I've got a crush on you - Sarah Vaughan
C'è un universo da imparare nell'ambito gastronomico.
Se poi ci si addentra nelle ricette della tradizione del mondo, allora si che ci si sente dei perfetti ignoranti.
E' quello che è successo a me quando sono incappata nella Tarator, una salsa presente in molte cucine del Medio Oriente, con utilizzi e preparazioni diverse a seconda della provenienza.
Quello che mi interessava di questa salsa, è che fosse a base di frutta secca, e Niki Segnit, autrice del libro Lateral Cooking, Starbooks di Marzo, me ne ha fatto scoprire l'uso e la preparazione.
Per saperne di più vi invito a leggere il post di oggi e magari, provarla alla prima occasione.
Una salsa deliziosa, semplice e naturalmente vegana.
Una buona giornata a tutti, amici.
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mercoledì 27 marzo 2019
martedì 10 aprile 2018
La Stroscia di Pietrabruna: una Cenerentola in pasticceria
You got a friend - James Taylor & Carol King
Ci può innamorare di una ricetta?
Cos'è che ci attrae irresistibilmente di un piatto?
Il suo sapore? Il suo aspetto? La sua facilità di esecuzione?
Me lo chiedo davvero molto spesso, quando mi rendo conto di aver ripetuto più volte lo stesso piatto in tempi brevissimi.
Non mi stanco di assaggiarlo, non mi stanco di prepararlo.
E soprattutto non smetto di raccontarlo agli amici, lodarne le qualità, la sua meravigliosa unicità.
Da quando ho incontrato lei, ho capito che questa "è 'na passione, chiù forte 'e na catena".
La Stroscia.
Al nome non dareste proprio nulla. Neanche due lire.
Il suono non è bello, specialmente per noi toscani, che spesso definiamo "sbroscia" qualcosa di immangiabile. E l'assonanza, voi m'insegnate...
Eppure guardatela.
Un disco di farina dallo spessore indefinito, una linea grezza, rustica, un aspetto povero, modesto.
Su un buffet di dolci la lascereste per ultima, come un calice di legno tra mille calici di metallo prezioso (Indiana Jones docet).
Ma provate a staccarne un pezzettino (in dialetto "stroscia" significa appunta stacca, spezza).
Portatelo alla bocca ed ascoltate il suono croccante della sua anima.
Quindi cercate di capire quali profumi nasconda: ci riuscirete, ma solo un po'.
Perché sono pochi e si mescolano benissimo.
E se userete una signora materia prima, allora avrete un momento di pura estasi.
Sentirete qualcosa che vi sorriderà dentro ed uscirà fuori, sulle vostre labbra.
Allora allungherete ancora la mano, ne staccherete un altro pezzettino, e poi ancora un altro pensando che non riuscite a smettere.
La Stroscia è così. Ti rapisce.
Mangiarla con gli amici è un rito che rafforza l'allegria.
Mangiarla da soli spinge alla meditazione.
Un consiglio: mangiatela in compagnia, così non avrete sensi di colpa, perché da soli, la finireste inevitabilmente.
Questa ricetta ha preso un posto speciale nel mio cuore non solo perché è di una bontà senza limiti, ma perché mi è stata consegnata dalle mani di una persona speciale che l'ha preparata per me.
Mi ha donato due versioni di questa meraviglia: la versione classica ed una sua rivisitazione, aprendomi un mondo di possibilità creative.
La mia amica Fausta è uno degli incontri più preziosi regalatomi dal Blog.
Come sempre ho detto, fuori da questi spazi ho pochissime vere amicizie.
Diciamo che non arrivano alle dita di una mano.
Poi ci sono le amiche arrivate attraverso questa finestra.
Quando ormai non pensavo che avrei potuto fare nuovi incontri.
Eppure la rete con me è stata generosa e mi ha regalato una manciata di amicizie vere, importanti, sincere.
Faustina, come adoro chiamarla perché è una donna versione tascabile, è uno dei miei primi incontri dall'apertura di Andante con gusto.
Ho amato il suo blog sin da subito.
Le sue ricette "pulite", eleganti, semplici nella più positiva valenza del termine, le assomigliano.
Se c'è una cosa che mi ha insegnato fino dall'inizio, è che la vita va presa con allegria, con il sorriso.
In momenti in cui il buio era l'unica cosa che riuscivo a prevedere nel mio quotidiano, i suoi "interventi" sono stati doni di pura luce.
Recentemente sono andata a trovarla, in una giornata di vento furioso, e lei mi ha regalato una passeggiata fra i vicoli storici della sua città. Mi sono innamorata.
Ci siamo scatenate fotografando ed interrogandoci sui meravigliosi misteri della fotografia, passione comune che lei esercita con grande maestria.
Vi lascio qualche scorcio.
Faustina aspettami che tornerò presto a darti noia :) !
Credo che sia venuto il momento della ricetta, la più facile del mondo.
La Stroscia di Pietrabruna (o Imperia - quella di Fausta)
Per una Stroscia di 21 cm di diametro
300 g di farina 0 (io ho utilizzato una farina integrale macinata a pietra, molto rustica).
90 g di zucchero semolato + un paio di cucchiai per rifinire
90 g di olio extravergine d'oliva (Riviera di Ponente Dop) o comunque un extravergine ligure.
60 g di Marsala
Ci può innamorare di una ricetta?
Cos'è che ci attrae irresistibilmente di un piatto?
Il suo sapore? Il suo aspetto? La sua facilità di esecuzione?
Me lo chiedo davvero molto spesso, quando mi rendo conto di aver ripetuto più volte lo stesso piatto in tempi brevissimi.
Non mi stanco di assaggiarlo, non mi stanco di prepararlo.
E soprattutto non smetto di raccontarlo agli amici, lodarne le qualità, la sua meravigliosa unicità.
Da quando ho incontrato lei, ho capito che questa "è 'na passione, chiù forte 'e na catena".
La Stroscia.
Al nome non dareste proprio nulla. Neanche due lire.
Il suono non è bello, specialmente per noi toscani, che spesso definiamo "sbroscia" qualcosa di immangiabile. E l'assonanza, voi m'insegnate...
Eppure guardatela.
Un disco di farina dallo spessore indefinito, una linea grezza, rustica, un aspetto povero, modesto.
Su un buffet di dolci la lascereste per ultima, come un calice di legno tra mille calici di metallo prezioso (Indiana Jones docet).
Ma provate a staccarne un pezzettino (in dialetto "stroscia" significa appunta stacca, spezza).
Portatelo alla bocca ed ascoltate il suono croccante della sua anima.
Quindi cercate di capire quali profumi nasconda: ci riuscirete, ma solo un po'.
Perché sono pochi e si mescolano benissimo.
E se userete una signora materia prima, allora avrete un momento di pura estasi.
Sentirete qualcosa che vi sorriderà dentro ed uscirà fuori, sulle vostre labbra.
Allora allungherete ancora la mano, ne staccherete un altro pezzettino, e poi ancora un altro pensando che non riuscite a smettere.
La Stroscia è così. Ti rapisce.
Mangiarla con gli amici è un rito che rafforza l'allegria.
Mangiarla da soli spinge alla meditazione.
Un consiglio: mangiatela in compagnia, così non avrete sensi di colpa, perché da soli, la finireste inevitabilmente.
Questa ricetta ha preso un posto speciale nel mio cuore non solo perché è di una bontà senza limiti, ma perché mi è stata consegnata dalle mani di una persona speciale che l'ha preparata per me.
Mi ha donato due versioni di questa meraviglia: la versione classica ed una sua rivisitazione, aprendomi un mondo di possibilità creative.
La mia amica Fausta è uno degli incontri più preziosi regalatomi dal Blog.
Come sempre ho detto, fuori da questi spazi ho pochissime vere amicizie.
Diciamo che non arrivano alle dita di una mano.
Poi ci sono le amiche arrivate attraverso questa finestra.
Quando ormai non pensavo che avrei potuto fare nuovi incontri.
Eppure la rete con me è stata generosa e mi ha regalato una manciata di amicizie vere, importanti, sincere.
Faustina, come adoro chiamarla perché è una donna versione tascabile, è uno dei miei primi incontri dall'apertura di Andante con gusto.
Ho amato il suo blog sin da subito.
Le sue ricette "pulite", eleganti, semplici nella più positiva valenza del termine, le assomigliano.
Se c'è una cosa che mi ha insegnato fino dall'inizio, è che la vita va presa con allegria, con il sorriso.
In momenti in cui il buio era l'unica cosa che riuscivo a prevedere nel mio quotidiano, i suoi "interventi" sono stati doni di pura luce.
Recentemente sono andata a trovarla, in una giornata di vento furioso, e lei mi ha regalato una passeggiata fra i vicoli storici della sua città. Mi sono innamorata.
Ci siamo scatenate fotografando ed interrogandoci sui meravigliosi misteri della fotografia, passione comune che lei esercita con grande maestria.
Vi lascio qualche scorcio.
Credo che sia venuto il momento della ricetta, la più facile del mondo.
La Stroscia di Pietrabruna (o Imperia - quella di Fausta)
Per una Stroscia di 21 cm di diametro
300 g di farina 0 (io ho utilizzato una farina integrale macinata a pietra, molto rustica).
90 g di zucchero semolato + un paio di cucchiai per rifinire
90 g di olio extravergine d'oliva (Riviera di Ponente Dop) o comunque un extravergine ligure.
60 g di Marsala
- Metti farina e zucchero in una larga ciotola. Fai la fontana e versa al centro l'olio. Con un cucchiaio incorpora la farina nell'olio quindi quando vedrai che la massa avrà assorbito l'olio, versa poco a poco il liquore adesso impastando con le mani ma senza cercare di compattare l'impasto, anzi, cercate di lavorare come se steste sabbiando il tutto.
- Versa l'impasto in una teglia coperta di carta da forno e con le mani compatta il tutto schiacchiando con delicatezza senza cercare di appiattire la superficie, che dovrà restare grumosa, rustica. Se la pasta si sfalda, va bene, basta avvicinare i pezzetti al resto dell'impasto senza schiacciare troppo. Con la cottura si unirà perfettamente.
- Cospargi la superficie con poco zucchero semolato.
- Metti in forno a 180° e cuocete per c.ca 40/45 minuti fino a coloritura.
- Togli dal forno e fate raffreddare nella teglia una decina di minuti quindi trasferite su una gratella.
- Servi con del buon Vino liquoroso o della crema tiepida, dello zabaione o quanto vi ispiri.
LA MIA VARIANTE: la ricetta che vedete in foto, a parte la farina integrale, ha scorza di arancia non trattata come aroma e Liquore all'arancia al posto del Marsala.
Fausta mi ha preparato una variante con mandorle spezzate e scorzette di arancia sciroppate alla vaniglia. FAVOLOSA!
Voi potrete variare secondo la vostra fantasia, ma vi prego di provare per prima volta la versione classica che resta davvero inossidabile.
domenica 26 novembre 2017
Il Berlingozzo per la Giornata Nazionale dei Dolci con Olio Extravergine
La porti un bacione a Firenze - Narciso Parigi
Spesso dentro le ricette di un territorio, si annida il carattere della propria gente.
E il carattere toscano è spesso rustico, senza fronzoli al limite della ruvidezza, ma anche goliardico e schietto, senza bisogno di perdersi dietro a troppe parole.
Ma la propensione alla semplicità e all'essenziale non sono sinonimo di mancanza di bellezza.
Perché alla bellezza i toscani sono abituati da tutta la vita: la bellezza di una terra che ammalia il mondo intero; capolavori d'arte e architettura capaci di mandarti in confusione, preservati con amore e rispetto senza limiti.
Penso al destino che mi ha portato qui, nel cuore d'Italia: a volte vorrei scappare da questo paese e non tornare mai più, poi penso a ciò che dovrei lasciare ed il cuore mi si stringe.
Perché a questa bellezza si diventa dipendenti, prigionieri.
La ricetta di oggi è un dolce di origine Fiorentina che viene preparato durante il periodo di Carnevale.
