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martedì 12 novembre 2024

Zuppa di ceci e tagliolini all'olio nuovo: di minimi storici e turbamenti

In tanti anni di blog, questo è quello in cui ho postato di meno. 
Nella media, potrei dire che non sono riuscita a condividere neanche una ricetta al mese. 
Credo di essere vittima di una saturazione da cibo: visto, ascoltato, sprecato
decantato, offeso... 
Ogni volta che vedo una trasmissione sul cibo in televisione, ho un mancamento con relativo attacco di nausea. 
Con questo non voglio dire che questa mia passione si sia estinta, al contrario. 
Se possibile è ancora più forte ma cerco di viverla in maniera privata. 
Amo mangiare e amo cucinare. 
Non saprei dire in quale ordine, ma sono stanca di correre dietro alle tendenze, all'apparire, ai numeri e alla giostra che gira intorno a questo ambiente. 
Ho bisogno di un ritorno ad una condivisione più intima, meno gridata e soprattutto più diretta. 
Un confronto fra amiche ed un foglio di carta scritto a mano. 
So che è un sentire vecchio stravecchio ma tutta questa sovraesposizione, tutto questo cibo esibito in maniera spesso eccessiva e sgradevole (specialmente sui social), mi ha stancata. 
Succede, lo so. 
E' come quando eravamo bambini e ci abboffavamo sulle piante di fichi fino a scoppiare e poi ci veniva la nausea per mesi.  
Adesso sono un po' più grande e le abboffate non mi piacciono più. 

In tema di semplicità, una zuppa di ceci che faccio spessissimo perché è veloce e davvero buonissima. Se non avete voglia di utilizzare ceci secchi, potrete sicuramente scegliere ceci in barattolo (io preferisco quelle in vetro) e insaporirli bene con gli odori che preferite. 

Comunque io amo il tagliolino in brodo. 


Sulla mia pagina Instagram troverete pure un piccolo video sulla preparazione della zuppa, ma non credo che avrete bisogno di ulteriori spiegazioni. 


Ingredienti per 4 persone 


250 g di tagliolini all’uovo secchi 

2 confezioni di ceci da 400 g ciascuna

1 litro 1/2 di brodo di carni miste o vegetale 

100 g di spinacini novelli ben lavati 

1 spicchio d’aglio

Un rametto di rosmarino e di salvia 

Olio extravergine qb 

1 cucchiaio di concentrato di pomodoro 

Sale e pepe nero macinato fresco qb

Peperoncino a piacere 

Olio Extravergine Chianti Classico Dop qb

  • Potrete preparare i ceci in casa mettendoli in ammollo con un pizzico di sale la sera prima e  cuocendoli con 2 foglie di alloro il giorno dopo, oppure comprare dei ceci in vetro ed utilizzarli al momento. 
  • In una ampia casseruola versate 3 o 4 cucchiai di olio extravergine ed aggiungete un trito di salvia e rosmarino ed 1 spicchio di aglio. Fate scaldare l’olio e gli odori facendo attenzione a non bruciarli, quindi versate i ceci scolati e mescolate bene per fare insaporire. Fate cuocere a fiamma media per c.ca 5 minuti quindi aggiungete il concentrato di pomodoro e mescolate cuocendo un altro minuto. 
  • Aggiungete il brodo ben caldo e continuate a cuocere altri 7/8 minuti. Aggiungete acqua calda se necessario ed abbassate la fiamma. 
  • Prelevate 1 terzo dei ceci, lo spicchio d’aglio e uno o due mestoli di brodo e versate tutto nel bicchiere di un mixer a immersione. Frullate bene il tutto e riversatelo nella casseruola. 
  • Portate ad ebollizione il brodo, aggiustate di sale quindi prendete i nidi di tagliolini e frantumateli con le mani direttamente nella pentola. Mescolate bene. Fate cuocere due o tre minuti. 
  • Per finire, aggiungete gli spinacini che si cuoceranno con il calore della zuppa in meno di 1 minuto. 
  • Servite ben calda con un giro abbondante olio nuovo. 





lunedì 13 marzo 2023

Vellutata di carciofi e patate: la stagione dei miei fiori

Cynara era una splendida giovane Ninfa dal volto lucente, gli occhi verdi con riflessi violetti, i lunghi capelli color della cenere. Passeggiava spesso su una spiaggia della Sicilia osservando il suo mare, ma un giorno Zeus, che andava a trovare il fratello Poseidone, viaggiando sulla sua barca la vide e se ne innamorò. 

A nulla valsero i suoi tentativi di sedurla: Cynara non ne voleva sapere. 

All'ennesimo rifiuto, Zeus infuriato, la trasformò in un carciofo, un ortaggio con spine e dure foglie a simboleggiare la resistenza della fanciulla, ed un cuore tenero e delicato come la virtù che lei era riuscita a preservare. 

Fortunati noi che possiamo godere ogni stagione invernale e primaverile, di questi meravigliosi fiori dell’orto.

Il carciofo è un ortaggio pieno di poesia. 

Come diceva Neruda, nella sua Ode al Carciofo, sembra un soldato protetto dalla sua armatura. 

Ma soltanto le mani di una donna riescono a domarlo e a trasformarlo nella più deliziosa delle pietanze. In effetti il suo aspetto è minaccioso, svettante verso l'alto coperto da un elmo puntuto. 

Verrebbe da chiedersi le ragioni della natura, per "traverstire" in maniera così efficace un ortaggio...ma la risposta è semplice: la bontà e la bellezza rendono facili prede.

Pensiamo alla Rosa. 

Il suo profumo inebria gli insetti che l'aiutano a prosperare ma le spine la difendono da mani rapaci. 

Il carciofo difende il suo ambito cuore, dietro una corazza robusta e piena di spine

Nella stagione dei miei fiori più amati, vi regalo una vellutata facile e deliziosa, che può diventare anche un finger food se servita in piccoli bicchieri o coppette. 

A me non basta una ciotola grande perché ne vado pazza. 

