Visualizzazione post con etichetta Garfagnana. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Garfagnana. Mostra tutti i post

venerdì 5 maggio 2017

Torta Garfagnina: un dolce che assomiglia alla sua terra.

Take a walk on the wild side - Lou Reed
La Garfagnana è una terra selvaggia, per molti versi rude e inaccessibile ma che riserva veri e propri tesori naturali, come spesso accade a tutti quei luoghi difficili da raggiungere.
Sconosciuta ai più, meriterebbe del sano e calmo tempo per essere scoperta.
Io ho avuto la fortuna di andarci due volta.
La prima da sola, in maniera frettolosa, che mi ha dato solo modo di percepire la sua lontananza da tutto (e siamo in Toscana).
La seconda, in un viaggio meraviglioso che mi ha aperto un mondo, grazie all'amica Annarita, Gargagnina verace.
Posso solo dire che mi è rimasto dentro il desiderio di ritornarci, in estate sicuramente, quando la sua natura selvaggia è al meglio e la luce consente di godere di ogni istante, scoprendo i segreti di quelle fitte foreste e invitandoci a camminare lungo i suoi sentieri con l'impressione di poter incontrare i folletti prima o poi.
Di questa terra ho scoperto anche un dolce che decisamente le assomiglia.
Rustico, semplice ma accattivante nel profumo e nella capacità di assorbire i liquidi, come la Garfagnana ha il potere di tirarti a sé e non lasciarti andare una volta che la conosci.
La ricetta è della Gosetti della Salda, alla quale mi sono permessa di aggiungere i semi di anice schiacciati, per meglio apprezzarne l'aroma, perché sono presenti nella maggior parte delle versioni che ho trovato.
E' un dolce straordinario, che sa di antico e che si conserva morbido a lungo ben coperto con pellicola (tende a seccare se lasciato all'aria).
Piacerà a tutti gli amanti delle torte semplici, non troppo dolci, intensamente aromatiche e che vicino alla fettina vogliono sempre trovare un bicchierino di vino dolce.
Oggi, per il Calendario del Cibo Italiano,  si celebra la Giornata Nazionale dei Dolci da Credenza.
Amo in maniera sviscerata la definizione "torta da credenza", perché è come pronunciare una formula magica che ti riporta indietro nel tempo.
La"credenza" ce l'avevano le nostre nonne ed insieme alla madia, era il mobile più importante della casa, perché al suo interno vi si custodivano delizie e oggetti preziosi da tirare fuori nei momenti di festa.
Nella credenza però, non potevano venire conservate torte e dolci cremosi, per cui capiamo tutti il genere di preparazione che celebriamo oggi.
La torta Garfagnina della credenza ne è un simbolo perfetto.
E se vorrete cercare altre torte del genere, in questo blog ce n'è un'intera sezione: TORTE DA CREDENZA 
Vi invito a fare un giro sul sito del Calendario perché oggi troverete delle ricette bellissime e la pagina FB omonima, raccoglierà decine di contributi che vi ispireranno sicuramente.

Ingredienti per uno stampo da 22/24 cm di diametro
500 g di farina 00
200 g di zucchero semolato
175 g di burro fuso e intiepidito
150 ml di latte
3 uova grandi
50 g di farina di mandorle (+ 5 g di armelline tritate)
1 cucchiaino di semi di anice schiacciati
la scorza di un limone non trattato
8 g di bicarbonato di sodio
15 g di cremor tartaro
40 g di liquore (io Aurum al profumo di arancia)

  • Sciogliete il burro a bagno maria e lasciatelo raffreddare.
  • Nella ciotola dell'impastatrice (ma potrete farlo anche a mano in una semplice ciotola armati di cucchiaio di legno, mettete le farine setacciate, lo zucchero i semi di anice, la scorza del limone. Fate una fontana e aggiungete le uova con il burro sciolto ed il liquore.
  • Impastate rapidamente per ottenere un composto omogeneo
  • Preparate la tortiera foderata di carta da forno quindi intiepidite il latte e versatelo in una ciotolina in cui avrete miscelato bicarbonato e cremor tartaro. I due elementi a contatto con il latte si gonfieranno in un composto schiumoso che verserete velocemente nella ciotola dell'impasto e mescolerete con cura per amalgamare. 
  • Versate il tutto nella tortiera e fate cuocere a forno preriscaldato a 160° per c.ca 1h10. Fate comunque la prova stecchino. 
  • Fate intiepidire su una gratella quindi sformatela e servitela a temperatura ambiente con dell'ottimo vino liquoroso (o consumatela a colazione inzuppata nel latte...perfetta!).


venerdì 20 novembre 2015

Mes-ciuà: un piatto che celebra la diversità meravigliosa.

