Eternity - Robin Williams
La primavera è tempo di pulizia.
In casa, intorno e dentro di noi.
Pulizia in tutti i sensi ed in particolare dal superfluo o dall'eccessivo, decidete voi.
Sono appena rientrata da un week end all'insegna dello "stile di vita" come attenzione a noi stessi ed alla nostra salute, elemento che si tende a dimenticare o trascurare per tutto quel periodo in cui ci si sente eterni. Mai provata questa sensazione?
Io si.
Se non fosse per i dolori, per le malinconie, per il ritmo vitale improvvisamente rallentato, vi direi che mi ci sento ancora, ma non è così.
Siamo eterni ed imbattibili con l'energia dei nostri venti/trent'anni, con le tasche vuote ma la testa piena di idee, obbiettivi, sogni.
Siamo eterni ogni volta che ci innamoriamo e non solo di qualcuno, ma di qualcosa, di un luogo, di un progetto, una canzone, un quadro, una poesia.
Il nostro senso di eternità ci sostiene e ci fa fare cose mai credute possibili, dal capolavoro alla figura barbina, ma siamo eterni e ce ne dimentichiamo un attimo dopo.
Più ci scontriamo con il dolore, con la morte, più crediamo all'eternità, le siamo fedeli, ci rifugiamo in lei. Usciamo, corriamo, mangiamo, facciamo l'amore. Gridiamo alla morte: non ci fai paura perché noi, noi siamo eterni.
Mai, per un momento, ci abbandoniamo al compiacimento dell'idea della fine, perché siamo certi di essere immortali. Siamo giovani, belli, forti e immortali.
Poi qualcosa cambia. Non so dire quando e come, ma improvvisamente si comincia a contare alla rovescia. Si contano anni, persone che mancano, le cose non fatte, i luoghi mai visti.
Paradossalmente ogni mancanza non sembra così atroce se quando eri eterno hai messo da parte esperienze ed affetti. Ti dici solo che ci saranno altre storie a riempire quei buchi e va bene così.
Senti vibrare ancora quel senso di eternità negli occhi scuri di tua figlia, nel suo agile corpo di cavallina ribelle. Lo riconosci ed il cuore ti batte ancora forte.
Un giorno si smette di essere eterni ma non è poi così male.
Si assapora ogni cosa come se fosse l'ultima , si sceglie perché si vuole e non perché capita, si riesce anche a dire dei "no" che ci danno autostima.
Si diventa grandi, mortali e si smette di preoccuparsi della cellulite. :)
Ora, perchè si diventa mortali non vuol dire che si debba morire domani.
Magari se continuiamo a volerci bene, campiamo fino a cent'anni e qualche altra soddisfazione possiamo pure levarcela.
Le mie ultime analisi mi hanno riportato con i piedi per terra e sul fronte colesterolo and co., sono stata moooolto moooolto cattiva.
Da qui cominciamo a ragionare e comincerò a postare qualche piatto un pochino meno lussurioso ed un po' più morigerato, senza dimenticare che a me mangiare piace, ancor più di cucinare.
Una non ricetta per oggi, perché è talmente facile che non dovete far altro che lavare ed affettare due ingredienti vegetali, metterli su una placca da forno e lasciare cuocere il tempo sufficiente.
Un'insalata buona, ma buona, di quelle che piacciono tanto a me, con un sapore inedito e gustoso ed una parte croccante deliziosa composta da un mix di semi pieni di buone proprietà, principalmente Omega 3 che mantengono giovani e frizzantini.
Ho scoperto una linea di prodotti Bio nati in Toscana che mi ha lasciato a bocca aperta per la varietà e qualità delle proposte. Se volete saperne di più, andate a leggere cosa vi racconta Nuova Terra.
Qui di seguito la mia ricetta velocissima.
Ingredienti per 4 persone
4 finocchielle femmine non troppo grandi
2 pere abate IGP
250 g di feta
3 cucchiai di olio extra vergine
1 cucchiaino di aceto balsamico tradizionale.
3 cucchiai di Mix Omega (semi di girasole, semi di zucca, semi di lino) Nuova Terra
1 cucchiaio di semi di finocchio Nuova Terra
Sale - pepe a piacere
Lavate e affettate le finocchielle ottenendo dei ventagli non più spessi di 5 mm.
Lavate le pere con la buccia e tagliate a fette longitudinali alte 1 cm.
Disponete pere e finocchi su una placca coperta di carta da forno quindi miscelate l'olio, l'aceto balsamico ed il sale in una ciotolina e versatelo sulle verdure.
Spargete il mix omega sulle verdure con i semi di finocchio, che avrete parzialmente schiacciato con un mortaio.
Mettete in forno a 180° per 45 minuti fino a che i finocchi non saranno dorati e le pere cotte ma non sfatte.
Disponete le verdure in una insalatiera.
Sbriciolatevi sopra la feta e condite con un filo d'olio a crudo e se vi piace, aggiungete ancora il mix Omega per rifinire. Servite subito.
martedì 28 aprile 2015
mercoledì 22 aprile 2015
La fragola, la meringa, lo zuccotto. Storia di un Pan di Spagna per l'MTC
C'è tutto un mondo intorno - Matia Bazar
Ho avuto un'infanzia promiscua.
Essere la prima di una serie infinita di nipoti, ha fatto si che trascorressi l'infanzia rotolandomi con i miei cugini nella pozzolana, inseguendoli in mezzo a strade di quartiere, osservandoli fare a gara per la pipì più lunga e per il ginocchio più sbucciato (in quello vincevo sempre io).