Dimenticavo: è naturalmente vegan 


Ingredienti per 4 persone

200 g di cipollotto 

300 g di patate 

6 carciofi moretti 

4 fette di pane fresco tipo toscano

1 mazzetto di prezzemolo

qualche rametto di Nipitella e fogliolina di menta 

700 ml di brodo vegetale 

1 cucchiaio di semi di girasole 

Olio extravergine 

Sale - pepe nero qb 

  • Sbucciate le patate e tagliatele a dadini. Pulite con cura 4 carciofi, eliminando le foglie più tenaci ed eventuale fieno. Pulite anche il gambo eliminando la parte esterna e tagliatelo a pezzetti. Mettete a mollo in acqua acidulata con succo di limone fino al momento di utilizzarli. 
  • Affettate finemente il cipollotto e fatelo rosolare dolcemente in 2 cucchiai di olio extravergine. Quando sarà traslucido, aggiungete le patate ed i carciofi tagliati a fettine e mescolate con cura. Aggiungete il prezzemolo tritato quindi coprite le verdure con il brodo vegetale caldo. 
  • Il brodo dovrà coprire le verdure di c.ca 1 cm. Fate cuocere a fiamma media, lasciando sobbollire dolcemente per 15/20 minuti. 
  • Una volta pronte, con un mixer a immersione, frullate il tutto per ottenere un composto denso e vellutato. Se fosse troppo fluida, potrete continuare la cottura a raggiungimento della consistenza preferita. 
  • Mentre la vellutata cuoce, preparate gli elementi per rifinire il piatto. Pulite i restanti carciofi e tagliateli a fettine sottili. Tagliate il pane a dadini. 
  • In una padella per fritto, versate poco olio extra vergine per coprire il fondo. Scaldate l’olio e friggetevi le fettine di carciofo. Scolatele su carta assorbente.  Nello stesso olio, rosolatevi il pane fino a che non sarà bello dorato. Scolate e salate leggermente. 
  • Aggiustate la vellutata di sale e pepe. 
  • Porzionatela ben calda nelle ciotole e rifinitela con i carciofi dorati, il pane croccante, la nipitella e la menta, i semi di girasole e un bel giro d’olio nuovo. Servite immediatamente.





venerdì 20 settembre 2019

Crema di porri e sedano rapa con Za'atar

Don't let me down - Across the Universe versione - The Beatles
C'era una volta lo Za'atar: non era un bandito che rapinava grassi signori per donare il bottino a gentil donzelle in pericolo, e neanche un navigatore dei 7 mari sempre pronto al richiamo delle sirene.
Non era per altro, una terra lontana coperta di alberi rigogliosi perennemente in fiore, un profumo dolce nell'aria misto al salmastro, tavole imbandite di frutta tropicale più deliziosa del miele.
Niente di tutto questo.
Lo Za'atar era una spezia magica, sconosciuta agli uomini del nord del mondo.
Ma un giorno, uno chef fantasioso della Città Santa, decise che non poteva più tenere per se questo segreto e cominciò a mettere lo Za'atar su pane, pasta e carne e tutti sentirono che era cosa buona e santa.
Allora molti lo imitarono e lo misero anche sulle minestre e se volete sapere come va a finire la storia, andatevi a leggere la ricetta su Starbooks! 
E buona giornata.


lunedì 20 novembre 2017

Vellutata di zucca speziata con crema alla cannella: una serata tra Vintage People!

Figli delle Stelle - A. Sorrenti 
Mi sono lasciata lusingare da un invito.
"Ragazzeeeeee, c'è la festa dei nati nel '67 in discoteca, cena e ballo...ci si diverteee!" 
Doveva essere una serata fra sole donne, noi, "le quattro quarti" come ormai ci chiamiamo in privato. 
Invece la metà ha dato buca per impegni presi e ci siamo ritrovate in due, con i relativi boys, a vivere questa innocente evasione. 
Proposta accettata di slancio qualche settimana fa. 
Ma più la data si avvicinava, più un senso di leggero disagio si instillava nella testa. 
Allora ecco chat e telefonate d'emergenza: "Ma che diamine ci si mette in discoteca? Saranno 30 anni che non vado a ballare" - "Ma quanti siamo? Ma chi c'è?...." 
Insomma, uno strazio. Neanche ad un esame di università ero così stressata. 
Mio marito, preso dalla pietà ha accettato di accompagnarmi.
Giunti al parcheggio della Discoteca, mentre ci avviavamo verso l'ingresso, siamo stati preceduti da due tipi appesantiti, eskimo, capelli lunghi, grigi, Metallica style, jeans a bracala strappati qua e là...
"Senti, c'è una pizzeria qui dietro, che ne dici?" 
"Daiiiii....c'è Cate che ci aspetta. Andiamo, ceniamo e poi ce ne torniamo a casa se proprio proprio...."
L'abbraccio con la mia amica è di quelli che la dicono lunga (ma che ci facciamo qua?). 
Ci guardiamo e ridiamo come cretine quindi decidiamo di entrare. 
I lettori della mia generazione capiranno cosa intendo quando dico che non bisognerebbe mai abbandonarsi a viaggi di gruppo sul tappeto della nostalgia. 
Mai partecipare a quelle cene dei "20 anni", a quei ritrovi del "come eravamo". 
Il primo rischio concreto è che nessuno vi riconosca. 
O che voi non riconosciate qualcuno (il che è anche peggio). 
Il secondo è indulgere in considerazioni del tipo "miiii quanto è invecchiato", senza ammettere a voi stessi che la persona che avete di fronte sta pensando esattamente la stessa cosa di voi.
Trovo accettabile partecipare a simili reunion solo con cari amici che non vedo da tempo, perché l'affetto, quello resta immutato ed ha il potere di annebbiare la vista sull'implacabile lavoro del tempo. 
Queste serate celebrative in cui lo scopo primario dovrebbe essere quello di divertirsi, finiscono con il riempirmi di tristezza, che non è autocommiserazione intendiamoci. 
Dio me ne scampi e liberi: credo di avere ampiamente elaborato il superamento della barriera "50". 
Il problema è la consapevolezza che per qualcuno, invece, il termine "invecchiare" o "maturare" è qualcosa di cui vergognarsi o semplicemente, non è possibile nel loro caso. 
C'è il rifiuto di arrendersi all'inevitabile, perché la natura, questa simpaticona, non è che si gira indietro e ti aspetta. 
La forza di gravità è più forte dei nostri zigomi, delle nostre palpebre, dei nostri sederi e, ahimé dei nostri rigogliosi decolté, tanto vale usare discrezione. 
Eppure manipoli di coraggiose minigonnate, scollacciate, supertaccate sfidano sciatica e cervicale vestite di nulla, agitandosi in pista come serpenti frustoni in amore. 
In poche parole non mollano. 
Uomini dallo sguardo malandrino sempre a caccia, scrutano il parterre con fare indagatore, alla ricerca di cosa poi, mi è sconosciuto sapere.
Io ho ballato per tutto il tempo che sono rimasta in pista, scoprendo muscoli che avevo dimenticato (e soprattutto che si erano dimenticati di me), rischiando di volare più di una volta dai miei tacchi (non li so più portare) e cantando le canzoni della mia adolescenza (alcune delle quali veramente brutte). 
Ho riso di cuore con la mia amica e soprattutto, ho capito quanto non abbia bisogno di queste illusorie macchine del tempo per piacermi così come sono.  
Una vellutata, che non vuole essere la risposta alla mia babbionaggine, ma che certamente scalda cuore e palato più di duecento discoteche per vintage people. 
Semplice, di una semplicità così disarmante che farete prima a prepararla che a leggere gli ingredienti.
E poi a nanna senza acido lattico! 

