People - B. Straisand
Il Salone è passato in un lampo.
Lo abbiamo aspettato due anni e come tutte le cose belle che si attendono con palpitazione, è durato il tempo di un attimo.
Nella concitazione del momento, fra i chilometri macinati nel ventre di padiglioni senza fine, riesco a mettere insieme dei pensieri soltanto ad acque ferme.
L'emozione sedimenta e resta a galla una sorta di consapevolezza di una banalità disarmante.
Quella stessa che ci accompagna in ogni ambito della nostra vita e che governa le meraviglie della scienza, della tecnologia, di ogni progresso e di ogni scoperta.
Di ogni bontà che troviamo sulle nostre tavole, o tra le foglie di un albero da frutto, nei chicchi di una spiga di grano e tra i granelli di sale.
La differenza la fanno le persone.
La differenza la fanno le persone.
Hai voglia a parlare di qualità, di eccellenza, della meraviglia di un territorio, della ricchezze di certe aree geografiche e della bontà di certe produzioni.
Hai voglia a parlare di rivoluzioni alimentari, di salvaguardia di prodotti speciali, antichi, rari, sconosciuti, recuperati.
Hai voglia di parlare di cibo sano, di consumo sostenibile, di fame e abbondanza.
La differenza la fanno le persone.
Per ogni meraviglioso filo di extravergine che verserai sul tuo piatto, per quella farina così speciale, profumata e perfetta, per ogni scaglia di quel formaggio che ti porta in bocca il sapore del fieno e delle valli, per ogni frutto della terra, così saporito e sorprendete per il quale ti chiederai "perché non posso trovarlo così anche a casa mia", sappi che la differenza l'ha fatta lui, l'uomo che ha lottato per averlo.
A nulla serve la perfezione della natura senza l'intervento intelligente e rispettoso dell'uomo, senza il suo lavoro incessante, senza la sua ricerca ed il suo sforzo, senza la sua saggezza e lungimiranza.
A nulla servono macchine, strumenti, tecnologia senza una testa dominata da un sogno e da un bisogno.
Per questo il mio sguardo al Salone di quest'anno si è fermato molto più sulle persone che sui prodotti.
Perché questi ultimi sono figli dei primi e non serve a nulla sapere che esistono mille specie diverse di mele se non c'è nessuno che si preoccupa di coltivarle con cura, preservarle al meglio ed portarle sul banchetto di un mercato.
Dentro al Salone mi è sembrato fosse presente una gigantesca concentrazione di questa saggezza e lungimiranza.
Una volontà che non si arrende ad un mondo che corre verso tutt'altra direzione e che in tutta risposta serra i denti nello sforzo e le mani intorno ad un badile.
Dopo aver raccontato i 10 prodotti che avrei voluto trovare al Salone, sintetizzo qui la mia esperienza a Torino per la quale non smetterò di essere grata a Garofalo e Unforketable, il bellissimo progetto costruito intorno alla scuola di Niko Romito (grazie Emidio a te e a tutta la tua meravigliosa banda di entusiasti).
Ho potuto osservare i giovani chef lavorare senza la minima emozione di fronte ad una platea di astanti curiosi e concentrati e mi sono divertita a raccontare un ingrediente nobile come l'acciuga (di cui poi magari vi parlerò in un post a parte).
Adesso ci provo con i dieci sorprendenti incontri al mio ultimo Salone. In ordine rigorosamente causale.
1. L'AGLIO ROSSO DI NUBIA
Non ridete.
Quando ho sentito il nome Nubia, per deformazione professionale ho pensato all'Egitto.
Mai mi sarei aspettata di fare un errore così grossolano. Questo aglio è italianissimo, anzi, per meglio dire, sicilianissimo, per la precisione della zona di Trapani.
Alla vista è di una bellezza intrigante. Io, che detesto cordialmente l'aglio ma che ovviamente non mi esimo nell'usarlo (in maniera parca) quando cucino, ho avuto il desiderio di toccarlo ed annusarne l'intenso profumo.
La testa è rotonda, compatta, quasi perfettamente sferica e non bitorzoluta come l'aglio che siamo abituati a trovare nella grande distribuzione. Tosto, bello con quella sfumatura violetta che emerge dalle tuniche interne nascoste da un velo candido. Viene raccolto a giugno, intrecciato con arte in trecce grandissime (con oltre 100 teste l'una), e così venduto. Dura molti mesi in perfetto stato.
Il suo sapore è intenso, decisamente superiore alla media ed è impiegato con generosità in alcune tra le più rinomate ricette di quest'area, tra cui il pesto alla trapanese e nel celebre cuscus di pescato.
2. IL CACIOCAVALLO DI CIMINA'
Formaggi. Tanti, troppi.
Vi dico che in tre giorni di Salone ho assaggiato più formaggi che qualsiasi altro tipo di alimento.
Perché io amo qualsiasi cosa esca da un caseificio, il mio frigorifero è una riserva inesauribile di cacini ed in questa speciale classifica, vi renderete conto che la mia è una passione malata.
Parliamo di Calabria e di un formaggio a pasta filata che abitualmente si consuma molto giovane, a pochi giorni dalla produzione.
La tradizione locale lo vuole tagliato a fette e cotto sulla griglia, ma attraverso Slow Food (questo caciocavallo è protetto dal presidio) i produttori hanno cominciato a mettere in commercio forme più grandi destinate a stagionature prolungate. Il latte utilizzato per la produzione di questo capolavoro, che gustato fresco ricorda l'erba appena tagliata mente stagionato vira verso la nocciola, è quello di vacche podoliche che vivono allo stato brado e si alimentano di ciò che trovano nel pascolo.
Ho la fortuna di avere assaggiato molti tipi di caciocavallo ad oggi, e quello di Ciminà è sicuramente in cima alle mie preferenze.
3. I CAPRINI DI WHITE LAKE
Questo formaggio mi ha costato momenti di puro panico durante il mio viaggio di ritorno da Torino in business sul Frecciarossa. A neanche mezz'ora dalla partenza il mio naso sensibilissimo ha cominciato a percepirne l'insofferenza puzzolente nonostante fosse adeguatamente sigillato, sistemato all'interno di una doppia busta e custodito in un grande bagaglio a mano con molte altre cose buone.
Semplicemente lui mi chiamava usando la sua arma fetente.
Quando finalmente l'ho tolto dalla sua prigione una volta a casa, la mia famiglia è fuggita spaventata.
Ma vi garantisco che fra gli acquisti fatti, questo straordinario caprino del Somerset, affinato sotto la cenere, è in assoluto il mio preferito.
Questo prodotto è un altro esempio di come la persona faccia la differenza.
I due mastri caseari Peter Humphries e Roger Longman hanno sperimentato sul latte di capra per anni ottenendo dei prodotti che adesso sono vincitori di premi internazionali.
La produzione di White Lake è limitata al mercato locale ma vi dico che se esportassero, io sarei in prima fila a comprare le loro meraviglie.
4. IL CECE DI CICERALE
Piccolo, direi pure minuto, dal colore giallo dorato con lievi sfumature marroncine, cresce in provincia di Salerno, nel comune di Cicerale, a ridosso del parco Nazionale del Cilento.
L'intensità del suo sapore è indirettamente proporzionale alla sua dimensione e secondo ricerche storiche, furono i romani ad introdurre la coltivazione di questo legume in quest'area, che chiamarono "terra quae cicera alit" ovvero terra che nutre i ceci. Cicerale ha come stemma proprio una piantina di ceci, simbolo della città e della sua fama.