La caratteristica di questo ciambellone dall'aspetto semplice e modesto, è la presenza dell'extravergine e la forte aromatizzazione attraverso l'utilizzo di liquori ed zeste d'arancia.
Un dolce di casa che contiene 3 ingredienti toscani nell'anima: l'olio extravergine, il Vin Santo e l'aroma di anice.
Ingredienti riconoscibili singolarmente al palato ma estremamente armonizzati e alleggeriti nei toni dalla cottura.
Un dolce che deve essere accompagnato da un bicchierino di buon vino dolce, Vin Santo o un Passito di Montefalco o perché no, di Pantelleria.
Ma per i più piccini, inzuppato nel caffellatte la mattina, va certamente benone.
Per Carnevale, potrete decorarlo con confettini, monopariglia colorata o zucchero in granella per conferire un aspetto allegro e festoso.
In questa giornata, il Calendario del Cibo Italiano, celebra la Giornata Nazionale dei dolci con Olio Extravergine.
Una carrellata di buonissimi dolci in cui l'extravergine assume un vero ruolo di ingrediente fondamentale in grado di caratterizzare fortemente il risultato finale.
Per leggere tutte le bellissime ricette a lui dedicate, vi invito a leggere la pagina ufficiale della Giornata , dove troverete una carrellata di dolci regionali da riproporre immediatamente.
Ricetta tratta dal Grande Libro della vera Cucina Toscana di Paolo Petroni
Ingredienti per uno stampo da 24/26 cm di diametro
400 g di farina 00
200 g di zucchero
90 ml di olio extravergine (io ho usato olio da Gentile di Larino)
2 uova medie + 2 tuorli
200 ml di Vin Santo
50 ml di liquore all'anice (tipo Varnelli ma anche l'Ouzo se l'avete).
La scorza grattugiata di due arance non trattate
1 bustina di lievito in polvere
1 pizzico di sale
Spesso dentro le ricette di un territorio, si annida il carattere della propria gente.
E il carattere toscano è spesso rustico, senza fronzoli al limite della ruvidezza, ma anche goliardico e schietto, senza bisogno di perdersi dietro a troppe parole.
Ma la propensione alla semplicità e all'essenziale non sono sinonimo di mancanza di bellezza.
Perché alla bellezza i toscani sono abituati da tutta la vita: la bellezza di una terra che ammalia il mondo intero; capolavori d'arte e architettura capaci di mandarti in confusione, preservati con amore e rispetto senza limiti.
Penso al destino che mi ha portato qui, nel cuore d'Italia: a volte vorrei scappare da questo paese e non tornare mai più, poi penso a ciò che dovrei lasciare ed il cuore mi si stringe.
Perché a questa bellezza si diventa dipendenti, prigionieri.
La ricetta di oggi è un dolce di origine Fiorentina che viene preparato durante il periodo di Carnevale.
La caratteristica di questo ciambellone dall'aspetto semplice e modesto, è la presenza dell'extravergine e la forte aromatizzazione attraverso l'utilizzo di liquori ed zeste d'arancia.
Un dolce di casa che contiene 3 ingredienti toscani nell'anima: l'olio extravergine, il Vin Santo e l'aroma di anice.
Ingredienti riconoscibili singolarmente al palato ma estremamente armonizzati e alleggeriti nei toni dalla cottura.
Un dolce che deve essere accompagnato da un bicchierino di buon vino dolce, Vin Santo o un Passito di Montefalco o perché no, di Pantelleria.
Ma per i più piccini, inzuppato nel caffellatte la mattina, va certamente benone.
Per Carnevale, potrete decorarlo con confettini, monopariglia colorata o zucchero in granella per conferire un aspetto allegro e festoso.
In questa giornata, il Calendario del Cibo Italiano, celebra la Giornata Nazionale dei dolci con Olio Extravergine.
Una carrellata di buonissimi dolci in cui l'extravergine assume un vero ruolo di ingrediente fondamentale in grado di caratterizzare fortemente il risultato finale.
Per leggere tutte le bellissime ricette a lui dedicate, vi invito a leggere la pagina ufficiale della Giornata , dove troverete una carrellata di dolci regionali da riproporre immediatamente.
Ricetta tratta dal Grande Libro della vera Cucina Toscana di Paolo Petroni
Ingredienti per uno stampo da 24/26 cm di diametro
400 g di farina 00
200 g di zucchero
90 ml di olio extravergine (io ho usato olio da Gentile di Larino)
2 uova medie + 2 tuorli
200 ml di Vin Santo
50 ml di liquore all'anice (tipo Varnelli ma anche l'Ouzo se l'avete).
La scorza grattugiata di due arance non trattate
1 bustina di lievito in polvere
1 pizzico di sale
- Montate le uova ed i tuorli con lo zucchero utilizzando le fruste elettriche o la planetaria. Fate montare per 5/6 minuti fino a che il composto non sarà gonfio e leggero.
- Mentre continuate a montare, versate a filo l'olio e fate incorporare.
- Miscelate i liquori (possibilmente a temperatura ambiente) e versateli nel composto insieme alle zeste d'arancia e continuate a montare per qualche istante.
- Setacciate la farina con il lievito, aggiungeteci il sale quindi incorporate poco alla volta al composto continuando a montare per qualche minuto.
- Quando il composto sarà liscio ed omogeneo, versatelo in uno stampo a ciambella imburrato ed infarinato e cuocete in forno a 170° per c.ca 35/40 minuti.
- Essendo un dolce preparato nel periodo di Carnevale, potete decorarlo con confettini colorati, monopariglia o zucchero in granella. Come più vi aggrada.
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mercoledì 8 novembre 2017
Le mie ciambelline al Vin Santo
The first time ever I saw your face - Roberta Flack
La ricetta dei biscotti più semplici e buoni del mondo.
Impossibile non avere gli ingredienti in casa e davvero, piacciono proprio a tutti, grandi e piccini.
In Toscana sono molto conosciuti ma nella mia vita li ho sempre associati a mia nonna paterna, della provincia di Rieti, che non ha mai mancato di farmeli trovare quando scendevamo a Roma durante la mia infanzia e adolescenza.
Le ciambelline al vino dei miei ricordi, erano fatte con vino rosso o bianco, quello che nonna aveva in dispensa in quel momento.
Il resto, olio, zucchero e farina, ingredienti imprescindibili.
Il biscotto che ne esce, ha la memoria di chi li fa e quelli di nonna non erano lisci e perfetti, ma leggermente bitorzoluti, mai eccessivamente croccanti, ma pieni e pastosi in bocca e smettevi di mangiarli solo quando lei ti toglieva il sacchetto di carta in cui li conservava, da sotto le grinfie.
Oggi posso ammettere senza falsa modestia, che sono uno dei miei cavalli di battaglia.
i miei amici più cari li ricevono in dono chiedendo il bis.
L'ultima soddisfazione mi è arrivata dalla Germania, quando un sacchetto è partito insieme a molte altre cose buone per salutare la famiglia della bimba tedesca che abbiamo ospitato qualche settimana fa. E subito mi è tornato un messaggio commosso con richiesta di ricetta.
Dire che amo farli e mangiarli è ormai scontato, ma nella mia personale classifica dei dolci che preferisco, sono probabilmente in cima.
E' il dono della semplicità di una preparazione onesta, senza fronzoli ma di cui non riesci a fare a meno.
La mia ricetta, oramai rodata e inalterata, vede protagonista il nostro Vin Santo, un ottimo extravergine (fondamentale per non ritrovarsi con un retrogusto che rovina un'armonia perfetta) e sempre e comunque, gli adorati semi di anice pestati fino a ridurli in polvere.
Il resto è talmente semplice da essere imbarazzante. Nulla da pesare, si lavora a sentimento.
Un consiglio: fatene tanti.
PS. Sono biscotti versatili: ognuno può aromatizzarli nel modo che preferisce.
Se vi piace il limone, abbondate, se non amate l'anice, toglietelo, se siete creativi usate spezie più ricercate come cannella, zenzero, coriandolo, noce moscata.
Se vi piace la contaminazione osate con lo zafferano ed i pinoli.
Insomma, seguite il vostro gusto e trovate la ciambellina che più vi assomiglia.
Non ci sono limiti alla fantasia.
Altrimenti provate queste. Non vi deluderanno.
Ingredienti per c.a. 100 ciambelline
1 bicchiere di Vin Santo
1 bicchiere di Olio extravergine
1 bicchiere di zucchero semolato
1 cucchiaino ricolmo di semi di anice tritati con piccolo mortaio
1 pizzico di sale
1 cucchiaino di lievito per dolci.
Farina 0 (io ho usato una farina macinata a pietra) quanta ne prende la miscela di liquidi e zucchero (c.ca 700 g o 6 bicchieri)
zucchero di canna tipo demerara per rifinire qb.
Impossibile non avere gli ingredienti in casa e davvero, piacciono proprio a tutti, grandi e piccini.
In Toscana sono molto conosciuti ma nella mia vita li ho sempre associati a mia nonna paterna, della provincia di Rieti, che non ha mai mancato di farmeli trovare quando scendevamo a Roma durante la mia infanzia e adolescenza.
Le ciambelline al vino dei miei ricordi, erano fatte con vino rosso o bianco, quello che nonna aveva in dispensa in quel momento.
Il resto, olio, zucchero e farina, ingredienti imprescindibili.
Il biscotto che ne esce, ha la memoria di chi li fa e quelli di nonna non erano lisci e perfetti, ma leggermente bitorzoluti, mai eccessivamente croccanti, ma pieni e pastosi in bocca e smettevi di mangiarli solo quando lei ti toglieva il sacchetto di carta in cui li conservava, da sotto le grinfie.
Oggi posso ammettere senza falsa modestia, che sono uno dei miei cavalli di battaglia.
i miei amici più cari li ricevono in dono chiedendo il bis.
L'ultima soddisfazione mi è arrivata dalla Germania, quando un sacchetto è partito insieme a molte altre cose buone per salutare la famiglia della bimba tedesca che abbiamo ospitato qualche settimana fa. E subito mi è tornato un messaggio commosso con richiesta di ricetta.
Dire che amo farli e mangiarli è ormai scontato, ma nella mia personale classifica dei dolci che preferisco, sono probabilmente in cima.
E' il dono della semplicità di una preparazione onesta, senza fronzoli ma di cui non riesci a fare a meno.
La mia ricetta, oramai rodata e inalterata, vede protagonista il nostro Vin Santo, un ottimo extravergine (fondamentale per non ritrovarsi con un retrogusto che rovina un'armonia perfetta) e sempre e comunque, gli adorati semi di anice pestati fino a ridurli in polvere.
Il resto è talmente semplice da essere imbarazzante. Nulla da pesare, si lavora a sentimento.
Un consiglio: fatene tanti.
PS. Sono biscotti versatili: ognuno può aromatizzarli nel modo che preferisce.
Se vi piace il limone, abbondate, se non amate l'anice, toglietelo, se siete creativi usate spezie più ricercate come cannella, zenzero, coriandolo, noce moscata.
Se vi piace la contaminazione osate con lo zafferano ed i pinoli.
Insomma, seguite il vostro gusto e trovate la ciambellina che più vi assomiglia.
Non ci sono limiti alla fantasia.
Altrimenti provate queste. Non vi deluderanno.
Ingredienti per c.a. 100 ciambelline
1 bicchiere di Vin Santo
1 bicchiere di Olio extravergine
1 bicchiere di zucchero semolato
1 cucchiaino ricolmo di semi di anice tritati con piccolo mortaio
1 pizzico di sale
1 cucchiaino di lievito per dolci.
Farina 0 (io ho usato una farina macinata a pietra) quanta ne prende la miscela di liquidi e zucchero (c.ca 700 g o 6 bicchieri)
zucchero di canna tipo demerara per rifinire qb.
- In una larga ciotola versate il Vin Santo, l'olio (misurato con lo stesso bicchiere con cui avete versato il Vino), lo zucchero (idem come sopra) e i semi di anice. Con una frusta mescolate il tutto per qualche minuto.
