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giovedì 6 luglio 2023

Pomodori ripieni alla romana con patate novelle.

Avere i lavori in casa, dai muratori agli imbianchini, è una situazione che utilizzo spesso come maledizione per chi mi vuol male. Non c'è "va a quel paese" che tenga di fronte ad un "te possino un trasloco, anzi due". 
Esco da un 5 giorni di massacro allo scatolone, per svuotare la cucina ed il salotto di tutti gli ammennicoli ostacolo al lavoro degli imbianchini. Oggi hanno terminato ed il lavoro di riordino è cominciato. 
Ma anche una buona operazione di "decluttering", ovvero buttare nella rumenta tutto quello che ormai è lì a prender polvere. 
Pre i prossimi due giorni sarò presa dalla selezione scientifica di cosa finirà nel cassonetto e ciò che potrà ritrovare il suo posto sui pensili. 
Che fatica. Ho bisogno di 2 giorni di sonno intenso. Help. 
Il caldo vero è arrivato finalmente e la voglia di cucinare è sparita. Ancora qualche settimana e chiuderò i battenti fino a settembre. 
Intanto vi lascio questa ricetta che sicuramente conoscere ma che per me ha un significato speciale. 

I pomodori ripieni sono un classico della cucina romanesca estiva molto amato perché versatile e leggero e soprattutto buonissimo servito caldo di forno o a temperatura ambiente nelle bollenti serate del solleone. 

Richiede pero’ la scelta del pomodoro perfetto,  in questo caso il pomodoro “ramato” o quello che noi conosciamo come tondo a grappolo. 

Qualcuno si cimenta anche con i cuori di bue non troppo maturi, che certamente hanno un sapore fantastico ma sono più problematici da svuotare. 

Scegliete pomodori a giusta maturazione ma non molli, grandi e della stessa dimensione affinché cuociano allo stesso modo. 

In questa ricetta sono accompagnati da patate novelle a spicchi con buccia, che cuociono raccogliendo i liquidi rilasciati dalla cottura del pomodoro e quindi si arricchiscono di un sapore delizioso. 

Questo è il piatto che preparava mia nonna nei giorni "della salsa" e che avveniva alla presenza di tutta la famiglia dalla mezzanotte di ferragosto fino al mattino successivo. La cena era un trionfo di pomodori ripieni serviti appena tiepidi, pane e pomodoro e tanto tanto cocomero fresco. 

Ingredienti per 4 persone 

8 pomodori ramati grandi 

8 generosi cucchiai di riso 

6/8 patate novelle di media grandezza 

1 mazzetto di basilico 

1 cucchiaino di origano 

1/2 spicchio d’aglio tritato finemente 

Olio extravergine 

Sale - pepe 

  • Lavate con cura i pomodori. Non privateli del picciolo. Tagliatele la calotta ad un terzo della sfera e con un cucchiaio o uno scavino, raccogliete polpa e semi in una ciotola. Scavate lasciando almeno 5 mm di polpa in modo che il pomodoro non si rompa in cottura. Salate dentro il pomodoro e la calotta e capovolgetelo in modo che perda il liquido di vegetazione. 
  • Adesso aggiungete al composto gli odori tritati, il sale, 2 cucchiai d’olio ed una macinata di pepe e frullate la polpa in un mixer in modo da ottenere una salsa liquida. 
  • Mettete 2/3 del composto in una ciotola ed aggiungete il riso. Mescolate bene e lasciate riposare 1 ora coperto. 
  • Filtrate invece il restante e tenete da parte il liquido. 
  • Lavate molto bene le patate con la buccia, tagliatele a metà sulla lunghezza e ricavate da ogni metà 3/4 spicchi. 
  • Preparate una pirofila o una teglia in cui possano stare tutti i pomodori comodamente e ungetela con un paio di cucchiai d’olio. Cominciate a riempire i pomodori con 2 cucchiai di composto, possibilmente non fino all’orlo perché il riso crescerà e raddoppierà di volume in cottura. Copriteli con la calotta e sistemateli nella teglia. 
  • Sistemate le patate negli spazi intorno ai pomodori, salate bene tutto e con il liquidi filtrato, condite le patate. Finite con un generoso filo d’olio su tutta la teglia. 
  • Cuocete in forno preriscaldato a 180° per 35/45 minuti, girando la teglia a metà cottura. Valutate la cottura del riso e dei pomodori, che dovranno essere belli dorati sulla superficie. In genere sono pronti quando il riso solleva la calotta ed emerge dal suo guscio. 
  • Lasciateli riposare in teglia per 1 oretta e serviteli tiepidi o freddi. Conservate in frigo fino a 3 giorni. 





lunedì 7 settembre 2020

Riso al forno con pomodori e mozzarella: quanto è difficile mangiare bene fuori casa!

