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venerdì 27 maggio 2016

Capunti con favette, porro, toma di montagna e menta e Gente che sa come sognare.

Hallelujah - Jeff Buckley
Qualche giorno fa ho avuto l'onore di essere invitata a tenere una piccola lezione sulla pasta fresca presso un' antica gastronomia della mia città, la Gastronomia Morbidi, di cui ho già parlato in questo post.  
In questo luogo sono passate svariate generazioni di senesi che apprezzano la buona cucina e che considerano il suo banco straripante di delikatessen, un punto fermo quando si voglia stupire ospiti senza dover necessariamente impegnarsi dietro ai fornelli.
La storia di questo posto è affascinante come tutte quelle storie che parlano di destino e di scelte fatte senza pensarci sù, ed è partita da un giovane uomo che alla fine degli anni '20, lasciò un sicuro posto in banca per comprare una latteria.
Molti potranno pensare: follia.
Chiamatela pure follia. A me piace pensare ad altre parole come coraggio, libertà, fantasia e lungimiranza.
Oggi "Il Morbidi" è gestito da Patrizia, figlia di Armando, quel giovane così moderno che più di una florida attività, ha lasciato ai propri eredi la capacità di mettersi sempre in gioco, sfidando le convenzioni ed una città mai troppo pronta al cambiamento.
Patrizia è una donna di inesauribile entusiasmo, con una straordinaria voglia di sognare (e sappiamo da chi ha preso questo dono), che nonostante le difficoltà imposte da una vita con poca voglia di scherzare, riesce a buttare via via un occhio dentro i propri sogni.
In questo vorrei tanto imparare da lei.
La reciproca simpatia e i molti gusti in comune (ma anche alcune divertenti coincidenze anagrafiche, come l'avere lo stesso nome e le stesse iniziali e due Alessandre come sorelle) hanno fatto si che nascesse questo momento ludico di cucina, in cui mi sono potuta buttare nella mia passione di sempre, la pasta fresca, di fronte ad una platea di donne attente e divertite.
Una serata frizzante che è volata in un attimo lasciandomi uno strano senso di vuoto, dove né la fatica o l'emozione provate, riescono a porre rimedio.
Ho imparato nel tempo che stare ad analizzare i sentimenti serve a ben poco e che forse dovremmo imparare ad ascoltare meglio il nostro istinto.
Perseguendo ciò che ci fa stare bene e magari trasformare le nostre vere passioni in qualcosa di diverso.
Non so se ne sarò capace. O forse si.
Per adesso mi auguro che di momenti come questi ce ne siano tanti ancora.
In questa serata dedicata alla pasta, ho raccontato come nascono alcuni formati di cui ho spesso parlato su questo blog: i Cavatelli, i Capunti, i Pici e le Raviole del Plin.
Potrete trovare molte ricette relative a questi temi su questa pagina.
Oggi voglio regalarvi una ricetta semplice, primaverile e gustosa che vede protagonisti i Capunti, facilissimi da fare e sempre grandemente apprezzati.

CAPUNTI CON FAVETTE, PORRO, TOMA DI MONTAGNA E MENTA
Ingredienti per 4 persone

Per i Capunti
400 g di semola di grano duro Senatore Cappelli (grazie Giovanni
250 - 300 dl di acqua tiepida (la quantità varia dall’umidità dell’ambiente e della semola)
1 pizzico di sale

Per il condimento
200 g di favette private della pellicina
2 porri
200 g di toma fresca di latte vaccino
olio extravergine
sale
pepe nero macinato fresco
1 manciata di foglioline di menta fresca
TUTORIAL
1.    Preparate l’impasto. Formate una fontana con la semola sulla spianatoia. Aggiungete al centro l’acqua e il pizzico di sale e cominciate a mescolare con le dita, incorporando piano piano la farina fino a che non comincerà a stare insieme. A questo punto cominciate ad impastare con energia ripiegando la pasta su se stessa e scaricando la forza delle braccia sulle palme delle mani vicino ai polsi. Impastate per almeno 10 minuti e quando la pasta avrà raggiunto una consistenza omogenea ed una superficie liscia e vellutata, avvolgete la palla nella pellicola e lasciatela riposare per almeno 30 minuti.
2.    Per preparare cavatelli, capunti e strascinati si procede in questa fase allo stesso modo. Tagliate un pezzetto di pasta di c.ca 30 g e rotolatela sulla spianatoia per ottenere un cordino lungo e regolare del diametro di c.ca mezzo centimetro. Qualora la pasta non scorra bene sulla spianatoia e sembra avere poco attrito, tenete vicino a voi un canovaccio pulito e umido con il quale inumidire leggermente la base e vostre tue mani e a quel punto riuscirete a tirare la pasta con facilità.
CAPUNTI