- A questo punto cominciate ad aggiungere la farina setacciandola via via. Non dimenticate il cucchiaino di lievito setacciato ed il pizzico di sale. In un primo tempo incorporatela utilizzando la frusta, poi, quando il composto comincerà a stare insieme usate il cucchiaio. Rovesciate il tutto sulla spianatoia. Dovrete ottenere una palla consistente morbida ma sostenuta. Dovete essere in grado di fare dei rotolini di pasta che non si schiaccino e non appiccichino. La pasta resterà comunque lucida grazie all'olio e questo consentirà allo zucchero in rifinitura, di attaccarsi.
- Una volta pronto l'impasto, fate riposare qualche istante mentre accendete il forno a 180° e preparate le teglie rivestite di carta da forno.
- Cominciate a tagliare dei pezzi di impasto e arrotolate per ottenere dei cordini dal diametro di 8 mm c.ca. Tagliateli e formate delle ciambelline non più grandi del tondo che forma l'unione del vostro pollice ed indice (cresceranno in cottura).
- In un piatto versate lo zucchero di canna e passateci su entrambi lati ognuna delle vostre ciambelline.
- Sistematele sulle placche e cuocete in forno per 25/28 minuti, fino a quando la superficie sarà bella dorata ed il fondo leggermente caramellato.
- Fate raffreddare e conservate in una scatola di latta: si conservano molto lungo e sono fantastiche a colazione a pranzo e a cena.
lunedì 6 febbraio 2017
Mini bundt all'anice e olio extravergine. La La Land, il cinema, la nostalgia e la consolazione.
City of Stars - Ryan Gosling & Emma Stone
Nella serata più piovosa dell'ultima stagione, sono riuscita ad andare a vedere La La Land.
L'ho fatto in un cinema piccolo, stretto, dentro una chiesa sconsacrata gremita di gente dalla prima all'ultima fila.
Il mio primo pensiero è stato: "ma la gente non aveva smesso di andare al cinema?"
Ed il secondo, immediatamente dopo: "ti prego, fai che sia bello perché chi resiste due ore con i ginocchi conficcati nello schienale di fronte!"
Il disagio di sentire il respiro del vicino pomparmi nell'orecchio, è svanito all'oscurarsi delle luci ed all'apparire di una highway losangelina, innondata di sole e macchine ferme in un ingorgo.
Da lì ad essere proiettati in una scena corale alla Saranno Famosi, con tanto di ballerini piroettanti su cofani di auto e camion, gambe slanciate su gard reil, complicità canterina tra autisti vocati allo stesso destino, sul tema gioioso e liberatorio di "Another Day of Sun", c'è voluto un istante.
La magia del cinema mi aveva già incatenata, gli occhi spalancati e la bocca aperta in un sorriso ebete, serratosi soltanto ai titoli di coda, solo perché nella gola tremava una lacrima di commozione.
Si fa male a dire perché qualcosa ti piace senza compromessi mentre è cordialmente detestata da qualcun altro.
Se si ama il cinema, se, come me, si ama fortemente il genere musical, non si può restare indifferenti a questo film.
Che prima di tutto è un tenero, appassionato e nostalgico omaggio a quel cinema che non c'è più ed alla consapevolezza che certe cose siano irripetibili.
E proprio perché essendo tali, son care al nostro cuore.
La storia d'amore tra Mia e Sebastian è simile a tante riviste mille volte: due giovani (una aspirante attrice ed un appassionato jazzista) animati da un sogno più grande di loro che si incontrano casualmente, si detestano al primo sguardo, si incrociano di nuovo e si amano senza limiti e probabilmente per sempre.
Quindi nulla di nuovo sul fonte occidentale.
Il geniale Damien Chazelle, già autore del bellissimo Whiplash (se non lo avete visto, fatelo!), decide di raccontare questa storia attraverso la musica, il ballo e le canzoni in formato Cinemascope.
Il che, fin dall'inizio, ti sheckera dentro il continuo ricordo di vecchi film musicali su cui sei cresciuto (da Cantando sotto al pioggia a Un americano a Parigi), provocandoti un senso di pacifico turbamento e latente malinconia.
La storia è pur sempre una storia d'amore, ma il messaggio che ti arriva è un altro: com'era meravigliosa la vita raccontata nei musical, e che gioia di vivere, e che peccato che il musical, quel musical non sia più.
Se posso lasciarmi andare, La La Land non è un musical assoluto: ogni quadro, ogni performance, ogni scenografia utilizzata sono al servizio della nostalgia del regista, che fa un tuffo amorevole nel periodo d'oro del grande musical americano.
La scelta dell'autore, di non utilizzare protagonisti che fossero cantanti o ballerini affermati, è ponderata ed ha lo scopo di dare a chi guarda, un'impressione di tenero impaccio e naturalezza, ma non di confronto, perché quel "musical" non si eguaglia.
Ci sono i colori, i costumi, ci sono gli sfondi sognanti, la musica struggente.
C'è tutto a voler ricordare com'era e come non è.
In un momento di grande passione e disillusione, Seb, impersonato da uno scontroso e divertente Ryan Gosling, afferma che il Jazz puro, libero da condizionamenti e necessità, stia morendo.
I grandi locali storici in cui il Jazz ha fatto la storia sono ormai fast food etnici, i cinema in cui si proiettano film della vecchia Hollywood, serrano i battenti.
Un mondo incantato sta scomparendo.
Questa verità scorre a fianco di una storia d'amore che incatena, che ci fa sognare e che traduce in stupende immagini tutto quello che il cinema vero dovrebbe fare: emozionarci, divertirci, consolarci.
Lo sguardo di Mia, potente, espressivo e strenuamente aggrappato al sogno, ha le immense iridi turchesi di Emma Stone, e pare essere fatto per perdersi in quello disincantato di Seb.
Non si riesce a staccarsi da lui, neanche in quel finale a sorpresa (che non vi svelerò) e che, nonostante tutto, mi ha visto uscire da quella sala, come solo il buon cinema ha il potere di fare, felice.
E la nostalgia di sapori antichi e profumi lontani è tutta in queste tortine all'olio extravergine e anice, dalla fantasia di Martha Stewart nel suo libro cakes.
Facili e veloci come ogni buon dolce che rispetti dovrebbe essere. E perfetti da portarsi al cinema e mangiare in silenzio, innamorati e sognanti guardando La La Land.
Ingredienti per 4 mini bundt da 250 ml l'uno.
90 g di farina 00
2 uova grandi intere + 1 tuorlo grande
90 g di zucchero semolato
un cucchiaino di scorza grattugiata di una arancia non trattata
1 cucchiaino e mezzo di semi di anice tostati (e tritati)
100 g di olio extravergine Riviera Ligure Dop
1 pizzico di sale
mezzo cucchiaino di lievito in polvere
zucchero a velo per spolverare
Nella serata più piovosa dell'ultima stagione, sono riuscita ad andare a vedere La La Land.
L'ho fatto in un cinema piccolo, stretto, dentro una chiesa sconsacrata gremita di gente dalla prima all'ultima fila.
Il mio primo pensiero è stato: "ma la gente non aveva smesso di andare al cinema?"
Ed il secondo, immediatamente dopo: "ti prego, fai che sia bello perché chi resiste due ore con i ginocchi conficcati nello schienale di fronte!"
Il disagio di sentire il respiro del vicino pomparmi nell'orecchio, è svanito all'oscurarsi delle luci ed all'apparire di una highway losangelina, innondata di sole e macchine ferme in un ingorgo.
Da lì ad essere proiettati in una scena corale alla Saranno Famosi, con tanto di ballerini piroettanti su cofani di auto e camion, gambe slanciate su gard reil, complicità canterina tra autisti vocati allo stesso destino, sul tema gioioso e liberatorio di "Another Day of Sun", c'è voluto un istante.
La magia del cinema mi aveva già incatenata, gli occhi spalancati e la bocca aperta in un sorriso ebete, serratosi soltanto ai titoli di coda, solo perché nella gola tremava una lacrima di commozione.
Si fa male a dire perché qualcosa ti piace senza compromessi mentre è cordialmente detestata da qualcun altro.
Se si ama il cinema, se, come me, si ama fortemente il genere musical, non si può restare indifferenti a questo film.
Che prima di tutto è un tenero, appassionato e nostalgico omaggio a quel cinema che non c'è più ed alla consapevolezza che certe cose siano irripetibili.
E proprio perché essendo tali, son care al nostro cuore.
La storia d'amore tra Mia e Sebastian è simile a tante riviste mille volte: due giovani (una aspirante attrice ed un appassionato jazzista) animati da un sogno più grande di loro che si incontrano casualmente, si detestano al primo sguardo, si incrociano di nuovo e si amano senza limiti e probabilmente per sempre.
Quindi nulla di nuovo sul fonte occidentale.
Il geniale Damien Chazelle, già autore del bellissimo Whiplash (se non lo avete visto, fatelo!), decide di raccontare questa storia attraverso la musica, il ballo e le canzoni in formato Cinemascope.
Il che, fin dall'inizio, ti sheckera dentro il continuo ricordo di vecchi film musicali su cui sei cresciuto (da Cantando sotto al pioggia a Un americano a Parigi), provocandoti un senso di pacifico turbamento e latente malinconia.
La storia è pur sempre una storia d'amore, ma il messaggio che ti arriva è un altro: com'era meravigliosa la vita raccontata nei musical, e che gioia di vivere, e che peccato che il musical, quel musical non sia più.
Se posso lasciarmi andare, La La Land non è un musical assoluto: ogni quadro, ogni performance, ogni scenografia utilizzata sono al servizio della nostalgia del regista, che fa un tuffo amorevole nel periodo d'oro del grande musical americano.
La scelta dell'autore, di non utilizzare protagonisti che fossero cantanti o ballerini affermati, è ponderata ed ha lo scopo di dare a chi guarda, un'impressione di tenero impaccio e naturalezza, ma non di confronto, perché quel "musical" non si eguaglia.
Ci sono i colori, i costumi, ci sono gli sfondi sognanti, la musica struggente.
C'è tutto a voler ricordare com'era e come non è.
In un momento di grande passione e disillusione, Seb, impersonato da uno scontroso e divertente Ryan Gosling, afferma che il Jazz puro, libero da condizionamenti e necessità, stia morendo.
I grandi locali storici in cui il Jazz ha fatto la storia sono ormai fast food etnici, i cinema in cui si proiettano film della vecchia Hollywood, serrano i battenti.
Un mondo incantato sta scomparendo.
Questa verità scorre a fianco di una storia d'amore che incatena, che ci fa sognare e che traduce in stupende immagini tutto quello che il cinema vero dovrebbe fare: emozionarci, divertirci, consolarci.
Lo sguardo di Mia, potente, espressivo e strenuamente aggrappato al sogno, ha le immense iridi turchesi di Emma Stone, e pare essere fatto per perdersi in quello disincantato di Seb.
Non si riesce a staccarsi da lui, neanche in quel finale a sorpresa (che non vi svelerò) e che, nonostante tutto, mi ha visto uscire da quella sala, come solo il buon cinema ha il potere di fare, felice.
E la nostalgia di sapori antichi e profumi lontani è tutta in queste tortine all'olio extravergine e anice, dalla fantasia di Martha Stewart nel suo libro cakes.
Facili e veloci come ogni buon dolce che rispetti dovrebbe essere. E perfetti da portarsi al cinema e mangiare in silenzio, innamorati e sognanti guardando La La Land.
Ingredienti per 4 mini bundt da 250 ml l'uno.
90 g di farina 00
2 uova grandi intere + 1 tuorlo grande
90 g di zucchero semolato
un cucchiaino di scorza grattugiata di una arancia non trattata
1 cucchiaino e mezzo di semi di anice tostati (e tritati)
100 g di olio extravergine Riviera Ligure Dop
1 pizzico di sale
mezzo cucchiaino di lievito in polvere
zucchero a velo per spolverare
- Preriscaldate il forno a 170°. Imburrate ed infarinate quattro stampi monoporzione.
- Tostate i semi di anice in un padellino fino a che non li sentirete sfrigolare, quindi fateli raffreddare e pestateli in un mortaio fino a renderli polvere.
- Montate le uova ed il tuorlo con lo zucchero, la scorza di arancia ed i semi di anice fino a che il composto non sarà bello gonfio.