Ingredienti per 4 persone
1 kg di zucca gialla tipo violina (o Butternut) tagliata in pezzi
400 g di patate
500 ml d'acqua
380 ml di brodo vegetale
1 porro affettato finemente (anche parte del verde)
la punta di un cucchiaino di semi di cumino
metà cucchiaino di semi di coriandolo
la scorza grattugiata di una arancia non trattata
olio extravergine qb
pepe - sale qb

Crema alla cannella
160 ml di panna fresca semimontata
1/2 cucchiaino di cannella
una macinata di pepe nero fresco

  • In una larga casseruola che dovrà contenere la vellutata, fate scaldare 3 cucchiai di extravergine in cui farete passire il porro, facendo ben attenzione a non farlo bruciare. Se necessario, aggiungete uno o due cucchiai di brodo vegetale. 
  • Quando il porro sarà bello passito, aggiungete le spezie che avrete provveduto a macinare in un piccolo mortaio riducendole in polvere non troppo fine. Mescolate e fate cuocere uno o due minuti, quindi aggiungete la zucca privata della buccia e le patate pelate, il tutto tagliato a pezzetti. Mescolate per insaporire quindi coprite il tutto con il brodo e con l'acqua portando ad ebollizione. 
  • Abbassate la fiamma e coprite e fate cuocere sobbollendo per una 20na di minuti. Quando le verdure saranno morbide, spegnete e lasciate riposare una decina di minuti.
  • Nel frattempo preparate la crema: montate la panna con la cannella: dovrà essere morbida ma leggermente sostenuta. Tenete al fresco fino al momento di servire.
  • Con un mixer ad immersione frullate la zucca ottenendo una crema fine e densa. Se necessario riportate a temperatura scaldandola prima di servirla.
  • Impiattate ben calda, rifinite con la crema alla cannella ed una spolverata di pepe macinato fresco. Servite subito. 



venerdì 20 gennaio 2017

La perfetta pasta e fagioli ed il mio Recipe-Tionist

Ma che freddo fa - Nada 
Nulla è in grado di pacificarci con un mondo freddo e buio come una scodella di zuppa calda.
E' una medicina per il corpo e per lo spirito, così semplice da prescrivere; un calmante naturale che ha lo stesso effetto di una carezza ed il potere di far riemergere sulla nostra faccia, sorrisi dimenticati.
Ci sono piatti che fanno parte della nostra quotidianità e che quindi non reputiamo importanti, non a sufficienza per essere condivisi.
Eppure la pasta e fagioli, da qualsiasi regione, provincia o famiglia ci arrivi, ha una dignità forte, adulta, coraggiosa, che andrebbe sfoggiata orgogliosamente.
Così oggi, in un post pretesto che invita alla condivisione, vi racconto della mia pasta e fagioli e di come, per tutto il mese di gennaio e fino al 15 febbraio, questo blog sarà protagonista del bellissimo Contest di Flavia - The Recipe-Tionist.
Di questo Contest ne avevo già parlato qui  ma voglio nuovamente raccontarvi di come si possa creare una catena di condivisione sostenuta dall'amicizia, dal rispetto e dalla stima, attraverso un gioco che non ha vincitori, bensì protagonisti.
Con il Recipe-Tionist, si è invitati a introdursi in profondità nel blog dell'amico protagonista del mese, e scoprire le sue ricette, conoscere lati nascosti dell'autore e scegliere quella sua ricetta che ci fa battere il cuore, riproducendola come un omaggio sincero e sentito.
Da 6 anni questo contest prosegue la sua strada e molti amici sono stati celebrati.
Possono partecipare tutti quelli che hanno un blog e tra i partecipanti di questo mese, Flavia sceglierà il prossimo che aprirà le porte ai suoi amici.
Questo mese sono orgogliosa protagonista e spero che molti amici vogliano dedicare qualche minuto del loro tempo per conoscere meglio Andante con gusto.
In questa pagina avrò il piacere di raccogliere le ricette che arriveranno e che saranno comunque pubblicate sul Blog padrone di casa.
Per me resterà comunque un archivio prezioso e importante da ricordare nel tempo. Vi aspetto.

Ecco le ricette che hanno partecipato:
E veniamo alla ricetta: la pasta e fagioli è come la religione, ognuno ha la propria.
Mai entrare nel merito di certe scelte o il rischio della guerra intestina è serio.
A partire dal tipo di pasta: chi rigorosamente tubettini, chi spaghetti spezzati, chi maltagliati o mafaldine. Chi lardo e chi no, chi si lascia legare dalla patata e chi invece non vuole neanche sentire pronunciare la parola pomodoro.
Non parliamo poi della consistenza: se il cucchiaio non sta in piedi, non si mangia, o se non è brodosa non da soddisfazione.
I più saggi la mangiano "rifatta", perché il giorno dopo, con la pasta ormai scotta e rilassata, è millemila volte più buona.
A me piace la via di mezzo: densa ma non massiccia, con rigatino e pomodoro.
Senza patata perché i fagioli sono cremosi di per sé, e con dell'ottima pasta mista, alla napoletana.
Per finire, olio extravergine eccellente e una buona macinata di pepe (sono allergica al peperoncino).
In ogni caso, sarà sempre in quantità maggiore, perché se avanza, il giorno dopo si festeggia!

