaldi  è oggi un nome che in Italia e nel mondo, significa "vino".
Ma non un semplice vino qualsiasi: qui si parla di eccellenze, di premi, di vini sempre al top nelle classifiche dei migliori. Un nome per tutti: Pomino.
Eppure su queste terre aride (Nipozzano significa appunto senza pozzo), l'uomo è riuscito a vincere la sua battaglia impiantando vigneti generosi che hanno cambiato in meglio la silhouette del paesaggio. Più tardi sono comparsi gli olivi ed anche in questo la maestria dei Marchesi è riuscita ad ottenere un prodotto di pregio e grande rispetto.
Gli oliveti che crescono e coronano le tenute di Nipozzano, Pomino, Castiglioni, Valiano e Poggio a Remole, contribuiscono a dare vita al Laudemio de' Frescobaldi.
Quest'olio dall'incredibile verde tendente allo smeraldo, che a me viene da definire Verde Laudemio, è prodotto principalmente da cultivar Frantoio.
Molto fruttato, ha un sapore morbido, rotondo, in cui l'amaro ed il piccante sono armonizzati con grazia ma persistenti all'assaggio.
Per ottenere il Laudemio, vengono frante solo olive che crescono tra i 200 e 500 metri di altezza, con raccolta precoce.
Bisogna anche dire che gli olivi Frescobaldi sono relativamente giovani perché la gelata del 1985 ha praticamente distrutto gran parte degli oliveti, ma la famiglia Frescobaldi non ha perso il coraggio ed il reimpianto ha sicuramente dato nuovi stimoli alla produzione.
Vi lascio qui di seguito una ricetta facile e veloce su cui ho voluto provare quest'olio speciale e che in questi giorni gelati, è come una carezza di conforto.
Ingredienti per 4 persone
200 g di verza tagliata a julienne
300 g di finocchio
1 patata media
1 piccola cipolla
mezzo bicchiere di latte
2 fette di pane toscano
olio extravergine Laudemio
Acqua qb
sale qb - pepe nero macinato fresco
Pulite e tagliate la verza a julienne.
Pulite e tagliate il finocchio a fettine.
Pelate la patata e tagliatela a dadini.
Pulite e tritate la cipolla e fatela rosolare in 2 cucchiai di olio extravergine a fuoco dolce in una casseruola capiente. Aggiungete le verdure e fatele insaporire nella cipolla quindi coprite le verdure a filo con acqua fredda e fate cuocere fino a che le verdure non saranno morbide (c.ca 15/20 minuti). Salate.
Aggiungete il latte alle verdure quindi con un mixer a immersione, frullate fino ad ottenere un composto vellutato. Tenete da parte al caldo.
Riducete le fette di pane in dadini e tostatele su una padella antiaderente, quindi versate la cremosa nei piatti di portata, aggiungete i crostini, alcuni ciuffi delle barbe del finocchio e rifinite con una macinata di pepe nero ed un abbondante giro di Laudemio.
NB - omettendo i crostini di pane, questa è una ricetta completamente gluten free.

Termino questo post con una carrellata di immagini che racconteranno meglio di me, quanto speciale sia stata questa giornata.
Nipozzano è apparso dalla nebbia come un castello fantasma.
La delusione di non poter ammirare la valle da cui sovrasta è durata un attimo, perché l'atmosfera era così intensamente magica da lasciarci senza parole.
Lo sparuto gruppo di blogger coraggiose, si è addentrato sotto la pioggia attraverso un paesaggio silenzioso e mistico. Nell'aria l'odore della campagna bagnata era intenso e commovente.
Abbiamo osservato uomini impavidi affrontare il freddo e continuare a ripetere gli stessi gesti di migliaia prima di loro, in un rito antico e pure moderno.
La visita all'orciaia con terrecotte centenarie ci lascia a bocca aperta ma di fronte al primo olio affiorare dalla centrifuga, i nostri occhi sono tutti per lui, quel filo di perfezione verde dorata.

Ma l'olio nuovo va assolutamente assaggiato su piatti degni ed in grado di valorizzarlo.
Ovviamente secondo tradizione toscana.
Semplicità, sapori antichi e mano gentile nelle preparazioni.
Merito delle presenze femminili in cucina che hanno saputo conquistarci.
Il Laudemio è stato il protagonista su una stupenda zuppa di orzo e porri e su una magistrale tagliata.
Dopo il pranzo, all'uscita ci ha sorpreso il sole, inaspettato e giocoso.

Il Chianti in tutta la sua bellezza ammirato dalla torretta sulle terre del vino.
Abbiamo chiuso in bellezza entrando nel tempio del vino di Nipozzano, la barriccaia.
Vi parlerò ancora di questa giornata in un prossimo post tutto dedicato all'Azienda di Santa Tea e ad una ricetta da lei ispirata.




domenica 24 novembre 2013

Sfoglia lorda in brodetto di castagne per l'MTC: il genio delle donne.