- Aggiungete l'olio a filo mentre la massa continua a montare, senza interrompere, fino a che il composto non sarà omogeneo.
- Miscela farina, lievito e sale ed aggiungili in 3 tempi alla massa montata
- Versate il composto negli stampi riempiendoli fino a 2 /3 quindi cuoceteli per c.ca 20/30 minuti, e fate la prova stecchino per verificare la cottura.
- Mettete gli stampi su una griglia e fateli raffreddare per una decina di minuti prima di sformarli.
- Serviteli tiepidi per apprezzare in pieno il meraviglioso aroma di anice.
lunedì 21 novembre 2016
Settimana Nazionale dell'Olio Extravergine: Minestra di ceci alloro ed aglio di Vessalico
Green song - Elvis Costello e Anne Sofie von Otter
Oggi parlo di lui, il mio grande amore in cucina.
L'ingrediente a cui non potrei rinunciare, il vero principe della Dieta Mediterranea, l'oro della nostra tavola.
Parlo dell'olio extravergine nella Settimana Nazionale a lui dedicata all'interno del Calendario del Cibo Italiano.
Sul sito dell'Associazione Italiana Food Blogger si celebra oggi un simbolo del nostro paese, secondo produttore al mondo solo dopo la Spagna, del grasso vegetale più salutare e prezioso.
Vi invito a leggere l'articolo che ho scritto e che spero potrà chiarire le idee a chi di extravergine sa ancora poco o vuole scoprirne di più.
Per quanto mi riguarda, ho sempre avuto una passione per l'extravergine, pubblicamente ammessa nelle centinaia di ricette in cui l'ho raccontato in questo blog, nella sezione in cui lo celebro e dove ho spiegato spesso come sceglierlo, rispettarlo nella conservazione, utilizzarlo senza timore e capirlo nei suoi pregi e difetti.
L'Olio extravergine è ancora troppo poco conosciuto dal consumatore e merita la dignità che gli compete.
Ricordiamoci che non esiste l'olio ma gli oli extravergine, originati dalle centinaia di cultivar di cui la nostra penisola è ricca.
Impariamo a conoscere le DOP e le IGP partendo da quelle della vostra regione e piano piano andando alla scoperta delle altre, perché ognuno di questi oli ha caratteristiche ben diverse, peculiarità che lo rendono unico e lo trasformano in un vero e proprio ingrediente da utilizzare nelle vostre ricette, non solo come semplice condimento a crudo.
Vin invito anche a leggere il bell'articolo scritto da Lidia del blog The Spicy Note in cui racconta la vita di un'azienda olivicola ed il suo prodotto.
Il vi lascio con una ricetta semplice e veloce, di quelle che tanto piacciono a me per le serate invernali.
Per questa minestra ho voluto usare dell'Olio Extravegine Trevi Dop, particolarmente fruttato e non eccessivamente amaro o piccante come potrebbe essere un giovane olio toscano Chianti Dop o Trequanda Dop, abbinandolo ad un aglio splendido, che arriva da terre liguri, in particolare dalla Valle Arroscia.
Si tratta di un aglio gentile e ben digeribile grazie all'anima estremamente ridotta (causa principale dei disturbi), dall'aroma non aggressivo, prodotto in quantità limitata da pochi produttori di quell'area geografica. Va conservato bene al buio perché tende a seguire proprio ciclo vitale, germogliando con facilità.
Ingredienti per 4 persone
350 g di ceci secchi piccoli del Chianti
3 spicchi di aglio di Vessalico
2 foglie di Alloro
50 ml di passata di pomodori
Olio Extravergine Trevi Dop
Sale - Pepe nero al mulinello.
Oggi parlo di lui, il mio grande amore in cucina.
L'ingrediente a cui non potrei rinunciare, il vero principe della Dieta Mediterranea, l'oro della nostra tavola.
Parlo dell'olio extravergine nella Settimana Nazionale a lui dedicata all'interno del Calendario del Cibo Italiano.
Sul sito dell'Associazione Italiana Food Blogger si celebra oggi un simbolo del nostro paese, secondo produttore al mondo solo dopo la Spagna, del grasso vegetale più salutare e prezioso.
Vi invito a leggere l'articolo che ho scritto e che spero potrà chiarire le idee a chi di extravergine sa ancora poco o vuole scoprirne di più.
Per quanto mi riguarda, ho sempre avuto una passione per l'extravergine, pubblicamente ammessa nelle centinaia di ricette in cui l'ho raccontato in questo blog, nella sezione in cui lo celebro e dove ho spiegato spesso come sceglierlo, rispettarlo nella conservazione, utilizzarlo senza timore e capirlo nei suoi pregi e difetti.
L'Olio extravergine è ancora troppo poco conosciuto dal consumatore e merita la dignità che gli compete.
Ricordiamoci che non esiste l'olio ma gli oli extravergine, originati dalle centinaia di cultivar di cui la nostra penisola è ricca.
Impariamo a conoscere le DOP e le IGP partendo da quelle della vostra regione e piano piano andando alla scoperta delle altre, perché ognuno di questi oli ha caratteristiche ben diverse, peculiarità che lo rendono unico e lo trasformano in un vero e proprio ingrediente da utilizzare nelle vostre ricette, non solo come semplice condimento a crudo.
Vin invito anche a leggere il bell'articolo scritto da Lidia del blog The Spicy Note in cui racconta la vita di un'azienda olivicola ed il suo prodotto.
Il vi lascio con una ricetta semplice e veloce, di quelle che tanto piacciono a me per le serate invernali.
Per questa minestra ho voluto usare dell'Olio Extravegine Trevi Dop, particolarmente fruttato e non eccessivamente amaro o piccante come potrebbe essere un giovane olio toscano Chianti Dop o Trequanda Dop, abbinandolo ad un aglio splendido, che arriva da terre liguri, in particolare dalla Valle Arroscia.
Si tratta di un aglio gentile e ben digeribile grazie all'anima estremamente ridotta (causa principale dei disturbi), dall'aroma non aggressivo, prodotto in quantità limitata da pochi produttori di quell'area geografica. Va conservato bene al buio perché tende a seguire proprio ciclo vitale, germogliando con facilità.
Ingredienti per 4 persone
350 g di ceci secchi piccoli del Chianti
3 spicchi di aglio di Vessalico
2 foglie di Alloro
50 ml di passata di pomodori
Olio Extravergine Trevi Dop
Sale - Pepe nero al mulinello.
- Mettete i ceci a bagno tutta la notte con un pizzico di sale grosso
- Fateli cuocere in abbondante acqua salata con una foglia di alloro, fino a che non saranno morbidi ma ancora integri.
- Scolateli ma conservate l'acqua di cottura e divideteli nello stesso peso in due ciotole.
- Versate 3 cucchiai d'olio in una casseruola insieme all'aglio ed alla foglia di alloro. Fate profumare a fiamma dolce quindi aggiungete la prima metà di ceci. Mescolate bene quindi aggiungete il pomodoro e copriteli a filo con l'acqua di cottura rimasta, e fate cuocere una 20na di minuti.
- In una bicchiere per mixer a immersione, versate i restanti ceci e versate un mestolo di acqua di cottura, 2 cucchiai di extravergine e frullate fino a ridurre ad una crema. Versate il tutto nella casseruola e proseguite la cottura per altri 10 minuti.
- Una volta pronto, servite con pane toscano abbruscato, irrorate di abbondante olio extravergine e completate con una generosa macinata di pepe nero. Servite subito.
mercoledì 12 ottobre 2016
Patate "crispy" al forno al profumo di Toscana.
The Autumn Leaves - Nat King Cole
Il balzo nell'autunno è appena stato fatto.
Ci mancherebbe altro, siamo al 12 ottobre: basta con le infradito.
Per me che lavoro a casa, è il momento più fastidioso, perché ancora i termosifoni sono spenti e la mattina c'è quel frescolino che ti costringe ad intabarrarti come un clochard.
Seduta per ore davanti al computer, perdo la sensibilità degli alluci e continuo a ballettare sulla sedia come i bambini irrequieti all'asilo. Che stress.
L'idea che a breve sarò nuovamente alle prese con il cambio di stagione (ma non l'avevo appena fatto?) mi fa uscire di cervello.
Per il resto, l'autunno è una stagione che amo decisamente più della primavera (non fosse altro per la mancanza di allergia).
Intanto si ricomincia a preparare le zuppe!
La sera a cena, mi sembra quasi un delitto non avere un bel piatto caldo e cremoso da sorbirsi finalmente tutti insieme intorno alla tavola.
L'argomento non entusiasma la più giovane della famiglia, che quando sente la parola minestra, ha reazioni sorprendenti.
"Ma uffa...anche ieri hai fatto quella zuppa di...facocero"..
"Ehhhh? Facocero? Ma che dici.."
"Si, quella roba verde, puzzolente! "
"Era una vellutata di asparagi!"
"Si, quella, non mi veniva il nome!"
Insomma. Ecco.
Poi se le mangia fino all'ultima goccia, ma prima certo, devo sentirne delle belle.
L'autunno è anche il periodo delle verdure da cuocere in maniera fantasiosa.
In effetti prossimamente le verdure compariranno spesso su questo blog.
Il ritorno delle mie amate crucifere (finalmente), così sane e buone da mangiare anche da sole.
Questa volta ho voluto provare un nuovo modo per cuocere le patate al forno, affettandole sottilmente ma mantenendole il più possibile nella loro forma originale.
Questo creerà un bordo croccante e saporito ed un cuore fondente e tenero.
Il modo migliore per realizzarle è utilizzare un coltello grande e molto affilato.
La mandolina non vi consentirà di tenere le fettine "in forma" mentre le affetterete.
Ingredienti per 4 persone
4 patate grandi o 6 medie
50 g di rigatino di Cinta Senese
qualche rametto di timo
5/6 foglie di salvia
2 rametti di rosmarino
1 cucchiaino di paprica dolce
sale aromatico del Chianti (una miscela di sale, pepe e erbe aromatiche locali)
Olio extravergine Chianti Dop
Il balzo nell'autunno è appena stato fatto.
Ci mancherebbe altro, siamo al 12 ottobre: basta con le infradito.
Per me che lavoro a casa, è il momento più fastidioso, perché ancora i termosifoni sono spenti e la mattina c'è quel frescolino che ti costringe ad intabarrarti come un clochard.
Seduta per ore davanti al computer, perdo la sensibilità degli alluci e continuo a ballettare sulla sedia come i bambini irrequieti all'asilo. Che stress.
L'idea che a breve sarò nuovamente alle prese con il cambio di stagione (ma non l'avevo appena fatto?) mi fa uscire di cervello.
Per il resto, l'autunno è una stagione che amo decisamente più della primavera (non fosse altro per la mancanza di allergia).
Intanto si ricomincia a preparare le zuppe!
La sera a cena, mi sembra quasi un delitto non avere un bel piatto caldo e cremoso da sorbirsi finalmente tutti insieme intorno alla tavola.
L'argomento non entusiasma la più giovane della famiglia, che quando sente la parola minestra, ha reazioni sorprendenti.
"Ma uffa...anche ieri hai fatto quella zuppa di...facocero"..
"Ehhhh? Facocero? Ma che dici.."
"Si, quella roba verde, puzzolente! "
"Era una vellutata di asparagi!"
"Si, quella, non mi veniva il nome!"
Insomma. Ecco.
Poi se le mangia fino all'ultima goccia, ma prima certo, devo sentirne delle belle.
In effetti prossimamente le verdure compariranno spesso su questo blog.
Il ritorno delle mie amate crucifere (finalmente), così sane e buone da mangiare anche da sole.
Questa volta ho voluto provare un nuovo modo per cuocere le patate al forno, affettandole sottilmente ma mantenendole il più possibile nella loro forma originale.
Questo creerà un bordo croccante e saporito ed un cuore fondente e tenero.
Il modo migliore per realizzarle è utilizzare un coltello grande e molto affilato.
La mandolina non vi consentirà di tenere le fettine "in forma" mentre le affetterete.