Soprattutto ho partecipato ad un numero non ben definito di battesimi, compleanni, comunioni ecc ecc. Tutte feste gremitissime ed assolutamente "Italian way", con tavolate eterne e, fino alla fine degli anni '80, rigorosamente in casa.
Le braccia nerborute da sfoglina di mia nonna Emma, hanno lavorato indefesse fino a quando è riuscita a stare in piedi, poi il dopo non lo ricordo. O forse, semplicemente non sono state più le stesse.
Ad ogni festa, compleanni in particolare, lei: l'immancabile tortona alla panna grande come la ruota di un carro bestiame, così riccamente decorata: ciuffi, confetti, codette colorate, fiorellini di carta di zucchero e imprescindibili ciliegine candite.
Bella eh...ma bella da strabuzzare gli occhi e quanta pazienza, quanto lavoro nonna mia.
Almeno tre strati di pan di spagna sofficissimo, bagnato rigorosamente con l'"alchermusse" come lo chiamava lei, farciti con crema e cioccolata così dense che il cucchiaino restava in piedi da solo.
Ogni volta la stessa reazione: "Signore fammi avere la fetta più grande!"
Eppure, dopo il primo boccone ero subito stufa.
A distanza di tanti anni ancora non ho capito cosa non amassi di quelle torte perché il sapore era effettivamente buonissimo.
Forse, in una parola sola erano "troppo": troppo pannose, troppo farcite, troppo dolci, troppo bagnate. Insomma, per il palato di una bambina golosa già dal primo giorno di vita, erano troppo di tutto.
Ecco perché a mia figlia non ho mai preparato una torta con pan di Spagna. Mi sono cimentata in qualsiasi cosa e noto che anche lei in questo mi assomiglia: predilige la semplicità.
Il guanto di sfida lanciato da Caris per l'MTC di aprile è stato durissimo per me.
Questa base fondamentale per tante preparazioni di pasticceria è per me fra le più complesse, ancora di più di una pasta sfoglia. Infatti anche questa volta ho dovuto ricominciare da capo. L'ho fatta due volte perché con la prima ho fallito.
Nonostante la ricetta da lei proposta del maestro Iginio Massari sia da primo premio ed è praticamente riuscita a tutti. Io ho fatto splash.
Però poi ho ricominciato, perché sia mai che mi do' per vinta, ed ho fatto lo Zuccotto!
E' una vita che sogno di fare lo Zuccotto in questo blog, e perché non l'ho mai fatto?
Perché non so fare il pan di Spagna.
Perché ogni volta mi viene una montata meravigliosa, le uova triplicano, si gonfiano lievi fino al bordo della mia ciotola e poi arriva il bello. Quando devo aggiungere la farina, nonostante lo faccia piano piano, mescolando con estrema cautela, mi si formano i grumi.
E badate bene che io setaccio la farina 2 volte più quando la verso a pioggia direttamente dal setaccio. Cerco di non mescolarla più del dovuto ma arrivo in fondo che c'è sempre quella maledetta bolla in cui si insacca la farina e forma i grumi....grrrr. Ovviamente mi è successo anche stavolta.
Così ho buttato tutto ed ho ricominciato. Alla fine ho attenuto una base stupenda, morbidissima, con un'alveolatura fine e compatta ed ho portato in fondo la mia missione.
Però che stress ragazzi!
Lo Zuccotto è un dolce tipico Toscano che io ho completamente stravolto, mantenendo un unico ingrediente, a parte il guscio, ed è la ricotta.
Che ho però alleggerito con panna e meringa italiana ed ho trasformato in un semifreddo assolutamente primaverile, candido e minimal perché la fantasia in questa sfida mi ha lasciata a piedi.
Caris non volermene. Avrei voluto impegnarmi di più ma è già tanto se ti presento questo :D
ZUCCOTTO CON FRAGOLE RICOTTA E MERINGA ITALIANA.
Per il mio zuccotto, ho dimezzato la quantità che mi è bastata perfettamente per uno stampo semisferico di 20 cm di diametro. Ne è avanzato un pochino sterminato a colazione.
Ingredienti per il Pan di Spagna classico di Massari
300 g di uova a temperatura ambiente
200 g di zucchero finissimo tipo Zefiro
150 g di farina 00
50 g di fecola di patate
la scorza grattugiata di mezzo limone non trattato
1 pizzico di sale
Per la meringa italiana (tot. 600 g)
150 g di albumi
300 g di zucchero semolato
150 ml di acqua
1 cucchiaino di estratto naturale di vaniglia
Per il ripieno
200 g di ricotta freschissima
200 ml di panna fresca da montare
400 g di meringa italiana
250 g di fragole
50 g di gocce di cioccolata
i semi di una bacca di vaniglia
Per la finitura
200 g di meringa italiana
1 grande fragola
Scaldate il forno a 170/180°.
Mettete le uova nella ciotola della planetaria con lo zucchero e cominciate immediatamente a montare a velocità media (sul KA al 4) e montate per 15/18 minuti. Non lasciate lo zucchero a contatto con le uova per troppo tempo perché si creano dei grumi che difficilmente si scioglieranno mondandole.
Le uova triplicheranno il proprio volume in un composto gonfio, chiaro e leggerissimo.
Mentre le uova montano, miscelate le farine ed il sale setacciatele due volte.
Incorporate la farina in tre tempi, facendola cadere a neve.
Utilizzate una spatola di gomma e con grande delicatezza mescolate dall'alto al basso ma non troppo per non sviluppare il glutine. Questa secondo me è l'operazione più difficile dell'intero procedimento, perché con un composto così leggero e arioso, è facile che la farina non venga incorporata completamente, ma si formino delle "sacche" che poi danno origine a grumi in cottura.