Sei nel mio cuore - R. Vecchioni
Spesso mi viene da pensare alle invenzioni delle donne in cucina.
Non parlo della loro capacità di creare piatti sontuosi, di trovare soluzioni eleganti all'apparecchiatura, di allestire una cena improvvisata con preavviso inesistente, di fare tutto questo da sole.
Parlo di quanto siano riuscite a fare le donne di 4 o 5 generazioni prima di noi in termini di recupero avanzi.  Che all'epoca significava sopravvivenza per la famiglia, rigore ed economia.
Oggi, quando parliamo di recupero, il nostro genio è soddisfatto quando si impegna nella confezione di polpette, torte salate in cui sbattere dentro tutto il residuo del frigorifero, simpatici teglie di pasta pasticciata e poco altro.
Nessuna delle idee di recupero che abbiamo oggi resta nella tradizione della cucina come invece è successo a meravigliosi piatti tutt'ora presenti sulle tavole regionali. Perché erano geniali ed il genio sopravvive al tempo ed alla banalità.
La ricetta in cui ho voluto cimentarmi oggi è una di queste geniali soluzioni per santificare gli avanzi.
Si tratta di un piatto di origine romagnola il cui nome è "Sfoglia lorda", letteralmente "sfoglia sporcata", che è quella che preparavano le massaie ogni qualvolta avanzava del ripieno utilizzato per i cappelletti o per altra più nobile pasta delle feste.
La cosa più veloce a quel tempo, era tirare una sfoglia sottile e sporcarla con questo ripieno, che non sarebbe stato sufficiente per un piatto di tortellini, ma che in questo caso poteva insaporire della semplice pasta all'uovo e gratificare comunque il palato.
Una volta spalmato il ripieno su metà della sfoglia, questo veniva ricoperto con l'altra metà quindi tagliata grossolanamente con la rotella a ricavare dei quadrati di pasta, che poi venivano cotti in brodo.
Ecco, è successo che mi sono innamorata di questa idea.
Di questa pasta, della sua modestia e della sua rustica bellezza. Ed ho deciso di declinarla con il verbo della castagna.
Ingredienti per 4 persone
Per la pasta
200 g di farina 00
100 g di farina di castagne macinata a pietra
3 uova medie
un cucchiaio di olio extravergine
un pizzico di sale
Per il ripieno
300 g di funghi porcini freschi
10 g di burro
2 cucchiai di olio extravergine
1 piccola cipolla
2 cucchiai di prezzemolo tritato
150 g di prosciutto arrosto
2 cucchiai di ricotta
sale - pepe macinato fresco
Per il brodetto 
450 g di castagne crude sbucciate
400 ml di brodo di gallina
100 g di lardo
2 carote
2 rametti di timo
1 costola di sedano
1 cipolla
1/2 porro
Preparate la pasta miscelando le farine e versandole su una spianatoia.
Nella fontana rompete le 3 uova, versate l'olio ed il pizzico di sale quindi cominciate a lavorare, prima sbattendo le uova con la forchetta e piano incorporando la farina.
Quando la uova avranno incorporato buona parte della farina, cominciate ad impastare energicamente con le mani, per almeno una decina di minuti, fino a che non otterrete una palla liscia ed omogenea.
Avvolgete nella pellicola e fate riposare il tempo che preparate il ripieno.
Pulite bene i porcini eliminando le radici, la parte terrosa e con un foglio di carta assorbente inumidita, strofinate delicatamente il resto del fungo per eliminare le impurità.
Preparate una cosidetta "duxelle", tritando al coltello i funghi in dadini piccoli ma non troppo.
Fate passire la cipolla tritata nel burro ed olio scaldati in padella, quindi aggiungete i funghi e fate cuocere a fuoco medio fino a che non saranno ben trifolati. Aggiungete sale, pepe e in ultimo il prezzemolo. Mescolate e fate raffreddare.
Tritate il prosciutto arrosto al coltello in maniera grossolana.
In una larga ciotola, mescolate i funghi al prosciutto ed aggiungete 2 cucchiai di ricotta.
Mescolate bene, aggiungete un filo d'olio e regolate di sale e pepe se necessario. Tenete da parte.
Tirate la pasta a mano in una sfoglia sottile (come quella per le tagliatelle) quindi spalmate su metà della superficie il ripieno a base di funghi. Cercate di spalmare il composto in uno strato non troppo spesso, proprio sporcando la sfoglia come da tradizione.
Ripiegate la metà ella sfoglia "pulita", sul ripieno quindi ripassate il matterello sulla pasta per distribuire bene il ripieno e sigillare le due parti.
Con una rotellina dentata, tagliate delle strisce larghe 2,5 cm lungo il lato corto.
Quindi prendete ogni singola striscia e ricavate delle piccole losanghe che cospargerete di semola per non farle attaccare.
Non vi preoccupate, i piccoli rombi non rilasceranno il ripieno in quanto si sigilleranno al passaggio della rotella.
Preparate il brodetto.
In una pentola fate rosolare il lardo con poco olio e gli odori tritati.
Aggiungete le castagne e fatele stufare per 10 minuti, poi aggiungete il brodo di gallina (che avrete preparato come siete abituate a fare).
Lasciate cuocere a fuoco lento per c.ca 30 minuti, quindi frullate con un mixer a immersione e passate allo chinois.
Tenete qualche castagna intera per decorare il piatto finito.
Il brodo deve restare liquido e non essere una crema.
Portate a bollore e versate la pasta.
Fate cuocere per 5/6 minuti. Quando la pasta verrà a galla ed il brodo avrà ripreso bollore, sarà pronta.
Servite la pasta con un mestolino di brodo in modo che non affoghi in troppo liquido.
Aggiungete qualche pezzettino di castagna, un pizzico di prezzemolo tritato e non mortificate con formaggi grattugiati di nessun genere.
Buon appetito.