Arrivederci Tristezza - Brunori Sas 

Mangiare bene fuori casa è un'impresa titanica. 
Da anni ho smesso di fidarmi di consigli di amici che non reputo affini nell'amore totale per il cibo. 
Quando qualcuno mi chiede consiglio su dove andare, sono sempre iper critica e metto il "warning" su molti dei posti che in genere vengono esaltati dalla maggioranza. 
Non è un atteggiamento snob, ve lo giuro. E' che detesto essere presa in giro. 
Quando leggo le recensioni dai siti universalmente noti dove tutti scrivono sentendosi ispettori della Michelin, parto dai voti più bassi. Quello è il vero parametro su cui si può giudicare l'affidabilità della recensione. 
Se chi scrive fa melina, adducendo scuse ridicole pur di trovare un difetto, allora comincio a salire il range e alla fine decido se fidarmi. 
In genere se non sono certa al 90% del posto in cui devo andare, preferisco stare a casa. 
L'ultima immensa fregatura l'ho presa al mare proprio nel weekend appena passato, quando abbiamo deciso di uscire all'ultimo minuto e presi dalla fame e dalla tarda ora, ci siamo infilati in un ristorante sulla spiaggia che aveva un aspetto simpatico e rilassato. 
Un po' troppo rilassato. 
Alla lettura della carta, che sembrava scritta da Jacopo Ortis in preda ad esaltazioni da Prozac, ho cominciato a capire che forse era il caso di alzarsi e andare via: "Risotto in elogio vivo di granchio e vongole veraci", "Orchestra di pregiati marini in salsa aioli", "Scala reale di crudi"...già all' "elogio vivo" un'orticaria feroce aveva cominciato a salirmi lungo i polpaccetti. 
Mentre nessuno pareva essersi accorto di noi ed io mi stavo ribaltando sul tavolo alla lettura del menù chiedendomi chi fosse l'autore di tanta ridondanza e sfacciataggine, mi cade l'occhio sulla lavagna dei piatti del giorno e leggo "alici del Cantabrico con petali di burro e focaccia". 
A parte i petali di burro che mi suonavano al pari del più famoso petaloso, il resto mi sembrava semplice. 
"Si va sul sicuro" mi sono detta. 
Così quando è arrivato il piatto, un vassoio con una bella scatoletta rotonda da aprire, la ciotolina di scaglie di burro su ghiaccio e la focaccia calda, l'impressione è stata subito positiva. 
La quantità di alici era enorme, ci avrebbero mangiato bene 3 persone; le acciughe deliziose su quella focaccia calda spalmata di burro. Al termine eravamo già sazi, ma avevamo ordinato una pizza ed un piatto di pesce quindi, ormai rincuorati dal bell'inizio, abbiamo atteso il resto. 
Scoprire di aver scelto le due più immonde schifezze di tutta la carta, è stato un po' come aspettarselo.  Sicuramente è colpa nostra. Forse siamo sempre troppo ottimisti. 
La pizza immangiabile, il pesce crudo e gommoso. 
Il portafoglio defraudato di 80 euro per una scatoletta di Alici.
Ma del Cantabrico eh! 

Ci tornerò al ristorante. 

Ma prima devo sbollire il nervoso, perché se non fossi stata la persona educata e gentile che sono, avrei fatto volare il mio piatto come un frisbee verso gli ombrelloni che potevo osservare dalla nostra postazione sulla veranda. 

Come reagite voi quando capite che un posto sopravvive solo per l'ineducabile palato d'amianto dei consumatori? Perché io le ho lette le recensioni su quel luogo e non me lo so spiegare! 


Andiamo sul sicuro, e confortiamoci con un bel riso al forno con pomodori maturi nel loro momento di gloria, ottima mozzarella fiordilatte e semplicità, semplicità che è sempre garanzia di bontà! 


500 g di riso Roma

1 kg di pomodori maturi tipo San Marzano

400 g di mozzarella fior di latte

50 g di grana grattugiato

2 spicchi d’aglio

un bel ciuffo di basilico fresco e per rifinire

olio extravergine d’oliva

sale qb

  • Per prima cosa preparare la salsa, incidendo a croce i pomodori sulla punta e buttandoli in acqua bollente per 2/3 minuti. Scolateli e metteteli in una ciotola con acqua molto fredda ed attendete qualche minuto. Si spelleranno con molta facilità. Una volta spellati, tagliateli a metà, eliminate il frenulo ed i semi e riducete le due metà a filetti.
  • In una larga casseruola versate 3 abbondanti cucchiai di extravergine e gli spicchi d’aglio e lasciate insaporire bene l’olio per 5/6 minuti a fiamma vivace. Versate i filetti di pomodoro e fate cuocere mescolando bene, aggiungete il basilico ed abbassate la fiamma. Salate e fate cuocere ancora una decina di minuti fino a che i filetti non si saranno quasi disfatti. Spegnete e tenete da parte.
  • Cuocete il riso in abbondante acqua salata per non più di 5 minuti. Scolate e passatelo sotto l’acqua fredda per interrompere la cottura.
  • Con un mixer ad immersione frullate la metà dei filetti di pomodoro. Versate la salsa ottenuta (tenendo da parte un paio di cucchiaiate), ed i filetti in una larga ciotola che possa contenere anche il riso. Aggiungete il riso e mescolate bene. Aggiungete il parmigiano ed un bel filo d’olio e finite di condire.
  • Versate metà del riso in una pirofila di 24/26 cm di diametro, che avrete adeguatamente oleato, e fate uno strato uniforme su cui adagerete la mozzarella che avrete strizzato bene e ridotta a dadini, tenendone da parte una manciata. Coprite la mozzarella con il restante riso, livellate bene e cospargete con la salsa e la mozzarella rimaste.
  • Cuocete in forno a 180° per c.ca 45 minuti, sino a che la superficie non sarà bella dorata e si sarà formata una bella crosticina. Lasciate riposare 15 minuti prima di servire. E’ buonissimo anche tiepido.


 

sabato 24 giugno 2017

Metti l'Artusi a cena...