      Tagliate il cordino di pasta in pezzetti non più lunghi di 3 centimetri. Appoggiate la punta di indice, medio e anulare su tutta la lunghezza della pasta e premendo con decisione, trascinatela verso di voi. La pasta si arriccerà su se stessa formando uno gnocco lungo e stretto.   
      Continua così fino a terminare la pasta e lascia asciugare i capunti su un canovaccio su cui avrai cosparso della semola.
Pulite ed affettate sottilmente i porri anche nella parte verde.
Versate 3 cucchiai di extravergine in una larga padella antiaderente e fate cuocere a fiamma molto dolce il porro. 
Se necessario aggiungete un mestolino di acqua. Cuocete per c.ca 10 minuti fino a che non saranno molto morbidi. 
Aggiungete le favette private della propria pellicina e continuate la cottura per c.ca 7 minuti, mescolando via via ed aggiungendo acqua se necessario.
Quando le favette saranno cotte ma ancora al dente, aggiustate di sale ed aggiungete 150 g di toma tagliata a dadini molto piccoli.
Il formaggio si scioglierà creando una base cremosa.
Cuocete i capunti in abbondante acqua salata. 
Cuoceranno in 3/4 minuti e appena saliranno a galla saranno pronti.
Scolate i capunti e versateli nella padella con il condimento, aggiungendo le foglioline di menta e facendo saltare appena la pasta.
Impiattate cospargendola del restante formaggio tagliato a dadini, qualche fogliolina di menta e finite con una generosa macinata di pepe.

giovedì 6 agosto 2015

La storia di Matera è scritta nel suo pane. Capunti con crema di melanzane e briciole di peperoni cruschi.

Bread and roses - J. Denver
"La storia di Matera è scritta nel suo pane". 
Così ha esordito Massimo Cifarelli, giovanissimo Presidente del Consorzio di Tutela del Pane di Matera IGP in occasione del laboratorio organizzato per il Blog tour AIFB di Girolio.
Durante la sua lezione su come nasce quello che a mia modesta opinione è il vero cuore di questa incantevole città, ci ha preso per mano e ci ha regalato una presentazione emozionante, segno di una passione riconoscibile a mille chilometri di distanza.
Ce l'ha trasmessa tutta, con impeto e simpatia trasformando questo "laboratorio" in uno dei momenti più intensi ed indimenticabili del nostro tour a Matera.
Nella sua esposizione è stato supportato dalla nostra preparatissima guida ed instancabile chaperon, Francesco Linzalone, fiduciario Slow Food della città
Il Pane di Matera conosciuto in tutto il mondo, è indubbiamente una importante risorsa economica per l'intera provincia ma è soprattutto frutto di un gesto ancestrale che torna a ripetersi dalla notte dei tempi.
Ma cos'ha di così speciale questo pane?
Intanto è prodotto esclusivamente con farina di grano duro.
Semola rimacinata di grani provenienti dai raccolti della campagna locale, in primis il celebre grano Senatore Cappelli, di cui vi ho già raccontato in questo post  che vi invito a rileggere.
Nella maggior parte dei casi al Senatore Cappelli viene aggiunta una percentuale minore di grani autoctoni come il Duro Lucano o l'Appulo, ma questo dipende da panificatore a panificatore.
Il rito del pane ha sempre seguito un iter rigoroso. In primis la panificazione andava programmata solo dopo aver controllato lo stato del lievito. Quando parliamo di lievito a Matera, si parla della "madre", il lievito naturale per antonomasia che "abitava" ogni casa per generazioni, veniva tramandato da madre a figlia, e nel caso fosse morto, veniva chiesto soltanto a persone di estrema fiducia.
Per sottolineare l'importanza del lievito, basti sapere che le donne lo portavano in dote mentre lo sposo portava con sé il timbro per il pane.
Una volta pronti, si impastava, cominciando alle due di notte con grande fatica e devozione.
Il Consorzio di Tutela ha effettuato lunghe ricerche per capire come venisse realizzato il lievito madre, andando indietro nel tempo e nella memoria storica degli ultimi anziani della città.
Quali ingredienti venivano usati per ricreare la carica batterica in grado di far fermentare la farina?
Nessuno riusciva a fornire informazioni, fino a che un giorno, una signora molto anziana ha risposto: "La cacca di mucca"!
Ovviamente la risposta non è una provocazione né una barzelletta anche se è abbastanza surreale pensare di mangiare del pane alla cui base sta letteralmente dell'escremento animale.
Scientificamente non fa una piega in quanto i micro organismi presenti in questo elemento sono fondamentali per la fermentazione e la scintilla vitale del lievito.
In alternativa ovviamente veniva utilizzata la frutta molto matura (e qui vi sento sospirare di sollievo).
La celebre forma arrotolata del pane di Matera è la risposta della necessità di risparmiare spazio. Quando la richiesta del pane aumentò considerevolmente, la tradizionale pagnotta venne arrotolata su se stessa dando origine ad un pane alto e stretto, con una caratteristica crosta spessa ed una ampio cuore mollicoso. La grande percentuale di mollica si mantiene morbida per giorni in base alla pezzatura. I grandi pani di 3 kg si mantengono umidi fino a 9/10 giorni.
La curiosità: il famoso "cornetto di Matera" è invece stato inventato solo negli anni '80, per soddisfare la richiesta di un pane più ricco di crosta.
Per finire, ecco la valenza religiosa di questo rito immortale. 
Dopo aver effettuato le tradizionali piegature che vi mostrerò qui di seguito, si procedeva ad effettuare 3 tagli per aiutare il pane a crescere, e nell'atto dell'incisione si pronunciava la sacra formula "nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" .
Ma qual'è la ricetta di questo pane?
Vi riporto quello che prevede il disciplinare del Consorzio:
100 kg di semola rimacinata
40 kg di lievito madre
2.5 kg di sale
700 g di lievito di birra
Acqua
E il lievito di birra, direte voi?
Questa è stata una sorpresa ma anche qui c'è una ragione.
In questo caso accorcia tempi di lievitazione (ragione economica) ma come potete notare la quantità è minima, altrimenti come succede per tutti quegli alimenti che lo contengono, il lievito di birra sopravvivendo alla cottura, continua la sua azione nutrendosi dell'umidità presente ed asciugando inesorabilmente il prodotto.
Una nota a parte merita il famoso "timbro" del pane. Come molti sapranno fino al secondo dopo guerra in quasi tutti i paesi dell'Italia rurale ed in particolare nel meridione, esistevano i forni dove la gente andava a cuocere il proprio pane ed altre preparazioni. Difficilmente il pane si comprava ma si pagava in natura l'uso del forno.
Per riconoscere il proprio pane dagli altri, lo si marchiava con il timbro di famiglia, inciso in legno direttamente dalle mani dei proprietari. Il marchio veniva posto una volta effettuate le pieghe, prima dell'ultima lievitazione e non scompariva con la cottura.
Massimo Cifarelli, grano tenero e grano duro
Il grano Senatore Cappelli e le sue caratteristiche ariste nere
Si impara a conoscere il grano fin da piccoli
Le mani di Laura Adani e le pieghe del pane di Matera
Alla fine si timbra
La grande forma di pane appema sfornato
La nostra guida Francesco Linzalone che taglia il pane nel modo tradizionale
Il vero CUORE di Matera
Tornando alla semola ed al grano duro, il nostro laboratorio materano si è concluso con una splendida lezione durante la quale abbiamo osservato la Sig.ra Teresa, maestra di orecchiette e capunti, realizzare i suoi piccoli capolavori.
Acqua, semola e tanto olio di gomito per ottenere un impasto liscio ed uniforme come seta.
Io ho voluto cimentarmi come ho già fatto in passato, ed ho realizzato una piccola e facilissima ricetta estiva che vi lascio al termine del post.
Ma adesso ancora qualche immagine di mani laboriose.
Teresa, membro del Club delle Orecchiette, prepara la pasta di semola
La pasta pronta ad essere tirata