Ingredienti per 4 persone
4 patate grandi o 6 medie
50 g di rigatino di Cinta Senese
qualche rametto di timo
5/6 foglie di salvia
2 rametti di rosmarino
1 cucchiaino di paprica dolce
sale aromatico del Chianti (una miscela di sale, pepe e erbe aromatiche locali)
Olio extravergine Chianti Dop
- Pelate, lavate ed asciugate bene le patate. Con un coltello molto affilato, tagliatele a fettine dello spessore di 2/3 mm. Cercate di conservare la forma della patata via via che affettate.
- Sistemate le patate in una teglia bel oleata, che possa contenerle alla perfezione, con le fette in verticale.
- Tritate finemente le erbe aromatiche e cospargetele sulle patate
- In una ciotolina versate 3 generosi cucchiai di olio extravergine e la paprica ed emulsionate. Spennellate il composto sulle patate con cura.
- Salate generosamente e mettete in forno preriscaldato a 180°
- Fate cuocere per 45 minuti, ma ogni 15 minuti spennellate la superficie delle patate con l'olio alla paprica
- Mentre le patate cuociono, tostate le fettine del rigatino su una bistecchiera. Una volta croccanti, asciugatele bene nella carta assorbente e tenetele in caldo.
- 10 minuti prima di togliere le patate dal forno, passatele sotto il grill.
- Una volta pronte, sbriciolatevi sopra il rigatino e servite immediatamente (perderanno croccantezza raffreddandosi).
mercoledì 20 luglio 2016
Pici all'Aglione: piccoli splendori della Val d'Orcia.
The long and winding road - Paul McCartney
L' estate è la stagione del pomodoro.
Da mangiare crudo, possibilmente.
Oppure in insalata, strofinato, in una pappa, ripieno a sorpresa, con briciole croccanti, abbracciato a pane e basilico in una deliziosa panzanella...
Il pomodoro offre pretesti golosi per non smettere mai di sognare un piatto di pasta fatta in casa, nonostante il caldo, nonostante la stanchezza.
Che poi, se ci si pensa davvero bene, è molto più faticoso immaginare di mettersi al lavoro che buttarcisi veramente.
Mica dovete fare pasta fresca per 30 persone.
Siete in due, soli a casa, i figli dai nonni al mare...di nuovo sposini!
"Allora andate a mangiare fuori" mi direte voi.
Troppo facile. Mangiare fuori...vi pare semplice.
Trovare un posto che sia onesto, simpatico, accogliente e sufficientemente romantico per godersi a pieno la serata.
Faccio mente locale e non ricordo un momento così da millenni.
Quindi, prima di rischiare la delusione e ancora peggio l'arrabbiatura, concedetevi il tempo (ne serve proprio poco) per preparare due pici, buttare del pomodoro maturo e dolce in un fondo ricco di aglio profumato e tirar fuori un piatto da signori.
Da mangiarsi in terrazza, al fresco, con sottofondo di refolo di vento ed accompagnamento di cicale.
Un calice di bollicine rosate va via come il pane.
E ditemi se non ve l'ho pensata proprio perfetta!
Il dopo cena lo lascio alla vostra fantasia.
Sui pici in questo blog trovate tutte le dritte per prepararli al meglio.
Per scoprirne i segreti vi consiglio di andare a leggere questo post, che è una celebrazione amorosa della pasta della mia terra.
C'è anche il tutorial per prepararli al meglio.
Mentre sull'aglione, è il condimento più semplice e comune per questo piatto.
Ovviamente "Aglione" non vuole significare la quantità di aglio, per altro importante, presente nel condimento, ma una vera e proprio a tipologia, tipica della zona di Cetona, praticamente impossibile da trovare altrove: una testa d'aglio grande con 3 spicchi grossi quanto le tradizionali teste d'aglio. Ecco l'aglione.
Qui sotto vi lascio la ricetta corredata da una carrellata di immagini della mia Val d'Orcia, la terra in cui i pici nascono tradizionalmente.
Ma non le solite Pienza e Montalcino che tutti ormai conoscono.
Sono immagini di piccoli luoghi incantevoli che vanno cercati perché non è facile capitarci a caso.
Una delle strade più belle e mutevoli della mia provincia è la SS 438, quella che da Siena si dirige ad Asciano, il cuore delle Crete Senesi.
Da mangiare crudo, possibilmente.
Oppure in insalata, strofinato, in una pappa, ripieno a sorpresa, con briciole croccanti, abbracciato a pane e basilico in una deliziosa panzanella...
Il pomodoro offre pretesti golosi per non smettere mai di sognare un piatto di pasta fatta in casa, nonostante il caldo, nonostante la stanchezza.
Che poi, se ci si pensa davvero bene, è molto più faticoso immaginare di mettersi al lavoro che buttarcisi veramente.
Mica dovete fare pasta fresca per 30 persone.
Siete in due, soli a casa, i figli dai nonni al mare...di nuovo sposini!
"Allora andate a mangiare fuori" mi direte voi.
Troppo facile. Mangiare fuori...vi pare semplice.
Trovare un posto che sia onesto, simpatico, accogliente e sufficientemente romantico per godersi a pieno la serata.
Faccio mente locale e non ricordo un momento così da millenni.
Quindi, prima di rischiare la delusione e ancora peggio l'arrabbiatura, concedetevi il tempo (ne serve proprio poco) per preparare due pici, buttare del pomodoro maturo e dolce in un fondo ricco di aglio profumato e tirar fuori un piatto da signori.
Da mangiarsi in terrazza, al fresco, con sottofondo di refolo di vento ed accompagnamento di cicale.
Un calice di bollicine rosate va via come il pane.
E ditemi se non ve l'ho pensata proprio perfetta!
Il dopo cena lo lascio alla vostra fantasia.
Sui pici in questo blog trovate tutte le dritte per prepararli al meglio.
Per scoprirne i segreti vi consiglio di andare a leggere questo post, che è una celebrazione amorosa della pasta della mia terra.
C'è anche il tutorial per prepararli al meglio.
Mentre sull'aglione, è il condimento più semplice e comune per questo piatto.
Ovviamente "Aglione" non vuole significare la quantità di aglio, per altro importante, presente nel condimento, ma una vera e proprio a tipologia, tipica della zona di Cetona, praticamente impossibile da trovare altrove: una testa d'aglio grande con 3 spicchi grossi quanto le tradizionali teste d'aglio. Ecco l'aglione.
Qui sotto vi lascio la ricetta corredata da una carrellata di immagini della mia Val d'Orcia, la terra in cui i pici nascono tradizionalmente.
Ma non le solite Pienza e Montalcino che tutti ormai conoscono.
Sono immagini di piccoli luoghi incantevoli che vanno cercati perché non è facile capitarci a caso.
Ingredienti per 4 persone
Per i Pici
300 gr
di farina 00
150 gr
di farina di semola rimacinata
3
generosi cucchiai d’olio extra vergine Trequanda DOP
1
pizzico di sale
acqua –
qb –
Nota: La
quantità di acqua è variabile dal tipo di farina che userete.
In
genere per questa quantità di farina un bicchiere o poco meno è sufficiente, ma
sta a voi osservare quanta ne incorpora il vostro impasto per essere morbido e
malleabile.
La proporzione dell'uso delle 2 farine è sempre 2:1, ovvero due parti di 00 ed una di semola rimacinata che conferisce struttura all'impasto.
La proporzione dell'uso delle 2 farine è sempre 2:1, ovvero due parti di 00 ed una di semola rimacinata che conferisce struttura all'impasto.
In questa
maniera non avrete bisogno di uova e la pasta si tirerà con estrema facilità.
Per il
condimento
450 di
pomodori maturi san marzano
4
spicchi d’aglio
1
peperoncino
Olio
extravergine Trequanda Dop
1
ciuffo di prezzemolo
sale
q.b.
Pecorino
toscano a piacere
- Fate la fontana con le due farine miscelate. Versate l’olio al centro, il pizzico di sale e cominciate ad aggiungere lentamente l’acqua, incorporando la farina con le dita o con una forchetta. Quando la pasta comincerà a stare insieme, cominciate ad impastare con energia utilizzando il palmo delle mani vicino ai polsi. Se necessario, aggiungete acqua o farina. Impastate con energia per almeno 10 minuti. Dovrete ottenere una pasta liscia, vellutata e abbastanza morbida. Fate riposare una mezz’ora avvolta nella pellicola.
- Quando la pasta è pronta, tagliatene un pezzetto e fate una pallina, quindi sulla spianatoia stendetela con il matterello ad uno spessore di 1 cm.
- Con un tagliapasta o un coltello affilato, tagliate tante striscioline larghe c.ca 1 cm e coprite il resto della pasta con la pellicola affinché non si secchi.
- Cominciate a "filare" i pici, rollando la pasta con il palmo delle mani e contemporaneamente stirandola verso l'esterno. Quando si tirano pici molto lunghi, la tecnica è quella di tirarli da un lato tenendo l'altra estremità con il palmo e piano piano allungandoli fino ad esaurire la pasta. Una volta filato il picio, fatelo rotolare nella farina di semola o di riso affinché non si appiccichi agli altri. Una pasta morbida e riposata si tira con estrema facilità.
Alcune note per i vostri pici:
1.
Ricordate che la pasta cresce nella cottura. Il picio non deve essere
troppo grosso altrimenti vi troverete con una pasta grossolana. La dimensione
corretta è più o meno quella del bucatino.
2. Il picio non deve essere perfetto: La sua bellezza deriva da bozze, schiacciature, diametro irregolare. Insomma, si deve sentire la mano della donna che li ha tirati.
2. Il picio non deve essere perfetto: La sua bellezza deriva da bozze, schiacciature, diametro irregolare. Insomma, si deve sentire la mano della donna che li ha tirati.
Per il sugo
- In una larga padella versate 3 o 4 cucchiai di olio extravergine.
- Pulite gli spicchi di aglio e schiacciateli quindi scaldate l’olio e fatelo profumare con l’aglio ed il peperoncino facendo bene attenzione che non si brucino.
- Aggiungi i pomodori che avrete scottato in acqua bollente e pelato, nonché privati dei semi e ridotti a pezzetti e mescolate bene schiacciandoli affinché diventino cremosi. Fate cuocere una decina di minuti. Al termine della cottura, aggiustate di sale ed aggiungete piacere una manciata di prezzemolo tritato grossolanamente.
- Fate cuocere i pici in abbondante acqua salata. Saranno pronti in meno di 5 minuti. Scolateli con cura e fateli insaporire mescolandoli delicatamente nella padella in cui avrete cotto il sugo.
- Servite immediatamente accompagnando con pecorino toscano Dop a piacere ed un filo d'olio a crudo.
![]() |
La vista sulle colline dalla strada che da Siena porta ad Asciano, una delle più panoramiche della provincia. |
Una strada che offre scorci di una bellezza in grado di ammutolire in ogni periodo dell'anno, dalla primavera, quando le colline si trasformano in un morbido movimentato mare d'erba verde smeraldo, all'estate, quando l'erba si riempie di fiori violetti, papaveri e più avanti si trasforma in grano dorato.
Il tutto è discontinuo, rotto da linee ordinate segnate dalle punte dei cipressi, casali orgogliosi, isole di creta bruciata dal sole.
Le Crete come le chiamiamo noi, sono morbide e armoniose, interrotte via via da spaccature nel terreno che manifestano la loro vera natura, aspra, selvaggia, e mostrano quel cuore di terra grigia e plastica da cui prendono il nome.
I Calanchi sono ben visibili intorno a Monte Oliveto Maggiore, come ferite aperte e mai rimarginate.
Sono uno dei luoghi più fotografati al mondo e non è difficile osservare nugoli di turisti armati di cavalletto, appostati ai margini della strada.
Arrampicandosi oltre Monte Oliveto per c.ca un chilometro, si giunge nel borgo più piccolo del Comune di Asciano e del territorio delle Crete: Chiusure.
E' una piccola perla poco conosciuta abitata da un pugno di anime che hanno scelto questo luogo remoto come buen retiro.