La semina avviene tra marzo e aprile e la coltura non viene bagnata né concimata. La raccolta comincia a luglio e finisce ad agosto e le piantine vengono lasciate seccare al sole stese su sacchi di iuta.
Quando sono secche, si coprono con i sacchi e vengono battute con i bastoni per estrarre i legumi.
Sull'uso del prodotto, la fantasia è tutta vostra ma per quanto mi riguarda, lessato con una foglia di alloro e condito con un ottimo extravergine campano come una DOP del Cilento e macinata di pepe fresco...paradiso.
5. IL SALE DEL FIUME NZOIA
Questo è per me uno dei prodotti più sorprendenti del Salone 2014.
Ciò che vedete spuntare tra le foglie del banano, è sale di fiume.
Per l'esattezza sale del fiume Nzoia nel Kenia occidentale.
Quest'area africana è rimasta per secoli esclusa dalle tradizionali rotte del sale.
Gli abitanti locali hanno sviluppato nel tempo un originale ed ingegnoso metodo per estrarre il sale dalle piante acquatiche che crescono esclusivamente nel fiume Nzoia.
Una volta cresciute, le radici vengono estratte e fatte seccare sulle rocce del fiume. Successivamente bruciate a fuoco lento e le ceneri residue vengono mescolate a lungo nell'acqua calda e filtrate.
L'acqua viene poi fatta bollire in maniera che evapori, lasciando il sale puro sul fondo della ciotola.
Il sale viene raccolto ed "impacchettato" in fogli di banano ed asciugato sotto le ceneri calde durante la notte.
La quantità di sale prodotta serve giusto al fabbisogno locale quindi non è possibile trovare questo incredibile prodotto se non in occasioni come questa. Io l'ho assaggiato e posso dirvi che appena sulla lingua, l'esplosione del salato è immediata e fortissima ma sparisce con la medesima velocità lasciando un sentore resinoso, metallico ed affumicato. Decisamente molto piacevole.
Dal 2009 è Presidio Slow Food e mai come in questo caso il lavoro di questa realtà mi è sembrato più prezioso.
6. LA MELA ROSA DEI MONTI SIBILLINI
E' lei, proprio lei, la mela presente nella mia speciale classifica dei prodotti del desiderio.
L'ho trovata, toccata, annusata e me la sono pure portata a casa, dove è immediatamente finita dentro la pie di Jamie Oliver.
Le storie meravigliose raccontate dalle mie amiche blogger su questo frutto, sono tutte vere e presto tornerò a parlare di lei perché se lo merita.
7. IL TORRONE DI TONARA
I dolci al Salone non mancano e posso garantirvi che se una telecamera segreta mi avesse anche solo ripresa per mezza giornata, avrebbe registrato il mio viaggio della speranza tra stand di cioccolata, biscotti, panettoni e dolciumi di ogni genere come quello di un tossico che non può fare a meno della sua dose quotidiana.
Per almeno 4 volte sono incappata nella postazione del Torronificio Pili di Tonara, ed ogni volta mi sono fermata, assaggiando di nascosto pezzettini di torrone rivestito di cialda croccante, torrone morbido, friabile, aromatizzato al mirto o al limoncello....alla fine ho trovato il coraggio di fare alcune domande alla signora in costume tradizionale, con la timidezza di un innamorato che rivolge la parola alla sua bella per la prima volta.
Ed ho scoperto cose bellissime: che questo torrone è fra i più rinomati d'Italia; che la famiglia Pili produce torrone dal 1889 grazie alla passione di Tiu Giuanneddu Pili, che girava le sagre dell'isola con il suo carretto.
Adesso, i segreti di quest'arte sono custoditi da Gianni e Patrizia (la deliziosa signora che ha risposto alle mie incessanti domande), una coppia che lavora insieme.
Con entusiasmo, sostenuta dalla comune passione per questo dolce antico e affascinante, la cui preparazione richiede ore di lavorazione e tecnica finissima.
Anche qui se il torrone di Tonara è famoso nel mondo, la differenza l'hanno fatta Gianni e Patrizia, e la faranno i loro figli continuando questa tradizione.
8. IL POMODORINO REGINA DI TORRE CANNE
Il nome di questo pomodorino è estremamente poetico e pare che la ragione di questo appellativo derivi dalla caratteristica del peduncolo che assomiglia ad una piccola corona una volta cresciuto.
Torre Canne è mare, mare di Puglia.
Si parla di alto Salento, di luoghi incantevoli come Ostuni e Fasano, della litoranea sabbiosa e del salmastro che regala a questi frutti dell'orto alcune caratteristiche molto importanti, come la buccia spessa che consente loro la lunga conservazione.
In quest'area la coltivazione dei pomodori cominciò nella seconda metà dell'800, sostituendo quella del cotone, che invece era presente sul territorio da secoli (ed era una enorme risorsa economica).
Dopo che la produzione del cotone divenne di predominio americano ed asiatico, gli abitanti di questa zona diedero al pomodoro ed al grano un grande impulso tutt'ora fondamentali per l'economia della regione.
L'aspetto affascinante è che la coltura del cotone non smise del tutto.
L'uso di coltivare il cotone fra i filari dei pomodori è tutt'ora viva: il cotone prodotto diventa poi la cordicella con cui vengono intrecciati i mazzi di pomodori che vengono poi conservati appesi.
I grappoli di pomodorini regina si chiamano "ramasole".
Tradizione vuole che la ragazza da marito che possiede molte ramasole, sia la più ambita.
Una dote specialissima, più preziosa del corredo! Mica stupidi i pugliesi.
9. IL PANNERONE DI LODI
E' l'ultimo formaggio, promesso, ma è troppo curioso per non parlarvene.
Il Pannerone è chiamato anche "il gigante lodigiano" per la sua stazza importante (12/13 kg di peso a forma, 25/30 cm di diametro per una altezza di 20 cm).
Il suo nome deriva da "panera" che in dialetto locale significa crema di latte o panna.
La sua particolarità, e vi invito ad assaggiarlo se vi capita, è la totale mancanza di salatura sia in produzione che in invecchiamento (che chiamerei più stagionatura, visto che dura non oltre i 10 giorni).
La crosta ha un colore giallo chiaro e la pasta invece è bianco panna, con tanti piccoli "occhielli" diffusi , molto morbida e profumata.
All'assaggio mi ha lasciata completamente senza parole.
Dopo aver provato formaggi estremamente saporiti, di grande struttura, sapidità ed incredibili sfumature di sapore, ho pensato che questo formaggio non fosse buono.
Cioè avesse dei difetti.
In realtà il Pannerone è un prodotto difficile da capire per il nostro palato non abituato a codificare un formaggio senza sale.
L'impressione che si avverte è una "pseudo dolcezza" che dopo poco vira verso l'amaro, caratteristica di qualità del perfetto Pannerone. Ho scoperto che ci sono estimatori di questo formaggio, e che la sua morte è l'abbinamento con mostarde, uva fresca, confetture, miele aromatico ed anche con distillati di vinacce. Io però non l'ho inserito nella mia collezione di cacini.
10. IL TOPINAMBUR
Beh, lo conoscete tutti lo so.
Finisce nelle nostre vellutate, nelle omelette, in gustose chips fritte, in salse e zuppe, al forno o nel risotto. E' un tubero conosciuto anche come Carciofo di Gerusalemme ed effettivamente il sapore ricorda proprio quello del carciofo.