La prima volta non sono rimasta soddisfatta e l'ho rifatto.
Versate l'impasto in uno stampo imburrato e foderato.
Io ho utilizzato uno stampo quadrato di 23 cm di lato perché è più facile ottenere delle strisce dalla larghezza giusta per il guscio di zuccotto.
Cuocete per 25/30 minuti, ma fate comunque la prova della cottura toccando la superficie con un dito. Se resta l'impronta, proseguite di altri 5 minuti e riprovate fino a che la superficie sarà resistente al tatto con effetto spugnoso.
Fate raffreddare una decina di minuti, quindi sformate e fate raffreddare su una gratella fino a che non sarà completamente freddo.
Ricavate dal pan di Spagna delle strisce alte 1 cm c.ca. tagliandole con un coltello lungo e affilatissimo.
Preparate il ripieno.
Per prima la meringa italiana, che è fondamentale affinché panna e ricotta non congelino durante il passaggio in freezer.
Lo zucchero della meringa evita la formazione di cristalli di ghiaccio nel ripieno e consente di ottenere un semifreddo cremoso.
La meringa italiana è una preparazione stupenda che adoro fare e che avete già incontrato qui e qui su questo blog. Ma ve la ricordo volentieri.
In una casseruola dal fondo spesso versate l'acqua e lo zucchero e l'estratto di vaniglia e portate a ebollizione.
Lo zucchero formerà uno sciroppo che dovrà raggiungere 121°.
Mentre portate lo zucchero a ebollizione, montate la meringa cercando di arrivare a 2/3 del montaggio al momento in cui lo zucchero raggiungerà i 121°. Se vedete che gli albumi sono già pronti quando lo sciroppo non è ancora a temperatura, interrompete il montaggio e riaccendetelo qualche istante prima che lo zucchero arrivi a 121°.
A questo punto versate in un colpo solo metà dello sciroppo negli albumi, aumentando al massimo la velocità della frusta. Fate andare per mezzo minuto, quindi versate a filo il resto dello sciroppo ed abbassate la velocità a 5 continuando fino a che la massa non diventerà leggermente tiepida.
Dovrete ottenere una bella meringa gonfia, compatta e lucida che non potrete trattenervi dall'assaggiare. Io l'adoro.
Trasferite la meringa in una ciotola di acciaio. Copritela con pellicola a contatto e passatela in frigo mentre preparate il resto.
Tagliate il pan di spagna a strisce come vedete in foto e foderateci lo stampo per zuccotto in maniera armoniosa partendo con una striscia lunga nel centro e proseguendo sui lati e riempiendo i tasselli vuoti tagliando le estremità sporgenti con un coltellino molto affilato.
Setacciate con cura la ricotta e versatela in una ciotola capiente.
Montate la panna a neve ferma.
Incorporate la panna e 400 g di meringa italiana. Miscelate bene con una spatola.
Cominciate a riempire lo zuccotto.
Spalmate uno strato di c.ca mezzo cm con il composto di meringa all'interno del guscio.
Lavate ed asciugate accuratamente le fragole e tagliatele in quarti.
Disponetele lungo le pareti del guscio come vedete in foto.
Versate metà della crema e cospargetela con le gocce di cioccolata.
Proseguite aggiungendo il resto della crema di meringa che raggiungerà c.ca 1 cm dal bordo superiore.
Quando avrete completato il "coperchio" con una mano e delicatamente, premete il tutto a compattare lo zuccotto. Coprite con pellicola e mettetelo in freezer. Il congelamento dovrebbe avvenire nel minor tempo possibile per evitare la formazione di cristalli di ghiaccio.
Tenete in freezer non meno di 3 ore ma anche tutta la notte.
Passato questo tempo, togliete lo zuccotto dal freezer e rovesciatelo su un piatto di portata.
Se è ben congelato, scivolerà fuori con estrema facilità.
E' sempre emozionante vedere la bella forma che prendono le vostre fette di pan di Spagna.
Adesso potete decorarlo come più vi piace.
Potete anche bagnarlo con la bagna preferita.
Io personalmente non ho usato bagne perché il pan di Spagna era molto molto morbido ed io in genere non le amo moltissimo.
Ho ricoperto lo zuccotto con la restante meringa italiana ed ho decorato la cima con un sac a poche usa e getta tagliato in diagonale ed una fragola aperta a ventaglio.
Con il cannello ho flambato appena i petali di meringa.
Una volta decorato attendete almeno 30 minuti prima di servire affinché il ripieno si ammorbidisca.
Con questa ricetta partecipo all'MTC di aprile con il Pan di Spagna di Caris.
Ho avuto un'infanzia promiscua.
Essere la prima di una serie infinita di nipoti, ha fatto si che trascorressi l'infanzia rotolandomi con i miei cugini nella pozzolana, inseguendoli in mezzo a strade di quartiere, osservandoli fare a gara per la pipì più lunga e per il ginocchio più sbucciato (in quello vincevo sempre io).
Soprattutto ho partecipato ad un numero non ben definito di battesimi, compleanni, comunioni ecc ecc. Tutte feste gremitissime ed assolutamente "Italian way", con tavolate eterne e, fino alla fine degli anni '80, rigorosamente in casa.
Le braccia nerborute da sfoglina di mia nonna Emma, hanno lavorato indefesse fino a quando è riuscita a stare in piedi, poi il dopo non lo ricordo. O forse, semplicemente non sono state più le stesse.
Ad ogni festa, compleanni in particolare, lei: l'immancabile tortona alla panna grande come la ruota di un carro bestiame, così riccamente decorata: ciuffi, confetti, codette colorate, fiorellini di carta di zucchero e imprescindibili ciliegine candite.