Questo piatto è la mia seconda ed ultima proposta per l'MTC di Novembre sulle Castagne.

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venerdì 22 novembre 2013

I biscotti più semplici e buoni del mondo: Old Rock cakes di Delia Smith

We will rock you - Queen
Chiudiamo la settimana come l'abbiamo aperta: con la bocca dolce.
Anche qui non vi presento qualcosa di esteticamente aggraziato, ma se così fosse, questi non si chiamerebbero Rock cakes! I dolci "roccia", che assomigliano vagamente ai nostri "brutti ma buoni" ma che di nocciole ed albume non hanno neanche l'ombra.
Sono biscotti semplici, di casa, ma che a me hanno creato un'enorme difficoltà: quella di smettere di mangiarli. Li ho visti, li ho preparati, cotti e mangiati in gran numero che non erano ancora freddi.
L'impasto era così friabile ed intensamente profumato che li ho presi, infilati in un sacchetto e portati ai miei colleghi per evitare di finirmeli da sola in piedi davanti al forno.
Se come me, amate la frutta disidratata nei dolci, la presenza delle spezie e la complicità del burro che emerge sorridendo dall'impasto, non potete non provare i Rock Cakes.
E' la mia ultima ricetta di Delia sullo Starbooks, ma non l'ultima che troverete su questo blog.
Non è una minaccia, ma una splendida promessa.
Andate a leggere quanto è facile concedersi questa coccola proprio qui.
Buon week end a tutti.

VOLETE CONOSCERE ANDANTE CON GUSTO? 
STASERA SU ARTURO TV ALLE H. 19.30 DA MATTIA POGGI "INDOVINA CHI VIENE A CENA". Naturalmente con una ricetta tutta senese! 

lunedì 18 novembre 2013

Castagnaccio di Saturnia per l'MTC: brutto ma buono.