Capunti con crema di melanzane violette e briciole di peperoni cruschi. 
Ingredienti per 4 persone
360 g di capunti freschi
2 melanzane violette
8 pomodorini secchi sotto sale
30 g di peperoni cruschi ridotti in briciole
1 paio di peperoncini piccanti
1 spicchio d'aglio
1 ciuffo di basilico fresco
Olio extravergine d'oliva di Rapolla (Basilicata)
Sale qb
Per preparare i Capunti in casa vi consiglio di leggere questo post dove c'è anche un piccolo tutorial su come si realizzano.
Sono facilissimi e divertenti e sono certa che avrete grande soddisfazione una volta fatti.
Per il condimento, altrettanto facile, invece seguite queste indicazioni.
Sbucciate le melanzane con un pelapatate e tagliatele a dadi grandi.
Fatele cuocere in acqua bollente e salata dentro una larga casseruola per 10 minuti fino a che non saranno morbide.
Raccoglietele con un mestolo forato senza buttare l'acqua e fatele scolare bene quindi mettetele dentro un bicchiere per mixer a immersione ed aggiungete un paio di cucchiai di olio extravergine.
Frullate bene fino ad ottenere una crema liscia e vellutata.
In una larga padella dove potrete saltare la pasta, versate 3 cucchiai di olio extravergine, uno spicchio d'aglio sbucciato ed un peperoncino intero.
Sciacquate e riducete a filetti sottili i pomodorini secchi sotto sale, quindi aggiungeteli al fondo. Fate cuocere profumando bene l'olio e stando attenti che l'aglio non bruci. Fiamma dolce.
Dopo qualche minuto versatevi la crema di melanzane e mescolate bene facendo insaporire.
Assaggiate ed aggiustate di sale. Rimuovete l'aglio.
Cuocete la pasta in abbondante acqua salata quindi scolatela ed aggiungetela alla crema.
Saltate velocemente quindi impiattate, finendo con un bel giro d'olio extravergine di Rapolla e cospargendo le briciole di peperoni cruschi e foglioline di basilico.
Servite subito.

BUONE VACANZE A TUTTI!



lunedì 24 marzo 2014

Capunti mediterranei: ancora pasta, ancora fresca.