Bella eh...ma bella da strabuzzare gli occhi e quanta pazienza, quanto lavoro nonna mia.
Almeno tre strati di pan di spagna sofficissimo, bagnato rigorosamente con l'"alchermusse" come lo chiamava lei, farciti con crema e cioccolata così dense che il cucchiaino restava in piedi da solo.
Ogni volta la stessa reazione: "Signore fammi avere la fetta più grande!"
Eppure, dopo il primo boccone ero subito stufa.
A distanza di tanti anni ancora non ho capito cosa non amassi di quelle torte perché il sapore era effettivamente buonissimo.
Forse, in una parola sola erano "troppo": troppo pannose, troppo farcite, troppo dolci, troppo bagnate. Insomma, per il palato di una bambina golosa già dal primo giorno di vita, erano troppo di tutto.
Ecco perché a mia figlia non ho mai preparato una torta con pan di Spagna. Mi sono cimentata in qualsiasi cosa e noto che anche lei in questo mi assomiglia: predilige la semplicità.
Il guanto di sfida lanciato da Caris per l'MTC di aprile è stato durissimo per me.
Questa base fondamentale per tante preparazioni di pasticceria è per me fra le più complesse, ancora di più di una pasta sfoglia. Infatti anche questa volta ho dovuto ricominciare da capo. L'ho fatta due volte perché con la prima ho fallito.
Nonostante la ricetta da lei proposta del maestro Iginio Massari sia da primo premio ed è praticamente riuscita a tutti. Io ho fatto splash.
Però poi ho ricominciato, perché sia mai che mi do' per vinta, ed ho fatto lo Zuccotto!
E' una vita che sogno di fare lo Zuccotto in questo blog, e perché non l'ho mai fatto?
Perché non so fare il pan di Spagna.
Perché ogni volta mi viene una montata meravigliosa, le uova triplicano, si gonfiano lievi fino al bordo della mia ciotola e poi arriva il bello. Quando devo aggiungere la farina, nonostante lo faccia piano piano, mescolando con estrema cautela, mi si formano i grumi.
E badate bene che io setaccio la farina 2 volte più quando la verso a pioggia direttamente dal setaccio. Cerco di non mescolarla più del dovuto ma arrivo in fondo che c'è sempre quella maledetta bolla in cui si insacca la farina e forma i grumi....grrrr. Ovviamente mi è successo anche stavolta.
Così ho buttato tutto ed ho ricominciato. Alla fine ho attenuto una base stupenda, morbidissima, con un'alveolatura fine e compatta ed ho portato in fondo la mia missione.
Però che stress ragazzi!
Lo Zuccotto è un dolce tipico Toscano che io ho completamente stravolto, mantenendo un unico ingrediente, a parte il guscio, ed è la ricotta.
Che ho però alleggerito con panna e meringa italiana ed ho trasformato in un semifreddo assolutamente primaverile, candido e minimal perché la fantasia in questa sfida mi ha lasciata a piedi.
Caris non volermene. Avrei voluto impegnarmi di più ma è già tanto se ti presento questo :D
ZUCCOTTO CON FRAGOLE RICOTTA E MERINGA ITALIANA.
Per il mio zuccotto, ho dimezzato la quantità che mi è bastata perfettamente per uno stampo semisferico di 20 cm di diametro. Ne è avanzato un pochino sterminato a colazione.
Ingredienti per il Pan di Spagna classico di Massari
300 g di uova a temperatura ambiente
200 g di zucchero finissimo tipo Zefiro
150 g di farina 00
50 g di fecola di patate
la scorza grattugiata di mezzo limone non trattato
1 pizzico di sale
Per la meringa italiana (tot. 600 g)
150 g di albumi
300 g di zucchero semolato
150 ml di acqua
1 cucchiaino di estratto naturale di vaniglia
Per il ripieno
200 g di ricotta freschissima
200 ml di panna fresca da montare
400 g di meringa italiana
250 g di fragole
50 g di gocce di cioccolata
i semi di una bacca di vaniglia
Per la finitura
200 g di meringa italiana
1 grande fragola
Scaldate il forno a 170/180°.
Mettete le uova nella ciotola della planetaria con lo zucchero e cominciate immediatamente a montare a velocità media (sul KA al 4) e montate per 15/18 minuti. Non lasciate lo zucchero a contatto con le uova per troppo tempo perché si creano dei grumi che difficilmente si scioglieranno mondandole.
Le uova triplicheranno il proprio volume in un composto gonfio, chiaro e leggerissimo.
Mentre le uova montano, miscelate le farine ed il sale setacciatele due volte.
Incorporate la farina in tre tempi, facendola cadere a neve.
Utilizzate una spatola di gomma e con grande delicatezza mescolate dall'alto al basso ma non troppo per non sviluppare il glutine. Questa secondo me è l'operazione più difficile dell'intero procedimento, perché con un composto così leggero e arioso, è facile che la farina non venga incorporata completamente, ma si formino delle "sacche" che poi danno origine a grumi in cottura.
La prima volta non sono rimasta soddisfatta e l'ho rifatto.
Versate l'impasto in uno stampo imburrato e foderato.
Io ho utilizzato uno stampo quadrato di 23 cm di lato perché è più facile ottenere delle strisce dalla larghezza giusta per il guscio di zuccotto.
Cuocete per 25/30 minuti, ma fate comunque la prova della cottura toccando la superficie con un dito. Se resta l'impronta, proseguite di altri 5 minuti e riprovate fino a che la superficie sarà resistente al tatto con effetto spugnoso.