Wild Montana Skies - J. Denver
Mai come in questa edizione dell'MTC mi sono sentita così spaesata.
Badate bene: quando le mie orecchie sentono pronunciare la parola "castagna", il palato sorride compiaciuto e tutti i recettori sensoriali cominciano a fare il trenino felici.
Il mio amore per questo antico frutto è totale,  ma la consapevolezza di avere a disposizione questo ingrediente per lanciarsi nel gioco e renderlo protagonista, mi ha provocato un "white out".
L'effetto che si prova guidando in una tempesta di neve. Un totale schermo bianco.
Perché per altro il tema della sfida non è solo l'ingrediente castagna.
E' la castagna declinata nella cucina povera.
Il che nella mia testa porta in fondo la solita equazione del "togli quanto puoi, semplifica e rendi umile".
Confesso di avere un notes zeppo di idee, ma fino ad oggi ero quasi decisa a passare, perché credo che qualsiasi idea di "povero" alla fine sia piuttosto monzognera, a partire dalla protagonista stessa, che in questi giorni dalle nostre parti ha sfiorato i 10 euro al chilo.
A parte scherzi, Serena ha messo in gioco una grande parte di sé, della sua vita e della sua cultura ed il suo post è una vera poesia, una dichiarazione d'amore per la sua montagna, i castagneti e la castagna, che a guardarla bene, ha la forma di un cuore.
E per l'affetto che provo per la Sig.ra Pici e Castagne, mi lascerò portare dalla corrente.
Dal momento in cui qualcuno è riuscito a trasformare la castagna in farina, un attimo dopo nasceva il castagnaccio.
Sono voluta partire da qui, da quello che credo sia il piatto più genuinamente legato a questo ingrediente. 
Solamente in Toscana abbiamo forse una decina di versioni e ricette del castagnaccio e la mia regione può essere considerata una capofila nella produzione di questo frutto, con tre aree molto estese, dall'Amiata, nella mia provincia fino alla provincia di Grosseto, alla Garfagnana in provincia di Lucca ed il Mugello a ridosso di Firenze.
Non dimentichiamo poi la provincia di Pistoia che si arrampica su verso l'Appennino Tosco Emiliano, la Val Bisenzio e la montagna Pratese. Quindi di storie di castagna o di neccio, la nostra cultura ne è piena.
Nel resto d'Italia il castagnaccio è presente, con nomi ed interpretazioni diverse e ciò ci fa capire come questa ricetta sia stata una derivazione praticamente automatica dell'uso di questa farina dolce.
Acqua, farina e fuoco uguale castagnaccio.
Che poi il palato necessiti gratificazioni maggiori dal semplice gusto lievemente affumicato e rustico di questa prima base, lo dimostra la comparsa di pinoli, uvetta, noci, frutta secca di vario genere, pepe e sale...insomma, alla fine la gola aguzza l'ingegno.
Anche il nome "castagnaccio", non parla di un dolce raffinato.
Non so dirvi se questo nome sia di origine toscana o da altre regioni si sia poi imposto al resto d'Italia. Fatto sta che di toscano ha molto, a partire dalla sua accezione "dispregiativa": è "accio", quindi sicuramente non è bello e forse neanche buonissimo, ma è lui, rustico e vero, decisamente facile da preparare e con qualche "chicco" sopra, calma la voglia di dolce e riempie la pancia. Che è quello di cui le comunità di montagna avevano bisogno.
Mi sono messa a cercare tra le pubblicazioni di cucina del territorio che ho in casa e molte di loro riportano la classica ricetta con pinoli, uvetta e ramerino.
Poi sono incappata su un piccolo libro donatomi dalla scimmia più simpatica del web e sono rimasta incantata.
Si tratta del Castagnaccio di Saturnia. Un versione evoluta, direi perfetta per la tavola Natalizia.
Nel Castagnaccio di Saturnia compare il cioccolato. Che per una casa contadina o montana non doveva essere così facile da reperire, ma sicuramente una ragione di festa in più. Per altro, è importante ricordare che nella fantasia religiosa maremmana, l'albero del castagno è divenuto il simbolo della Trinità, grazie ai 3 frutti contenuti nello stesso riccio.
Ingredienti per una teglia quadrata di 23 cm 
250 g di farina di castagne
320 ml di acqua
1 cucchiaio 1/2 di olio extravergine (io ho usato quello di Seggiano Dop - Amiatino)
Scorza di arancia candita
Foglie di rosmarino
zibibbo o uva sultanina
25 g di pinoli
25 g di noci sgusciate
50 g di cioccolato amaro tritato grossolanamente
due rametti di rosmarino (ramerino)
un bicchierino di vin santo
In una piccola ciotola versate l'uvetta e lasciatela a mollo nel Vin Santo.
In una capiente ciotola, mettete la farina a fontana e versate al centro l'olio extravergine.
Cominciate quindi ad incorporare lentamente l'acqua fredda, e con una forchetta cominciate a mescolare , cercando di sciogliere eventuali grumi. Quando la farina avrà incorporato sufficientemente acqua, prendente una frusta e cominciate a mescolare la pastella che andrà formandosi, fino ad utilizzare tutta l'acqua, aggiungendone altra se necessario. La miscela deve essere liscia e fluida.
La consistenza dell'impasto deve essere come quella del miele liquido.
Prendete un foglio di carta da forno e bagnatelo. Strizzatelo bene e foderatevi la teglia.
Versatevi la farinata di castagne che formerà una base alta quasi un dito.
A questo punto cospargete la superficie con "i chicchi": l'uvetta strizzata, i pinoli, le noci, la scorza d'arancia tagliata a dadini, la cioccolata a pezzetti e per ultimo gli aghi di rosmarino.
Mettete in forno preriscaldato a 160 °C e fate cuocere per 30/35 minuti.
Il Castagnaccio non deve seccarsi troppo ne formare le solite crepe.
Fate raffreddare e servite con del buon Vin Santo.
NOTA: alcune versioni di questo castagnaccio prevedono che parte degli ingredienti, tra cui il cioccolato, siano mischiati direttamente nell'impasto.