Let's stay together - Tuck & Patty 
L’Autunno arriva sulle nostre tavole come una sorta di malinconica nostalgia.
Ha i profumi della terra, del bosco, della prima pioggia sulla terra secca e ci costringe a ricercare la casa come viaggiatori in cerca di un rifugio.
Però l’Autunno è anche il momento più amato da chi il cibo lo celebra con passione: è l’arrivo dell’olio nuovo, del vino novello, del tartufo e dei funghi; è il ritorno della carne in tavola, dal sacrificio del maiale all’abbondanza della selvaggina.
Finalmente è il momento delle zuppe: calde, dense, confortanti. 
E’ la celebrazione del cece, dei fagioli, dei legumi e cereali nella loro pienezza e semplicità. 
Per me è l'occasione per ritornare al rito dell'ammollo: la sera, all'ora di cena, riempire una grande ciotola d'acqua con un pizzico di sale e lasciare questi semi della terra rinvenire nell'elemento più prezioso. 
Attendere che siano pronti al secondo passaggio, quello della bollitura, grazie alla quale manifesteranno in pieno il loro straordinario sapore e consistenza. 
La Mes-ciuà, che in italiano significa semplicemente "mescolanza", fa capire immediatamente di cosa stiamo parlando: l'insieme di molti legumi e cereali diversi che finiscono per essere serviti tutti insieme previa cottura separata. 
L'origine di questo piatto pare sia Tosco-Ligure, esattamente dell'area al confine fra le due regioni (Lunigiana e La Spezia) e secondo quanto si narra, pare che nasca dalla parsimonia delle donne che si prodigavano a raccogliere quanto perso o versato dai sacchi che dalla campagna venivano poi imbarcati sulle navi per il trasporto in altre destinazioni. 
La cosa interessante è notare come anche in altre aree si possano trovare preparazioni che prevedono questa mistura di diversi semi: pensiamo alla Mescola Garfagnina (per altro poco lontano dalle zone di origine della mes-ciuà, oppure alla Capriata lucana che al suo interno vede anche fave secche e cicerchia. 
Il principio è esattamente lo stesso: non si butta via niente. 
Radunano i piccoli avanzi di cereali, si mischia tutto insieme e si mangia con grande soddisfazione. 
Voglio considerare la Mes-ciuà un piatto di grande potenza simbolica: tante diverse tipologie di legumi e cereali che convivono in una stessa preparazione in perfetta armonia, portando come unico risultato una bontà innegabile. 
Ingredienti per 4/6 persone
250 g di facioli cannellini
100 g di grano/frumento
250 g di ceci piccoli
2 foglie di alloro
1 piccola cipolla
2 foglie di salvia
olio extra vergine d’oliva Riviera Ligure Dop
Sale
Pepe nero macinato fresco
Mettete in ammollo i cannellini, i ceci ed il grano in ciotole diverse, per almeno 12 ore.
L’indomani sciacquate bene i legumi ed il grano che avrà perso parte della pellicina.
Mettete i ceci ed il grano insieme in una larga casseruola e copriteli con almeno 3 dita acqua fredda. Aggiungete le foglie di alloro.
Fate lo stesso con i cannellini in una casseruola a parte. 
Aggiungete la piccola cipolla pulita ed intera, e le foglie di salvia.
I ceci ed il grano hanno più o meno lo stesso tempo di cottura che si aggira intorno alle 2 ore, mentre i cannellini cuociono più velocemente.
Contate il tempo di cottura dal momento dell’ebollizione dell’acqua.
Via via che i legumi cuociono, eliminate la schiuma che si formerà usando una schiumarola.
Quando non faranno più schiuma, aggiungete il sale e proseguite la cottura sempre a fiamma dolce.
Assaggiate per verificare il grado di cottura. Il grano avrà sempre una consistenza piuttosto croccante anche quando ben cotto.
Quando gli ingredienti saranno cotti, scolate i ceci ed il grano, eliminate le foglie di alloro ed aggiungete legumi ai fagioli.
Mescolate con delicatezza con un cucchiaio di legno e fate cuocere per altri 20 minuti in maniera che i sapori si amalgamino.
Servite in scodelle con abbondante olio extravergine ed una generosa manciata di pepe nero. 
Profumate con rametti di rosmarino.