Fate raffreddare una decina di minuti, quindi sformate e fate raffreddare su una gratella fino a che non sarà completamente freddo.
Ricavate dal pan di Spagna delle strisce alte 1 cm c.ca. tagliandole con un coltello lungo e affilatissimo.
Preparate il ripieno.
Per prima la meringa italiana, che è fondamentale affinché panna e ricotta non congelino durante il passaggio in freezer.
Lo zucchero della meringa evita la formazione di cristalli di ghiaccio nel ripieno e consente di ottenere un semifreddo cremoso.
La meringa italiana è una preparazione stupenda che adoro fare e che avete già incontrato qui e qui su questo blog. Ma ve la ricordo volentieri.
In una casseruola dal fondo spesso versate l'acqua e lo zucchero e l'estratto di vaniglia e portate a ebollizione.
Lo zucchero formerà uno sciroppo che dovrà raggiungere 121°.
Mentre portate lo zucchero a ebollizione, montate la meringa cercando di arrivare a 2/3 del montaggio al momento in cui lo zucchero raggiungerà i 121°. Se vedete che gli albumi sono già pronti quando lo sciroppo non è ancora a temperatura, interrompete il montaggio e riaccendetelo qualche istante prima che lo zucchero arrivi a 121°.
A questo punto versate in un colpo solo metà dello sciroppo negli albumi, aumentando al massimo la velocità della frusta. Fate andare per mezzo minuto, quindi versate a filo il resto dello sciroppo ed abbassate la velocità a 5 continuando fino a che la massa non diventerà leggermente tiepida.
Dovrete ottenere una bella meringa gonfia, compatta e lucida che non potrete trattenervi dall'assaggiare. Io l'adoro.
Trasferite la meringa in una ciotola di acciaio. Copritela con pellicola a contatto e passatela in frigo mentre preparate il resto.
Tagliate il pan di spagna a strisce come vedete in foto e foderateci lo stampo per zuccotto in maniera armoniosa partendo con una striscia lunga nel centro e proseguendo sui lati e riempiendo i tasselli vuoti tagliando le estremità sporgenti con un coltellino molto affilato.
Setacciate con cura la ricotta e versatela in una ciotola capiente.
Montate la panna a neve ferma.
Incorporate la panna e 400 g di meringa italiana. Miscelate bene con una spatola.
Cominciate a riempire lo zuccotto.
Spalmate uno strato di c.ca mezzo cm con il composto di meringa all'interno del guscio.
Lavate ed asciugate accuratamente le fragole e tagliatele in quarti.
Disponetele lungo le pareti del guscio come vedete in foto.
Versate metà della crema e cospargetela con le gocce di cioccolata.
Proseguite aggiungendo il resto della crema di meringa che raggiungerà c.ca 1 cm dal bordo superiore.
Quando avrete completato il "coperchio" con una mano e delicatamente, premete il tutto a compattare lo zuccotto. Coprite con pellicola e mettetelo in freezer. Il congelamento dovrebbe avvenire nel minor tempo possibile per evitare la formazione di cristalli di ghiaccio.
Tenete in freezer non meno di 3 ore ma anche tutta la notte.
Passato questo tempo, togliete lo zuccotto dal freezer e rovesciatelo su un piatto di portata.
Se è ben congelato, scivolerà fuori con estrema facilità.
E' sempre emozionante vedere la bella forma che prendono le vostre fette di pan di Spagna.
Adesso potete decorarlo come più vi piace.
Potete anche bagnarlo con la bagna preferita.
Io personalmente non ho usato bagne perché il pan di Spagna era molto molto morbido ed io in genere non le amo moltissimo.
Ho ricoperto lo zuccotto con la restante meringa italiana ed ho decorato la cima con un sac a poche usa e getta tagliato in diagonale ed una fragola aperta a ventaglio.
Con il cannello ho flambato appena i petali di meringa.
Una volta decorato attendete almeno 30 minuti prima di servire affinché il ripieno si ammorbidisca.
Con questa ricetta partecipo all'MTC di aprile con il Pan di Spagna di Caris.
lunedì 20 aprile 2015
Pavlova alle fragole per lo Starbooks di aprile
Smoth - Santana
Non c'è dolce più primaverile di una candida Pavlova.
Le fragole sono il completamento perfetto per questa nuvola di panna e meringa ed il piacere comincia già dallo sguardo.
Questa ricetta è tratta dalla Baking Bible di Mary Berry e la troverete sullo Starbooks di oggi
Vi consiglio una lettura perché ci saranno delle sorprese.
A volte, l'apparenza inganna.
Buon lunedì!
Non c'è dolce più primaverile di una candida Pavlova.
Le fragole sono il completamento perfetto per questa nuvola di panna e meringa ed il piacere comincia già dallo sguardo.
Questa ricetta è tratta dalla Baking Bible di Mary Berry e la troverete sullo Starbooks di oggi
Vi consiglio una lettura perché ci saranno delle sorprese.
A volte, l'apparenza inganna.
Buon lunedì!
sabato 18 aprile 2015
B.WELL: un progetto per stare bene con gusto ad Abano Terme
Se è vero che sempre di più siamo quello che mangiamo e che gran parte dei nostri disturbi quotidiani piccoli e grandi hanno origine da un'alimentazione sbagliata, la nostra attenzione dovrebbe soffermarsi con maggiore senso critico di fronte a quello che mettiamo nel piatto.
Il problema di fondo è che spesso quando pronunciamo la parola dieta, un brivido gelato parte dalla noce del collo e scende in picchiata fino all'osso sacro.