E' la pioggia che va - The Rokes
Ci ha fregato!
Una settimana di sole caldo in cui sono esplosi nell'ordine: il verde sulle colline, le gemme sugli alberi, gli occhiali da sole in giro per città ed anche qualche paia di bermuda dei soliti temerari (vi giuro!) e noi abbiamo puntualmente dimenticato che è ancora Marzo.
E Marzo per antonomasia sragiona, ci prende allegramente per i fondelli e ci toglie la voglia di illuderci.
In una domenica tutta "tuta e felpone", ho osservato svariate forme meteorologiche abbattersi sul giardino condominiale nell'arco di poche ore: pioggia a vento, grandine, mulinelli, sole offeso, nubi colleriche e color fegato.
Se ci avete capito qualcosa...io personalmente no.
Così il ritmo in casa è stato quello di un adagio, anzi di un largo.
Chi ha ronfato sul divano, chi ha guardato la televisione con un occhio aperto e l'altro balengo, chi ha smucinato in cucina con la semola.
Non c'è bisogno che vi dica chi vero?
Se fuori piove, allora noi ci chiudiamo in casa e facciamo la pasta.
Non che quando ci sia il sole manchi la voglia di impastare...ma magari con il sole qualche pretesto per uscire lo si trova.
Invece se piove chi ha voglia di andarsene in giro a vagabondare? Meglio la spianatoia, mille volte.
Meglio la pasta con la semola, facile e veloce.
Niente uova, solo acqua e semola di grano duro con un goccio d'olio profumato, e l'energia delle vostre braccia, perché per quanto mi riguarda, la pasta si fa solo con i nostri muscoletti e per una volta lasciamo riposare l'impastatrice.
I capunti sono una pasta del sud, che possiamo trovare in Puglia, Basilicata, in Molise.
Il principio è quello del cavatello, solo che in questo caso le dita che si usano, sono 3 (a volte anche 4).
Invece di tagliare la pasta a piccoli gnocchi corti poco più di un cm, qui si tira la pasta in cordoncini spessi non più di 5 mm che tagliamo in pezzetti di 7/8.
Si scavano appoggiando indice, medio ed anulare sulla lunghezza e tirandoli con forza verso di sé.
Si ottiene un cavatello lungo con 3 fossette in cui si raccoglie il condimento in maniera perfetta.
Il segreto del capunto perfetto è quello di non fare dei cordoncini troppo spessi.
L'incavo deve essere deciso e la pasta si deve arrotolare lieve su se stessa.
In questo modo si cuoce velocemente ed all'assaggio risulta leggera e delicata.
Usate la semola migliore, non tagliatela con farina 00 (anatema), e soprattutto lavorate l'impasto per almeno 10 minuti, per ottenere una bella palla liscia e vellutata.
Lasciatela riposare per almeno 30 minuti e non vi spaventate se non riuscite subito.
Con un po' di pazienza riuscirete. Vi verranno poi con facilità e saranno buonissimi.
Ingredienti per 4 persone:
Per la pasta
450 g di semola Senatore Cappelli Mangiare Matera
acqua (quanta ne prende la farina - c.ca 1 bicchiere e mezzo)
2 cucchiai di olio extravergine
un pizzico di sale
Per il condimento
200 g di puntarelle fresche
4 acciughe sott'olio
una 20na di olive taggiasche denocciolate
una manciata di pomodorini datterino
200 g di mozzarella di bufala campana
1 spicchio d'aglio
sale
Olio extravergine dell'Azienda Agricola Guardiani Farchione
Preparate la pasta versando la semola su una spianatoia.
Fate la fontana in cui aggiungerete l'acqua e l'olio, incorporando con le dita piano piano, ed aggiungendo acqua quando necessario.
Quando la semola avrà assorbito parte dell'acqua, cominciate ad impastare con energia ed aggiungete liquido se necessario.
L'impasto dovrà essere elastico ma non appiccicoso.
Dovrà creare resistenza e via via con l'impasto, assumere una consistenza morbida, elastica e vellutata.
Ci vuole tempo, forza e pazienza. Ripiegate la pasta su se stessa ed impastate con il bordo del polso. Appoggiatevi con il peso del corpo sulle vostre braccia ed il lavoro sarà più facile.
Una volta che l'esterno della pasta sarà liscio ed omogeneo, avvolgetela nella pellicola e preparate il condimento.
Lavate accuratamente le puntarelle e riducetele a striscioline sottili come quando si preparano per l'insalata.
Lavate i pomodorini.
Eliminate la camicia dell'aglio e versate 3 cucchiai d'olio extravergine in una larga padella, fatevi profumare l'aglio e sciogliere i filetti di acciuga.
Quando questi saranno sciolti, aggiungete le olive taggiasche che avrete tagliato a metà e fate insaporire qualche istante.
Aggiungete le puntarelle ed alzate la fiamma. Fatele saltare velocemente. Devono restare croccanti.
Per ultimo aggiungete i datterini interi e fate cuocere per un altro paio di minuti.
Spegnete e coprite.
Preparate la pasta.
Tagliate dei piccoli pezzi di pasta che arrotolerete a formare dei cordoncini sottili (5 mm di diametro).
Tagliateli in tronchetti di 7/8 cm di lunghezza e procedete a formare i capunti come ho spiegato sopra.
Via via che sono pronti, appoggiateli su un canovaccio cosparso di semola e fateli asciugare.
Fate bollire l'acqua in una capiente casseruola.
Salatela e versate i capunti che cuoceranno in massimo 3 minuti. Quando saliranno a galla e l'acqua riprenderà il bollore, saranno pronti.
Accendete la fiamma sotto i condimento ed a calore vivace, saltatevi i capunti.
Impiattate ed aggiungete dadini di bufala per finire.
Profumate il tutto con un generoso filo di olio extravergine Tenuta la Cese, in questo caso un olio Abruzzese di cultivar Toccolana, dell'Azienda Guardiani Farchione, il cui flavor ricorda la cicoria di campo, la freschezza della lattuga e su una pasta dai sentori estivi come questa, si sposa alla perfezione.