lunedì 17 novembre 2014

La Garfagnana ed il suo Farro: un binomio inossidabile

Born to be wild - Steppenwolf
I luoghi della Garfagnana hanno dei nomi che sembrano usciti da un racconto di Tolkien: Isola Santa, Fosciandora, Orrido di Botri, Verrucolette, Gorfigliano, Grotta del Vento....
In effetti, addentrandosi in quel territorio via via più intricato e misterioso, si potrebbe sperare pure di incontrare qualche esserino magico, un folletto, una fata o forse uno strego.
Parlare di Garfagnana senza esserci mai stata non è un gioco.
Ed ecco perché stimolata da Vetrina Toscana, ho deciso di prendere e partire.
Da Siena non è certo un grande viaggio, ma un po' lo è.
Mi sono sentita un'esploratrice solitaria piena di emozione.
Non una guida, un amico ad indicarmi la strada.
Ho deciso che avrei seguito lui, il Serchio, come Dante a suo tempo seguì Virgilio, in un viaggio molto più impegnativo.
Il fiume traccia la via e limita con il suo corso, un territorio che si spinge fino alle Alpi Apuane e l'Appennino Tosco Emiliano confinando con le provincie di Modena e Reggio Emilia.
Una vallata ampia e lunga circondata da rilievi boscosissimi e ricchi di sorprese.
L'errore che spesso si compie parlando di Garfagnana, è includerci Borgo a Mozzano e Barga che invece sono bellissimi borghi di Media Valle (del Serchio).
La Garfagnana, come mi ha insegnato la mia amica Annarita garfagnina doc, comincia ufficialmente a Gallicano: mai affermare che Barga è in Garfagnana perché i Bargagini se la prendono assai.
Uscita a Capannori, ho preso la direzione per Borgo a Mozzano e da quel momento ho tenuto il fiume alla mia destra.
Mi ha seguito tranquillo, a volte inoltrandosi in macchie fitte e scomparendo al mio sguardo, altre calmandosi nei pressi di un ponte o di una polla.
Sarò romantica, ma trovo l'autunno il momento perfetto per visitare qualsiasi luogo, anche solo fosse per la mancanza di turisti (fortuna che sono un'agente di viaggio!).
Ci si sente privilegiati dalla solitudine, dal silenzio, dal ritmo lento della vita locale che adesso non sta più in vetrina, cercando di stupire ed attirare l'attenzione del passante.
Adesso i borghi sono caduti in una sorta di pre-letargo.
Lungo le strade c'è giusto qualche signora con la sporta della spesa e qualche anziano che passeggia con il giornale sotto braccio.
Mi lascio alle spalle Borgo a Mozzano, col suo Ponte del Diavolo e gli alberi di camelie ancora in fiore e proseguo verso la mia destinazione, decisa però a fermarmi a Barga, uno dei borghi più belli d'Italia,  situato in alto, sulla sponda sinistra del fiume.
Cammino in un paese deserto, angoli e scorci incantevoli e mi fermo all'ufficio del turismo a chiedere se c'è un punto panoramico da cui possa fare qualche scatto: "ma al Duomo ovviamente", mi risponde la responsabile guardandomi come uno che abbia appena detto un'eresia.
Così mi arrampico come una capra di montagna su su fino al Duomo (arrampicarsi è la parola giusta).
Arrivo con la vista annebbiata ed il fiato corto ma è proprio qui che ho il primo momento estatico.
Mi affaccio al muretto del piazzale con il bianco e imponente Duomo alle spalle.
Corro con lo sguardo lungo un mare di verde intricato e scuro, interrotto qua e la da sprazzi gialli e rossi e so per certo, che là in fondo dove si alza la nebbia, ci sono le Alpi Apuane che oggi non posso distinguere.
Cerco il fiume, la mia guida. L'ho perso, non c'è.
Nel silenzio avvolgente, lo ascolto ridere più in basso. Scorre e mi aspetta per proseguire.
Arrivo a Castelnuovo Garfagnana.
Un sole inaspettato mi accoglie come se fossi giunta a destinazione.
E' l'ora di pranzo e la cittadina è deserta. Qualche bimbo che torna da scuola, negozi chiusi, un perfetto silenzio rotto soltanto dal rumore dell'acqua che scorre.
Castelnuovo è il centro della Garfagnana e da qui verso nord, su entrambi i versanti appenninico ed apuano, si trovano i luoghi più incantevoli di questo territorio, che raccontano di una storia antichissima e complicata.
Ludovico Ariosto definì Castelnuovo "terra di lupi e di briganti", ispirato evidentemente più dal fascino misterioso e selvaggio del territorio che dalla realtà.