Chanson de nuit - Edward Elgar
Mi capita spesso di pensare di essere nata nell'epoca sbagliata.
Non per essere fraintesa: la modernità, la tecnologia, i viaggi supersonici da far girar la testa, son tutte cose che adoro e mi ci adatto, sia ben chiaro.
Però all'atto pratico, fallisco miseramente ed emerge la vera natura di una donna incapace di stare al passo con i tempi.
Me ne rendo conto soprattutto in cucina.
Quello è il vero campanello rivelatore di un modo di essere che non saprei se chiamare "classico" o "retrò" o, come qualche perfido potrebbe pensare, "antico".
Questo blog ne è il più onesto testimone: tradizione batte modernità 5 a 0!
Quando devo organizzare una cena fra parenti o amici, che so benissimo potrebbero apprezzare preparazioni di estrema semplicità, a me sembra di fare chissà quale torto se fra i piatti non c'è almeno una pasta fatta in casa o un ragù che ha pippiato per oltre 3 ore, un arrosto abbandonatosi a dolce morte fra verdure saporite ed un dessert con la sua salsina, bello come una donna vestita a festa.
Non ce la faccio.
Passo ore ed ore in cucina, senza accorgermene (se non fosse per il caldo di questo periodo), ed alla fine ho sempre la sensazione di non avere fatto abbastanza.
In questo rivedo le mie nonne, mia madre che quando dice di aver fatto poco, tira fuori almeno 2 piatti di carne e 4 contorni, mia suocera con i suoi menu della festa che assomigliano a quelle maratone di ballo dove i concorrenti sono eliminati dallo stremo delle forze.
Ma se loro posso capirle perché figlie di un retaggio bellico o post bellico in cui la fame atavica non è mai finita, neanche col benessere, io che c'azzecco in tutto questo?
Ecco che ritorna il busillis sull'inadeguatezza di essere una donna 2.0.
A pensarci bene, il grande Pellegrino Artusi era ben più moderno di me quando scrisse il suo capolavoro e guida per generazioni e generazioni di donne dopo di lui.
Moderno e imprescindibile visto che la sua opera è presente in ogni casa di appassionati di cucina che si rispettino.
Quella che vi racconto oggi è la storia di una cena insieme a Pellegrino, il simpatico edonista che ha fatto del ben mangiare, la missione della sua vita.
Nel giorno delle celebrazioni in sua memoria promosse da Casa Artusi a Forlimpopoli, il Calendario del Cibo Italiano ed un gruppo di amiche blogger, odierne Mariette,  festeggiano con lui preparando un intero menù tratto da La Scienza in Cucina e l'Arte di Mangiar Bene, rigorosamente condiviso con amici e buone forchette in una cena conviviale.
Scegliere fra le quasi 800 ricette del suo manuale, non è stato facile.
Quello che avevo ben chiaro in testa è che come primo piatto, non avrei potuto tralasciare una pasta fresca, in onore di Marietta, la sua fedele cuoca e governante.
Il caldo di questi giorni ha fatto il resto.
Sono andata a studiarmi i "rifreddi", quei piatti che secondo tradizione sono serviti freddi inframezzando portate significative in un pranzo importante o anche in maniera autonoma, per una cena fredda o veloce, un "dopo teatro", ecc.
Per finire, ho optato per un dolce al cucchiaio da preparare in anticipo senza fretta.
Ed ecco il mio menù Artusiano:
Tagliatelle verdi con ragù bolognese 
Pollo in galantina servito con la sua maionese
Pomodorini ripieni al forno 
Budino di mandorle tostate con coulis di lamponi (mia concessione).  
Una ricetta dell'Artusi è una macchina del tempo: ti trasporta in un'epoca di carrozze e candele, di marsine e manicotti, di argenti e ceramiche preziose.
E' un racconto destinato a chi lo sa capire, quindi al buongustaio ed alla donna che cucina.
Sfogliando le pagine della Scienza in Cucina, è chiaro che il principiante avrà vita dura nel trasformare il verbo artusiano in piatto.
Mentre la donna abituata ai fornelli, troverà consigli preziosi intrattenuta dall'umorismo complice dell'autore.
Sulle tagliatelle verdi Pellegrino racconta: "Si usano per minestra asciutta e sono più leggiere e digeribili di quelle intrise di tutte uova. Per da loro il color verde cuocete spinaci lessi, strizzateli bene e tritateli colla lunetta. Con due uova ed un pugno di questi spinaci intridete sulla spianatoia quanta farina potete per ottenere una pasta ben soda che lavorerete molto colle mani. Poi, col matterello, tiratela a sfoglia sottile e quando dà cenno d'appiccicarsi a motivo dell'erba che produce viscosità, spruzzatela leggermente di farina. Avvolgete la sfoglia in un canovaccio e quando sarà asciutta, tagliatela alquanto più larga de' taglierini da brodo, avvertendo che il bello di tali paste è la loro lunghezza, il che indica l'abilità di chi le fece. Appena alzato il bollore, levatele asciutte e conditele come..."
Vero è che se facessi leggere queste righe ad un ragazza che non ha mai preparato la pasta in casa, potrei osservare uno sguardo perso ed aspettarmi millanta domande.
Ma una vera massaia dell'epoca non avrebbe avuto dubbi su come procedere.

Gli ingredienti per 4 persone sono
200 g di farina
2 uova di gallina
100 g di spinaci (non si dice se il peso è da crudo o da cotto - io ho interpretato la seconda ipotesi).