Io non ho potuto fare a meno di soffermarmi per ammirarlo in tutta la sua bitorzoluta bellezza ed ho trovato che non assomigli per nulla alla radice che a volte mi capita di comprare al supermercato.
Purtroppo la maggior parte delle volte trovo dei topinambur rinsecchiti, piccoli, dal colore spento. Mi passa la voglia di comprarli.
Preferirei decorare la tavola con un mazzo di quelle margheritone gialle da cui provengono.
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venerdì 7 novembre 2014
lunedì 20 ottobre 2014
Pane dolce allo zafferano di Navelli e polvere di liquirizia
Scarborough fair - Simon & Garfunkel live
Proseguendo il conto alla rovescia che mi porterà a partire per Torino il prossimo 23 ottobre, vi racconto cosa mi troverò a fare in quel meraviglioso Salone del Gusto che vede riunirsi migliaia di prodotti e produttori da ogni parte del mondo.
Che per un amante di cibo è meglio di un Eldorado o del paese delle Meraviglie.
Grazie al progetto Unforkettable di Garofalo e Niko Romito, sarò al salone come ambasciatrice AIFB (Associazione Italiana Food Blogger) ed avrò un compito come altri 19 soci AIFB che con me vivranno questa esperienza: raccontare un prodotto, un produttore ed una ricetta durante lo show cooking della brigata di Niko Romito.
Il prodotto a me assegnato sono le acciughe.
Che per una terragnola come la sottoscritta è una bella sfida. Ma sto studiando e preparandomi quindi al mio ritorno vi racconterò tutto, ma proprio tutto di questo meraviglioso piccolo pesce tanto amato dalla tavola italiana.
Lasciando da parte l'ansia che già sale come una marea, cerco di concentrarmi sul pre-salone e sulla richiesta che ci è stata fatta, di individuare un prodotto dell'Arca Slow Food con cui preparare una ricetta.
Tutti i prodotti dell'Arca sono difficilmente reperibili proprio perché fortemente territorializzati e spesso restano un miraggio per chi non ha la possibilità di viaggiare seguendo il proprio palato.
Lo scorso maggio ho avuto l'opportunità di trascorrere una giornata a l'Aquila, al Salone dei Parchi e proprio lì ho trovato lo Zafferano di Navelli.
L'oro in polvere si ottiene dagli stimi essiccati del fiore Crocus Sativus (proprio vicino a Siena abbiamo una discreta produzione di zafferano a S. Gimignano, che fiorisce per la festa di S. Fina, come un piccolo miracolo).
In Abruzzo cresce sull'altopiano di Navelli, di cui vi ho già parlato in un altro post, avendo utilizzato i ceci minuscoli e dolci prodotti proprio lì.
L'altopiano si trova tra i parchi del Gran Sasso e del Sirente Velino e grazie al clima asciutto e ventoso, trovano il loro habitat ideale.
I fiori vengono raccolti ancora chiusi alle prime ore del mattino, sistemati in canestri di vimini ed aperti con le unghie, uno per uno (vi immaginate il lavoro), per poi strappare delicatamente gli stimmi dallo stelo.
Una volta finita la sfioratura, i pistilli sono appoggiati su un setaccio posto sulla cenere calda del camino e vengono tostati lentissimamente.
Parte degli stimi vengono macinati ed altri venduti così come sono (io ho utilizzato gli stimmi per questa ricetta), in vasetti da un grammo. Tanto per indicare quanto siano preziosi.
I fili ovviamente sono più pregiati perché oltre ad aromatizzare intensamente, sono splendidi come decorazione di piatti e ricette.
Ecco la ricetta di questo pane super aromatico e facile da fare che ho modificato da una ricetta trovata in un vecchio numero di Sale e Pepe.
400 g di farina di tipo 00 (io ho usato 200 g di 00 e 200 g di farina forte)
140 g di scorza di arancia siciliana candita
170 g di zucchero semolato
1.5 dl di latte
6/7 scaglie di liquirizia dura, tipo Amarelli
3 cucchiai di liquore abruzzese Aurum, all'arancia
un pizzico di zafferano in stimmi
12 g di lievito di birra
50 ml di olio extravergine Trevi DOP emulsionato con 50 ml di acqua
un pizzico di sale
Riducete le scorze candite in dadini di c.ca 5 mm di lato.
Metteteli in ammollo con il liquore (se non avete l'Aurum che è tradizionalmente di terra d'Abruzzo), potete tranquillamente usare del Rum. Lasciateli macerare per c.ca 1 ora.
Preparate il lievitino, intiepidendo il latte dove scioglierete il lievito di birra con gli stimmi di zafferano ed un cucchiaino di zucchero fino a che il lievito non comincerà a fare la classica schiumina in superficie (ci vorranno c.ca 10 minuti).
A questo punto versate il lievito in una ciotola larga con 50 g di farina. Mescolate bene affinché i grumi si sciolgano e lasciate in luogo tiepido per almeno 30 minuti.
Quando il lievitino avrà raddoppiato di volume, versatelo nella planetaria ed aggiungete la farina rimanente, 150 g di zucchero, i canditi con il liquore, l'emulsione di olio ed acqua, un pizzico di sale, ed impastate a velocità media per almeno 10 minuti. Se l'impasto vi sembrasse duro, aggiungete dell'acqua, con molta attenzione, un cucchiaio alla volta, fino a che l'impasto non starà insieme ed avrà una consistenza morbida e liscia. La quantità di acqua dipenderà dalla farina che utilizzerete.
Mettete l'impasto in una ciotola oleata, incidete con una croce e coprite con una pellicola. Fate lievitare per almeno 2 ore in luogo tiepido (io uso il forno con la lucina accesa).
Vedrete la vostra pagnotta bella gonfia.
Rovesciatela sulla spianatoia, sgonfiatela con i pugni, impastatela per qualche minuto quindi sistematela in uno stampo di 26 cm di diametro, incidetela nuovamente e proseguite con la seconda lievitazione, per almeno 45 minuti.
Prima di mettere in forno, preriscaldato a 200°, spennellate la superficie con poco olio extravergine, cospargete con lo zucchero rimasto e la polvere di liquirizia.
Fate cuocere per c.ca 35 minuti.
Una volta cotta, battete sotto il pane e se suona a vuoto, il pane è pronto.
Fate raffreddare su una gratella e servite tiepido o freddo.
Splendido tostato al mattino.
Proseguendo il conto alla rovescia che mi porterà a partire per Torino il prossimo 23 ottobre, vi racconto cosa mi troverò a fare in quel meraviglioso Salone del Gusto che vede riunirsi migliaia di prodotti e produttori da ogni parte del mondo.
Che per un amante di cibo è meglio di un Eldorado o del paese delle Meraviglie.
Grazie al progetto Unforkettable di Garofalo e Niko Romito, sarò al salone come ambasciatrice AIFB (Associazione Italiana Food Blogger) ed avrò un compito come altri 19 soci AIFB che con me vivranno questa esperienza: raccontare un prodotto, un produttore ed una ricetta durante lo show cooking della brigata di Niko Romito.
Il prodotto a me assegnato sono le acciughe.
Che per una terragnola come la sottoscritta è una bella sfida. Ma sto studiando e preparandomi quindi al mio ritorno vi racconterò tutto, ma proprio tutto di questo meraviglioso piccolo pesce tanto amato dalla tavola italiana.