L'umore di ognuno di fronte alla rinuncia o al cambiamento selettivo, improvvisamente crolla ed ogni sacrificio diventa ragione di lamentela e commiserazione.
Ma perché dieta deve essere uguale a sacrificio?
La sfida l'ha lanciata l'Hotel Terme Bristol Buja, richiedendo ad un equipe di esperti di alimentazione e chef di alta cucina, di creare una serie di menu "wellness" diretti ad esigenze diverse (ed i menu creati sono ben 14 per 56 ricette originali, tematiche e variegate) che non mortificassero il gusto e la vista, sensi fondamentali quando ci sediamo a tavola.
Il giorno 25 aprile avrò l'opportunità di osservare al lavoro questi chef sensibili all'argomento e partecipare a tavole rotonde sul tema "Sana alimentazione", insieme ad un gruppo selezionati di soci AIFB presso l'elegante Hotel Bristol Buja.
Il progetto che ha dato vita alla iniziativa si chiama B.WELL - EATING WELLNESS FOR A HEALTHY LIVING e gli attori principali di questa splendida iniziativa sono lo Chef Claudio Crivellaro, la nutrizionista Dr.ssa Maria Teresa Nardi ed il cardiologo Dr Gianfranco Buja.
L'evento è patrocinato dallo IOV di Padova e nel pomeriggio del 25 aprile, verrà tenuta un'interessante tavola rotonda dal titolo "Si fa presto a dire Sana Alimentazione" a cui chiunque può partecipare su prenotazione.
Se siete interessati a saperne di più, vi consiglio di leggere qui.
Personalmente non vedo l'ora di potervi raccontare l'esperienza che a mio avviso sarà profondamente formativa.
Vi lascio con alcune immagini dei piatti realizzati per l'occasione e dello splendido Hotel Bristol Buja.
giovedì 16 aprile 2015
72 ore in Irlanda: Connemara e Soda Bread
Il cielo d'Irlanda - F. Mannoia
Improvvisamente, quando ormai non ci speravo più, l'Irlanda è entrata nella mia vita.
Sono stata una bambina fantasiosa, un'adolescente sognante ed una ragazza innamorata delle fiabe e per molti anni (forse ancora adesso), ho avuto la certezza che la mia vita precedente mi avesse vista calpestare la terra irlandese.
Ridete pure, ma ho già parlato spesso in passato di come certe passioni abbiano dominato la mia vita e l'abbiano trascinata in direzioni inaspettate.
La passione per l'Irlanda è arrivata come un presentimento ai tempi del liceo ed è cresciuta nutrendosi di musica, letteratura, storia e più avanti dal desiderio di partire che è rimasto inevaso fino a qualche settimana fa. Sono stata talmente tanto coinvolta dai racconti di Yeats, dai romanzi della O'Brien e dalla musica dei Chieftains e U2 che qualche notte prima della maturità Bono Vox mi è apparso in sogno come la Madonna, dicendomi in perfetto inglese intervallato da gaelico, che sarebbe andato tutto bene.
Quando all'università mi iscrissi ad Erasmus, la destinazione fu Galway. Che poi non sia più partita è un'altra storia, ma già a quel tempo l'isola mi chiamava.
L'invito dell'Ente del Turismo Irlandese e della Cocktail è piombato come il più bel regalo un paio di settimane fa e fino alla partenza ho vissuto in una sorta di trance per l'emozione.
Quando in aeroporto, il giorno della partenza, ho visto che sul tabellone tutti i voli erano stati cancellati tranne quello per Dublino, l'ho preso come un segno indiscutibile che quello sarebbe stato il mio viaggio irlandese e sarebbe stato perfetto!
Il primo suono che ho riconosciuto svegliandomi senza ricordare dove fossi, è stato lo stridio dei gabbiani. Che mi ha immediatamente disorientato richiedendomi qualche istante per mettere insieme i pezzi. Quello che ricordo è stata l'immediata eccitazione della consapevolezza: sono qua, finalmente.
Alle spalle avevo solo il trasferimento da Dublino a Galway con la sosta al sito di Clonmacnoise, un sito monastico di struggente bellezza.
Arrivare all'imbrunire ha reso ancora più suggestiva la visita di questo luogo, silenzioso e denso di atmosfera: per secoli ha rappresentato un centro culturale e religioso molto importante. Nel Medioevo fu anche sede di una università ma con l'avvento di Cromwell nel XVII sec. fu devastato per suo ordine ed il suo declino fu definitivo.
Il pellegrinaggio di molti irlandesi in questo luogo magico è tutt'ora intenso. Qualcuno si impossessa segretamente di "zolle" della terra di Clonmacnoise per sistemarle intorno alla propria casa e chiamare la buona sorte, e non è difficile osservare la traccia di questi "passaggi" visitando il sito.
Galway è una cittadina colorata è allegra come d'altronde molti luoghi di questa isola, ed è l'accesso obbligato alla regione del Connemara ed alle isole Aran, che purtroppo non ho visitato stavolta.
Arrivare la sera della vittoria degli irlandesi contro la Scozia, nel torneo di Rugby 4 Nazioni, ha resto tutto più animato. Purtroppo il tempo per visitare Galway con la luce del sole non c'è stato, ma l'impressione è stata bella, di quelle che ti invitano a ritornare per scoprire di più.
La baia di Galway è però uno spettacolo che non va trascurato.
Chilometri di spiagge affacciate sull'oceano, sabbia e ciottoli dai colori cangianti, le nubi che si gettano nell'orizzonte e un cielo che sembra così vicino da poterlo toccare.