Per 6 persone, ho raddoppiato la dose ma considerando l'umidità portata dagli spinaci (che Pellegrino chiama viscosità), ho usato 3 uova intere ed un tuorlo, riservandomi di usare l'albume qualora l'impasto risultasse troppo asciutto. Non ne ho avuto bisogno.
Ho tritato gli spinaci finemente al coltello (la mia lunetta mi ha abbandonata) ed ho lavorato l'impasto con energia per buoni 15 minuti.
Ho poi avvolto il tutto in una pellicola ed ho lasciato riposare la pasta per 1 oretta.
Ho steso l'impasto col matterello fino ad ottenere delle sfoglie non troppo sottili che a noi le tagliatelle all'uovo piacciono croccanti e di "corpo", quindi le ho fatte asciugare adagiandole su una tovaglia stesa sulla spalliera del mio divano (mia nonna le faceva asciugare sul suo letto).
Una volta asciutte ma ancora in grado di essere piegate senza spezzarsi, le ho tagliate con la coltellina ed ho formato i nidi che hanno atteso la loro fine asciugando su un canovaccio infarinato.
A condimento delle tagliatelle verdi, Pellegrino consiglia il "sugo alla rustica" o "il sugo al prosciutto" o il così detto "bolognese", o più semplicemente cacio e burro.
Io ho optato per il ragù bianco "bolognese", ricetta nr. 87, con cui sono presentati i tradizionali "Maccheroni alla bolognese", certa che i miei ospiti avrebbero apprezzato la novità (qui in Toscana la maggior parte dei condimenti sono "rossi").
Ingredienti per 4 persone:
150 g di carne magra di vitello (meglio se di filetto)
50 g di carnesecca (pancetta stagionata)
40 g di burro
Cipolla, carota, sedano qb
Farina di frumento qb
Brodo sgrassato di manzo e pollo
Sale, pepe, noce moscata qb
Parmigiano grattugiato qb
L'Artusi ci spiega: "Tagliare la carne a piccoli dadi, tritare fine colla lunetta la carnesecca, la cipolla e gli odori per poi mettere al fuoco ogni cosa insieme, compreso il burro, e quando la carne avrà preso colore, aggiungere il pizzico della farina, bagnando con brodo fino a cottura intera".
Queste sono le sole indicazioni che fornisce per la preparazione del condimento.
Non sono oscure, ma ancora una volta si percepisce come dia per scontato che chi l'ascolta abbia mano sicura ed esperienza in materia.
Nella stessa ricetta invece, ed è questo il punto più interessante dell'intera spiegazione, l'autore si dilunga sulla questione della cottura della pasta, affermando che "una minestra troppo cotta, masticandosi poco, scende compatta a pesar sullo stomaco e vi fa palla, mentre se ha bisogno di essere triturata, la masticazione produce saliva e questa contiene un fermento detto ptialina, che serve a convertire l'amido o la fecola in zucchero ed in destrina(...) e questo facilita l'inghiottimento e la digestione".
Ecco il più importante aspetto della sua produzione: una divulgazione scientifica di facile comprensione che per la prima volta tocca l'aspetto "benessere e salute" collegato all'alimentazione ma soprattutto al buon cibo.
Informazioni precise che ritroviamo all'interno di una ricetta, come pizzichi di odori e spezie a rendere il tutto più accattivante e saporito.
Relativamente al ragù, la quantità che si ottiene da 200 g di carne o poco più mi è sembrata insufficiente per condire pasta per 4 persone, considerando che con la cottura, la carne perde i propri succhi anche se integrati dal brodo, e riduce il suo peso.
Naturalmente ho raddoppiato tutto e nel finale ho colto il suggerimento di Pellegrino, aggiungendo all'"intingolo" poca panna ed ottenere una struttura più vellutata al palato.
Per la portata principale ho scelto un piatto che desideravo preparare da tempo: il pollo in galantina.
Nella versione originale, l'Artusi parla di cappone spiegando che questa sontuosa preparazione si serve durante le feste di Natale.
Non disponendo di cappone ed essendo più vicini a Ferragosto che a Natale, ho optato per un pollo nostrale che ho disossato come già fatto molte in questo blog e farcito secondo le indicazioni di Pellegrino.
La ricetta del Cappone dell'Artusi prevede:
700 g di Cappone vuotato e disossato (il mio pollo, una volta disossato pesava 600 g)
200 g di carne magra di vitello
200 g di carne magra di maiale
100 g di petto di pollo
100 g di lardone
80 g di lingua salmistrata
40 g di prosciutto crudo grasso e magro
40 g di tartufi neri
20 g di pistacchi
Battuto
100 g di Carne magra di vitello
100 g di carne magra di maiale
60 g di midolla di pane
1 uovo di gallina
Il nostro Pellegrino ce lo racconta così:
"I tartufi tagliateli a pezzi grossi come le nocciuole e i pistacchi sbucciateli nell'acqua calda. Tutto il resto tagliatelo a filetti della grossezza di un dito scarso e mettetelo da parte salando le carni. Fate un battuto con altro maiale e con altra vitella di latte, grammi 200 in tutto. Pestatelo fine in un mortaio con grammi 60 di midolla di pane bagnata nel brodo; aggiungete un uovo, le bucce dei tartufi , i ritagli della lingua e del prosciutto, conditelo con sale e pepe e quando ogni cosa e ben pesta, passatelo per istaccio. Ora, allargate il cappone, salatelo alquanto e cominciate a distendervi sopra un poco di battuto e poi un suolo di filetti intercalati nelle diverse qualità, qualche pezzetto di tartufo e qualche pistacchio.
E così di seguito finché avrete roba, avvertendo che i filetti di petto di pollastra è meglio collocarli verso la coda del cappone per non accumulare sul petto di questo la stessa qualità di carne.
Ciò eseguito, tirate su i lembi del cappone dalle due parti laterali non badando se non si uniscono perfettamente, che ciò non importa, e cucitelo. Legatelo per il lungo con uno spago, involtatelo stretto in un pannolinp, che avrete prima lavato onde toglierli l'odore di bucato, legate le due estremità del medesimo e mettetelo a bollire nell'acqua per 2 ore e mezzo. Dopo, scioglietelo, rivoltatelo e mettetelo sotto un peso in piano e in modo che il petto di cappone resti al disotto o al disopra di questa posizione, tenetelo per un paio d'ore almeno, onde a prendere una forma alquanto schiacciata.
L'acqua dove ha bollito il cappone può servire per brodo e anche per la gelatina."