Lasciando da parte l'ansia che già sale come una marea, cerco di concentrarmi sul pre-salone e sulla richiesta che ci è stata fatta, di individuare un prodotto dell'Arca Slow Food con cui preparare una ricetta.
Tutti i prodotti dell'Arca sono difficilmente reperibili proprio perché fortemente territorializzati e spesso restano un miraggio per chi non ha la possibilità di viaggiare seguendo il proprio palato.
Lo scorso maggio ho avuto l'opportunità di trascorrere una giornata a l'Aquila, al Salone dei Parchi e proprio lì ho trovato lo Zafferano di Navelli.
L'oro in polvere si ottiene dagli stimi essiccati del fiore Crocus Sativus (proprio vicino a Siena abbiamo una discreta produzione di zafferano a S. Gimignano, che fiorisce per la festa di S. Fina, come un piccolo miracolo).
In Abruzzo cresce sull'altopiano di Navelli, di cui vi ho già parlato in un altro post, avendo utilizzato i ceci minuscoli e dolci prodotti proprio lì.
L'altopiano si trova tra i parchi del Gran Sasso e del Sirente Velino e grazie al clima asciutto e ventoso, trovano il loro habitat ideale.
I fiori vengono raccolti ancora chiusi alle prime ore del mattino, sistemati in canestri di vimini ed aperti con le unghie, uno per uno (vi immaginate il lavoro), per poi strappare delicatamente gli stimmi dallo stelo.
Una volta finita la sfioratura, i pistilli sono appoggiati su un setaccio posto sulla cenere calda del camino e vengono tostati lentissimamente.
Parte degli stimi vengono macinati ed altri venduti così come sono (io ho utilizzato gli stimmi per questa ricetta), in vasetti da un grammo. Tanto per indicare quanto siano preziosi.
I fili ovviamente sono più pregiati perché oltre ad aromatizzare intensamente, sono splendidi come decorazione di piatti e ricette.
400 g di farina di tipo 00 (io ho usato 200 g di 00 e 200 g di farina forte)
140 g di scorza di arancia siciliana candita
170 g di zucchero semolato
1.5 dl di latte
6/7 scaglie di liquirizia dura, tipo Amarelli
3 cucchiai di liquore abruzzese Aurum, all'arancia
un pizzico di zafferano in stimmi
12 g di lievito di birra
50 ml di olio extravergine Trevi DOP emulsionato con 50 ml di acqua
un pizzico di sale
Riducete le scorze candite in dadini di c.ca 5 mm di lato.
Metteteli in ammollo con il liquore (se non avete l'Aurum che è tradizionalmente di terra d'Abruzzo), potete tranquillamente usare del Rum. Lasciateli macerare per c.ca 1 ora.
Preparate il lievitino, intiepidendo il latte dove scioglierete il lievito di birra con gli stimmi di zafferano ed un cucchiaino di zucchero fino a che il lievito non comincerà a fare la classica schiumina in superficie (ci vorranno c.ca 10 minuti).
A questo punto versate il lievito in una ciotola larga con 50 g di farina. Mescolate bene affinché i grumi si sciolgano e lasciate in luogo tiepido per almeno 30 minuti.
Quando il lievitino avrà raddoppiato di volume, versatelo nella planetaria ed aggiungete la farina rimanente, 150 g di zucchero, i canditi con il liquore, l'emulsione di olio ed acqua, un pizzico di sale, ed impastate a velocità media per almeno 10 minuti. Se l'impasto vi sembrasse duro, aggiungete dell'acqua, con molta attenzione, un cucchiaio alla volta, fino a che l'impasto non starà insieme ed avrà una consistenza morbida e liscia. La quantità di acqua dipenderà dalla farina che utilizzerete.
Mettete l'impasto in una ciotola oleata, incidete con una croce e coprite con una pellicola. Fate lievitare per almeno 2 ore in luogo tiepido (io uso il forno con la lucina accesa).
Vedrete la vostra pagnotta bella gonfia.
Rovesciatela sulla spianatoia, sgonfiatela con i pugni, impastatela per qualche minuto quindi sistematela in uno stampo di 26 cm di diametro, incidetela nuovamente e proseguite con la seconda lievitazione, per almeno 45 minuti.
Prima di mettere in forno, preriscaldato a 200°, spennellate la superficie con poco olio extravergine, cospargete con lo zucchero rimasto e la polvere di liquirizia.
Fate cuocere per c.ca 35 minuti.
Una volta cotta, battete sotto il pane e se suona a vuoto, il pane è pronto.
Fate raffreddare su una gratella e servite tiepido o freddo.
Splendido tostato al mattino.
lunedì 7 maggio 2012
Il terrore corre sul taxi: Spaghetti al "mio" pesto
I'm scared - Duffy
In tanti anni di viaggi per piacere e per lavoro, non ricordo di essermi trovata mai davanti a situazioni complicate o spiacevoli sorprese, se non vogliamo considerare come tali l'aver perso il bagaglio enne volte, l'aver visto cancellare il proprio volo ed essere stata riprotetta su un aeroporto a 2 ore di distanza da quello previsto, l'aver dovuto attendere oltre 9 ore in un minuscolo terminal la partenza del volo bloccato per una tempesta di ghiaccio, ecc, ecc, ecc,
Beh, tutte queste situazioni fanno parte del vissuto di chi viaggia molto, ma anche di chi viaggia una tantum. Io mi riferisco a situazioni complicate o in cui vi siete spaventate un tot, incontrate nella destinazione prescelta.
Non ricordo nulla che mi abbia davvero messa in difficoltà o fatta sentire in balia del pericolo come quella corsa in un taxi Parigino nel novembre di un anno fa. Finchè viaggio da sola non me ne importa nulla, ma mia figlia era con me e questo ovviamente cambia tutto.
Ho raccontato più volte che Parigi è la mia città del cuore e che con mio marito dobbiamo tornarci almeno una volta l'anno, foss'anche solo per 3 giorni rubati, così, per devozione! Stessa cosa abbiamo fatto un anno fa ed il week end appena trascorso.
"Uffa piove mamma, dai prendiamo un taxi, noooo, la metro noooo" -
Mia figlia non ama la metropolitana. In compenso adora il taxi e dopo una giornata di cammino estenuante sotto la pioggia, l'idea di ritornare in Hotel in taxi non dispiace neanche a me. Chiamiamo il nostro taxi che ci raggiunge in un baleno. Saliamo di corsa, sotto la pioggia inclemente, e ci sistemiamo su questa Mercedes bianca, alla cui guida sta un franco-cinese. Mia figlia si mette in mezzo tra me e mio marito ed appoggia i piedi su quella specie di gradino che si rialza tra i sedili posteriori. Il tassista si gira di scatto e le intima con stizza di togliere i piedi da lì. Io invito immediatamente mia figlia a mettersi composta e lei in silenzio ubbidisce. Al che, improvvisamente ho un colpo di tosse violento e mentre cerco di farmelo passare frugando nella borsa in cerca di una qualche caramella, sento il cinesino mormorare qualcosa. Penso che si rivolga a me così alzo lo sguardo e sento che ripete come un mantra " Reste tranquille, reste tranquille, reste tranquille"....Ora, io il francese l'ho studiato ed amato per anni e lo capisco anche molto bene e questo "reste tranquille" non mi piace per nulla. Guardo mio marito con gli occhi più grandi di quelli che già sono al naturale e senza dire nulla, gli faccio gesto di ascoltare. "Reste tranquille....pas d'agressivité dans la volture....". Il cinesino continua il suo mantra ipnotico con voce atona e meccanica, ma stavolta aggiunge un elemento che, se un minuto prima mi faceva sentire lievemente inquieta, adesso mi fa entrare nel più totale panico. Comincio a scivolare sempre più in basso nel sedile e con il braccio cingo le spalle di mia figlia tirandola a me. Intanto prego il Signore che non mi faccia tossire perché se il tipo soffre di psicosi da malattia contagiosa, io sono finita! Guardo mio marito che adesso ha una faccia da "vendicatore della notte" e fissa tutti i punti chiave dell'auto pronto ad una fuga estrema. Io sono già lì che penso ai titoli dei giornali "famiglia italiana sterminata da taxi driver impazzito con la sindrome da Sars" e nell'abitacolo piomba il silenzio più assoluto. Sento solo il mio cuore battere come un martello pneumatico!