Ingredienti per 4 persone
350 g di fagioli borlotti secchi
200 g di pasta mista tipo  la nr 74 Rummo
1 carota, 1 gambo di sedano, 1 cipolla
150 g di polpa di pomodoro
80 g di rigatino o lardo a piacere
1 rametto di rosmarino
2 foglie di alloro
olio extravergine Chianti DOP
sale - peperoncino a piacere

  • Per prima cosa mettete a mollo i fagioli con un pizzico di sale e lasciateli riposare tutta la notte. 
  • Preparate un trito grossolano con la carota, la cipolla ed il sedano opportunamente mondati, e fateli passire in 3 cucchiai di olio extravergine in una larga casseruola a bordi alti. Quando cominceranno a passire (se necessario aiutatevi con un paio di cucchiai d'acqua), aggiungete le foglie di alloro ed il rosmarino tritato, il rigatino a fettine sottili e fate insaporire mescolando fino a che il rigatino non sarà trasparente e croccante. 
  • Aggiungete la polpa di pomodoro e fate cuocere mescolando per altri 5 minuti quindi aggiungete i fagioli e mescolate per insaporire con tutti gli ingredienti. 
  • Coprite i fagioli con acqua calda superandoli di almeno 3 dita e fate cuocere a fiamma dolce per c.ca 1 ora, mescolando via via e controllando che l'acqua non si asciughi troppo.  Nel caso aggiungetene.
  • Controllate la cottura dei fagioli, che dovranno essere morbidi ma non sfatti. Aggiustate di sale. 
  • Togliete un terzo dei fagioli e mettetelo da parte quindi eliminate le foglie di alloro e frullate il tutto con un mixer a immersione. 
  • In un'altra casseruola cuocete in abbondante acqua salata la pasta quindi scolatela a c.ca 3 minuti dalla cottura. Portate a ebollizione il brodo di fagioli e versatevi la pasta con un mestolo di acqua di cottura ed il resto dei fagioli, proseguendo fino a che questa non sia pronta. Spegnete la fiamma e lasciate decantare qualche istante prima di servire ben calda, irrorata di ottimo extravergine ed accompagnata da peperoncino a piacere. 



lunedì 21 novembre 2016

Settimana Nazionale dell'Olio Extravergine: Minestra di ceci alloro ed aglio di Vessalico

Green song - Elvis Costello e Anne Sofie von Otter
Oggi parlo di lui, il mio grande amore in cucina.
L'ingrediente a cui non potrei rinunciare, il vero principe della Dieta Mediterranea, l'oro della nostra tavola.
Parlo dell'olio extravergine nella Settimana Nazionale a lui dedicata all'interno del Calendario del Cibo Italiano. 
Sul sito dell'Associazione Italiana Food Blogger  si celebra oggi un simbolo del nostro paese, secondo produttore al mondo solo dopo la Spagna, del grasso vegetale più salutare e prezioso.
Vi invito a leggere l'articolo che ho scritto e che spero potrà chiarire le idee a chi di extravergine sa ancora poco o vuole scoprirne di più.
Per quanto mi riguarda, ho sempre avuto una passione per l'extravergine, pubblicamente ammessa nelle centinaia di ricette in cui l'ho raccontato in questo blog, nella sezione in cui lo celebro e dove ho spiegato spesso come sceglierlo, rispettarlo nella conservazione, utilizzarlo senza timore e capirlo nei suoi pregi e difetti.
L'Olio extravergine è ancora troppo poco conosciuto dal consumatore e merita la dignità che gli compete.
Ricordiamoci che non esiste l'olio ma gli oli extravergine, originati dalle centinaia di cultivar di cui la nostra penisola è ricca.
Impariamo a conoscere le DOP e le IGP partendo da quelle della vostra regione e piano piano andando alla scoperta delle altre, perché ognuno di questi oli ha caratteristiche ben diverse, peculiarità che lo rendono unico e lo trasformano in un vero e proprio ingrediente da utilizzare nelle vostre ricette, non solo come semplice condimento a crudo.

Vin invito anche a leggere il bell'articolo scritto da Lidia del blog The Spicy Note in cui racconta la vita di un'azienda olivicola ed il suo prodotto.
Il vi lascio con una ricetta semplice e veloce, di quelle che tanto piacciono a me per le serate invernali.
Per questa minestra ho voluto usare dell'Olio Extravegine Trevi Dop, particolarmente fruttato e non eccessivamente amaro o piccante come potrebbe essere un giovane olio toscano Chianti Dop o Trequanda Dop, abbinandolo ad un aglio splendido, che arriva da terre liguri, in particolare dalla Valle Arroscia.
Si tratta di un aglio gentile e ben digeribile grazie all'anima estremamente ridotta (causa principale dei disturbi), dall'aroma non aggressivo, prodotto in quantità limitata da pochi produttori di quell'area geografica. Va conservato bene al buio perché tende a seguire proprio ciclo vitale, germogliando con facilità.
Ingredienti per 4 persone
350 g di ceci secchi piccoli del Chianti
3 spicchi di aglio di Vessalico
2 foglie di Alloro
50 ml di passata di pomodori
Olio Extravergine Trevi Dop
Sale - Pepe nero al mulinello.