Ho apportato una variante personale, che è stata quella di non utilizzare il filetto di petto di pollo avendo già la base della stessa carne, e sostituendo lo stesso peso con della mortadella di Bologna Dop.
Niente lingua salmistrata, che non credo si possibile trovare e che non saprei davvero come preparare. Pellegrino mi perdonerà.
Una volta cotto, ho lasciato il pollo per oltre 2 ore sotto il peso del Grande Libro della Cucina Albeisa e lo Zanichelli della Lingua Italiana, visto che nella mia vita cibo e parole vanno spesso a braccetto.
Se lo conservate in frigo dovendolo preparare in anticipo, toglietelo almeno una mezz'ora prima di servirlo in modo che una volta in tavola sia a temperatura ambiente e tutti i sapori possano sprigionarsi al meglio.
Asciugandosi con la bollitura, la galantina gradisce l'accompagnamento di una salsa ed io ho optato per una classica maionese fatta sempre secondo la ricetta artusiana (che non sto qui a riportare - la nr 126 della sezione salse).
 Per completare l'accompagnamento, ho scelto dei semplici pomodori ripieni, ricetta nr 430, nella variante del battuto di aglio e prezzemolo mescolati a semplice pangrattato, per non caricare la già sostanziosa portata, e li ho serviti tiepidi.
A chiusura del nostro convivio, è arrivato il budino di mandorle, purtroppo vittima del solito incidente di percorso, ovvero lo spatascio in fase di sformatura.
Una decisione sbagliata è stata quella di non coprire il fondo dello stampo in alluminio con il caramello, che aiuta il dolce a non attaccarsi.
Ho deciso di non caramellarlo perché avrei accompagnato il budino con un coulis di lamponi, per dare un po' di freschezza ed acidità ad un dolce di per sé avvolgente e leggermente "grasso" in bocca.
Purtroppo una parte del budino non si è staccata ed il dolce ha finito con il dividersi a metà.
Ho cercato di recuperare il disastro con un decoro "indecoroso", ma ormai il danno era fatto.
Ricetta del Budino di mandorle tostate nr 669
8 dl di latte vaccino (800 g)
100 g di zucchero
60 g di savoiardi
60 g di mandorle dolci
3 uova di gallina.
"Prima preparate le mandorle, cioè sbucciatele nell'acqua calda e abbrustolitele al fuoco sopra una lastra di pietra o di ferro; poscia pestatele riducendole quasi impalpabili e, messo il composto al fuoco senza le uova, aggiungeteci le mandorle e dopo poca cottura, passatelo allo staccio. Ora uniteci le uova frullate e assodatelo a bagno maria con un velo di zucchero fuso in fondo allo stampo. Non occorre nessun odore. La tostatura delle mandorle farà prendere a questo budino il color cenerino e gli darà un sapore così grato da meritarsi il plauso degli uomini e più quello delle donne di gusto delicato. Per dare più bell'apparenza, si può coprire con una crema fiorita di confetto a colori, oppure di panna montata.

Questa è stata la ricetta che mi ha richiesto maggior interpretazione.
Soltanto dopo averla riletta svariate volte, ho capito che dovevo far bollire il latte con lo zucchero, le mandorle tritate ed i savoiardi.
Dopo aver portato il latte a bollitura con gli ingredienti indicati, l'ho lasciato riposare una mezz'ora affinché assorbisse al massimo l'aroma delle mandorle.
Quello che mi sono chiesta è quale sia il ruolo dei savoiardi, visto che poi l'intero composto va passato al setaccio e questi, ormai in poltiglia, non rimangono nel latte così come le mandorle.
Ho pensato che la ragione fosse quella di dare al budino una consistenza meno viscida e più sostenuta ma non ne sono sicura.
Questo è un mistero che spero qualcuno possa aiutarmi a svelare.
Il sapore è ovviamente delizioso, e se come me siete amanti delle mandorle, non potrete che apprezzarlo.

Per finire, la cena è stata un momento di grande divertimento oltre che di buona tavola e bella compagnia.
Non ho avuto un solo attimo di disagio nell'inoltrarmi nel gustoso mondo di Pellegrino, anzi, potrei dire di essermi mossa in scioltezza, e questo la dice lunga sulla mia modernità.


lunedì 10 aprile 2017

Crostata di riso con carciofi ricotta e pomodorini Pachino: ragione e insensatezza

Why - Annie Lennox
Sto pensando che la Pasqua si avvicina e che sarà senza dubbio, la più difficile della mia vita.
Voglio aggrapparmi al simbolo primario di questa celebrazione, ovvero la speranza della rinascita, e credere che, se questi ultimi mesi di difficoltà e paura sono giunti al proprio capolinea proprio in questo periodo, una ragione ci sarà.
Cercare ragioni nell'insensato è un esercizio al quale il genere umano tende ad indulgere ogni qualvolta non trova risposta.
Quindi il più spesso possibile.
E' un esercizio pericoloso, che va di pari passo con il "Se avessi...", altro genere di tortura alla quale riusciamo ad abbandonarci senza alcuna riserva.
Quando qualcosa di grande come una malattia incurabile od una perdita repentina si abbatte sulle nostre vite, nulla di ciò che conoscevamo sembra trovare una dimensione accettabile nella nostra quotidianità.
Facciamo tutto come prima, secondo il vecchio detto "the show must go on", ma è come se il nostro io fosse seduto in un angolo ed osservasse dall'esterno ogni azione di quello sconosciuto che ci assomiglia, senza per altro provare il minimo interesse per tutto quel movimento.
Si resta in disparte, prigionieri di una bolla nella quale non si riesce a fare nulla se non continuare a chiedere risposte ad una sola ed unica insulsa domanda: "perchè".
Il voler a tutti i costi trovare la risposta all'evidente mistero universale, ci rende più piccoli e fragili di quanto già non ci sentiamo, ed anche molto stupidi, visto che la risposta invece dovremmo averla già capita.
E' la vita Bellezza!
Che la si voglia accettare o meno, abbiamo ricevuto il pacchetto all inclusive nel momento esatto in cui la nostra testa è uscita dal più sicuro nido del ventre di nostra madre, ed abbiamo urlato il nostro buongiorno al mondo. Non si può mica scegliere.
Ciò che invece fa la differenza, è la nostra capacità di accettare la prova, di saltare oltre il cerchio di fuoco, di reagire al dolore senza che questo finisca con l'avilupparci tra le sue spire.
Non so come si faccia.
Al momento, sono ancora lì, seduta in quell'angolo che mi osservo da fuori.
Ricetta che ha trovato ispirazione da un vecchio numero di Sale e Pepe (settembre 2014), adeguatamente rivisitata per la stagione visto che di mangiare carciofi non mi stanco mai, e che avvicinandosi il tempo dei pic nic si rivela perfetta.
L'aggiunta dei pomodorini, in questo caso gli imprescindibili ciliegini di Pachino IGP, apre le porte all'estate, già in vista all'orizzonte.
Facilissima e veloce, ve la consiglio di cuore