Con questa ricetta partecipo all'MTC di Novembre dedicato alle Castagne

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venerdì 15 novembre 2013

Le mie prime trofie a mano con semola Senatore Cappelli

It's all in your hands - Adam Gontier
Piano piano riuscirò a sperimentare tutti i tipi di pasta fresca tradizionale presenti sulla nostra penisola, isole comprese! 
Infiniti, mi verrebbe da dire, ma neanche troppo.
Pici, tagliatelle, lasagne, ravioli, farfalle, cavatelli, tortellini, garganelli, cappellacci, plin, ecc, ecc...è quello che in poco più di tre anni ho portato sulla tavola di questo blog.
Stavolta più di sempre, sono orgogliosa della fatica, dell'ostinazione e dell'istinto che mi hanno aiutato a  riempire un'insalatiera di buonissime trofie uscite miracolosamente da sotto il palmo delle mie mani.
E' così: le trofie hanno un che di magico.
Non si deve stendere, non si deve scavare, né filare o attorcigliare.
Non serve nulla, tranne un palmo di mano teso e nervoso che compie un gesto simile ad un saluto o una carezza.
La trofia nasce da una carezza: energica e sicura, ma pur sempre una carezza.
La voglia di cimentarmi in un nuovo tipo di pasta fresca è partita automaticamente non appena ho avuto fra le mani la semola di grano duro che vedete qui sopra.
Si tratta di uno dei tesori di terra Lucana di Mangiare Matera.
Qualcosa di cui vi ho già parlato qui e di cui sentirete parlare ancora a lungo.
Perché quando ci si innamora è difficile tornare indietro.
Specialmente se l'oggetto della vostra passione è una creatura bionda, profumata di buono, morbida e accomodante. Ma soprattutto poliedrica.
Me lo direte anche voi quando avrete provato questa semola.
Al tatto è setosa, quasi impalpabile e non parlo di semola rimacinata.
Senza neanche averla bagnata, sprigiona un profumo difficilmente spiegabile, ma vira al dolce e a qualcosa di antico che non ho ancora individuato, ma ve lo dirò nel tempo.
All'impasto con sola acqua è cedevole, morbida, duttile e dopo qualche istante che la impastate comincia a profumare così tanto che vorreste cominciare a mangiarla ancora cruda.
E' la caratteristica delle farine che derivano dal grano Senatore Cappelli.
Del grano hanno il colore magnifico.
Pur senza l'utilizzo di uova, l'impasto si presenta di un pallido riflesso dorato. Una vera bellezza.
Se come me amate lavorare la pasta fresca, qui otterrete la massima soddisfazione.
Dopo averla fatta riposare una trentina di minuti, sarà pronta a diventare il miglior piatto della vostra vita.
Nel mio caso, le trofie sono arrivate più per curiosità e per uno studio ingegneristico su come ottenere quei lievi turaccioli, che per vera e propria scelta.
Alla fine ci sono riuscita. Che soddisfazione!
La cosa che più mi dispiace è non essere riuscita a realizzare un video per spiegarvi come si fa.
Naturalmente ho fatto una ricerca in rete e la migliore spiegazione "animata" secondo me la trovate qui. Io cercherò di spiegarvelo verbalmente.
Non è complicato, dovete prima provare qualche minuto e poi troverete il "vostro" modo e ritmo.
Ingredienti per 4 persone
300 g di semola di grano duro Senatore Cappelli
2 cucchiai di olio extravergine
Acqua q.b.
Per il condimento
2 patate di media grandezza
150 g di fagiolini puliti
pesto al basilico (se lo fate in casa, usate il vostro)
sale
parmigiano a piacere
olio extravergine Riviera Ligure DOP per finire
Preparate le trofie.
Impastate la semola con olio ed acqua e lavoratela a lungo fino a che non otterrete una palla liscia e setola. Capirete se l'avete lavorata bene e nel giusto tempo, quando l'impasto perderà la sua superficie a "buccia d'arancia" per diventare uniforme e liscia (fosse possibile così anche con le nostre cosce!).
Vi serviranno dai 5 ai 10 minuti di duro lavoro di braccia. Vai con il workout!
Avvolgete la vostra palla nella pellicola e lasciate che riposi.
Passata una mezz'oretta, sedetevi alla vostra spianatoia e cominciate il lavoro più "complesso".
NOTA BENE: non dovete usare farina, anzi la spianatoia dovrà essere priva di farina e lievemente umida. A questo scopo, tenete vicino a voi un canovaccio pulito e bagnato con cui inumidirete appena la superficie quando vi renderete conto di averne bisogno. L'umidità crea l'attrito necessario affinché la pasta rotolando, si avviti su se stessa. E' molto importante. 
Prelevate dalla pasta (che avrete l'accortezza di tenere sempre avvolta nella pellicola), un pezzetto di impasto grosso come un pugno, che terrete nella vostra mano sinistra e dal quale prenderete via via delle palline di pasta non più grandi di una nocciola.
Con la destra mettete la pallina sulla spianatoia e "rollatela" come se doveste fare uno spaghetto. Partite dall'alto, scendete, quindi tornate al punto di partenza.
A questo punto sotto il palmo della vostra mano, avrete un serpentino di pasta non più lungo di 3/4 cm.
Adesso è il momento più importante.
Da quella posizione, fate scendere la mano in diagonale verso di voi, esercitando sulla serpentino di pasta, una pressione con il lato esterno della mano, tenendo la mano sempre ben tesa e aperta. La pressione trascinerà con sé il serpente di pasta, che via via si attorciglierà.
Passerà dal palmo esterno fino al mignolo, ed è proprio all'altezza del mignolo che vedrete sbucare il vostro perfetto turacciolo di pasta. La cosa importante è di tenere la mano sempre nella identica posizione di quando cominciate il lavoro. Bella verticale e dritta di fronte a voi, parallela alla spianatoia, senza piegarla quando la trascinate in diagonale. La parte della mano che lavora maggiormente è quella che va dal migliolo al polso e che probabilmente sarà indolenzita alla fine della vostra sessione di lavoro.
Però davvero, provateci, perché è una cosa incredibile quando otterrete la prima trofia. E vi renderete conto di quanto sia facile!
Quando saranno pronte, lasciatele su un piano coperto di semola e preparate il condimento.
Sbucciate le patate e tagliatele a dadini di 1 cm di lato c.ca.
Pulite i fagiolini e tagliateli a pezzetti non più lunghi di 3 cm.
Fate bollire abbondante acqua salata, quindi versate le patate. Fatele cuocere 5/6 minuti e nella stessa acqua aggiungete i fagiolini. Fate cuocere altri 5/6 minuti quindi aggiungete la pasta.
Per le trofie fresche ci vorrà molto poco, direi intorno ai 6 minuti, forse anche meno. Assaggiate.
Scolate il tutto in una bella insalatiera in cui avrete già versato il vostro pesto allungato con un mestolino di acqua di cottura.
Mescolate bene e servite con un filo d'olio Riviera Ligure Dop a crudo e parmigiano a piacere.



mercoledì 13 novembre 2013

Sorprese dalla dispensa: Zuppa di miglio e zucca alla birra.