  • Mettete i ceci a bagno tutta la notte con un pizzico di sale grosso
  • Fateli cuocere in abbondante acqua salata con una foglia di alloro, fino a che non saranno morbidi ma ancora integri.
  • Scolateli ma conservate l'acqua di cottura e divideteli nello stesso peso in due ciotole.
  • Versate 3 cucchiai d'olio in una casseruola insieme all'aglio ed alla foglia di alloro. Fate profumare a fiamma dolce quindi aggiungete la prima metà di ceci. Mescolate bene quindi aggiungete il pomodoro e copriteli a filo con l'acqua di cottura rimasta, e fate cuocere una 20na di minuti.
  • In una bicchiere per mixer a immersione, versate i restanti ceci e versate un mestolo di acqua di cottura, 2 cucchiai di extravergine e frullate fino a ridurre ad una crema. Versate il tutto nella casseruola e proseguite la cottura per altri 10 minuti. 
  • Una volta pronto, servite con pane toscano abbruscato, irrorate di abbondante olio extravergine e completate con una generosa macinata di pepe nero. Servite subito. 

lunedì 21 marzo 2016

U Vredétte de Tornola - Il Brodetto Termolese di Tornola per l'MTC #55

Ma come porti i capelli bella bionda - Cochi e Renato
Comincio questo post scusandomi.
Primo, perché sarà lunghissimo.
Secondo, perché sto per addentrarmi in un mondo a cui sono estranea e di cui non posso vantare esperienze se non quelle vissute passivamente o per acquisizione: non ho neanche un goccio di acqua salata nelle vene! E' triste ma è la dura verità.
Di lago, un buon 50%, ma se parliamo di salmastro, l'unico effetto che ha su di me è quello di ridurmi i capelli alla stregua di una scopa di saggina.
La mia famiglia non ha mai avuto una barca; qualsiasi cosa che ondeggi sotto di me, mi provoca un terribile malessere.
Mio padre pescava carpe fangose nel laghetto artificiale della tenuta in cui sono cresciuta mentre io guardavo Sampei alla televisione.
Le uniche volte in cui ho creduto di essere un vero pescatore, sono state quelle in cui ho trascinato a fatica un rastrello più grande di me per raggranellare una manciata di arselle, durante le mie estati di bimba all'Ansedonia.
Nonostante ami il pesce perdutamente, posso contare sulle dita le volte in cui l'ho mangiato veramente buono e le ricordo tutte, compreso il fatto che il vero pesce freschissimo, appena scaricato dal peschereccio, è quello che trovo a casa dei miei suoceri, in Molise.
Suoceri Molisano/Pugliesi che hanno per il pesce una totale venerazione.
Difficilmente compro pesce dove vivo, perché non ne trovo degno di questo nome.
La grande distribuzione ci offre molti prodotti decongelati e per avere l'illusione di mangiare un pescato autoctono e decentemente fresco, bisogna cogliere l'attimo e fiondarsi al banco pesce il venerdì o il sabato.
In ogni caso, sul Tirreno, che è il versante in cui vivo, non vi è una vera e propria tradizione di "brodetti". Qui si parla di zuppe, spesso maschie e robuste che poco si avvicinano alla tradizione Adriatica, che è quella che paradossalmente conosco meglio, proprio grazie alla famiglia di mio marito.
Così per questa sfida meravigliosa, voluta fortemente da Anna Maria, la vincitrice dell'MTC 54 con una ricetta che celebrava il miele in un post che è un omaggio alla vita, il mio primo ed unico pensiero è andato ad un piatto molisano, che è la bandiera e l'orgoglio di una delle più belle cittadine di mare della nostra penisola: Termoli.
Per questo devo ringraziare con tutto il cuore i miei cari Pino e Lucia, cittadini veraci di Termoli, che mi hanno aiutato a ricostruire la storia di questo piatto.
Prima di passare alla ricetta, Anna Maria ci chiede di raccontare di un momento legato al cibo che nella vita ha fatto la differenza.
Chiedere questa cosa a chi ama profondamente il cibo è mortalmente complicato, perché si rischia di dover fare una lista infinita.
Considerando la propensione alla logorrea della sottoscritta e la lunghezza di questo post cercherò di sintetizzare: hanno fatto e fanno la differenza tutti quei momenti in cui ho potuto condividere del buon cibo con le persone che amo; quando ho la fortuna di incontrare qualcuno che fa del rispetto della materia prima e del territorio la propria missione in maniera appassionata, consapevole, onesta (e questi incontri fortunatamente sono stati molti fino ad oggi); hanno fatto la differenza le scoperte in viaggio, quando attraverso il convivio ho potuto accedere almeno in parte, alla cultura di un popolo (questi i momenti per me più intensi); non ultimo ogni volta che ho provato un'emozione profonda di fonte alla bontà delle cose semplici, come una fetta di pane strofinato con un pomodoro ancora caldo di sole o il siero di latte di mozzarella di bufala che ti cola lungo il mento subito dopo averla pescata dalla vasca e morsa in diretta, o l'assaggio del primo olio verde e piccante che scende denso sulla fetta di pane direttamente dalla pressa...Potrei continuare ad oltranza ma vi risparmio.
Pretendere di preparare il Brodetto termolese di Tornola a Siena, con pescato del Tirreno, è ovviamente utopico e un tantinello blasfemo, ma non avendo alcuna "cultura" sulla cucina di mare, invece di improvvisare ho preferito seguire ciò che tramanda la tradizione.
Questa sfida diventa quindi il pretesto per parlarvi di un piatto spettacolare, che racconta la storia di un luogo, della sua gente e di un passato che si è perso e che si cerca di mantenere vivo in una zuppa.
Tornola è il rione più antico del borgo Vecchio di Termoli, quello in cui vivevano la maggior parte dei pescatori e dove si dice sia proprio nato questo brodetto.
Un piatto antichissimo, di cui si hanno le prime tracce scritte solo nel settecento, proprio quando in Italia il pomodoro entrò in tutte le case.
Gli storici sono certi che una versione "bianca" di questa minestra fosse già consumata dagli abitanti di Termoli nel XVI secolo, nel periodo in cui i Viceré di Napoli fecero costruire le prime torri a difesa dei Saraceni, quindi subito dopo la scoperta dell'America.
Era a tutti gli effetti la cena del pescatore che, sbarcato dalla paranza al calar del sole, riportava a casa la "schaffetta", una porzione di pescato povero, la rimanenza dopo la vendita del pesce migliore alle famiglie benestanti.
Si può immaginare come sia impossibile codificare una ricetta che nei secoli ha seguito la regola del "quel che c'è" e che era diversa da famiglia a famiglia, da mano a mano.
Ancora oggi, ogni ristorante di Termoli afferma di preparare il vero e solo Vredétte de Tornola, ma la vera ricetta resta il tocco della mano di chi lo prepara ed una materia prima di impareggiabile freschezza.
La differenza la fa la conoscenza dei tempi di cottura dei pesci utilizzati, dei gesti e della memoria sensoriale di chi ha avuto la fortuna di assaggiare questo piatto preparato come si deve.
Secondo la tradizione che si rifà all'Ultima Cena, le tipologie di pesce da utilizzare dovrebbero essere almeno 13, tra cui crostacei come Cicale (che io non ho trovato e sostituito con scampetti), molluschi come seppioline o polipetti, trigliette, gallinelle, piccoli merluzzi, scorfanetti, tracine, saraghetti, lucerne, gattucci, occhiate, razze, coda di rospo e una manciata di cozze e vongole (anche se i più tradizionalisti le mettono al bando a favore delle lumachine di mare). Gli intenditori considerano un brodetto completo solo con la presenza di grongo e pinna nobilis (o cozza penna).
Nessun genere di pesce azzurro è previsto così come non vi è alcun elemento acido come vino bianco o aceto (sia mai) se non la fresca acidità del pomodoro.
Immancabile è invece il peperone verde, che firma con incredibile delicatezza il carattere di questo piatto commovente.
Il Brodetto termolese aveva una variante più rustica che adesso si è perduta ma che i vecchi ricordano come il piatto della "fratellanza" fra pescatori: il Pappone.
Anche in questo caso si trattava di una zuppa di scarto con pesci senza spine, che però aveva una ritualità tutta sua. Veniva preparato sulla spiaggia cotto su un falò o in navigazione sulla paranza, dai pescatori e servita direttamente nell'unico tegame di terracotta in cui era cucinato. I pescatori si servivano a turno, mangiando dal tegame con la propria forchetta. La zuppa era arricchita da molto pane raffermo di grano duro che assorbiva il brodo e rendeva più semplice e nutriente l'impresa.
Questo momento ricreava l'intimità familiare, rafforzava l'amicizia e tentava di colmare quella nostalgia di casa radicata nel cuore di ogni pescatore.
Quando il pesce scarseggiava, si raccoglievano le breccioline del bagnasciuga coperte da minuscole alghe con foglioline simili a quadrifogli e si bollivano nell'acqua con olio e odori per poi servire la zuppa con tanto pane raffermo a calmare la fame.
Del brodetto di Tornola esiste una ricetta depositata in un ufficio notarile di Isernia a ricordare quanto serio e prezioso sia questo piatto per i Termolesi.