Ma i ritmi della vita in questa valle, sono quelli lenti e saggi della natura e spesso la storia di un posto ce la racconta proprio la sua cucina.
Il privilegio di una posizione geografica non facilissima e limitatamente chiusa,  è quello di poter conservare inalterate nel tempo ricette ed usanze popolari e la Garfagnana è sovrana in questo.
Piatti dai nomi buffi, musicali come i matuffi (gnocchi di farina gialla conditi con abbondante sugo di agnello o funghi o manzo), i manifregoli (il piatto dei cavatori e boscaioli - una polentina di farina di castagne poco salata), gli strappati (tipo di maltagliati di pasta all'uovo conditi con sugo e parmigiano), i frascadei (una farinata di polenta in cui vengono aggiunte verdure e legumi), i necci (focaccine di farina di castagne presenti in altre zone montane come la Lunigiana ed il Mugello), ecc. sono quanto ancora si prepara in casa da queste parti.
Per gentile concessione di S.A. Immagini
Ma come spesso succede quando un territorio è legato a doppio filo ad un prodotto, la Garfagnana non può prescindere dal Farro.
Anzi, per me la Garfagnana è il Farro.
Mi affascina fortemente l'idea che un territorio antico come questo sia custode di una coltura ancora più antica. Il Farro infatti, è il patriarca di ogni graminacea, l'antenato del nostro frumento e dei grani oggi utilizzati.
Si hanno documenti della sua coltivazione fin dal 7000 a.C. in Siria, Mesopotamia ed in gran parte del bacino del Mediterraneo. Nell'antica Roma costituiva il rancio dei soldati.
Soltanto con l'avvento del grano duro, questo nobile e sano cereale ha subito un momento di crisi.
Per gentile concessione di S.A. Immagini
Crisi che non ha mai conosciuto in questo territorio, dove il Farro è stato coltivato senza interruzione per millenni ed ha quindi mantenuto inalterate le caratteristiche del Triticum Dicoccum delle origini, rendendolo unico e distinguibile dal Farro coltivato in altre aree.
Tutt'oggi questo cereale viene raccolto e brillato in antichi mulini a pietra presenti in molti paesi della Garfagnana.
Nel 1996 il Farro della Garfagnana ha ricevuto la denominazione IGP dall'Unione Europea.
I requisiti fondamentali per la produzione di questo prezioso cereale sono proprio legati al territorio: deve essere seminato su terreni poveri di elementi nutritivi, tra i 300 ed i 1000 metri di altitudine s.l.m. in periodo autunnale.
Successivamente cresce rigoglioso senza l'aiuto di elementi chimici.
Il Farro della Garfagnana è una pianta rustica e forte che nel tempo ha sviluppato la capacità di resistere alle difficoltà sia climatiche che parassitarie e si può, a ragione, considerare un prodotto biologico.
La raccolta avviene d'estate.
La granella di farro, staccata dalle piccole spighe, deve essere privata dalle pellicine che rivestono il chicco, vale a dire in termini tecnici deve essere "brillata".
Il prodotto che compriamo noi è infatti Farro brillato, pronto ad essere cucinato senza difficoltà.
Ho voluto preparare due ricette con questo cereale, entrambe legate alla stagione autunnale.
Una creativa e dall'aspetto diciamo "raffinato" ed una terrena, rustica e molto vicina alla tradizione ma anche al mio modo di "sentire" il Farro, che resta in ogni caso un prodotto buono, nella sua piena accezione del termine.
Buono perché sano, benefico per il nostro organismo in quanto ricchissimo di fibre, leggero e digeribile. Interessante perché assolutamente versatile in cucina ed adatto a piatti per tutte le stagioni.
MINI PIE DI FARRO CON ZUCCA, PORCINI E SALSICCIA DI CINTA
Ingredienti per 4 tortini
Per la frolla salata
200 g di farina di farro
125 g di burro freddo
20 g di parmigiano grattugiato
1 uovo medio sbattuto
Per il ripieno 
200 g di zucca gialla a polpa soda, privata della buccia
100 g di porcini freschi
2 salsiccie fresche di Cinta senese
150 g di Farro IGP della Garfagnana
2 spicchi d'aglio
un rametto di rosmarino
Olio Extravergine di Lucca Dop
2 uova medie + 1 tuorlo
70 ml di panna fresca
40 g di parmigiano grattugiato
un rametto di timo
sale - pepe nero macinato fresco.
Preparate la frolla mettendo la farina in un mixer con le lame, insieme al burro freddo a cubetti ed il parmigiano.
Frullate con il pulse ed aggiungete l'uovo quando la farina avrà una consistenza briciolosa.