Don't know why - Norah Jones
Ho trascorso la mia ultima domenica a fare un lavoro stimolante: svuotare la dispensa della cucina! 
L'operazione classica che facciamo tutte (non negatelo) è quella di riempire, direi piuttosto "stipare" qualsiasi cosa dentro quel benedetto mobile, dimenticandoci che quello che ci apprestiamo a comprare durante la nostra settimanale sessione di spesa, è già lì, da tempo, nascosto dall'ennesimo pacco di farinapastalegumi.
Dopo circa mezz'ora dallo svuotamento, con il tavolo che assomigliava al deposito sgarrupato di una banca alimentare,  ho scoperto di avere nell'ordine: farina di riso (2 pacchetti), farina di farro aperta, farina di castagne quasi finita, farina integrale, macinata a pietra, Verna, Senatore Cappelli, di grano Saraceno, di mais Ottofile, fioretto,  di Ceci (3 pacchetti in cui hanno festeggiato senza ritegno le farfalline snobbando il resto), semola di ogni tipo e semolino mai utilizzato. Per non parlare delle farine 0 e 00, di cui vi evito la lista.
Dopo aver pulito alla perfezione la mia dispensa e riponendo ogni cosa,  mi sono ritrovata fra le mani non uno, bensì tre pacchetti di miglio, di cui uno miscelato a lenticchie rosse, uno biologico e l'altro perlato.
Quando l'ho comprato? Dove? E soprattutto perché? Bisogna essere assolutamente storditi per continuare a comprare la stessa cosa e non utilizzarla mai.
Ma "essere storditi" in casa Andante è piuttosto normale per cui ho cercato di ricostruire l'origine di questa insana attrazione per il miglio. Per essere bello, lo è...minuscole sfere perfette che assomigliano a delle perline indiane. Mumble mumble...
Ricordo che qualche tempo fa lessi che il miglio è consigliato in fitoterapia per combattere anemia, stanchezza e stress soprattutto intellettuale, e che è un ottimo antidepressivo naturale.
Probabilmente la ragione della mia fascinazione arriva proprio da lì: peccato poi che non lo abbia mai testato per vedere se le indicazioni fitoterapiche fossero esatte.
Così ho deciso che oggi farò una campagna a sostegno dell'utilizzo del miglio, in modo che anche voi possiate toglierlo dalle vostre dispense e farlo morire di degna morte, in un ottimo piatto.
Perché tanto non me la contate giusta: io sono certa che almeno un sacchettino di miglio nella vostra dispensa c'è!

Prima di passare alla ricetta, vi do qualche informazione in più su questo cereale praticamente quasi abbandonato dalla nostra cucina.
E' antichissimo, se ne hanno tracce preistoriche. Fu molto amato in epoca romana in quanto di veloce coltivazione ed ottima resa.
Sulle tavole dei nostri trisnonni, compariva insieme ad orzo, ceci, lenticchie e veniva utilizzato anche per preparare il pane, che però risultava poco apprezzato in quanto troppo secco e poco saporito.
Nel nord Italia veniva preparato sotto forma di polenta. Dagli anni 60 a quasi i giorni nostri, si è persa l'abitudine all'utilizzo e le coltivazioni sono state abbandonate, mantenendo quel poco per la produzione di mangime per uccelli. Ma del miglio tutto si può dire tranne che sia solo semi per volatili.
Oggi fortunatamente, se ne è riscoperta l'importanza e soprattutto il piacevole gusto.
Semplice, leggero, e veloce da preparare, non richiede ammollo. E' ipocalorico quindi perfetto per le diete.
Ha un sapore delicato, gentile, neutro facilmente utilizzabile per ripieni nelle verdure.
Si può tostare qualche istante in olio extravergine e cuocere coperto da acqua pari al doppio del suo peso per c.ca 20 minuti e condire come più si vuole.
E' perfetto per la preparazione di crocchette e sformati perché ha un ottimo potere agglutinante ed in questo può sostituire le uova. E se mi impegno un po' con la fantasia, sono certa che riesco ad inventarmi anche un paio di ricette dolci senza troppa fatica.
Inoltre è senza GLUTINE quindi perfetto per gli amici celiaci. 
Vi ho convinto? Voglio proprio vedere cosa vi inventerete con il miglio! 
NOTA BENE: Mi ha fatto notare la mia amica Stefania, giustamente, che nonostante il miglio sia gluten free, questa ricetta non può essere considerata tale per la presenza della birra. 
Potete tranquillamente ometterla o sostituirla con un goccio di sidro. 
Ingredienti per 4 persone
300 g di miglio decorticato biologico
400 g di polpa di zucca mantovana
mezza cipolla bianca
un rametto di rosmarino
qualche foglia di salvia
mezzo bicchiere di birra rossa
olio extra vergine d'oliva Dop "Umbria" d Spoleto
pepe nero macinato fresco
Prezzemolo a piacere.
Cominciate sciacquando accuratamente il miglio sotto acqua corrente.
Affettate finemente la cipolla e fatela passire in 4 cucchiai d'olio extravergine insieme al rametto di rosmarino ed alla salvia, facendo attenzione che gli aromi non brucino.
Tagliate a dadini la zucca e quando la cipolla è trasparente, aggiungete la zucca ed un mestolino di acqua bollente e mescolate facendo cuocere a fiamma media per 7 minuti.
Aggiungete il miglio alla zucca e fatelo brillare per 2 minuti, mescolando continuamente quindi quando il liquido di vegetazione sarà asciugato, bagnate con la birra ed alzate la fiamma per far evaporare la parte alcolica. Una volta evaporata, aggiungete acqua calda a coprire il miglio, salate e continuate la cottura abbassando al minimo la fiamma, e proseguite per c.ca 20 minuti. Mescolate ogni tanto ed aggiungete acqua se necessario.
La zucca dovrà essere morbida e cotta ed il miglio non dovrà spappolarsi completamente.
Servite con ottimo olio extravergine, nel mio caso olio Umbria Dop di Spoleto, ed una bella macinata di pepe nero. Cospargete con prezzemolo tritato a piacere.