Fonti
Termoli un post d'amare - D. Fiorilli - 2008 B&C Adevertising
Mangiare Molisano - E. D'Ascenzo - 2003 Edizione Enne 
Le regole per preparare un buon Brodetto di Tornola quanto più vicino al tradizionale sono poche e semplici:
  • Si cuoce in un ampio tegame di terracotta per distribuire uniformemente il calore.
  • Il pesce non si sfiletta né si taglia a pezzi ma va eviscerato con cura e mantenuto intero a parte le triglie che vanno squamate accuratamente. Gli ortodossi di questo piatto affermano che il pesce andrebbe tenuto il meno possibile in acqua dolce mentre lo si prepara, altri lo laverebbero esclusivamente in acqua salata. Non va privato della testa ma vanno eliminate le pinne ed accorciata la coda. 
  • Il tempo di cottura dipende dalla pezzatura dei pesci e dalla loro tipologia. L'ordine prevede che si inseriscano per primi molluschi e crostacei e per ultimi i pesci con la polpa più tenera e delicata come triglie e merluzzetti. In ogni caso, una volta posizionati i pesci nel tegame, non vanno più toccati né quantomeno mescolati. 
  • La cottura è veloce quindi è consigliabile non allontanarsi dal tegame. Il pesce è pronto quando l'occhio diventa una pallina bianca. I profumi del brodetto non prevedono l'aggiunta di basilico ma non va assolutamente trascurata la presenza di un ottimo extravergine, possibilmente di terra Molisana. 
  • Si serve caldissimo rigorosamente con pane casereccio di grano duro di qualche giorno o adeguatamente tostato. 
Prima della ricetta un regalo che ci ha fatto la nostra Dani di Acqua e Menta,  la nostra Lady delle infografiche, con una spettacolare aiuto per non sbagliare niente ma proprio niente quando si prepara un Signor Brodetto. 