Interrompete non appena la pasta comincerà a stare insieme formando una palla.
Raccogliete l'impasto, avvolgetelo nella pellicola trasparente. Schiacciatelo appena e mettete in frigo per almeno 30 minuti.
Preparate il ripieno.
Sciacquate e cuocete il farro per 20 minuti in acqua bollente salata. Scolate e fate raffreddare.
Tagliate la zucca a dadini.
Fate scaldare due cucchiai di extravergine con uno spicchio d'aglio ed un ramo di rosmarino. Aggiungete la zucca e fatela cuocere nell'olio profumato, aggiungendo qualche cucchiaio d'acqua via via per ammorbidirla e non farla bruciare. Cuocete a fiamma media per c.ca 6/7 minuti.
Aggiustate di sale e mettete da parte per fare raffreddare.
Pulite i porcini privandoli delle radici e con un panno eliminate eventuali residui di terriccio dal cappello  e dal gambo quindi tagliateli a dadi non troppo piccoli.
Cuoceteli in una larga padella a fuoco medio, con uno spicchio d'aglio ed olio extravergine mescolandoli via via che rilasciano l'acqua. Salate solo in fondo ed aggiungete un trito di prezzemolo a fine cottura. Tenete da parte e fate raffreddare.
Private le salsicce della pelle, sbriciolatele e cuocetele nella stessa padella in cui avrete cotto i porcini. Non aggiungete grassi e fatele cuocere fino a che la polpa non sarà bella rosolata ed i grassi si saranno sciolti. Togliete le briciole di salsiccia dalla padella e mettetele su carta assorbente. Fatele raffreddare.
Imburrate ed infarinate 4 pirottini da soufflé e metteteli in frigo.
Stendete la frolla salata su una spianatoia infarinata e tiratela ad uno spessore di 3/4 mm.
Foderate gli stampi freddi facendo in modo che la pasta sbordi un poco quindi cominciate a farcirli con uno strato di farro, porcini, zucca e salsiccia continuando così fino al bordo.
In una ciotola sbattete due uova con la panna, il parmigiano, le foglioline di timo, il pepe macinato fresco ed il sale, quindi versate piano sul ripieno, muovendo i pirottini via via per fare in modo che la crema scenda all'interno.
Preparate i coperchi, stendendo nuovamente la frolla e tagliandola con dei coppapasta dello stesso diametro degli stampi. Al centro fate un buchino di un cm di diametro.
Sistemate il coperchio sugli stampi e sigillate bene pressando con le dita.
Eliminate la pasta in eccesso con un coltellino e spennellate con il tuorlo sbattuto.
Preparate dei piccoli camini di carta da forno ed infilateli nel foro centrale quindi mettete in forno preriscaldato a 180° e cuocete per 30/35 minuti, fino a che le pie non saranno ben dorate.
Fate raffreddare 5 minuti, giusto il tempo per sformarle e servite ancora calde.
ZUPPA DI FARRO E CAVOLO NERO
Ingredienti per 4 persone
300 g di Farro perlato IGP della Garfagnana
300 g di fagioli cannellini (peso da cotti)
1 cespo di cavolo nero grande
1 carota
1 gamba di sedano
1 cipolla rossa di certaldo
3 cucchiai di passata di pomodoro
2 rametti di rosmarino
2 foglie di salvia
Olio extravergine Lucca Dop
Sale - peperoncino a piacere
Mettete a bagno i fagioli la notte precedente.
Cuoceteli nella loro acqua con un rametto di rosmarino ed un pizzico di sale e cuoceteli fino a quando non saranno morbidi ma in forma. Aggiungete acqua via via se necessario.
Togliete metà dei fagioli e l'altra frullatela nella loro acqua per ottenere un brodo.
Fate un trito grossolano con cipolla, carota e sedano.
Fateli passire in 3 cucchiai di olio extravergine molto dolcemente insieme al rosmarino e salvia tritati, quindi quando saranno morbidi (una decina di minuti), aggiungete la passata di pomodoro e fate insaporire per altri 5 minuti.
Quando il fondo sarà pronto, aggiungete il farro precedentemente sciacquato e fatelo brillare per qualche istante, quindi aggiungete il cavolo nero, privato della costa centrale e tagliato a julienne sottile.
Mescolate bene e coprite con il brodo di cannellini.
Proseguite la cottura a fiamma dolce, aggiungendo via via il brodo, per almeno un'ora.
Dopo questo tempo, aggiungete i fagioli e proseguite la cottura per un'altra ventina di minuti.
Se la zuppa dovesse risultare troppo densa, aggiungete del brodo vegetale.
Servite ben calda, accompagnata da crostini di pane, profumata da un generoso filo di extravergine Lucca Dop e del peperoncino se vi piace.