lunedì 11 novembre 2013

Di pulizie di stagione, di musica che gira intorno e di lei. Cherry Cake.

Follow the yellow brick road - The Wizard of Oz
Ci voleva un piccolo ripulisti. 
Ma soprattutto c'era sta cosa che girava dentro la mia testa. Da anni.
Lei, questa bambina.
Pifferaia allegra e un po' casinista, che si lascia dietro note e sapori.
Era lì, vagamente presente nei miei pensieri, e accidenti se mi assomigliava.
C'è voluta la pazienza di Sara per farla uscire fuori e due miei piccoli tratti a matita per dire: eccola!
Forse un'immagine un po' infantile, naive. 
Non posso farci nulla, perché molto di me è legato all'aspetto infantile e bambinesco della vita. 
Lo sono ancora, nei gesti, nei comportamenti, nella maniera di camminare e di gesticolare. 
Lo sono in maniera quasi clownesca, difendendomi con facce buffe, smorfie e versacci  da quella timidezza che nonostante gli anni, resiste. 
"Tu timida"? Ebbene si. 
Solo i timidi sono in grado di fare di tutto quando nessuno li guarda, anche scrivere un blog.
Quella bambina saltellante è Andante con gusto. 
Ed io sono sicura, al cento per cento, che la riconoscerete. Che mi riconoscerete. 
Il blog in realtà non è cambiato poi molto. 
Sono stati spostati solo un po' di mobili, dipinte le pareti, arredata una nuova cucina. 
Inoltre ha il suo dominio personale: Andantecongusto.it (e di questo sono molto orgogliosa). 
Se vorrete aggiornare la vostra blog roll, ne sarò felice. 
L'incredibile Sara mi ha aiutato davvero tanto in questi lavori di ristrutturazione. 
Ha realizzato questo bellissimo header, così divertente;  ha ridisegnato il layout aggiungendo dei plus di cui sentivo fortemente la mancanza, come il poter rispondere ad ogni commento ed avere la possibilità di condivisione sui principali social. 
Inoltre ogni post potrà essere stampato in pdf per chi avrà voglia di portarsi a casa la ricetta che gli interessa. 
Il resto è lo stesso, semplice, semplice come la piccola pifferaia magica. 

Per la ricetta di oggi, vi invito a dare un'occhiata su Starbooks, dove troverete questa Old Fashioned Cherry Cake, ovvero una torta che avrete voglia di preparare non appena ne leggerete la facilità di esecuzione. 

Un quattro quarti meravigliosamente profumato e confortante. 
Dalle infallibili mani di Delia Smith. 

mercoledì 6 novembre 2013

Cavatelli Senatore Cappelli al profumo di autunno e l'impossibilità di avere un blog "normale"