Ingredienti per  4 persone 

1,5 kg di pesce misto da paranza tra cui qualche cicala di mare, molluschi come seppioline o polipetti, trigliette, gallinelle, piccoli merluzzi, scorfanetti, tracine, saraghetti, lucerne, gattucci, occhiate, razze, coda di rospo e una manciata di cozze e vongole
400 g di pomodori pelati maturi e senza semi
1/4 di peperone verde dolce piccante
2 spicchi d'aglio
un mazzetto di prezzemolo
5 generosi cucchiai di olio extra vergine Gentile di Larino
sale qb
Pulite il pesce accuratamente, eviscerandolo e sciacquandolo per eliminare le tracce di sangue. Tagliate pinne e coda. Squamate bene le triglie.
Lavate accuratamente cozze e vongole.
Eliminate le barbe dalle cozze e spazzolatene bene le valve quindi fate spurgare in una ampia ciotola con un pizzico di sale, smuovendo ripetutamente la bacinella e cambiando spesso l'acqua fino al momento della cottura.
Scottate in acqua bollente per qualche istante i pomodori su cui avrete inciso una croce, spellateli e tagliateli in quarti eliminando i semi. Tenete da parte i petali di pomodoro.
Lavate il peperone, tagliatelo in pezzi lunghi non più di 3 cm e tenete da parte.
Versate l'olio nel tegame ed aggiungete gli spicchi d'aglio.
Cuocete a fiamma gentile insaporendo l'olio per mezzo minuto quindi aggiungete i pomodori, il peperone ed il prezzemolo tritato, quindi dopo 3/4 minuti aggiungete polipetti e seppioline, i crostacei e le cozze con le vongole.
Fate cuocere mescolando per cc.a 5 minuti fino a che cozze e vongole non saranno aperte.
A questo punto cominciate ad aggiungere i pesci posizionandoli con delicatezza sul fondo del tegame cominciando con quelli dalla polpa più tenace tipo scorfanetti, gallinelle, razza, coprendoli con acqua calda, ed aggiungendo successivamente i pesci dalla polpa più delicata come tracine, merluzzi e triglie che saranno aggiunti negli ultimi 5/6 minuti di cottura. Aggiungete acqua via via che inserite i pesci. In totale il brodetto dovrà cuocere una 15na di minuti.
Il sale va aggiunto con oculatezza per non mascherare il sapore del pesce.
Si serve a tavola, nel tegame in cui è stato cotto lasciando che i commensali possano servirsi da soli.
Ha un sapore morbido dolce e avvolgente, con un ritorno leggermente piccante ed il profumo inebriante del peperone che meravigliosamente si sposa con il sapore del mare.
A casa dei miei suoceri, si mangia prima il pesce e nel meraviglioso brodo rimasto, senza filtrare, si cuoce la pasta, preferibilmente spaghettini spezzati: l'ottava meraviglia.
Per l'accompagnamento, ho voluto osare preparando il mio primo pane di semola rimacinata, utilizzando del lievito madre disidratato.
Un esperimento direi riuscito visto il gradimento della famiglia.
Ho cercato la ricetta in rete in quanto la mia conoscenza in materia di panificazione è minima, è mi è venuta in soccorso Alessandra.
So benissimo che il risultato sarebbe stato ben diverso utilizzando del lievito madre, ma al momento non ho ancora deciso di entrare nel tunnel.
Ingredienti per un pane di cca 600 g
Per la biga:
250 g di semola di grano duro rimacinata
125 g c.ca di acqua (ma potrebbe essere di più in base a quanta ne assorbe la vs semola)
5 g di lievito madre secco
Per l'impasto finale 
la biga
250 g di semola rimacinata
150 g di acqua (c.s)
10 g di lievito madre disidratato
1 cucchiaino di miele (o 2,50 di malto)
10 g di sale.
Cominciate con la biga la sera prima. Deve lievitare tra le 13/18 ore. Io ho cominciato alle 17.00 per avere il pane pronto alle 11.00.
Mettete la semola con il lievito e l'acqua in una ciotola ed impastate velocemente per 3/4 minuti, ottenendo un impasto grumoso e poco raffinato. Incidete una croce sopra e coprite con pellicola.
Lasciate lievitare in ambiente dai 17/21°C.
Anche la temperatura dell'acqua è molto importante, ed in genere si attesta tra i 14/16 gradi.
D'estate si consiglia l'utilizzo di acqua di frigo per non accellerare la lievitazione.
Il giorno dopo la vostra biga sarà pronta se avrà triplicato la sua dimensione e presenterà numerosi fori con un leggero sentore alcolico.
Versate la semola nella ciotola dell'impastatrice, aggiungete la biga, il resto del lievito, il miele e l'acqua. Impastate con il gancio per c.ca 3 minuti a velocità bassa.
Quando l'impasto sarà ancora morbido, ma non prima dei 3 minuti, aggiungete il sale ed aumentate la velocità a 4 continuando ad impastare per altri 4/5 minuti, fino a che l'impasto non si aggrapperà fortemente al gancio ed avrà un aspetto liscio.
Toglietelo dalla ciotola e dategli una forma tonda, lasciandolo riposare per 40 minuti coperto da un canovaccio pulito.
Adesso passate alla pezzatura. In questo caso potrete fare un'unica pagnotta.
Per ottenere una bella palla stretta, procedete alla pirlatura ripiegando i bordi della palla verso il centro e ruotando l'impasto mentre pirlate. Quindi lasciate l'impasto sulla spianatoia (appoggiato ad un foglio di carta da forno) con la chiusura verso l'alto.
Dovrà lievitare per almeno un'altra ora coperto da un canovaccio.
Preriscaldate il forno a 230°. Io ho riscaldato anche la pietra refrattaria su cui ho poi capovolto con delicatezza il pane una volta lievitato.
Ho inciso profondamente la superficie con 4 tagli paralleli ed ho infornato dopo avre spruzzato acqua fredda nel forno, per avere un lieve vapore.
Dopo 20 secondi dallo spruzzo, mettete il manico di un cucchiaio di legno tra la porta del forno per avere un leggero tiraggio e lasciatelo così per 10 minuti. Quindi chiudete e proseguite la cottura per altri 30 minuti c.ca.
Ricordate di abbassare a 200° la temperatura negli ultimi 15 minuti di cottura.
Per la cottura dovrete affidarvi al vostro forno. Il mio ha richiesto c.ca 10 minuti in più perché è notoriamente più basso nelle calorie, ma potrete fare la prova della "bussata": battendo sotto la base del pane, questo dovrà suonare a vuoto.
Lasciate raffreddare completamente su una gratella prima di tagliarlo.

Con questa ricetta sono onorata di partecipare alla sfida #55 dell'MTC di Marzo  sul Broeto dell'Adriatico di Anna Maria


sabato 27 febbraio 2016

Acquacotta Maremmana per la Giornata Nazionale del Pancotto e dell'Acquacotta nel Calendario del Cibo Italiano