Ingredienti per uno stampo da 10x26 

Per il guscio
250 g di riso Arborio
3 uova
40 g di parmigiano grattugiato
30 g di caciocavallo stagionato
2 cucchiaini di pesto
qualche fogliolina di menta
un pizzico di sale
Una macinata di pepe a piacere

Per il ripieno
250 g di ricotta di pecora freschissima
4 carciofi morelli o similari
1 grappolo di pomodori Pachino ciliegino IGP
1 spicchio d'aglio
un mazzetto di prezzemolo
sale - pepe qb

  • Cuocete il riso in abbondante acqua salata quindi scolatelo molto al dente e passatelo sotto l'acqua fredda per bloccare la cottura. Fatelo sgocciolare bene quindi versatelo in una ampia terrina.
  • Aggiungete le uova, i formaggi grattugiati, la menta tritata ed il pesto. Mischiate tutto molto bene con un cucchiaio quindi aggiustate di sale e pepe.
  • imburrate lo stampo con fondo amovibile e foderate la base con carta da forno bagnata e strizzata. Con un cucchiaio cominciate a stendere il riso schiacciandolo bene alle pareti in uno spessore di 1 cm mentre la base in uno spessore di 5 mm. 
  • Coprite adesso il tutto con un foglio di alluminio o carta forno e riempitelo di legumi secchi. Cuocete in bianco in forno preriscaldato a 180° per c.ca 20/25 minuti. Quindi togliete la carta e rimettete in forno per altri 15 minuti o comunque fino a che il riso non sia dorato sui bordi. 
  • Mentre il riso cuoce, preparate il ripieno: pulite i carciofi privandoli delle foglie dure esterne e della punta. Metteteli a bagno in acqua acidulata con il succo di limone nel tempo in cui pulirete tutti i carciofi. Scolateli e tagliateli a metà ricavando 4/5 spicchi da ogni metà. 
  • Scaldate 3 cucchiai di olio extravergine in una larga padella con lo spicchio d'aglio e fatevi cuocere i carciofi a fiamma media, per 10/12 minuti, fino a che saranno cotti ma ancora croccanti. Se necessario aggiungete piccole quantità di acqua durante la cottura. 
  • Ad un paio di minuti dalla fine cottura, aggiustate di sale ed aggiungete una manciata generosa di prezzemolo tritato e foglioline di menta. 
  • Sulla base del guscio di riso, versate adesso la ricotta che avrete fatto scolare, e distribuitela grossolanamente lungo la superficie. 
  • Aggiungete i carciofi riempiendo il guscio.
  • Lavate i pomodorini Pachino mantenendo il picciolo. Passateli nella stessa padella dei carciofi, in un filo d'olio caldo e copriteli con un coperchio per un paio di minuti in modo che la pelle si ammorbidisca o si apra. Salateli abbondantemente quindi disponeteli con grazia sulla crostata. 
  • Rifinite con un filo d'olio extravergine e foglioline di menta fresca. Servite subito.
  • E' deliziosa anche a temperatura ambiente. 

venerdì 7 settembre 2012

La mia polpa pronta e della salsa fatta in casa

Let's call the whole thing off - Ella Fitzgerald and Louis Amstrong
Una cosa che in casa mia non si compra, non si è mai comprata e probabilmente mai si farà, è la passata di pomodoro. 
Chiamatela salsa, chiamatela conserva, chiamatela come volete, ma se fosse per la mia famiglia e quella di mio marito, la Cirio e affini, avrebbero vita molto difficile. 
Non avevo neanche 4 anni, ed uno dei primi ricordi chiari che ho impressi nella mia mente, sono gli agosti trascorsi a Roma a casa di mia nonna Emma ed il rito della salsa. Perché di vero e proprio rito trattasi. 
La famiglia di mio padre era molto numerosa: sei fratelli, tutti sposati e all'epoca piuttosto prolifici (io sono la prima nipote ma dopo di me si è scatenato l'inferno) e fare la salsa non era una roba per vecchi. 
Mia nonna comprava mediamente dai 5 ai 6 quintali di pomodori. 
Non ridete: fate il rapporto tra i 6 quintali che mia nonna comprava per produrre salsa per c.ca 18 persone e mia suocera che ne compra 3 per sole 7 persone. 
Adesso potete capire perché in casa mia la salsa fatta in casa è una cosa seria. 
All'epoca fare la salsa non solo era un rito, ma tutto si trasformava in un pretesto per far festa. Si cominciava il pomeriggio, quando il solleone si placava e noi bambini a lavare tutti 'sti pomodori galleggianti nelle tinozze e a spruzzarci dalla testa ai piedi. 
Le donne erano le addette alle bottiglie. Il lavaggio era la cosa più fastidiosa e lunga e quando le bottiglie erano pronte (in genere si cominciava la sera prima ...avete idea del numero di bottiglie?), i pomodori puliti venivano tagliati a metà. Nonna dirigeva i lavori e di regola, sedeva al passaverdura elettrico dove cominciavano a venire passati i pomodori. Gli uomini erano gli addetti a riempire e tappare le bottiglie con l'inserimento del basilico (fondamentale). 
Si finiva di tappare le ultime bottiglie intorno alla mezzanotte. Centinaia di bottigliette di birra piene di questo oro rosso, venivano sistemate in 3 caldaie gigantesche (dove avremmo potuto entrare con facilità anche noi bambini) alternate con la carta di giornale affinché bollendo, non si spaccassero. Restavano a bollire coperte di acqua, tutta la notte.
Nel frattempo, nonna aveva approntato una tavolata nel cortile, dove tutti quanti, stanchi ma felici, Ci ritempravamo con pane e pomodoro, pane e olio, mozzarelle e l'immancabile anguria gigante. 
Quando mi sono sposata, questa eredità che ho avuto fortuna di ricevere fino a oltre 20 anni (poi nonna ha smesso ed ha cominciato mia madre), mi è ritornata da mia suocera, che tutt'ora nonostante l'età e gli acciacchi, non rinuncia alla salsa fatta in casa per tutta la famiglia. 
Confesso che 2 anni fa io e mia cognata ci siamo offerte di fare la salsa. Abbiamo affrontato i famigerati 3 quintali di pomodori e tutto è avvenuto il giorno di Ferragosto. Indimenticabile: vi garantisco che, dopo la vendemmia, fare la salsa è una delle cose più estenuanti che esistano. 