"Vous savez messieurs, que le chauffeur de taxi est subjet au stress le plus total"! Il cinese non mormora. Il cinese adesso parla. E dopo un attimo di silenzio, mio marito risponde e parla pure francese, lui che il francese non l'ha mai neanche studiato! Ma lo parla e bofonchia e sbuffa come fanno tutti i francesi da che mondo è mondo e tiene il cinesino sul pezzo conversando allegramente di crisi, di tasse e pensioni e anche della pioggia,("il pluve, il pluve!!!" - già, proprio così) fino a che non arriviamo a destinazione. Alla fine, il nostro Taxi Driver in astinenza da Valium, ci guarda mortificato ripetendo "scusatemi, scusatemi", essendosi accordo chiaramente di aver tolto qualche anno di vita a quella stranita famiglia italiana.
"Io avevo già un piano: con la sciarpa lo immobilizzo, gli do una golinata con il gomito e gli sbatacchio la testa sul volante. Lui per forza si ferma, tu prendi Alice e usciamo di corsa dalla macchina". Mio marito ed io ci guardiamo: io con qualche capello bianco in più, lui con gli occhi ancora spiritati. Penso che è bello avere un marito in grado di trasformarsi in un super-eroe alla bisogna e comincio a ridere come una pazza. Seguita a ruota da lui. Ridiamo per 10 minuti, ma forse stiamo piangendo, non ci capisco più niente. E Alice in silenzio fino ad allora, che in un fil di voce ci fa: "Basta taxi, eh mamma?"
E voi, mi raccontate qualche vostra disavventura viaggiante finita bene? Spero di non avervi terrorizzate, in genere i tassisti sono persone carine e disponibili quando gli gira bene, ma se potete, non tossite!
"Maccherone, tu m'hai provocato e io te distruggo, me te magno!" Questa frase è la mia ispirazione, il mio mantra inespresso, e mentre dentro, ogni volta che la sento, rido come una bambina, al momento giusto mi ricorda che gli spaghetti, o "maccheroni" come frequentemente li chiamano al sud, sono la perfetta tela bianca su cui dipingere i nostri gusti ed azzardare gli abbinamenti di sapori più arditi. Evviva dunque gli spaghetti, il nostro simbolo, il nostro passaporto e direi anche il nostro alter ego. Italiani "mangiaspaghetti"? Si, e con orgoglio!
Potrete trovare questa ricetta anche su "Donne sul Web" per tutta la settimana, con una stupenda collezione dedicata agli spaghetti in mille gusti diversi!
Ingredienti per 4 persone:
360 gr di spaghetti Garofalo
2 uova
un ciuffetto di origano fresco
un ciuffetto di basilico
un ciuffetto di maggiorana
2 cucchiai di mandorle sgusciate e tostate
12 olive di Kalamata
8 fiori di cappero di Pantelleria
un cucchiaio di Colatura di Alici di Cetara
4 cucchiai di Olio Extra vergine d'Oliva di Taggiasca
Sale
Mettete a bollire abbondante acqua salata. Nel frattempo mettete le uova in un pentolino con acqua fredda, portate a ebollizione e fate cuocere 6 minuti. Una volta pronte, sgusciatele e mettetele in un bicchiere da mixer ad immersione insieme alle mandorle, alle erbe aromatiche, ai capperi, la colatura di alici, l'olio extra vergine ed un cucchiaio di acqua di cottura. Frullate bene il tutto, aggiustate di sale e mettete nella ciotola dove scolerete gli spaghetti. Fate cuocere la pasta e nel frattempo denocciolate le olive e tagliatele a striscioline larghe come un petalo. Scolate la pasta e conditela con il pesto d'uovo, aggiungete le olive e mescolate bene aggiungendo un po' d'acqua di cottura se necessario. Servite subito decorando con qualche rametto di origano fresco.
Con questa ricetta partecipo al contest di Sississima "Te li fai DUSPAGHI"?
In tanti anni di viaggi per piacere e per lavoro, non ricordo di essermi trovata mai davanti a situazioni complicate o spiacevoli sorprese, se non vogliamo considerare come tali l'aver perso il bagaglio enne volte, l'aver visto cancellare il proprio volo ed essere stata riprotetta su un aeroporto a 2 ore di distanza da quello previsto, l'aver dovuto attendere oltre 9 ore in un minuscolo terminal la partenza del volo bloccato per una tempesta di ghiaccio, ecc, ecc, ecc,
Beh, tutte queste situazioni fanno parte del vissuto di chi viaggia molto, ma anche di chi viaggia una tantum. Io mi riferisco a situazioni complicate o in cui vi siete spaventate un tot, incontrate nella destinazione prescelta.
Non ricordo nulla che mi abbia davvero messa in difficoltà o fatta sentire in balia del pericolo come quella corsa in un taxi Parigino nel novembre di un anno fa. Finchè viaggio da sola non me ne importa nulla, ma mia figlia era con me e questo ovviamente cambia tutto.
Ho raccontato più volte che Parigi è la mia città del cuore e che con mio marito dobbiamo tornarci almeno una volta l'anno, foss'anche solo per 3 giorni rubati, così, per devozione! Stessa cosa abbiamo fatto un anno fa ed il week end appena trascorso.
"Uffa piove mamma, dai prendiamo un taxi, noooo, la metro noooo" -
Mia figlia non ama la metropolitana. In compenso adora il taxi e dopo una giornata di cammino estenuante sotto la pioggia, l'idea di ritornare in Hotel in taxi non dispiace neanche a me. Chiamiamo il nostro taxi che ci raggiunge in un baleno. Saliamo di corsa, sotto la pioggia inclemente, e ci sistemiamo su questa Mercedes bianca, alla cui guida sta un franco-cinese. Mia figlia si mette in mezzo tra me e mio marito ed appoggia i piedi su quella specie di gradino che si rialza tra i sedili posteriori. Il tassista si gira di scatto e le intima con stizza di togliere i piedi da lì. Io invito immediatamente mia figlia a mettersi composta e lei in silenzio ubbidisce. Al che, improvvisamente ho un colpo di tosse violento e mentre cerco di farmelo passare frugando nella borsa in cerca di una qualche caramella, sento il cinesino mormorare qualcosa. Penso che si rivolga a me così alzo lo sguardo e sento che ripete come un mantra " Reste tranquille, reste tranquille, reste tranquille"....Ora, io il francese l'ho studiato ed amato per anni e lo capisco anche molto bene e questo "reste tranquille" non mi piace per nulla. Guardo mio marito con gli occhi più grandi di quelli che già sono al naturale e senza dire nulla, gli faccio gesto di ascoltare. "Reste tranquille....pas d'agressivité dans la volture....". Il cinesino continua il suo mantra ipnotico con voce atona e meccanica, ma stavolta aggiunge un elemento che, se un minuto prima mi faceva sentire lievemente inquieta, adesso mi fa entrare nel più totale panico. Comincio a scivolare sempre più in basso nel sedile e con il braccio cingo le spalle di mia figlia tirandola a me. Intanto prego il Signore che non mi faccia tossire perché se il tipo soffre di psicosi da malattia contagiosa, io sono finita! Guardo mio marito che adesso ha una faccia da "vendicatore della notte" e fissa tutti i punti chiave dell'auto pronto ad una fuga estrema. Io sono già lì che penso ai titoli dei giornali "famiglia italiana sterminata da taxi driver impazzito con la sindrome da Sars" e nell'abitacolo piomba il silenzio più assoluto. Sento solo il mio cuore battere come un martello pneumatico!