Prodotto fornito da Vetrina Toscana: ristoranti, botteghe ed eventi gastronomici in Toscana


mercoledì 23 ottobre 2013

Mescola Garfagnina e l'affascinante storia di un grano.

The fool on the Hill - The Beatles 
Una cara amica, che ultimamente mi ha accusata di portare pioggia e tempesta dove passo, tranne poi trovarsi a dover guadare una strada vicinale a bordo di un trattore laddove io non ero presente (a questo punto bisognerebbe farsi venire dei dubbi su chi è l'uomo della pioggia!), mi ha gentilmente trascinata in un tunnel dal quale sarà ben difficile uscire: il tunnel dei grani antichi! E con me ha trascinato questa folla di entusiaste! 
La curiosità si è accesa questa estate durante l'evento Siena & Stars, grazie al famoso Grano Verna di cui ho parlato ampiamente qui.
Ma grazie a questa amica misteriosa e ad un uomo che del grano e dell'amore per la sua terra, ne ha fatto praticamente il suo mestiere, ho avuto l'onore di entrare a far parte di un progetto molto bello dal nome che è tutto un programma: Mangiare Matera.
Questa realtà commerciale ha anche e soprattutto lo scopo di valorizzare prodotti di grandissimo pregio (dalle farine, al grano, al pane meraviglioso e la pasta che non può mancare, ma anche alla pasticceria da "credenza") attraverso il forte legame con un territorio ancora non conosciuto nella sua completezza, la Basilicata o Lucania che dir si voglia. 
In un prossimo post vi parlerò di un libro che dovrete leggere assolutamente, perché di una bellezza senza eguali e soprattutto una dichiarazione d'amore a questa terra che molti, a gravissimo torto, considerano abbandonata da Dio.