Dal mio ultimo viaggio in Molise, la settimana scorsa, ho riportato una discreta quantità di pomodori San Marzano favolosi: dolci, maturi, con una pelle sottilissima...insomma in una parola perfetti. 
Mia suocera me li ha impacchettati ben bene e la mia idea era quella di farci qualche barattolo di polpa pronta, perché a me piace molto il pomodoro intero o a pezzettini, tanto per alternarlo alla salsa. Così mi sono messa al lavoro. Erano solo 5 o 6 chili, quindi ho fatto presto. Ma non c'è cosa più facile al mondo se volete imprigionare l'estate ed avere qualcosa di veramente buono con cui vestire i vostri spaghetti quest'inverno. 
Ingredienti:
- Pomodori San Marzano maturi (da loro dipende la qualità della vs conserva)
- Un bel mazzo di basilico 
- Vasetti sterilizzati
- Una caldaia d'alluminio grande. 
Mettete a bollire una pentola piena d'acqua e tuffateci pochi pomodori alla volta. Fateli bollire pochi secondi, quindi toglieteli con un mestolo forato. Con uno spilucchino incideteli sulla pancia e la pelle verrà via con estrema facilità. Possibilmente fate questa operazione con i pomodori ancora caldi. Lo so, è fastidioso, ma farete velocissimo. Conservate le bucce.
Una volta pelati tutti i pomodori, tagliateli a metà e eliminate i semi ed il frenulo centrale in modo da ottenere solo due metà completamente pulite. Conservate i semi e i frenuli.
Prendete i vostri petali di pomodoro e tagliateli a metà nella lunghezza quindi  striscioline non troppo sottili. 
Mettete qualche foglia di basilico sul fondo dei barattoli, quindi cominciate a invasare, ricordandovi di mettere altro basilico a metà del barattolo, quindi in cima una volta riempito. 
Chiudete bene i barattoli e sistemateli nella caldaia, usando anche degli strofinacci per separarli, affinché non urtino tra loro durante la bollitura. 
Coprite i barattoli di acqua fredda e portate a ebollizione. Devono bollire almeno 30 minuti. Una volta trascorso il tempo. Spegnete il gas e fate raffreddare nell'acqua. 
E con le bucce e semini? Qui non si butta via niente. 
Passateli bene al passaverdure ed avrete la vostra salsa pronta per la spaghettata di domani. 
Psssss....tanti auguri Amore mio! 


Con questa ricetta partecipo al contest di About Food sulle conserve



mercoledì 15 febbraio 2012

Il mercoledì di Starbooks: Mille modi per dire Frittata!