Il centro storico è ovviamente minuscolo ma la sosta è obbligata, per ammirare una delle più belle viste sulle crete e calanchi e concedersi un ristoro alla Locanda Paradiso, un piccolo e storico locale in cui ci si imbatte per forza, una delle poche ed ultime oneste cucine toscane rimaste nella nostra provincia.
Chiusure festeggia uno dei suoi prodotti che la rendono famosa nella nostra provincia, intorno al 25 aprile, con la celebre Sagra del Carciofo.
Il piccolo borgo si riempie così di migliaia di persone che arrivano da ogni parte d'Italia per assaggiare questo delizioso ortaggio, che viene servito pastellato e fritto al momento in ogni angolo del paese. Fateci un pensierino.
Allontanandoci da Chiusure e proseguendo sulla Cassia (la vecchia Francigena), vi invito a scoprire un altro minuscolo borgo poco frequentato ma di una bellezza ancora integra e potente: Monticchiello.
La campagna che potrete ammirare arrivando sulla collina di Monticchiello, poco distante da Pienza, è quella che vedete qui sopra: l'armonia più perfetta.
Il borgo è arrampicato su un'altura circondata dal verde e la splendida Pieve dei Santi Leonardo e Cristoforo domina il cuore del paese, abitato da non più di 200 anime. Nel primo pomeriggio di un'estate assolata, noi eravamo gli unici visitatori in un silenzio confortante.
In estate Monticchiello da' vita al suo Teatro Povero , alla cui realizzazione partecipano tutti gli abitanti del paese, essi stessi gli attori nelle varie rappresentazioni.
Gli spettacoli si tengono nella piazza, sotto la luce delle stelle, in un'atmosfera incantata ed irreale.
I cipressi sono un simbolo della nostra terra.
Quelli secolari di Monticchiello sono fortunatamente ancora bellissimi.
Da tempo purtroppo, una malattia provocata da afidi parassiti, sta colpendo questi meravigliosi sempreverdi e le amministrazioni sono corse ai ripari abbattendo e sostituendo gli alberi ormai morti, con nuovi cipressi, quindi non è facile trovare alberi secolari tutt'ora integri.
Monticchiello sembra essere uno dei luoghi fortunati. Anche questo vale il viaggio.
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Le Crete Senesi |
I Calanchi sono ben visibili intorno a Monte Oliveto Maggiore, come ferite aperte e mai rimarginate.
Sono uno dei luoghi più fotografati al mondo e non è difficile osservare nugoli di turisti armati di cavalletto, appostati ai margini della strada.
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I Calanchi di Monte Oliveto Maggiore |
E' una piccola perla poco conosciuta abitata da un pugno di anime che hanno scelto questo luogo remoto come buen retiro.
Il centro storico è ovviamente minuscolo ma la sosta è obbligata, per ammirare una delle più belle viste sulle crete e calanchi e concedersi un ristoro alla Locanda Paradiso, un piccolo e storico locale in cui ci si imbatte per forza, una delle poche ed ultime oneste cucine toscane rimaste nella nostra provincia.
Chiusure festeggia uno dei suoi prodotti che la rendono famosa nella nostra provincia, intorno al 25 aprile, con la celebre Sagra del Carciofo.
Il piccolo borgo si riempie così di migliaia di persone che arrivano da ogni parte d'Italia per assaggiare questo delizioso ortaggio, che viene servito pastellato e fritto al momento in ogni angolo del paese. Fateci un pensierino.
Allontanandoci da Chiusure e proseguendo sulla Cassia (la vecchia Francigena), vi invito a scoprire un altro minuscolo borgo poco frequentato ma di una bellezza ancora integra e potente: Monticchiello.
La campagna che potrete ammirare arrivando sulla collina di Monticchiello, poco distante da Pienza, è quella che vedete qui sopra: l'armonia più perfetta.
Il borgo è arrampicato su un'altura circondata dal verde e la splendida Pieve dei Santi Leonardo e Cristoforo domina il cuore del paese, abitato da non più di 200 anime. Nel primo pomeriggio di un'estate assolata, noi eravamo gli unici visitatori in un silenzio confortante.
In estate Monticchiello da' vita al suo Teatro Povero , alla cui realizzazione partecipano tutti gli abitanti del paese, essi stessi gli attori nelle varie rappresentazioni.
Gli spettacoli si tengono nella piazza, sotto la luce delle stelle, in un'atmosfera incantata ed irreale.
I cipressi sono un simbolo della nostra terra.
Quelli secolari di Monticchiello sono fortunatamente ancora bellissimi.
Da tempo purtroppo, una malattia provocata da afidi parassiti, sta colpendo questi meravigliosi sempreverdi e le amministrazioni sono corse ai ripari abbattendo e sostituendo gli alberi ormai morti, con nuovi cipressi, quindi non è facile trovare alberi secolari tutt'ora integri.
Monticchiello sembra essere uno dei luoghi fortunati. Anche questo vale il viaggio.
giovedì 7 luglio 2016
Spanakopita. Per sognare di partire.
Ventura Highway - America
La mia città si svuota dopo il Palio del 2 luglio.
Stamattina prestissimo ho accompagnato il consorte in stazione per un viaggio di lavoro e tornando a casa mi sono goduta il fresco e le strade vuote dell'alba.
Non un'auto, né bar o negozi aperti.
Ho osservato scorrere una città addormentata in silenzio e tutto mi è sembrato incantevole.
Lasciando la stazione, ho incrociato due ragazzi giovanissimi, short, maglietta, zaini e valigioni al seguito ed ho provato un tuffo al cuore.
Senza alcun preavviso, mi sono rivista a 17 anni partire da sola per la Germania, in un viaggio inaspettato (i miei mi avevano dato il permesso di raggiungere ad Heidelberg un'amica di penna che pochi mesi prima avevo ospitato a casa mia), e cavalcando la maledetta corrente di ricordi, ho rivissuto i miei viaggi da ragazzina con un senso di malinconia e di perdita che avrei preferito francamente risparmiarmi.
Scrivo con la sensazione di essere vittima degli effetti del fuso orario (ma è solo la levataccia) ed invidio profondamente chi è già partito ed è in qualche meraviglioso luogo nel mondo.
La necessità di staccare da mesi ininterrotti di lavoro, adesso si fa sentire con un'urgenza quasi vitale. Personalmente non mi interessa il dove ma il come.
E per me il "come" è essenzialmente: silenzio, calma, libri, buon cibo, dormire.
Queste sono le cinque parole d'ordine della mia vacanza ideale.
Vade retro spiagge incarnite.
Vade retro luoghi affollati ed urlanti.
Vade retro il dover fare ed il dover vedere.
Il tutto non coincide assolutamente con il periodo in cui potrò dirmi in ferie: la quindicina più terribile ed infelice dell'anno.
Pensare che da quando lavoro, ho sempre guardato con compassione quei clienti da Ferie d'Agosto. Come si dice: il potere del contrappasso?
Ma questa è un'altra storia.
Questa ricetta proviene dal meraviglioso libro Vefa's Kitchen, bibbia indiscussa della cucina greca, che ho seguito in maniera piuttosto fedele se non per 2 varianti che i puristi mi criticheranno, ma che al risultato finale hanno fatto felici un nugolo di ospiti affamati e poco propensi a novità di tipo esotico o esterofilo.
Avendo a disposizione un meraviglioso formaggio di capra della Valsassina, per altro vincitore del World Cheese Award 2016, il Capricciolo Carozzi, ho deciso di utilizzarlo nel ripieno, certa che non mi avrebbe deluso.
La sua pasta infatti, è morbida ed aromatica e tende a sbriciolarsi proprio come avviene con la Feta. Ha un gusto delicato, un'acidità piacevole e non aggressiva che ho pensato potesse sposarsi perfettamente con le verdure.
All'insieme ho voluto aggiungere anche della ricotta, per dare maggiore cremosità e morbidezza al risultato finale. Diciamo che la mia è una Spanakopita del tutto personale ma se vorrete seguire pedissequamente la tradizione, basterà eliminare la ricotta e raddoppiare la quantità di feta.
Mi dispiace non poter aver messo una foto della fetta, ma è stato praticamente impossibile.
Ingredienti per una teglia da 30x20 (6/8 persone)
80 ml di olio extravergine Riviera Ligure Dop
10 fogli di pasta fillo della grandezza di un foglio A4
300 g di spinaci lessati
2 scalogni finemente tritati
un mazzetto fresco di aneto finemente tritato
un mazzetto di prezzemolo finemente tritato
300 g di feta
300 g di ricotta (mia aggiunta)
2 uova medie
2 cucchiai di latte
una macinata di noce moscata
sale - pepe
La mia città si svuota dopo il Palio del 2 luglio.
Stamattina prestissimo ho accompagnato il consorte in stazione per un viaggio di lavoro e tornando a casa mi sono goduta il fresco e le strade vuote dell'alba.
Non un'auto, né bar o negozi aperti.
Ho osservato scorrere una città addormentata in silenzio e tutto mi è sembrato incantevole.
Lasciando la stazione, ho incrociato due ragazzi giovanissimi, short, maglietta, zaini e valigioni al seguito ed ho provato un tuffo al cuore.
Senza alcun preavviso, mi sono rivista a 17 anni partire da sola per la Germania, in un viaggio inaspettato (i miei mi avevano dato il permesso di raggiungere ad Heidelberg un'amica di penna che pochi mesi prima avevo ospitato a casa mia), e cavalcando la maledetta corrente di ricordi, ho rivissuto i miei viaggi da ragazzina con un senso di malinconia e di perdita che avrei preferito francamente risparmiarmi.
Scrivo con la sensazione di essere vittima degli effetti del fuso orario (ma è solo la levataccia) ed invidio profondamente chi è già partito ed è in qualche meraviglioso luogo nel mondo.
La necessità di staccare da mesi ininterrotti di lavoro, adesso si fa sentire con un'urgenza quasi vitale. Personalmente non mi interessa il dove ma il come.
E per me il "come" è essenzialmente: silenzio, calma, libri, buon cibo, dormire.
Queste sono le cinque parole d'ordine della mia vacanza ideale.
Vade retro spiagge incarnite.
Vade retro luoghi affollati ed urlanti.
Vade retro il dover fare ed il dover vedere.
Il tutto non coincide assolutamente con il periodo in cui potrò dirmi in ferie: la quindicina più terribile ed infelice dell'anno.
Pensare che da quando lavoro, ho sempre guardato con compassione quei clienti da Ferie d'Agosto. Come si dice: il potere del contrappasso?
Ma questa è un'altra storia.
Questa ricetta proviene dal meraviglioso libro Vefa's Kitchen, bibbia indiscussa della cucina greca, che ho seguito in maniera piuttosto fedele se non per 2 varianti che i puristi mi criticheranno, ma che al risultato finale hanno fatto felici un nugolo di ospiti affamati e poco propensi a novità di tipo esotico o esterofilo.
Avendo a disposizione un meraviglioso formaggio di capra della Valsassina, per altro vincitore del World Cheese Award 2016, il Capricciolo Carozzi, ho deciso di utilizzarlo nel ripieno, certa che non mi avrebbe deluso.
La sua pasta infatti, è morbida ed aromatica e tende a sbriciolarsi proprio come avviene con la Feta. Ha un gusto delicato, un'acidità piacevole e non aggressiva che ho pensato potesse sposarsi perfettamente con le verdure.
All'insieme ho voluto aggiungere anche della ricotta, per dare maggiore cremosità e morbidezza al risultato finale. Diciamo che la mia è una Spanakopita del tutto personale ma se vorrete seguire pedissequamente la tradizione, basterà eliminare la ricotta e raddoppiare la quantità di feta.
Mi dispiace non poter aver messo una foto della fetta, ma è stato praticamente impossibile.
Ingredienti per una teglia da 30x20 (6/8 persone)
80 ml di olio extravergine Riviera Ligure Dop
10 fogli di pasta fillo della grandezza di un foglio A4
300 g di spinaci lessati
2 scalogni finemente tritati
un mazzetto fresco di aneto finemente tritato
un mazzetto di prezzemolo finemente tritato
300 g di feta
300 g di ricotta (mia aggiunta)
2 uova medie
2 cucchiai di latte
una macinata di noce moscata
sale - pepe
- Accendete il forno a 180° e spennellate lo stampo con olio extravergine.