C'è sempre vento, ma il sabato mattina con sole o con la pioggia, decine di persone si riversano sul lungomare per correre e giocare con i propri bambini e cani.
Una tradizione vuole che se ti bagni i piedi nelle acque gelide della Baia, allunghi la tua vita di un giorno. Se ti tuffi, la tua vita si allungherà di tre giorni. E vi garantisco che c'è qualcuno che questa tradizione la prende in parola.
Sono tante le emozioni che ho provato e che ancora mi smuovono dentro al ricordo di questo viaggio, ma la giornata in Connemara è probabilmente quella che più porterò nel cuore.
Non so, forse perché è stato il primo vero giorno di viaggio, forse perché dopo una mattina brumosa e grigia, il sole ha messo da parte la timidezza e si è donato a noi in tutta la sua potenza, o forse per il racconto di un passato così sofferto e tragico di cui l'Isola porta ancora i segni e che così bene ci è stato raccontato dalla nostra guida Cecilia.
Fatto sta che senza vergogna, sento la gola che si stringe al pensiero della bellezza indomabile di questi luoghi.
Lasciando Galway si percorre la strada costiera R336 in direzione Maam Cross, addentrandoci nel Connemara national Park. Questa zona così particolare è lontana dall'immagine che ci si fa dell'Irlanda tutta verde e coperta di pascoli.
In realtà il Connemara e l'Irlanda dell'ovest sono stati i territori più colpiti dalla grave carestia delle patate che si abbatté sull'isola dal 1845 per 5 anni.
Adesso provate ad immaginare un paese che all'epoca contava c.ca 8 milioni di abitanti in grande aumento demografico, e che al termine di questa carestia, fra persone morte letteralmente di fame ed altre fuggite in America per non morire (cc.a 2 milioni), si ritrova con c.ca 2 milioni di sopravvissuti.
Le ragioni di questa tragedia furono molteplici, in primis l'occupazione inglese che sfruttava la produzione alimentare locale esportandola e lasciando agli irlandesi il minimo della sussistenza, tra cui ovviamente le patate, principale fonte di nutrimento.
Tutto questo territorio, per altro ingrato in quanto difficile da coltivare, è caratterizzato dalla presenza di estese "miniere" di torba, materiale organico preistorico che viene estratto e lasciato asciugare all'aria o in balle di plastica quindi utilizzato come combustibile. Quando il fungo della peronospora attaccò le coltivazioni, per questa gente non ci fu più nulla da fare.
Viaggiando si notano continui giacimenti di torba intervallati da laghetti, ruscelli e greggi di pecore a perdita d'occhio.
Immancabili, le "casette della carestia"(famine in inglese), che si possono incontrare in gran numero lungo la costa.
Spesso gli irlandesi che acquistano terreni in cui sorgono i ruderi di queste casette, costruiscono la propria dimora nelle vicinanze per mantenerne viva la memoria e per il rispetto di chi prima di loro, ha vissuto questa tragedia.
Lungo le strade tortuose del Connemara, i campi mostrano continue ferite nere a contrasto con improvvisi specchi d'acqua e colline brulle, aspre, selvagge.
Se si ha la fortuna di incontrare una giornata di sole, il colore e la bellezza di questi paesaggi di estrema rudezza è toccante ed unico.
Il nome Connemara deriva dal gaelico, e prende il nome da una tribù di nome Conne, unita alla parola Mara che in gaelico significa mare.
Per l'ora di pranzo, Lough Inagh ci ha accolto con questa luce e questi colori.
Potete bene immaginare la mia faccia e la sensazione di essere arrivata direttamente dentro un sogno.
Di fronte al laghetto si trova un lodge, Lodge Lough Inagh assolutamente delizioso, dove è possibile fermarsi per un light lunch, anche perché intorno non c'è assolutamente nulla per chilometri e la sosta vale davvero il viaggio.
Lasciando il lago in direzione Kylemore, si arriva in brevissimo tempo alla splendida Abbazia omonima. Questo stupendo monumento ha una storia molto romantica, come spesso hanno edifici dall'aspetto sognante. Mitchell Henry e la sua bellissima moglie Margaret trascorsero la luna di miele in un cottage a Kylemore vivendo giorni meravigliosi al punto che il marito decise di fare un regalo alla moglie tanto amata costruendogli il Castello di Kylemore ed i meravigliosi giardini.
Qui vissero anni stupendi, dando alla luce 9 bambini ma l'improvvisa morte della moglie tanto amata non fu mai superata da Mitchell, che decise di vendere il castello. Successivamente divenne un college per ragazze di buona famiglia ed oggi invece è un museo gestito oculatamente da monache.
Si percepisce un'atmosfera speciale e camminando fra i sentieri dell'enorme giardino, si ha come la sensazione che qui il tempo si sia irrimediabilmente fermato.
Le pecore di Aran, questo è il tipo autoctono che abbiamo incontrato mille e mille volte, non sono originarie delle Isole omonime come molti pensano, ma realmente irlandesi. Sull'isola di Aran veniva lavorata la lana dalle abili mani delle donne e successivamente venduta.
Quindi per comprare un capo con questo meraviglioso materiale, qualcora non possiate andare ad Aran, non avrete certo difficoltà a trovarlo girando per l'Isola.
Queste pecore sono molto particolari: zampe e muso nerissimi.
Da lontano sembrano quadrate, un po' come quelle dei cartoni animati, ed è stato divertente tentare di immortalarle dal bus o quando le abbiamo incontrate live, perché sono particolarmente sfuggenti e ritrose.
Altri animali che incontrerete durante il vostro pellegrinare in terra irlandese, sono le mucche ed i pony.