Maid with flaxen hair - C. Debussy
Mai mi sarei aspettata di pubblicare la ricetta di una frittata su questo blog! Ora, non prendetemi per una snob, ma sono davvero certa che ognuna di voi sia perfettamente in grado di tirare fuori una frittata dal cappello senza grossi problemi. Anche la cinematografia di sempre ci insegna che, nonostante il frigo langua, con un uovo ed un po' di sana creatività chiunque possa preparare una signora frittata e/o omelette e salvare la propria reputazione (e la serata). 
Mi sento di affermare che esista la frittata perfetta per ogni gusto e personalità e questo gioco potrete farlo anche voi, scandagliando l'entourage di amici che gravitano intorno alla vostra tavola:
- di patate stile Paella, con patate in chips sottilissime, fritte a puntino separatamente ed amalgamate all'uovo solo dopo averle scolate e ben asciugate, per l'amica Catalunia-dipendente ed in astinenza da Tapas;
- di cipolle o porro per l'amico temerario che "non deve chiedere mai" e che, se possibile, la vuole servita con una birra bella fredda perché poi, con finta discrezione, ci dà di "rutto libero" di Fantozziana memoria;
- con pan grattato e pancetta, come trovate qui, per lui che si sente country e la vuole servita direttamente tra due fette di pane toscano lunghe come un cane accucciato;
- di carciofi, tanti, per me che quando non riesco a girarla e mi si attacca alla padella, me la mangio uguale, "arraganata". 
- in trippa, per mia figlia ed i suoi amici che amano gli scherzi e che ogni volta che servo queste striscioline di frittata saltate nel pomodoro, ci cascano (o fanno finta).
- di spaghetti, per mio marito, da quella volta che in gita fuori porta con gli amici di mia figlia e relativi genitori, nonostante si fosse allegramente sterminato una mega porzione di lasagne fatte in casa dalla sottoscritta e ancora calde, stette 2 ore a magnificare il gigantesco panino con la frittata di spaghetti che il papà casertano di una bimba, tirò fuori con gesto elegante dal cestino del picnic. 
- e poi di scamorza affumicata ed erbette selvatiche, di vitappie (le cime del luppolo), di asparagi selvatici, di cicoria, di mozzarella, di peperoni, olive e salamino, e ancora e ancora, per tutti quelli che amano l'alternativa meravigliosa.  
Avete capito: qui parla di "Uova" e siamo al secondo appuntamento con il ricchissimo libro di Michel Roux e con le amiche di Starbooks questa settimana parleremo di uova fritte: all'occhio di bue, fritte-fritte, strapazzate, nonché omelette e frittate. 
Come sempre Michel Roux regala piccole perle di saggezza elevando questo semplice alimento a qualcosa di più nobile ed elegante. Dalle sue parole, "in base ai gusti una frittata può essere ben cotta, bagnata o liquida al centro (baveuse). Il colore dovrebbe essere dorato molto chiaro; alcuni la preferiscono un colore più scuro ed altri la vogliono pallidissima, anemica. La frittata si può fare anche solo con l'albume." E direi che quest'ultima variante negli ultimi tempi è sempre più di moda tra gli sportivi ed i fanatici delle diete. 
Sempre secondo Roux, la definizione perfetta della frittata è quella di Cécile de Rothschild: "bella rotonda, solo lievemente colorata, di consistenza delicata e morbida come il culetto di un bambino."
Per lo Starbooks di oggi, vi invito ad andare a trovare le mie compagne di avventura che vi hanno preparato queste piccole golosità: 
Omelette Thai e Uova strapazzate Magda su pane fritto - Menu Turistico
Uova di Quaglia al tegamino su pane tostato - Vissi d'arte e... di Cucina
Uova strapazzate in nidi di patatine con uova di salmone - La Apple Pie di Mary Pie.
Tornando alla protagonista del mio post, avrete più o meno intuito che questa signorina dalla personalità multipla, è un'ospite gradita sul mio desco. 
La ricetta che ho scelto dal libro di Roux è una Frittata di zucchine e pomodorini confit.
Un piatto versatile, che può tranquillamente essere servito come antipasto sfizioso e veloce, ma anche come piatto unico servendola su una insalatina di misticanza e fettine di pane tostato. 
Faccio una piccola premessa: questo piatto non contiene propriamente ingredienti di stagione ma per la finalità del post, ho comprato delle zucchine fiore e pomodorini datterini. Godetevi questa piccola anticipazione della bella stagione in attesa che il caldo arrivi presto.
Ecco gli ingredienti e modalità di preparazione come presentati nel libro:
Ingredienti per 4 persone
- 120 gr di zucchine
- 100 ml di olio d'oliva più 2 cucchiai per servire
- 6 uova
- sale e pepe schiacciato grossolanamente
- 200 gr di pomodori confit
- 1 rametto di timo tritato
- 8 olive nere - facoltativo (io ho usato quelle taggiasche)
- 1 cucchiaio di foglie di prezzemolo sminuzzate finemente.
Tagliate le zucchine a fette di 1 cm. Scaldate due terzi dell'olio in una padella di 20/22 cm di diametro e 4 di profondità. Quando è caldo metteteci le zucchine e cuocete a fuoco medio per 3/4 minuti.
Nel frattempo sbattete leggermente le uova in una ciotola ed aggiungete pochissimo sale e pepe. Unite in padella il resto dell'olio, i pomodori confit, il timo e le olive. Quando tutto è caldissimo, versateci le uova e cuocete a fuoco medio, mescolando delicatamente di tanto in tanto con una forchetta.
A metà cottura smettete di mescolare e cuocete su fuoco bassissimo per 2/3 minuti, finché il fondo della frittata è quasi cotto. Fatela scivolare su un vassoio leggermente unto d'olio, rigiratela nella padella e cuocetela per altri 2 minuti, finché è cotta da entrambe le parti e al centro è ancora morbida. Cospargete di prezzemolo in superficie. Fate scivolare la frittata su un piatto da portata e tagliatela a spicchi. Spennellate con un po di olio d'oliva e servite con un po' di pepe schiacciato al momento. E' buona calda, tiepida o a temperatura ambiente. 
Pomodori confit:
La ricetta di Roux è diversa dalla modalità da me utilizzata, che prevede la cottura dei pomodori ancora con la pelle in forno a bassa temperatura. Chiaramente per questa preparazione ho usato il suo metodo che però ha come risultato dei pomodori più acquosi rispetto ai confit preparati in forno. 


Pelate 200 gr di pomodori maturissimi, preferibilmente perini o Marmande, poi tagliateli a metà e privateli dei semi. Scaldate 250 ml di olio d'oliva leggero in una pentola fino a 70°C, poi aggiungete i pomodori, uno spicchio d'aglio tagliato a metà, un pizzico di grani di pepe bianco schiacciati, un rametto di timo ed una foglia di alloro. Cuocete a fuoco dolce a 70° per 10/15 minuti finche sono teneri ma non molli. Più i pomodori sono maturi, meno tempo impiegheranno.
Lasciate raffreddare i pomodori nella pentola poi trasferiteli in un vasetto o in una ciotola. Copriteli con la pellicola e teneteli in frigorifero per quando vi servono. Si conservano nell'olio per almeno 2 settimane. Prima si servirli basta salarli e peparli. Se li volete servire caldi, passateli brevemente sotto il grill a bassa temperatura o riscaldateli in una casseruola con un goccio del loro olio, per qualche minuto. 
NOTE PERSONALI:
- La frittata di zucchine la faccio spesso, specialmente d'estate perché la zucchina con le uova è un matrimonio d'amore. Quando la voglio più ricca, aggiungo anche una patata tagliata sottilissima, ma con i pomodori non l'avevo mai fatta e confesso che è una bellissima sorpresa.
- Contrariamente a Roux, il mio impasto base per quasi ogni tipo di frittata, prevede sempre un goccio di latte e una manciata abbastanza generosa di parmigiano. Questo è un retaggio familiare ed immagino che ognuna di voi abbia la propria ricetta mammesca nel DNA.
- Di norma non sbatto mai troppo le uova: ho notato che la consistenza finale è più soffice e tende a gonfiarsi meglio.
- L'aggiunta delle olive che per M. Roux è facoltativa, in questa ricetta dovrebbe invece essere un must, particolarmente se si usano le Taggiasche perché conferiscono uno spunto amarognolo ad un insieme di per se molto dolce e delicato. Quindi non le omettete, anzi, siate generose.
- Come al solito la presenza dell'elemento "grasso" nelle ricette di Roux è abbondante. Ho decisamente eliminato la spennellata finale sulla frittata di cui personalmente non vedo utilità se viene servita immediatamente. 
- Evito cordialmente di cuocere le frittate in forno con l'illusione di evitare "la frittura". Mia figlia le odia ed afferma, a ragione, che le sembra di mangiare la spugna!


Vi aspetto mercoledì prossimo per una nuova puntata di Starbooks sulle uova, questa volta dedicata a salse e creme! Non ve la perdete.