"Vous savez messieurs, que le chauffeur de taxi est subjet au stress le plus total"! Il cinese non mormora. Il cinese adesso parla. E dopo un attimo di silenzio, mio marito risponde e parla pure francese, lui che il francese non l'ha mai neanche studiato! Ma lo parla e bofonchia e sbuffa come fanno tutti i francesi da che mondo è mondo e tiene il cinesino sul pezzo conversando allegramente di crisi, di tasse e pensioni e anche della pioggia,("il pluve, il pluve!!!" - già, proprio così) fino a che non arriviamo a destinazione. Alla fine, il nostro Taxi Driver in astinenza da Valium, ci guarda mortificato ripetendo "scusatemi, scusatemi", essendosi accordo chiaramente di aver tolto qualche anno di vita a quella stranita famiglia italiana.
"Io avevo già un piano: con la sciarpa lo immobilizzo, gli do una golinata con il gomito e gli sbatacchio la testa sul volante. Lui per forza si ferma, tu prendi Alice e usciamo di corsa dalla macchina". Mio marito ed io ci guardiamo: io con qualche capello bianco in più, lui con gli occhi ancora spiritati. Penso che è bello avere un marito in grado di trasformarsi in un super-eroe alla bisogna e comincio a ridere come una pazza. Seguita a ruota da lui. Ridiamo per 10 minuti, ma forse stiamo piangendo, non ci capisco più niente. E Alice in silenzio fino ad allora, che in un fil di voce ci fa: "Basta taxi, eh mamma?"
E voi, mi raccontate qualche vostra disavventura viaggiante finita bene? Spero di non avervi terrorizzate, in genere i tassisti sono persone carine e disponibili quando gli gira bene, ma se potete, non tossite!
"Maccherone, tu m'hai provocato e io te distruggo, me te magno!" Questa frase è la mia ispirazione, il mio mantra inespresso, e mentre dentro, ogni volta che la sento, rido come una bambina, al momento giusto mi ricorda che gli spaghetti, o "maccheroni" come frequentemente li chiamano al sud, sono la perfetta tela bianca su cui dipingere i nostri gusti ed azzardare gli abbinamenti di sapori più arditi. Evviva dunque gli spaghetti, il nostro simbolo, il nostro passaporto e direi anche il nostro alter ego. Italiani "mangiaspaghetti"? Si, e con orgoglio!
Potrete trovare questa ricetta anche su "Donne sul Web" per tutta la settimana, con una stupenda collezione dedicata agli spaghetti in mille gusti diversi!
Ingredienti per 4 persone:
360 gr di spaghetti Garofalo
2 uova
un ciuffetto di origano fresco
un ciuffetto di basilico
un ciuffetto di maggiorana
2 cucchiai di mandorle sgusciate e tostate
12 olive di Kalamata
8 fiori di cappero di Pantelleria
un cucchiaio di Colatura di Alici di Cetara
4 cucchiai di Olio Extra vergine d'Oliva di Taggiasca
Sale
Mettete a bollire abbondante acqua salata. Nel frattempo mettete le uova in un pentolino con acqua fredda, portate a ebollizione e fate cuocere 6 minuti. Una volta pronte, sgusciatele e mettetele in un bicchiere da mixer ad immersione insieme alle mandorle, alle erbe aromatiche, ai capperi, la colatura di alici, l'olio extra vergine ed un cucchiaio di acqua di cottura. Frullate bene il tutto, aggiustate di sale e mettete nella ciotola dove scolerete gli spaghetti. Fate cuocere la pasta e nel frattempo denocciolate le olive e tagliatele a striscioline larghe come un petalo. Scolate la pasta e conditela con il pesto d'uovo, aggiungete le olive e mescolate bene aggiungendo un po' d'acqua di cottura se necessario. Servite subito decorando con qualche rametto di origano fresco.
Con questa ricetta partecipo al contest di Sississima "Te li fai DUSPAGHI"?
venerdì 2 marzo 2012
Il mio primo Galà: Fettucce Garofalo con pesto di cavolo nero
I won't dance - F. Sinatra
Nella mia vita precedente ho lavorato per un paio d'anni nella segreteria organizzativa eventi di un importante ente di promozione viticola. Un lavoro molto bello, molto impegnativo e faticoso, dal quale ho però imparato tantissimo. Se mi sono innamorata del mondo del vino e conseguentemente ho cominciato a lavorare nel turismo, è merito di questa esperienza, perché da qui è partita la mia fissa per il turismo eno-gastronomico che poi è diventato il mio attuale lavoro. Due anni densi di esperienze in giro per il mondo, per fiere e presentazioni dei quali ho un ricordo vivissimo.
Dopo solo 4 mesi che lavoravo in questo ufficio, mi sono sentita dire che sarei dovuta partire di lì a poco per gli Stati Uniti per un viaggio di c.ca un mese, dove erano state programmate presentazioni di vini italiani nelle ambasciate e nei consolati a N.Y., Washington, Toronto e Montreal. Ovviamente non sarei stata sola: avrei avuto al seguito una delegazione di politici e rappresentati locali ovvero, come dover gestire un gruppo di bambini capricciosi e volubili. Avevo 25 anni alla mia prima vera esperienza lavorativa. Fino ad allora la mia vita era stata università, conservatorio, insegnamento musicale ed animazione permanente nelle scuole elementari, ma le lingue mi consentirono di firmare un contratto lavorativo diverso. Posso dire che questa esperienza ha cambiato tutta la mia vita. Non avevo assolutamente idea di cosa significasse organizzare un evento di qualsiasi tipo in Italia, figuriamoci all'estero ed in particolare negli Stati Uniti, dove qualsiasi iniziativa assume le proporzioni di una celebrazione. Potete immaginare il mio senso di panico, che dico..terrore puro. Ripensandoci adesso, a distanza di 20 anni, mi dico che sono stata coraggiosa o forse era solo l'incoscienza dell'età sostenuta da un'inossidabile volontà di non arrendermi di fronte agli ostacoli...insomma, sono partita. Il mio direttore continuava a chiedermi perché non manifestassi la minima emozione una volta arrivati a NY: in realtà io ero certa di essere dentro un sogno e quella che girava in pink limousine per Golf Club in North Carolina non ero io, bensì un ologramma di me stessa. Se avessi consentito alle mie emozioni di prendere il sopravvento, non sarei durata un secondo.