Time to say goodbye - A. Bocelli e S. Brightman
Ecco una ricetta che mancava su questo blog e che aspettavo da tempo di inserire.
Toscana e ancora Toscana, ma di quella parte più selvaggia e integra che ha un nome che profuma di salmastro e olivi: Maremma.
Chi conosce questa terra, non può credere che per secoli, sia stata ostile ai suoi abitanti, dominata da paludi, acquitrini, territori aspri e malsani martoriati da infertilità e brigantaggio.
Ancora oggi, ormai bonificata, mantiene quel suo carattere selvaggio e fiero al suo interno, mentre quella parte affacciata sulla costa Tirrenica, rappresenta una delle più belle località turistiche di questa parte di litorale. 
Per Maremma si intende quella parte di territorio che si estende dalla provincia di Livorno fino alla provincia di Viterbo, toccando una vasta area nell’interno della provincia di Grosseto fino ai confini con la provincia di Siena (detta anche Maremma Senese).
Di questa parte di Maremma, ci racconta Dante attraverso il suo incontro con la Pia de’ Tolomei nel V canto del Purgatorio: "Deh, quando tu sarai tornato al mondo e riposato de la lunga via, seguitò il terzo spirito al secondo,
‘ricordati di me che fui la Pia.
 Siena mi fè, disfecemi Maremma”. 
La leggenda ricorda la Pia, sfortunata vittima di un distacco fatale dalla sua ricca ed agiata vita senese, per vederla spegnersi di nostalgia e solitudine in Maremma.
Il senso del tragico legato alla difficoltà di vita in una terra così ostile, è presente anche nella canzone popolare toscana, con un canto dal testo struggente che ben racconta la difficile vita in questi luoghi:
Tutti mi dicon Maremma, Maremma
Ma a me mi pare una Maremma amara
L'uccello che ci va perde la penna
Io c'ho perduto una persona cara.

Sia maledetta Maremma Maremma

sia maledetta Maremma e chi l'ama.

Sempre mi piange il cor quando ci vai
Perché ho timore che non torni mai”

L’acquacotta è un piatto della cucina povera contadina, comune a molte zone della Toscana e dell’Alto Lazio, ma in ogni provincia ha caratteristiche ben precise. 
Non si hanno documenti scritti della sua origine ma per quella Maremmana, questa si lega fortemente ai Butteri ed al loro seguire le greggi a cavallo durante la transumanza.
I Butteri erano mandriani che allevavano cavalli di “razza maremmana” e la loro vita era molto simile a quella mitica dei cow boy americani che spostavano le mandrie da un punto all’altro del loro immenso Paese. Splendidi esemplari di questi cavalli sono ancora presenti in alcuni agriturismo e fattorie della zona, ma i Butteri rappresentano solo un’attrazione turistica che racconta di un passato di grande fatica, coraggio e povertà.  
Il nome della ricetta spiega piuttosto chiaramente il suo contenuto: acqua e poco più!
Minestra povera, fatta con niente se non con il minimo trasportabile ed eventualmente reperibile in viaggio, ha come ingredienti immancabili cipolla, sedano e pane secco.
In molta acqua, a seconda delle stagioni, cuocevano a lungo questi essenziali ingredienti, a cui si aggiungevano secondo fortuna e disponibilità, pomodoro, erbe selvatiche raccolte nei pascoli (tipo borragine, bietoline, tarassaco, menta, cicoria di campo e altro) e là, dove era possibile reperirne o averne in dono, uova fresche, portate a cottura sulla minestra caldissima.
Il tocco finale era un filo d’olio che il capo mandriano versava personalmente su ogni ciotola, per controllare che questo prezioso elemento non venisse sprecato e durasse il viaggio: la tradizionale “croce d’olio”, che tutt’oggi in molte famiglie maremmane, viene celebrata ripetendo quel gesto di sacralità e gratitudine.
Per la Giornata Nazionale del Pancotto e dell'Acquacotta, celebrata da un'ambasciatrice perfetta, Tamara Giorgetti  maremmana doc, del blog Un Pezzo della Mia Maremma, offro il mio piccolo contributo al Calendario del Cibo Italiano.
Vi invito dunque ad andare a leggere quanto egregiamente scritto da Tamara, sulla pagine ufficiale di AIFB, per saperne di più di un piatto così meravigliosamente semplice e profondo.
Ed ora, la ricetta (secondo la mia cucina :D )

Ingredienti per 4 persone
3 cipolle rosse o bianche
4 costole di sedano e le sue foglie
400 g di pomodori a grappolo (o pelati)
300 g di bietoline selvatiche
4 uova freschissime codice A
4 cucchiai olio Extravergine d’Oliva + a crudo per condire
Pecorino toscano media stagionatura
Pane toscano raffermo e tostato
1 spicchio d’aglio
Sale – pepe a piacere
2 litri di acqua calda.

Lavate bene le bietoline selvatiche, rimuovete l’eventuale costa se fosse dura e tagliatele a filetti.
Lavate il sedano, eliminate i filamenti e riducetelo a rondelline non troppo sottili. 
Lavate bene le sue foglie e tenetele da parte.
Lavate i pomodori, incideteli sul fondo con una croce ed immergeteli un istante in acqua bollente. 
Si peleranno in un attimo. Tagliateli a metà quindi in quarti. 
Rimuovete gli eventuali semi e ricavate dei filetti di pomodoro. 
Puliscite le cipolle, affettale non troppo sottilmente.
Versate l’olio d’oliva in una larga pentola o in un ampio coccio di terracotta, fatelo scaldare quindi aggiungete le cipolle e fatele passire a fiamma dolce per 6/7 minuti facendo attenzione che non si brucino. Aggiungete acqua se necessario.
Quando la cipolla sarà morbida, alzate lievemente la fiamma, aggiungete il sedano e le sue foglie e rimestate per farlo insaporire bene. Fate cuocere per 5 minuti quindi aggiungete la bietolina e mescolate bene per amalgamare le verdure.
Fate cuocere fino a quando non vedrete che la bietola ed il sedano sono morbidi.
A questo punto aggiungete i pomodori e mescolate il tutto molto bene.
Coprite le verdure con l’acqua che avrete scaldato in un'altra pentola e lasciate cuocere per c.ca 1 ora a fiamma media, coperta.
10 minuti prima dal termine della cottura, aggiustate di sale.
Poco prima di servire con la minestra ancora sulla fiamma, rompete ogni uovo direttamente sulla minestra, lontano l’uno dall’altro, e coprite la pentola per qualche minuto affinché solo l’albume si cuocia.
Sul fondo delle scodelle di servizio, mettete il pane tostato su cui avrete strofinato lo spicchio d’aglio e cominciate a versare la minestra, sistemando un uovo delicatamente su ogni porzione.
Completate con una generosa grattugiata di pecorino ed un croce d’olio, pepe a piacere. 
Servite caldissima.