- Foderate la teglia con i fogli di pasta fillo. La pasta dovrà sporgere dai bordi per poi essere arrotolata in modo da sigillare il tutto al momento della chiusura del guscio. LA fillo che si trova in commercio è divisa generalmente in fogli dalla dimensione di un A4, quindi vi serviranno 2 fogli per ogni strato. Tenendo la teglia con il lato corto di fronte a voi, dovrete posizionare i fogli con il lato lungo che ricopra metà della teglia. Posizionate il secondo foglio leggermente sovrapposto al primo e completate il primo strato. Spennellate bene il tutto con l'olio extravergine e proseguite l'operazione per 3 strati. (vi serviranno in totale 6 fogli)
- Preparate il ripieno insaporendo prima gli spinaci nello scalogno che avrete fatto passire a fiamma dolce in un cucchiaio di olio e salate al termine.
- Mettete gli spinaci in una ciotola. Aggiungete i formaggi, le erbe aromatiche, le uova il latte e la noce moscata. Mescolate bene per ottenere un composto omogeneo. Salate e pepate.
- Riempite il guscio con il composto e distribuitelo bene lungo tutta la teglia.
- Adesso dovrete coprire il guscio con i restanti fogli e potrete usarne solo 4 perché saranno grandi come la teglia e sborderanno leggermente in modo da poter essere poi fissati con ifogli sottostanti. Mettete ogni foglio e spennellatelo sempre con l'extravergine.
- Adesso con una forbice arrotondate gli angoli della fillo in modo che arrotolando il bordo non diventi troppo "massiccio". Spennellate bene i foglie procedete alla sigillatura.
domenica 24 aprile 2016
Baci di frolla montata Liquirizia e Caffé e Negativi di Extrafrolla con grano Verna alle nocciole per l'MTC #56
Kiss - Prince
Non ho idea di che giorno sia.
So solo che per la prima volta in quasi cinque anni di Mtc, ho avuto la definitiva e impellente tentazione di passare.
La ragione primaria è una gestione insensata del mio tempo, sostenuta da una stanchezza ormai cronicizzata.
Non ultimo (e non un problema qualunque), un totale smarrimento nei confronti del tema proposto dai miei cari Acqua e Menta: what's biscotti?
Mi è sembrato di tornare a scuola, quando la maestra se ne usciva con il temibilissimo "tema libero".
La sottoscritta, cui non ha mai fatto difetto la fantasia, entrava in un giro di schiaffi micidiale e finiva con il perdersi nell'inutilità fatta verbo. Che tristezza.
Nel caso della sfida di questo mese di cui i Biscotti sono protagonisti, non si può dire che un tema non ci sia, anzi.
Ben tre e rigorosissimi: frolla classica, sablé e frolla montata con la concessione di una variante che preveda l'utilizzo dell'extravergine in sostituzione del tradizionale burro.
Eppure black out totale.
Ho osservato via via uscire i numerosi contributi con la bocca aperta e lo spirito di un lobotomizzato.
Fino a ieri mi sono detta che non avrei combinato niente.
Ci si è messo il maltempo, in quello che poteva essere il primo ponte da fuga fuori porta.
E maledetta me, sono stata vinta dall'affetto che provo per questi due ragazzi meravigliosi.
Passare mi è sembrato un torto nei loro confronti e mi son detta: buttiamoci!
Questo mio Mtc è pur sempre la fiera delle banalità, ma cari Daniela e Juri, ci sono anch'io!
Sono partita da uno spauracchio che mi porto dietro da tempo: la frolla montata.
Meravigliosi fiori di burro che si spatasciano senza vergogna nel forno insieme al nostro amor proprio.
Non avendola mai fatta, ho deciso di partire da qui: via il dente, via il dolore!
Ma non mi sono buttata in esperimenti temerari. Ho giocato facile.
Una frolla neutra alla vaniglia, da poter abbinare ad un farcitura azzardata, dal profumo di liquirizia che io amo moltissimo sposata all'aroma di caffé.
Da qui un mou alla liquirizia ed una copertura fondente al caffé.
Baci di frolla montata con mou alla liquirizia e copertura fondente al caffé
Ingredienti per c.ca 20 baci
250 g di burro a temperatura ambiente (io ho usato burro bavarese)
160 g di zucchero a velo
400 g di farina 00
120 g di uova intere (ca. 2 uova medie)
i semi di una bacca di vaniglia
1 pizzico di sale
Per il mou alla liquirizia
100 g di zucchero
25 g di acqua
50 g di panna
40 g di burro
4 g di polvere di liquirizia (1 cucchiaino scarso)
Per la copertura fondente al caffé
100 g di cioccolato fondente al 70%
1 cucchiaino di miele millefiori
1 cucchiaino di caffé solubile in granuli pestato grossolanamente
Controllate che il burro non sia troppo morbido.
Dovrebbe essere ad una temperatura di c.ca 21/22° e toccandolo con un dito, dovreste riuscire a lasciare un'impronta senza che questo ceda troppo.
Setacciate bene la farina.
Setacciate lo zucchero a velo.
Siate certe che le uova abbiano la stessa temperatura del burro.
Mettete il burro nella planetaria e cominciate a montarlo con la frusta a velocità media, per 2 o 3 minuti.
Interrompete a metà dell'operazione per pulire le pareti della ciotola con una leccapentola di silicone e proseguite il montaggio fino a che non avrete un composto soffice e chiaro.
Aggiungete a questo punto lo zucchero ed i semi di vaniglia e proseguite a montare fino a che non avrete ottenuto una crema soffice e leggera.
Con la frusta in azione, aggiungete le uova, una alla volta, senza aggiungere la seconda prima che la precedente non sia stata perfettamente incorporata.
Quando le uova saranno ben amalgamate, pulite la frusta con la spatola e sostituitela con il gancio a foglia.
Aggiungete la farina setacciata ed impastate per qualche istante fino a che il composto non sia perfettamente amalgamato ed omogeneo.
A questo punto trasferite il composto in un sac a poche munito di una bocchetta a stella larga non meno di 1 cm. Io ho usato una bocchetta larga 1,5 cm.
Se usate dei sac a poche usa e getta, potreste rischiare che si rompa qualora il vostro impasto sia un po' sostenuto, quindi una strategia potrebbe essere usarne due uno sovrapposto all'altro.
A me non è servito ma è un consiglio.
Spremente il sac a poche su una teglia coperta di carta da forno, per ottenere dei dischetti dal diametro di c.ca 2 cm che si sviluppino in altezza.
La bocchetta larga lascerà una punta di impasto, piuttosto dovrete ruotare il sac a poche per staccare il pezzetto di impasto.
Capirete dalla resistenza dell'impasto se questo sarà vincente. Troppo morbido è a rischio scioglimento una volta in forno.
Quando avrete fatto i vostri dischetti, mettete a riposare la teglia in frigo un'oretta.
Scaldate il forno a 180° e cuocete le paste per 10/13 minuti fino a che non avranno i bordi leggermente dorati. Dovranno restare "bionde".
Fate raffreddare i primi 5 minuti sulla teglia e poi sulla gratella.
Mentre i biscotti raffreddano, preparate il mou, che è esattamente come preparare un caramello.
Mettete lo zucchero in una casseruola dal fondo spesso quindi versatevi l'acqua.
Fate cuocere a fiamma media senza toccare né mescolare ed attendete che lo zucchero raggiunga il tradizionale colore caramello.
Mentre lo zucchero cuoce, versate la panna e la liquirizia in un pentolino e portatela quasi a ebollizione. Dovrà essere ben calda per quando la verserete nel caramello per evitare che lo choc termico provochi schizzi terribili con lo zucchero infuocato.
Fuori dal fuoco, versate la panna a filo e vedrete immediatamente il caramello gonfiarsi minaccioso.
Mescolate con un cucchiaio di legno velocemente per omogeneizzare la temperatura, quindi quando il caramello diminuirà l'ebollizione, aggiungete il burro e continuate a mescolare.
Otterrete un mou fluido e lucido che lascerete raffreddare un poco per raggiungere la consistenza di una crema spalmabile.
A questo punto, spalmate una piccola quantità di mou su la parte liscia dei vostri "baci" ed accoppiateli con un biscottino di eguale dimensione.
Lasciate da parte e preparate la copertura al cioccolato.
Fate fondere il cioccolato tritato grossolanemente a bagno maria facendo attenzione che l'acqua non tocchi il fondo della ciotola, quindi quando sarà abbastanza sciolto, aggiungete il caffé sbriciolato (non deve essere una polvere perché è piacevole incontrare qualche granello di caffé croccante all'assaggio), ed il miele che darà lucentezza alla copertura.
Mescolate bene affinché la copertura sia bella fluida e versatela in una ciotolina stretta e larga, così da avere maggiore "spessore" in cui tuffare il vostro biscotto.
Adesso inzuppate i baci per metà nella cioccolata e fateli raffreddare su un foglio di carta da forno.
Una volta indurita la copertura, conservateli in una scatola ermetica.
Siccome ha continuato a piovere tutto il giorno, mi sono detta: "perché non fare anche quelli all'olio"?
La realtà vera è che avrei voluto preparare esclusivamente le frolle all'olio ma il regolamento parla chiaro.
Anche in questo caso sono andata sul sicuro, concentrandomi piuttosto sugli ingredienti che su particolari invenzioni.
La base, una straordinaria farina di Grano Verna, perfetta per biscotti di frolla in quando poverissima di glutine e ricca di fibra e germe di grano (la adoro), l'olio extravergine del lago di Garda, prodotto dai miei zii e perfetto per la preparazione di torte e biscotti perché molto fruttato e dolce e poi la nocciola: la Tonda Gentile delle Langhe, sia in frutto che in pasta.
Ecco cosa ne è nato.
Negativi di Extrafrolla di grano Verna alle nocciole
Ingredienti per ca. 50 biscotti
Per la frolla "Positiva"
360 g di farina di farina Grano Verna 0
140 g di zucchero semolato fine (tipo Zefiro)
160 g di olio extravergine del Garda
20 g di olio di nocciole
20 g di pasta di nocciole
20 g di acqua
40 g di tuorli
1 pizzico di sale
Per la frolla "Negativa"
340 g di farina di Grano Verna 0
140 g di zucchero semolato fine (tipo Zefiro)
160 g di olio extravergine del Garda
100 g di nocciole Tonde Gentili delle Langhe tritate grossolanamente
50 g di tuorli
20 g di olio di nocciole
20 g di pasta di nocciole
20 g di acqua
20 g di cacao amaro
1 pizzico di sale
Versate la farina con un pizzico di sale in una larga ciotola e formate la fontana.
Al centro mettete lo zucchero.
In un bicchiere per mixer a immersione versate i tuorli, l'acqua e la pasta di nocciole.
Con la frusta elettrica montate le uova quindi cominciate a versare a filo l'olio extravergine a cui avrete aggiunto l'olio di nocciole e continuate a montare come si fa con la maionese. Vedrete il composto crescere e prendere consistenza diventando piuttosto sodo.
A questo punto versatelo al centro della fontana proprio sulla zucchero.
Con una forchetta amalgamate la maionese con lo zucchero quindi con la punta delle dita cominciate ad incorporare la farina lavorandola fino ad ottenere una palla.
Avvolgetela in una pellicola e fatela riposare in frigo il tempo di preparare la frolla "Negativa".
Per la frolla Negativa, formate la fontana come per la precedente, aggiungendo il cacao setacciato, il sale, e le nocciole sminuzzate.
Al centro mettete lo zucchero e preparate la "maionese" come nel precedente impasto.
Versatela sullo zucchero e procedete esattamente come già fatto.
Fate riposare l'impasto in frigo per 30 minuti.
Mettete l'impasto "positivo" fra due fogli di carta forno e con un matterello stendetelo allo spessore di un cm sulla spianatoia.
Con la frolla "negativa ricavate un rotolo di c.ca 2 cm di diametro e lungo quanto la lunghezza della frolla "positiva".
Aiutandovi con la carta da forno, fate rotolare l'impasto positivo sull'impasto negativo e chiudete tagliano l'impasto quando la frolla avrà circondato completamente il rotolo.