Ovviamente tutti gli eventi erano stati organizzati a puntino dall'Italia, compresa la cena di Gala al Consolato di Toronto alla presenza di un ministro molto importante ed ovviamente del Console. Mi era stato raccomandato di procurarmi un abito per la serata e ricordo di essere andata a scegliere la mise con mia cognata in una boutique di Siena. Avevo trovato un bellissimo vestito tubino a longuette, aderente ma morbido, di un tessuto elasticizzato opaco molto bello. Più di tutto mi piaceva il colore: un bel verde sottobosco tendente al grigio che riprendeva il colore dei miei occhi (ecco la vanità femminile) e con un ampio scollo quadrato contornato da una sciarpa di chiffon dello stesso colore, che si annodava scendendo libera fino alla vita. Mi sembrava una meraviglia ed io mi sentivo elegantissima.
Una volta a Toronto, passai l'intera giornata del Galà negli uffici della segreteria del Ministro per fare il check della serata: i vini che sarebbero stati in menu, le schede tecniche, insomma il mio lavoro. Qualche minuto prima di uscire, le ragazze dell'ufficio mi dettero l'invito alla serata. Aprii la busta e leggendo il contenuto, ebbi voglia di svenire: Black and White Gala Dinner.
Nessuno mi aveva avvisato che sarebbe stato un Gala in bianco e nero. Quella di dare temi alle serate è una piccola mania degli americani ma nessuno ci aveva avvisato che sarebbe stata una cena a tema ed io, che all'epoca vestivo quasi esclusivamente di nero, mi ero andata a comprare un abito VERDE! Cristoforo Colombo! Ci sono andata al Gala, ovviamente. Dovevo per lavoro e ci sono andata con il mio bel vestito verde sottobosco (chi aveva il tempo di correre ai ripari trovando un'alternativa), orecchini in tema ed una faccia tosta irraggiungibile, declinando ogni invito a ballare e cercando di nascondermi il più possibile restando seduta al mio posto, ordinata e composta.
Che il verde sia e rimanga uno dei miei colori del cuore, ve lo dice anche questo piatto, di verde brillante vestito. Ho sacrificato con gioia l'ultimo cespo di cavolo nero per preparare un pesto veloce ed appetitoso per una pasta che di invernale ha poco e che ricorda il colore del mare d'erba sulle colline delle Crete Senesi ad aprile e maggio. Facilissima e veloce, mi ha dato l'opportunità di provare un nuovo formato della Garofalo che non conoscevo: le Fettucce. Sposalizio felice.
Per il pesto - 4 persone:
300 gr di cavolo nero
i gherigli di 4 noci
50 gr di pinoli
50 gr di parmigiano grattuggiato
50 gr di Pecorino di Pienza stagionato (io ho usato la Riserva Cugusi, meraviglioso pecorino vincitore di molti premi)
un cucchiaino di scorza grattuggiata di un limone non trattato
200 ml di olio extravergine d'oliva (io ho usato quello di Seggiano - Monte Amiata - straordinario)
Sale - pepe bianco fresco a piacere
Per la pasta
350 gr di Fettucce Garofalo
Acqua e sale.
Lavate il cavolo e pulitelo eliminando la "lisca" centrale. Fate bollire abbondante acqua salata (dove poi cuocerete la pasta) e fate cuocere il cavolo per una decina di minuti. Scolatelo bene e strizzatelo.
Mettete l'olio in un bicchiere da mixer, aggiungete il cavolo, i formaggi, le noci sminuzzate al coltello, i pinoli ed una manciata di sale grosso. Se vi piace, anche il pepe bianco. Con il mixer a immersione, frullate il tutto per breve tempo, senza far scaldare la lama. Mettete da parte.
Cuocete le fettucce nell'acqua in cui avete cotto il cavolo nero. Scolate al dente. Mescolate bene in una grande ciotola con il pesto ed il cucchiaino di limone grattugiato, quindi impiattate e servite. Potete irrorare la pasta con olio e decorare con alcune noci. Il pesto si conserva in barattolo per c.ca una settimana, ovviamente in frigo. O potete congelarlo.
NOTA: contrariamente a quanto si dice, il cavolo nero in pesto non è assolutamente amaro. La presenza dei formaggi e della frutta secca regala morbidezza ed armonizza il tono amarognolo di questa meravigliosa verdura. Il limone da una sferzata di freschezza. Provatelo.
Con questa ricetta sono felice di partecipare al bellissimo Contest di Cinzia e Valentina "Colors and Food" - di marzo.
Dopo solo 4 mesi che lavoravo in questo ufficio, mi sono sentita dire che sarei dovuta partire di lì a poco per gli Stati Uniti per un viaggio di c.ca un mese, dove erano state programmate presentazioni di vini italiani nelle ambasciate e nei consolati a N.Y., Washington, Toronto e Montreal. Ovviamente non sarei stata sola: avrei avuto al seguito una delegazione di politici e rappresentati locali ovvero, come dover gestire un gruppo di bambini capricciosi e volubili. Avevo 25 anni alla mia prima vera esperienza lavorativa. Fino ad allora la mia vita era stata università, conservatorio, insegnamento musicale ed animazione permanente nelle scuole elementari, ma le lingue mi consentirono di firmare un contratto lavorativo diverso. Posso dire che questa esperienza ha cambiato tutta la mia vita. Non avevo assolutamente idea di cosa significasse organizzare un evento di qualsiasi tipo in Italia, figuriamoci all'estero ed in particolare negli Stati Uniti, dove qualsiasi iniziativa assume le proporzioni di una celebrazione. Potete immaginare il mio senso di panico, che dico..terrore puro. Ripensandoci adesso, a distanza di 20 anni, mi dico che sono stata coraggiosa o forse era solo l'incoscienza dell'età sostenuta da un'inossidabile volontà di non arrendermi di fronte agli ostacoli...insomma, sono partita. Il mio direttore continuava a chiedermi perché non manifestassi la minima emozione una volta arrivati a NY: in realtà io ero certa di essere dentro un sogno e quella che girava in pink limousine per Golf Club in North Carolina non ero io, bensì un ologramma di me stessa. Se avessi consentito alle mie emozioni di prendere il sopravvento, non sarei durata un secondo.
Ovviamente tutti gli eventi erano stati organizzati a puntino dall'Italia, compresa la cena di Gala al Consolato di Toronto alla presenza di un ministro molto importante ed ovviamente del Console. Mi era stato raccomandato di procurarmi un abito per la serata e ricordo di essere andata a scegliere la mise con mia cognata in una boutique di Siena. Avevo trovato un bellissimo vestito tubino a longuette, aderente ma morbido, di un tessuto elasticizzato opaco molto bello. Più di tutto mi piaceva il colore: un bel verde sottobosco tendente al grigio che riprendeva il colore dei miei occhi (ecco la vanità femminile) e con un ampio scollo quadrato contornato da una sciarpa di chiffon dello stesso colore, che si annodava scendendo libera fino alla vita. Mi sembrava una meraviglia ed io mi sentivo elegantissima.
Una volta a Toronto, passai l'intera giornata del Galà negli uffici della segreteria del Ministro per fare il check della serata: i vini che sarebbero stati in menu, le schede tecniche, insomma il mio lavoro. Qualche minuto prima di uscire, le ragazze dell'ufficio mi dettero l'invito alla serata. Aprii la busta e leggendo il contenuto, ebbi voglia di svenire: Black and White Gala Dinner.