venerdì 15 novembre 2013

Le mie prime trofie a mano con semola Senatore Cappelli

It's all in your hands - Adam Gontier
Piano piano riuscirò a sperimentare tutti i tipi di pasta fresca tradizionale presenti sulla nostra penisola, isole comprese! 
Infiniti, mi verrebbe da dire, ma neanche troppo.
Pici, tagliatelle, lasagne, ravioli, farfalle, cavatelli, tortellini, garganelli, cappellacci, plin, ecc, ecc...è quello che in poco più di tre anni ho portato sulla tavola di questo blog.
Stavolta più di sempre, sono orgogliosa della fatica, dell'ostinazione e dell'istinto che mi hanno aiutato a  riempire un'insalatiera di buonissime trofie uscite miracolosamente da sotto il palmo delle mie mani.
E' così: le trofie hanno un che di magico.
Non si deve stendere, non si deve scavare, né filare o attorcigliare.
Non serve nulla, tranne un palmo di mano teso e nervoso che compie un gesto simile ad un saluto o una carezza.
La trofia nasce da una carezza: energica e sicura, ma pur sempre una carezza.
La voglia di cimentarmi in un nuovo tipo di pasta fresca è partita automaticamente non appena ho avuto fra le mani la semola di grano duro che vedete qui sopra.
Si tratta di uno dei tesori di terra Lucana di Mangiare Matera.
Qualcosa di cui vi ho già parlato qui e di cui sentirete parlare ancora a lungo.
Perché quando ci si innamora è difficile tornare indietro.
Specialmente se l'oggetto della vostra passione è una creatura bionda, profumata di buono, morbida e accomodante. Ma soprattutto poliedrica.
Me lo direte anche voi quando avrete provato questa semola.
Al tatto è setosa, quasi impalpabile e non parlo di semola rimacinata.
Senza neanche averla bagnata, sprigiona un profumo difficilmente spiegabile, ma vira al dolce e a qualcosa di antico che non ho ancora individuato, ma ve lo dirò nel tempo.
All'impasto con sola acqua è cedevole, morbida, duttile e dopo qualche istante che la impastate comincia a profumare così tanto che vorreste cominciare a mangiarla ancora cruda.
E' la caratteristica delle farine che derivano dal grano Senatore Cappelli.
Del grano hanno il colore magnifico.
Pur senza l'utilizzo di uova, l'impasto si presenta di un pallido riflesso dorato. Una vera bellezza.
Se come me amate lavorare la pasta fresca, qui otterrete la massima soddisfazione.
Dopo averla fatta riposare una trentina di minuti, sarà pronta a diventare il miglior piatto della vostra vita.
Nel mio caso, le trofie sono arrivate più per curiosità e per uno studio ingegneristico su come ottenere quei lievi turaccioli, che per vera e propria scelta.
Alla fine ci sono riuscita. Che soddisfazione!
La cosa che più mi dispiace è non essere riuscita a realizzare un video per spiegarvi come si fa.
Naturalmente ho fatto una ricerca in rete e la migliore spiegazione "animata" secondo me la trovate qui. Io cercherò di spiegarvelo verbalmente.
Non è complicato, dovete prima provare qualche minuto e poi troverete il "vostro" modo e ritmo.
Ingredienti per 4 persone
300 g di semola di grano duro Senatore Cappelli
2 cucchiai di olio extravergine
Acqua q.b.
Per il condimento
2 patate di media grandezza
150 g di fagiolini puliti
pesto al basilico (se lo fate in casa, usate il vostro)
sale
parmigiano a piacere
olio extravergine Riviera Ligure DOP per finire
Preparate le trofie.
Impastate la semola con olio ed acqua e lavoratela a lungo fino a che non otterrete una palla liscia e setola. Capirete se l'avete lavorata bene e nel giusto tempo, quando l'impasto perderà la sua superficie a "buccia d'arancia" per diventare uniforme e liscia (fosse possibile così anche con le nostre cosce!).
Vi serviranno dai 5 ai 10 minuti di duro lavoro di braccia. Vai con il workout!
Avvolgete la vostra palla nella pellicola e lasciate che riposi.
Passata una mezz'oretta, sedetevi alla vostra spianatoia e cominciate il lavoro più "complesso".
NOTA BENE: non dovete usare farina, anzi la spianatoia dovrà essere priva di farina e lievemente umida. A questo scopo, tenete vicino a voi un canovaccio pulito e bagnato con cui inumidirete appena la superficie quando vi renderete conto di averne bisogno. L'umidità crea l'attrito necessario affinché la pasta rotolando, si avviti su se stessa. E' molto importante. 
Prelevate dalla pasta (che avrete l'accortezza di tenere sempre avvolta nella pellicola), un pezzetto di impasto grosso come un pugno, che terrete nella vostra mano sinistra e dal quale prenderete via via delle palline di pasta non più grandi di una nocciola.
Con la destra mettete la pallina sulla spianatoia e "rollatela" come se doveste fare uno spaghetto. Partite dall'alto, scendete, quindi tornate al punto di partenza.
A questo punto sotto il palmo della vostra mano, avrete un serpentino di pasta non più lungo di 3/4 cm.
Adesso è il momento più importante.
Da quella posizione, fate scendere la mano in diagonale verso di voi, esercitando sulla serpentino di pasta, una pressione con il lato esterno della mano, tenendo la mano sempre ben tesa e aperta. La pressione trascinerà con sé il serpente di pasta, che via via si attorciglierà.
Passerà dal palmo esterno fino al mignolo, ed è proprio all'altezza del mignolo che vedrete sbucare il vostro perfetto turacciolo di pasta. La cosa importante è di tenere la mano sempre nella identica posizione di quando cominciate il lavoro. Bella verticale e dritta di fronte a voi, parallela alla spianatoia, senza piegarla quando la trascinate in diagonale. La parte della mano che lavora maggiormente è quella che va dal migliolo al polso e che probabilmente sarà indolenzita alla fine della vostra sessione di lavoro.
Però davvero, provateci, perché è una cosa incredibile quando otterrete la prima trofia. E vi renderete conto di quanto sia facile!
Quando saranno pronte, lasciatele su un piano coperto di semola e preparate il condimento.
Sbucciate le patate e tagliatele a dadini di 1 cm di lato c.ca.
Pulite i fagiolini e tagliateli a pezzetti non più lunghi di 3 cm.
Fate bollire abbondante acqua salata, quindi versate le patate. Fatele cuocere 5/6 minuti e nella stessa acqua aggiungete i fagiolini. Fate cuocere altri 5/6 minuti quindi aggiungete la pasta.
Per le trofie fresche ci vorrà molto poco, direi intorno ai 6 minuti, forse anche meno. Assaggiate.
Scolate il tutto in una bella insalatiera in cui avrete già versato il vostro pesto allungato con un mestolino di acqua di cottura.
Mescolate bene e servite con un filo d'olio Riviera Ligure Dop a crudo e parmigiano a piacere.