Fate la stessa cosa con le frolle al contrario in modo da ottenere un rotolo negativo. Avvolgete tutti i rotoli ricavati nella pellicola e metteteli in congelatore su una teglia di acciaio per 2 ore.
Quando saranno pronti, affettateli con un coltello affilatissimo in fette dello spessore di un cm e metteteli su una teglia.
Fate cuocere in forno preriscaldato a 180° per 15/18 minuti (verificate la cottura osservando i bordi diventare dorati.
Fateli raffreddare sulla teglia per i primi 5 minuti, quindi trasferiteli su una gratella e fateli raffreddare completamente.
Conservateli in una scatola ermetica.
Durano a lungo e il profumo di nocciola si intensifica con il passare dei giorni.
Con queste due proposte partecipo alla sfida MTC #56 sui Biscotti di Acqua e Menta (sul filo di lana)
Non ho idea di che giorno sia.
So solo che per la prima volta in quasi cinque anni di Mtc, ho avuto la definitiva e impellente tentazione di passare.
La ragione primaria è una gestione insensata del mio tempo, sostenuta da una stanchezza ormai cronicizzata.
Non ultimo (e non un problema qualunque), un totale smarrimento nei confronti del tema proposto dai miei cari Acqua e Menta: what's biscotti?
Mi è sembrato di tornare a scuola, quando la maestra se ne usciva con il temibilissimo "tema libero".
La sottoscritta, cui non ha mai fatto difetto la fantasia, entrava in un giro di schiaffi micidiale e finiva con il perdersi nell'inutilità fatta verbo. Che tristezza.
Nel caso della sfida di questo mese di cui i Biscotti sono protagonisti, non si può dire che un tema non ci sia, anzi.
Ben tre e rigorosissimi: frolla classica, sablé e frolla montata con la concessione di una variante che preveda l'utilizzo dell'extravergine in sostituzione del tradizionale burro.
Eppure black out totale.
Ho osservato via via uscire i numerosi contributi con la bocca aperta e lo spirito di un lobotomizzato.
Fino a ieri mi sono detta che non avrei combinato niente.
Ci si è messo il maltempo, in quello che poteva essere il primo ponte da fuga fuori porta.
E maledetta me, sono stata vinta dall'affetto che provo per questi due ragazzi meravigliosi.
Passare mi è sembrato un torto nei loro confronti e mi son detta: buttiamoci!
Questo mio Mtc è pur sempre la fiera delle banalità, ma cari Daniela e Juri, ci sono anch'io!
Sono partita da uno spauracchio che mi porto dietro da tempo: la frolla montata.
Meravigliosi fiori di burro che si spatasciano senza vergogna nel forno insieme al nostro amor proprio.
Non avendola mai fatta, ho deciso di partire da qui: via il dente, via il dolore!
Ma non mi sono buttata in esperimenti temerari. Ho giocato facile.
Una frolla neutra alla vaniglia, da poter abbinare ad un farcitura azzardata, dal profumo di liquirizia che io amo moltissimo sposata all'aroma di caffé.
Da qui un mou alla liquirizia ed una copertura fondente al caffé.
Baci di frolla montata con mou alla liquirizia e copertura fondente al caffé
Ingredienti per c.ca 20 baci
250 g di burro a temperatura ambiente (io ho usato burro bavarese)
160 g di zucchero a velo
400 g di farina 00
120 g di uova intere (ca. 2 uova medie)
i semi di una bacca di vaniglia
1 pizzico di sale
Per il mou alla liquirizia
100 g di zucchero
25 g di acqua
50 g di panna
40 g di burro
4 g di polvere di liquirizia (1 cucchiaino scarso)
Per la copertura fondente al caffé
100 g di cioccolato fondente al 70%
1 cucchiaino di miele millefiori
1 cucchiaino di caffé solubile in granuli pestato grossolanamente
Controllate che il burro non sia troppo morbido.
Dovrebbe essere ad una temperatura di c.ca 21/22° e toccandolo con un dito, dovreste riuscire a lasciare un'impronta senza che questo ceda troppo.
Setacciate bene la farina.
Setacciate lo zucchero a velo.
Siate certe che le uova abbiano la stessa temperatura del burro.
Mettete il burro nella planetaria e cominciate a montarlo con la frusta a velocità media, per 2 o 3 minuti.
Interrompete a metà dell'operazione per pulire le pareti della ciotola con una leccapentola di silicone e proseguite il montaggio fino a che non avrete un composto soffice e chiaro.
Aggiungete a questo punto lo zucchero ed i semi di vaniglia e proseguite a montare fino a che non avrete ottenuto una crema soffice e leggera.
Con la frusta in azione, aggiungete le uova, una alla volta, senza aggiungere la seconda prima che la precedente non sia stata perfettamente incorporata.
Quando le uova saranno ben amalgamate, pulite la frusta con la spatola e sostituitela con il gancio a foglia.
Aggiungete la farina setacciata ed impastate per qualche istante fino a che il composto non sia perfettamente amalgamato ed omogeneo.
A questo punto trasferite il composto in un sac a poche munito di una bocchetta a stella larga non meno di 1 cm. Io ho usato una bocchetta larga 1,5 cm.
Se usate dei sac a poche usa e getta, potreste rischiare che si rompa qualora il vostro impasto sia un po' sostenuto, quindi una strategia potrebbe essere usarne due uno sovrapposto all'altro.
A me non è servito ma è un consiglio.
Spremente il sac a poche su una teglia coperta di carta da forno, per ottenere dei dischetti dal diametro di c.ca 2 cm che si sviluppino in altezza.
La bocchetta larga lascerà una punta di impasto, piuttosto dovrete ruotare il sac a poche per staccare il pezzetto di impasto.
Capirete dalla resistenza dell'impasto se questo sarà vincente. Troppo morbido è a rischio scioglimento una volta in forno.
Quando avrete fatto i vostri dischetti, mettete a riposare la teglia in frigo un'oretta.
Scaldate il forno a 180° e cuocete le paste per 10/13 minuti fino a che non avranno i bordi leggermente dorati. Dovranno restare "bionde".
Fate raffreddare i primi 5 minuti sulla teglia e poi sulla gratella.
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Presa dall'entusiasmo, mi sono data ad un esercizio di "forma" :D |
Mettete lo zucchero in una casseruola dal fondo spesso quindi versatevi l'acqua.
Fate cuocere a fiamma media senza toccare né mescolare ed attendete che lo zucchero raggiunga il tradizionale colore caramello.
Mentre lo zucchero cuoce, versate la panna e la liquirizia in un pentolino e portatela quasi a ebollizione. Dovrà essere ben calda per quando la verserete nel caramello per evitare che lo choc termico provochi schizzi terribili con lo zucchero infuocato.
Fuori dal fuoco, versate la panna a filo e vedrete immediatamente il caramello gonfiarsi minaccioso.
Mescolate con un cucchiaio di legno velocemente per omogeneizzare la temperatura, quindi quando il caramello diminuirà l'ebollizione, aggiungete il burro e continuate a mescolare.
Otterrete un mou fluido e lucido che lascerete raffreddare un poco per raggiungere la consistenza di una crema spalmabile.
A questo punto, spalmate una piccola quantità di mou su la parte liscia dei vostri "baci" ed accoppiateli con un biscottino di eguale dimensione.
Lasciate da parte e preparate la copertura al cioccolato.
Fate fondere il cioccolato tritato grossolanemente a bagno maria facendo attenzione che l'acqua non tocchi il fondo della ciotola, quindi quando sarà abbastanza sciolto, aggiungete il caffé sbriciolato (non deve essere una polvere perché è piacevole incontrare qualche granello di caffé croccante all'assaggio), ed il miele che darà lucentezza alla copertura.
Mescolate bene affinché la copertura sia bella fluida e versatela in una ciotolina stretta e larga, così da avere maggiore "spessore" in cui tuffare il vostro biscotto.
Adesso inzuppate i baci per metà nella cioccolata e fateli raffreddare su un foglio di carta da forno.
Una volta indurita la copertura, conservateli in una scatola ermetica.
Siccome ha continuato a piovere tutto il giorno, mi sono detta: "perché non fare anche quelli all'olio"?
La realtà vera è che avrei voluto preparare esclusivamente le frolle all'olio ma il regolamento parla chiaro.
Anche in questo caso sono andata sul sicuro, concentrandomi piuttosto sugli ingredienti che su particolari invenzioni.
La base, una straordinaria farina di Grano Verna, perfetta per biscotti di frolla in quando poverissima di glutine e ricca di fibra e germe di grano (la adoro), l'olio extravergine del lago di Garda, prodotto dai miei zii e perfetto per la preparazione di torte e biscotti perché molto fruttato e dolce e poi la nocciola: la Tonda Gentile delle Langhe, sia in frutto che in pasta.
Ecco cosa ne è nato.
Negativi di Extrafrolla di grano Verna alle nocciole
Ingredienti per ca. 50 biscotti
Per la frolla "Positiva"
360 g di farina di farina Grano Verna 0
140 g di zucchero semolato fine (tipo Zefiro)
160 g di olio extravergine del Garda
20 g di olio di nocciole
20 g di pasta di nocciole
20 g di acqua
40 g di tuorli
1 pizzico di sale
Per la frolla "Negativa"
340 g di farina di Grano Verna 0
140 g di zucchero semolato fine (tipo Zefiro)
160 g di olio extravergine del Garda
100 g di nocciole Tonde Gentili delle Langhe tritate grossolanamente
50 g di tuorli
20 g di olio di nocciole
20 g di pasta di nocciole
20 g di acqua
20 g di cacao amaro
1 pizzico di sale
Versate la farina con un pizzico di sale in una larga ciotola e formate la fontana.
Al centro mettete lo zucchero.
In un bicchiere per mixer a immersione versate i tuorli, l'acqua e la pasta di nocciole.
Con la frusta elettrica montate le uova quindi cominciate a versare a filo l'olio extravergine a cui avrete aggiunto l'olio di nocciole e continuate a montare come si fa con la maionese. Vedrete il composto crescere e prendere consistenza diventando piuttosto sodo.
A questo punto versatelo al centro della fontana proprio sulla zucchero.
Con una forchetta amalgamate la maionese con lo zucchero quindi con la punta delle dita cominciate ad incorporare la farina lavorandola fino ad ottenere una palla.
Avvolgetela in una pellicola e fatela riposare in frigo il tempo di preparare la frolla "Negativa".
Per la frolla Negativa, formate la fontana come per la precedente, aggiungendo il cacao setacciato, il sale, e le nocciole sminuzzate.
Al centro mettete lo zucchero e preparate la "maionese" come nel precedente impasto.
Versatela sullo zucchero e procedete esattamente come già fatto.
Fate riposare l'impasto in frigo per 30 minuti.
Mettete l'impasto "positivo" fra due fogli di carta forno e con un matterello stendetelo allo spessore di un cm sulla spianatoia.
Con la frolla "negativa ricavate un rotolo di c.ca 2 cm di diametro e lungo quanto la lunghezza della frolla "positiva".
Aiutandovi con la carta da forno, fate rotolare l'impasto positivo sull'impasto negativo e chiudete tagliano l'impasto quando la frolla avrà circondato completamente il rotolo.
Fate la stessa cosa con le frolle al contrario in modo da ottenere un rotolo negativo. Avvolgete tutti i rotoli ricavati nella pellicola e metteteli in congelatore su una teglia di acciaio per 2 ore.
Quando saranno pronti, affettateli con un coltello affilatissimo in fette dello spessore di un cm e metteteli su una teglia.
Fate cuocere in forno preriscaldato a 180° per 15/18 minuti (verificate la cottura osservando i bordi diventare dorati.
Fateli raffreddare sulla teglia per i primi 5 minuti, quindi trasferiteli su una gratella e fateli raffreddare completamente.
Conservateli in una scatola ermetica.
Durano a lungo e il profumo di nocciola si intensifica con il passare dei giorni.
Con queste due proposte partecipo alla sfida MTC #56 sui Biscotti di Acqua e Menta (sul filo di lana)
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