Spesso ci dimentichiamo che la natura è il più grande artista dell'universo ma che dove la natura non è arrivata, ci ha pensato la mano dell'uomo. 
Ed il genio italico, in questo, non è secondo a nessuno.
Purtroppo un piatto di pasta fatta a regola d'arte, ha la capacità di farci dimenticare l'immenso lavoro che rappresenta, fermandoci alla creatività ed alla tecnica di chi quella pasta l'ha preparata. Ma la pasta ha una storia e la sua storia è legata a quella del suo grano.
Qualche tempo fa, dopo aver ricevuto uno splendido campione di prodotti da Mangiare Matera, in cui trionfavano semola rimacinata, farina e grano Senatore Cappelli, oltre che un pane di semola da commozione, ho realizzato di non sapere praticamente nulla di questo grano.
Che esiste grazie agli studi ed all'incessante lavoro di un genetista, Nazareno Strampelli, sconosciuto ai più, che agli inizi del '900 cominciò a lavorare sul miglioramento genetico del grano tenero. 
A questo proposito vi invito a leggere questo splendido articolo di Dario Bressanini che percorre i momenti salienti della vita di Strampelli e di come ottenne il grano Senatore Cappelli. 
Il nome di questo grano, che oggi è sinonimo di altissima qualità e prestigio, fu dedicato al deputato del regno d'Italia Raffaele Cappelli, che consentì al genetista di utilizzare i propri terreni in Puglia per semine sperimentali. 
Fu proprio sui campi di Cappelli che Nazareno Strampelli riuscì a perfezionare i suoi studi, stabilizzando l'incrocio di grani autoctoni con una varietà tunisina resistente e molto adattabile al clima italiano. 
Nel 1923 il grano che otterrà da questi tentativi, prenderà il nome di Senatore Cappelli (nel frattempo il deputato era diventato Senatore) e diventerà un successo senza precedenti fra i coltivatori e produttori italiani. 
Adesso, quando infilzerete con la vostra forchetta un bel piatto di pasta Senatore Cappelli, avrete probabilmente tutta un'altra gratitudine. 
Io personalmente, mi inchino al lavoro di Nazareno Strampelli. 

La prima ricetta che ho deciso di realizzare con i prodotti Mangiare Matera, è un piatto tradizionale della Garfagnana, quella zona a ridosso della Versilia e della provincia di Lucca, arroccata sui monti adiacenti le Alpi Apuane. 
Un'area splendida, in parte ancora selvaggia, dove si coltiva e si produce una grande quantità di farro.
Ho modificato la ricetta, eliminando il farro ed aggiungendo il grano Senatore Cappelli, ed ho ricavato questa minestra che ha un sapore fantastico e che, accompagnata da una porzione di verdure saltate, può essere considerata senza problemi, un piatto unico.
Facilissima, non richiede preparazioni lunghe, se non i tempi di cottura. Non avrete bisogno neanche dell'ammollo se userete varietà di legumi piccoli.

Ingredienti per 4/6 persone
500 g di misto legumi. Non comprate quelli già pronti, preparatelo voi con:
100 g di grano Senatore Cappelli (al posto del tradizionale farro).
100 g di ceci piccoli (io ho usato quelli di Navelli)
100 g di fagioli bianchi piccoli (cannellini o di Sorana o se li trovate, Zolfini)
100 g di lenticchie di Castelluccio
100 g di piselli secchi
1 cipolla
1 carota
2 coste di sedano
1 porro
1 piccola patata
1 spicchio d'aglio
3 o 4 foglie di salvia
un rametto di rosmarino
1 bicchiere di pomodori pelati o salsa di pomodoro
sale e pepe
peperoncino a piacere
Miscelate tutti i legumi e sciacquateli con cura.
Metteteli in una pentola capiente e copriteli con acqua fredda. Aggiungete la patata, la cipolla e la salvia. Fate cuocere a fiamma media.
In una padella antiaderente, fate soffriggere a fiamma dolcissima l'aglio ed io porro triati, la carota ed il sedano a tocchetti, la salvia ed il rosmarino.
Mescolate e fate in modo che le verdure cuociano lentamente senza bruciare. Quando saranno morbide, aggiungete la salsa di pomodoro e se necessario un mestolino di acqua. Aggiustate di sale e pepe, eliminate il rosmarino quindi aggiungete il tutto alla pentola della mescola. 
Continuate la cottura per c.ca 2 ore facendo sobbollire lievemente.
Quando i legumi saranno morbidi ma non sfatti, eliminate la patat e la cipolla, servite con un filo d'olio, una macinata di pepe fresco e del pane tostato. 


Da oggi e nei prossimi mesi, troverete spesso ricette con semola e grano Senatore Cappelli. 
Grazie a Mangiare Matera e a Giovanni Schiuma per questa stupenda opportunità!