mercoledì 6 novembre 2013

Cavatelli Senatore Cappelli al profumo di autunno e l'impossibilità di avere un blog "normale"

That's the way (I like it) - KC and the Sunshine band

Mi rendo conto solo adesso che sono mesi che non pubblico un piatto di pasta. 
Non è vero, l'ho fatto anche di recente, ma sempre di pasta fatta in casa, che è quella su cui indulgo con maggior piacere. 
Ma è anche vero che la pasta la cucino praticamente tutti i giorni, con variazioni alterne e spesso mi sembra fin troppo scontato pubblicare qualcosa così facile e veloce da preparare. 
Sbagliatissimo.
Forse è proprio questo che cerca chi mi segue o chi è abituato a visitare un blog di cucina: una ricetta appetitosa, non impossibile da realizzare in breve tempo, assolutamente stagionale e "onnivoro-oriented". 
Il fatto è che ce ne dimentichiamo
Più facilmente ci lasciamo andare nell'autocompiacimento o alla sfida temeraria per la ricetta più complessa, alla presentazione più audace, al sapore più esotico e lontano. 
Qualche giorno fa quel sant'uomo del mio consorte (e mi riferisco anche a tutti i mariti di foodblogger...degni destinatari di beatificazioni), se ne è uscito con una frase che mi ha fatto pensare: "Ma che fine hanno fatto le lasagne della tradizione? E i cannelloni? Sarà possibile mangiarli ancora in questa casa?"
Ovviamente ha continuato per un bel po', ribadendo che non c'è verso vedere uno di questi piatti su un qualsiasi blog, e che se ci sono, inevitabilmente si trasformano in variazioni pindariche prive di qualsiasi appeal. 
Tutte concentrate a sperimentare nuove prelibatezze, trascuriamo quelli che sono i piatti con cui siamo cresciute, dando per scontato ricette che hanno invece un valore intrinseco grandissimo, ma soprattutto sono completamente "diverse" nella loro familiarità. 
Le amiamo, le prepariamo per le occasioni speciali ma non le condividiamo e la ragione primaria è che siamo convinte che in ogni caso, ognuna di noi continuerà a cucinare quella che mangiava da bambina, quella della sua mamma, insomma quella di famiglia.
E' proprio vero? I piatti che diamo per scontati non meritano di essere condivisi? Ancora meglio, sono piatti non degni di stare in quello che ci ostiniamo a considerare il nostro quaderno di cucina on line? 
La cosa che mi crea disagio, è che mio marito ha ragione. 
Il blog finisce col diventare una vetrina di ricettine tutte ucciciccipucci, così carine, belline, perfettine ed estremamente noiosine. 
Direi che dovremmo riprendere in mano il concetto di "sano appetito" e cominciare a cucinare qualcosa che si mangi davvero, che riempia il piatto, che scaldi il cuore e soprattutto che sia riconoscibile. 
Naturalmente parlo per me. E voi che ne pensate?