That's the way (I like it) - KC and the Sunshine band

Mi rendo conto solo adesso che sono mesi che non pubblico un piatto di pasta. 
Non è vero, l'ho fatto anche di recente, ma sempre di pasta fatta in casa, che è quella su cui indulgo con maggior piacere. 
Ma è anche vero che la pasta la cucino praticamente tutti i giorni, con variazioni alterne e spesso mi sembra fin troppo scontato pubblicare qualcosa così facile e veloce da preparare. 
Sbagliatissimo.
Forse è proprio questo che cerca chi mi segue o chi è abituato a visitare un blog di cucina: una ricetta appetitosa, non impossibile da realizzare in breve tempo, assolutamente stagionale e "onnivoro-oriented". 
Il fatto è che ce ne dimentichiamo
Più facilmente ci lasciamo andare nell'autocompiacimento o alla sfida temeraria per la ricetta più complessa, alla presentazione più audace, al sapore più esotico e lontano. 
Qualche giorno fa quel sant'uomo del mio consorte (e mi riferisco anche a tutti i mariti di foodblogger...degni destinatari di beatificazioni), se ne è uscito con una frase che mi ha fatto pensare: "Ma che fine hanno fatto le lasagne della tradizione? E i cannelloni? Sarà possibile mangiarli ancora in questa casa?"
Ovviamente ha continuato per un bel po', ribadendo che non c'è verso vedere uno di questi piatti su un qualsiasi blog, e che se ci sono, inevitabilmente si trasformano in variazioni pindariche prive di qualsiasi appeal. 
Tutte concentrate a sperimentare nuove prelibatezze, trascuriamo quelli che sono i piatti con cui siamo cresciute, dando per scontato ricette che hanno invece un valore intrinseco grandissimo, ma soprattutto sono completamente "diverse" nella loro familiarità. 
Le amiamo, le prepariamo per le occasioni speciali ma non le condividiamo e la ragione primaria è che siamo convinte che in ogni caso, ognuna di noi continuerà a cucinare quella che mangiava da bambina, quella della sua mamma, insomma quella di famiglia.
E' proprio vero? I piatti che diamo per scontati non meritano di essere condivisi? Ancora meglio, sono piatti non degni di stare in quello che ci ostiniamo a considerare il nostro quaderno di cucina on line? 
La cosa che mi crea disagio, è che mio marito ha ragione. 
Il blog finisce col diventare una vetrina di ricettine tutte ucciciccipucci, così carine, belline, perfettine ed estremamente noiosine. 
Direi che dovremmo riprendere in mano il concetto di "sano appetito" e cominciare a cucinare qualcosa che si mangi davvero, che riempia il piatto, che scaldi il cuore e soprattutto che sia riconoscibile. 
Naturalmente parlo per me. E voi che ne pensate?



Perdonate la provocazione, ma ci terrei a sapere cosa ne pensate in proposito. Per restare in tema e celebrare uno dei grani più speciali ed importanti del nostro patrimonio gastronomico, il "Senatore Cappelli", di cui ho già parlato qui, ma soprattutto per ricordarvi dello splendido contest Mangiare Matera, partito proprio nei giorni scorsi, ho voluto provare questi Cavatelli lunghi in una versione prettamente autunnale. 
Premetto che il Cavatello chiama sugo, possibilmente "o' rraù" come viene servito in casa dei miei suoceri in Molise, ma trovo che questo formato di pasta si sposi invece benissimo con condimenti a base di verdure, di legumi ed anche con ragù di pesce (anche se io non ho la fortuna di trovarlo fresco come vorrei).
Ho provato quindi un connubio estremamente terreno, autunnale, con i colori di questi giorni ed i profumi del bosco, lievemente intrigati dall'inconfondibile aroma dello zafferano egiziano (ho usato il tuo Stefania!). 
Quello che ne è uscito, beh, giudicate voi.
Ingredienti per 4 persone
320 g di Cavatelli Senatore Cappelli di Mangiare Matera
200 g di funghi porcini freschi
1 salsiccia fresca non troppo speziata
100 g di zucca soda tipo mantovana, sbucciata e tagliata a fettine sottili
un pizzico di pistilli di zafferano
un ciuffetto di prezzemolo
1 spicchio d'aglio
olio extravergine
sale - peperoncino a piacere
Mettete i pistilli di zafferano in infusione in una tazza di acqua bollente per almeno 30 minuti.
Fate grigliare la zucca su una piastra o una bistecchiera e salatela durante la cottura. Una volta pronta tenete da parte. 
Pulite accuratamente i porcini con un panno umido privandoli della radice e delle parti danneggiate (eventualmente anche della parte spugnosa se non sono porcini appena colti) quindi tagliateli a fettine e dadini.
In una larga padella, fate profumare l'olio extravergine con lo spicchio d'aglio quindi aggiungete i porcini. Fate cuocere a fiamma media fino a che non avranno rilasciato l'acqua, a quel punto alzate la fiamma, salate e quando saranno sul punto di rosolare, aggiungete la salsiccia privata della pelle e sminuzzata con le mani. 
Continuate a smuovere la salsiccia con i funghi, fino a che anche lei non sarà bella tirata. 
Nel frattempo avrete già versato la pasta in abbondante acqua bollente e salata .
Tagliate la zucca a fettine sottili ed aggiungetela ai funghi e salsiccia, quindi scolate la pasta un paio di minuti prima che sia a cottura, e versatela nella padella con il condimento, aggiungendo l'acqua con lo zafferano con un mestolino, "risottando" i cavatelli fino a portarli a cottura. Aggiustate di sale se necessario.
Prima di impiattare, aggiungete una manciata di prezzemolo tritato, del peperoncino per chi gradisce ed irrorate con olio extravergine nuovo, nel mio caso di Gentile di Larino
Decorate con pistilli di zafferano.