Nessuno mi aveva avvisato che sarebbe stato un Gala in bianco e nero. Quella di dare temi alle serate è una piccola mania degli americani ma nessuno ci aveva avvisato che sarebbe stata una cena a tema ed io, che all'epoca vestivo quasi esclusivamente di nero, mi ero andata a comprare un abito VERDE! Cristoforo Colombo! Ci sono andata al Gala, ovviamente. Dovevo per lavoro e ci sono andata con il mio bel vestito verde sottobosco (chi aveva il tempo di correre ai ripari trovando un'alternativa), orecchini in tema ed una faccia tosta irraggiungibile, declinando ogni invito a ballare e cercando di nascondermi il più possibile restando seduta al mio posto, ordinata e composta.
Che il verde sia e rimanga uno dei miei colori del cuore, ve lo dice anche questo piatto, di verde brillante vestito. Ho sacrificato con gioia l'ultimo cespo di cavolo nero per preparare un pesto veloce ed appetitoso per una pasta che di invernale ha poco e che ricorda il colore del mare d'erba sulle colline delle Crete Senesi ad aprile e maggio. Facilissima e veloce, mi ha dato l'opportunità di provare un nuovo formato della Garofalo che non conoscevo: le Fettucce. Sposalizio felice.
Per il pesto - 4 persone:
300 gr di cavolo nero
i gherigli di 4 noci
50 gr di pinoli
50 gr di parmigiano grattuggiato
50 gr di Pecorino di Pienza stagionato (io ho usato la Riserva Cugusi, meraviglioso pecorino vincitore di molti premi)
un cucchiaino di scorza grattuggiata di un limone non trattato
200 ml di olio extravergine d'oliva (io ho usato quello di Seggiano - Monte Amiata - straordinario)
Sale - pepe bianco fresco a piacere
Per la pasta
350 gr di Fettucce Garofalo
Acqua e sale.
Lavate il cavolo e pulitelo eliminando la "lisca" centrale. Fate bollire abbondante acqua salata (dove poi cuocerete la pasta) e fate cuocere il cavolo per una decina di minuti. Scolatelo bene e strizzatelo.
Mettete l'olio in un bicchiere da mixer, aggiungete il cavolo, i formaggi, le noci sminuzzate al coltello, i pinoli ed una manciata di sale grosso. Se vi piace, anche il pepe bianco. Con il mixer a immersione, frullate il tutto per breve tempo, senza far scaldare la lama. Mettete da parte.
Cuocete le fettucce nell'acqua in cui avete cotto il cavolo nero. Scolate al dente. Mescolate bene in una grande ciotola con il pesto ed il cucchiaino di limone grattugiato, quindi impiattate e servite. Potete irrorare la pasta con olio e decorare con alcune noci. Il pesto si conserva in barattolo per c.ca una settimana, ovviamente in frigo. O potete congelarlo.
NOTA: contrariamente a quanto si dice, il cavolo nero in pesto non è assolutamente amaro. La presenza dei formaggi e della frutta secca regala morbidezza ed armonizza il tono amarognolo di questa meravigliosa verdura. Il limone da una sferzata di freschezza. Provatelo.
Con questa ricetta sono felice di partecipare al bellissimo Contest di Cinzia e Valentina "Colors and Food" - di marzo.
domenica 27 novembre 2011
Un nuovo vestito, voglia di colore e non posso resistere: Mafalde con verza rossa e crema di zucca.
Le donne sono vanitose, lo sappiamo tutti, tranne che sorprendentemente a volte gli uomini ci battono. Alle donne piace cambiare d'abito, rinnovarsi, credere per un attimo di essere donne diverse. Anche quelle che portano da sempre lo stesso taglio di capelli sognano segretamente di cambiare e poi non trovano il coraggio. Ma lo vorrebbero tanto. Così anche io, spinta dalla voglia di cose nuove, ho scelto un nuovo vestito per questo mio piccolo spazio. Un po' minimal, un po' essenziale ma simile a me e la cosa mi da una lieve eccitazione come quando trovo un paio di scarpe comode ma anche carine. Però non è di vanità che voglio parlare oggi, ma del senso di attesa che percepisco nell'aria, del desiderio di novità ma paradossalmente di cose riconoscibili e confortanti. E' che nella mia testa il conto alla rovescia è già iniziato ed io non me ne voglio perdere neanche un istante. La causa è un Cd (come sempre la musica ci mette lo zampino) che mi ha portato mio marito la scorsa settimana, l'ultimo di Michael Bublé - It's beginning to look alot like Christmas - veramente delizioso e di cui vi consiglio di dotarvi per cominciare ad immergervi nell'atmosfera. Generalmente nella tradizione familiare, l'8 dicembre si fa l'albero e si addobba la casa ed il tutto avviene rigorosamente con colonna sonora adeguata. Credo di avere a casa circa 50 ore di musica natalizia raccolta in giro durante i miei viaggi, la maggior quantità proveniente da N.Y. e USA con versioni pazzesche, generi diversissimi, dal country al cajun, senza ovviamente dimenticare i grandi classici. Lo so, lo so che è presto, ma quest'anno ne ho una voglia pazzesca. Sarà che manca meno di un mese, sarà che ho l'impressione che se comincio l'8 dicembre poi tutto volerà in un attimo...allora chissene frega, non posso resistere al pensiero natalizio, così comincio con la musica. E voi? Non vi sembra che tutto cominci a sembrare Natale?
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giovedì 24 marzo 2011
La Pasta degli Studenti (e non solo) - Caserecce (88 "e casecavalle") alla crudaiola
Evito di pensarci, anche solo di fare il conto: sono stata studentessa universitaria un’era fa! Per certe cose non ci si capacita che sia passato così tanto tempo. Poi arrivano dei Contest come questo e uno cerca di darsi un tono, di sfoggiare una certa esperienza in merito e in realtà è vero, è proprio così, sono stata una studentessa universitaria squattrinata e praticamente sempre affamata.
Ma devo confessare una cosa: ho studiato a Siena, a casa mia e la pappa me la faceva la mia mamma! Ecco, l’ho detto!
Così, anche se sono convinta che il contest proposto da Il Pomodoro Rosso sia assolutamente bellissimo, oggi sono in vena di confessioni e posso dire che il Sig. Garofalo può dormire sonni tranquilli: le ricette con pochi ingredienti e tempi di preparazione che rasentano i 15, massimo 20 minuti, le usiamo anche e soprattutto noi, donne lavoratrici, mamme e aspiranti factotum.
Perché non si creda che avendo un foodblog, uno cucini tutti i giorni come se dovesse avere per pranzo la Regina di Inghilterra in persona. E’ no cari miei!
Succede invece che più di una volta nell'arco di un mese, aprendo il frigorifero una venga presa dalla depressione per lo spettacolo penoso che le si prospetta di fronte, simile al passaggio di Attila su suolo nemico. E che le uniche cose disponibili siano mezza crosta di parmigiano, 3 pomodori in fila a chiedere la pensione e qualche uovo vagante con data di scadenza caduta in prescrizione.
Io faccio la spesa una volta a settimana, generalmente il sabato e non torno quasi mai a pranzo a casa. Quando rientro a casa la sera con mio marito e mia figlia, sono già le 20.00 e se non si ha la prontezza di cucinare qualcosa di veloce e poco impegnativa, si finisce col mangiare in orari improbabili. Ecco perché applaudo al contest di Cleare, per dire che le ricette degli studenti vanno benissimo anche per noi, mamme lavoratrici con un occhio al budget familiare.
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