Perdonate la provocazione, ma ci terrei a sapere cosa ne pensate in proposito. Per restare in tema e celebrare uno dei grani più speciali ed importanti del nostro patrimonio gastronomico, il "Senatore Cappelli", di cui ho già parlato qui, ma soprattutto per ricordarvi dello splendido contest Mangiare Matera, partito proprio nei giorni scorsi, ho voluto provare questi Cavatelli lunghi in una versione prettamente autunnale. 
Premetto che il Cavatello chiama sugo, possibilmente "o' rraù" come viene servito in casa dei miei suoceri in Molise, ma trovo che questo formato di pasta si sposi invece benissimo con condimenti a base di verdure, di legumi ed anche con ragù di pesce (anche se io non ho la fortuna di trovarlo fresco come vorrei).
Ho provato quindi un connubio estremamente terreno, autunnale, con i colori di questi giorni ed i profumi del bosco, lievemente intrigati dall'inconfondibile aroma dello zafferano egiziano (ho usato il tuo Stefania!). 
Quello che ne è uscito, beh, giudicate voi.
Ingredienti per 4 persone
320 g di Cavatelli Senatore Cappelli di Mangiare Matera
200 g di funghi porcini freschi
1 salsiccia fresca non troppo speziata
100 g di zucca soda tipo mantovana, sbucciata e tagliata a fettine sottili
un pizzico di pistilli di zafferano
un ciuffetto di prezzemolo
1 spicchio d'aglio
olio extravergine
sale - peperoncino a piacere
Mettete i pistilli di zafferano in infusione in una tazza di acqua bollente per almeno 30 minuti.
Fate grigliare la zucca su una piastra o una bistecchiera e salatela durante la cottura. Una volta pronta tenete da parte. 
Pulite accuratamente i porcini con un panno umido privandoli della radice e delle parti danneggiate (eventualmente anche della parte spugnosa se non sono porcini appena colti) quindi tagliateli a fettine e dadini.
In una larga padella, fate profumare l'olio extravergine con lo spicchio d'aglio quindi aggiungete i porcini. Fate cuocere a fiamma media fino a che non avranno rilasciato l'acqua, a quel punto alzate la fiamma, salate e quando saranno sul punto di rosolare, aggiungete la salsiccia privata della pelle e sminuzzata con le mani. 
Continuate a smuovere la salsiccia con i funghi, fino a che anche lei non sarà bella tirata. 
Nel frattempo avrete già versato la pasta in abbondante acqua bollente e salata .
Tagliate la zucca a fettine sottili ed aggiungetela ai funghi e salsiccia, quindi scolate la pasta un paio di minuti prima che sia a cottura, e versatela nella padella con il condimento, aggiungendo l'acqua con lo zafferano con un mestolino, "risottando" i cavatelli fino a portarli a cottura. Aggiustate di sale se necessario.
Prima di impiattare, aggiungete una manciata di prezzemolo tritato, del peperoncino per chi gradisce ed irrorate con olio extravergine nuovo, nel mio caso di Gentile di Larino
Decorate con pistilli di zafferano. 





mercoledì 23 ottobre 2013

Mescola Garfagnina e l'affascinante storia di un grano.

The fool on the Hill - The Beatles 
Una cara amica, che ultimamente mi ha accusata di portare pioggia e tempesta dove passo, tranne poi trovarsi a dover guadare una strada vicinale a bordo di un trattore laddove io non ero presente (a questo punto bisognerebbe farsi venire dei dubbi su chi è l'uomo della pioggia!), mi ha gentilmente trascinata in un tunnel dal quale sarà ben difficile uscire: il tunnel dei grani antichi! E con me ha trascinato questa folla di entusiaste! 
La curiosità si è accesa questa estate durante l'evento Siena & Stars, grazie al famoso Grano Verna di cui ho parlato ampiamente qui.
Ma grazie a questa amica misteriosa e ad un uomo che del grano e dell'amore per la sua terra, ne ha fatto praticamente il suo mestiere, ho avuto l'onore di entrare a far parte di un progetto molto bello dal nome che è tutto un programma: Mangiare Matera.
Questa realtà commerciale ha anche e soprattutto lo scopo di valorizzare prodotti di grandissimo pregio (dalle farine, al grano, al pane meraviglioso e la pasta che non può mancare, ma anche alla pasticceria da "credenza") attraverso il forte legame con un territorio ancora non conosciuto nella sua completezza, la Basilicata o Lucania che dir si voglia. 
In un prossimo post vi parlerò di un libro che dovrete leggere assolutamente, perché di una bellezza senza eguali e soprattutto una dichiarazione d'amore a questa terra che molti, a gravissimo torto, considerano abbandonata da Dio.

Spesso ci dimentichiamo che la natura è il più grande artista dell'universo ma che dove la natura non è arrivata, ci ha pensato la mano dell'uomo. 
Ed il genio italico, in questo, non è secondo a nessuno.
Purtroppo un piatto di pasta fatta a regola d'arte, ha la capacità di farci dimenticare l'immenso lavoro che rappresenta, fermandoci alla creatività ed alla tecnica di chi quella pasta l'ha preparata. Ma la pasta ha una storia e la sua storia è legata a quella del suo grano.
Qualche tempo fa, dopo aver ricevuto uno splendido campione di prodotti da Mangiare Matera, in cui trionfavano semola rimacinata, farina e grano Senatore Cappelli, oltre che un pane di semola da commozione, ho realizzato di non sapere praticamente nulla di questo grano.
Che esiste grazie agli studi ed all'incessante lavoro di un genetista, Nazareno Strampelli, sconosciuto ai più, che agli inizi del '900 cominciò a lavorare sul miglioramento genetico del grano tenero. 
A questo proposito vi invito a leggere questo splendido articolo di Dario Bressanini che percorre i momenti salienti della vita di Strampelli e di come ottenne il grano Senatore Cappelli. 
Il nome di questo grano, che oggi è sinonimo di altissima qualità e prestigio, fu dedicato al deputato del regno d'Italia Raffaele Cappelli, che consentì al genetista di utilizzare i propri terreni in Puglia per semine sperimentali. 
Fu proprio sui campi di Cappelli che Nazareno Strampelli riuscì a perfezionare i suoi studi, stabilizzando l'incrocio di grani autoctoni con una varietà tunisina resistente e molto adattabile al clima italiano. 
Nel 1923 il grano che otterrà da questi tentativi, prenderà il nome di Senatore Cappelli (nel frattempo il deputato era diventato Senatore) e diventerà un successo senza precedenti fra i coltivatori e produttori italiani. 
Adesso, quando infilzerete con la vostra forchetta un bel piatto di pasta Senatore Cappelli, avrete probabilmente tutta un'altra gratitudine. 
Io personalmente, mi inchino al lavoro di Nazareno Strampelli. 

La prima ricetta che ho deciso di realizzare con i prodotti Mangiare Matera, è un piatto tradizionale della Garfagnana, quella zona a ridosso della Versilia e della provincia di Lucca, arroccata sui monti adiacenti le Alpi Apuane. 
Un'area splendida, in parte ancora selvaggia, dove si coltiva e si produce una grande quantità di farro.
Ho modificato la ricetta, eliminando il farro ed aggiungendo il grano Senatore Cappelli, ed ho ricavato questa minestra che ha un sapore fantastico e che, accompagnata da una porzione di verdure saltate, può essere considerata senza problemi, un piatto unico.
Facilissima, non richiede preparazioni lunghe, se non i tempi di cottura. Non avrete bisogno neanche dell'ammollo se userete varietà di legumi piccoli.

Ingredienti per 4/6 persone
500 g di misto legumi. Non comprate quelli già pronti, preparatelo voi con:
100 g di grano Senatore Cappelli (al posto del tradizionale farro).
100 g di ceci piccoli (io ho usato quelli di Navelli)
100 g di fagioli bianchi piccoli (cannellini o di Sorana o se li trovate, Zolfini)
100 g di lenticchie di Castelluccio
100 g di piselli secchi
1 cipolla
1 carota
2 coste di sedano
1 porro
1 piccola patata
1 spicchio d'aglio
3 o 4 foglie di salvia
un rametto di rosmarino
1 bicchiere di pomodori pelati o salsa di pomodoro
sale e pepe
peperoncino a piacere
Miscelate tutti i legumi e sciacquateli con cura.
Metteteli in una pentola capiente e copriteli con acqua fredda. Aggiungete la patata, la cipolla e la salvia. Fate cuocere a fiamma media.
In una padella antiaderente, fate soffriggere a fiamma dolcissima l'aglio ed io porro triati, la carota ed il sedano a tocchetti, la salvia ed il rosmarino.
Mescolate e fate in modo che le verdure cuociano lentamente senza bruciare. Quando saranno morbide, aggiungete la salsa di pomodoro e se necessario un mestolino di acqua. Aggiustate di sale e pepe, eliminate il rosmarino quindi aggiungete il tutto alla pentola della mescola. 
Continuate la cottura per c.ca 2 ore facendo sobbollire lievemente.
Quando i legumi saranno morbidi ma non sfatti, eliminate la patat e la cipolla, servite con un filo d'olio, una macinata di pepe fresco e del pane tostato. 


Da oggi e nei prossimi mesi, troverete spesso ricette con semola e grano Senatore Cappelli. 
Grazie a Mangiare Matera e a Giovanni Schiuma per questa stupenda opportunità!