La tradizione vuole che se ne contate 13 (di pony - ma attenzione devono essere quelli irlandesi e non semplici cavalli) durante il giorno, sarete fortunati nei giorni a venire. Beh, io li ho contati tutti e 13!
Tornando a Galway da Kylemore, si percorre la N59 fino a Leenaun costeggiando il grande fiordo di Killary e si prosegue sulla 336 fino al delizioso paese di Maum An Mam. Proprio lungo questa strada si incontra il famoso ponticello del film "A quiet man" che fu costruito appositamente per il set ma che non è mai stato "smontato" a memoria del grande film. Dal pullman purtroppo non sono riuscita a fotografarlo ma potrete farlo voi se ci andrete.
Credo di averi tediato abbastanza, ma tornerò a parlare di Irlanda molto presto, con la seconda puntata del mio viaggio ed un nuova ricetta. Vi lascio però un pane profumato di burro che si fa in un baleno e che è proprio tradizionale di questa terra.
Buonissimo mangiato il giorno stesso, a me è rimasto morbido per 3 giorni avvolto in un panno di lino.
Improvvisamente, quando ormai non ci speravo più, l'Irlanda è entrata nella mia vita.
Sono stata una bambina fantasiosa, un'adolescente sognante ed una ragazza innamorata delle fiabe e per molti anni (forse ancora adesso), ho avuto la certezza che la mia vita precedente mi avesse vista calpestare la terra irlandese.
Ridete pure, ma ho già parlato spesso in passato di come certe passioni abbiano dominato la mia vita e l'abbiano trascinata in direzioni inaspettate.
La passione per l'Irlanda è arrivata come un presentimento ai tempi del liceo ed è cresciuta nutrendosi di musica, letteratura, storia e più avanti dal desiderio di partire che è rimasto inevaso fino a qualche settimana fa. Sono stata talmente tanto coinvolta dai racconti di Yeats, dai romanzi della O'Brien e dalla musica dei Chieftains e U2 che qualche notte prima della maturità Bono Vox mi è apparso in sogno come la Madonna, dicendomi in perfetto inglese intervallato da gaelico, che sarebbe andato tutto bene.
Quando all'università mi iscrissi ad Erasmus, la destinazione fu Galway. Che poi non sia più partita è un'altra storia, ma già a quel tempo l'isola mi chiamava.
L'invito dell'Ente del Turismo Irlandese e della Cocktail è piombato come il più bel regalo un paio di settimane fa e fino alla partenza ho vissuto in una sorta di trance per l'emozione.
Quando in aeroporto, il giorno della partenza, ho visto che sul tabellone tutti i voli erano stati cancellati tranne quello per Dublino, l'ho preso come un segno indiscutibile che quello sarebbe stato il mio viaggio irlandese e sarebbe stato perfetto!
Il primo suono che ho riconosciuto svegliandomi senza ricordare dove fossi, è stato lo stridio dei gabbiani. Che mi ha immediatamente disorientato richiedendomi qualche istante per mettere insieme i pezzi. Quello che ricordo è stata l'immediata eccitazione della consapevolezza: sono qua, finalmente.
Alle spalle avevo solo il trasferimento da Dublino a Galway con la sosta al sito di Clonmacnoise, un sito monastico di struggente bellezza.
Arrivare all'imbrunire ha reso ancora più suggestiva la visita di questo luogo, silenzioso e denso di atmosfera: per secoli ha rappresentato un centro culturale e religioso molto importante. Nel Medioevo fu anche sede di una università ma con l'avvento di Cromwell nel XVII sec. fu devastato per suo ordine ed il suo declino fu definitivo.
Il pellegrinaggio di molti irlandesi in questo luogo magico è tutt'ora intenso. Qualcuno si impossessa segretamente di "zolle" della terra di Clonmacnoise per sistemarle intorno alla propria casa e chiamare la buona sorte, e non è difficile osservare la traccia di questi "passaggi" visitando il sito.
Galway è una cittadina colorata è allegra come d'altronde molti luoghi di questa isola, ed è l'accesso obbligato alla regione del Connemara ed alle isole Aran, che purtroppo non ho visitato stavolta.
Arrivare la sera della vittoria degli irlandesi contro la Scozia, nel torneo di Rugby 4 Nazioni, ha resto tutto più animato. Purtroppo il tempo per visitare Galway con la luce del sole non c'è stato, ma l'impressione è stata bella, di quelle che ti invitano a ritornare per scoprire di più.
La baia di Galway è però uno spettacolo che non va trascurato.
Chilometri di spiagge affacciate sull'oceano, sabbia e ciottoli dai colori cangianti, le nubi che si gettano nell'orizzonte e un cielo che sembra così vicino da poterlo toccare.
C'è sempre vento, ma il sabato mattina con sole o con la pioggia, decine di persone si riversano sul lungomare per correre e giocare con i propri bambini e cani.
Una tradizione vuole che se ti bagni i piedi nelle acque gelide della Baia, allunghi la tua vita di un giorno. Se ti tuffi, la tua vita si allungherà di tre giorni. E vi garantisco che c'è qualcuno che questa tradizione la prende in parola.
Sono tante le emozioni che ho provato e che ancora mi smuovono dentro al ricordo di questo viaggio, ma la giornata in Connemara è probabilmente quella che più porterò nel cuore.
Non so, forse perché è stato il primo vero giorno di viaggio, forse perché dopo una mattina brumosa e grigia, il sole ha messo da parte la timidezza e si è donato a noi in tutta la sua potenza, o forse per il racconto di un passato così sofferto e tragico di cui l'Isola porta ancora i segni e che così bene ci è stato raccontato dalla nostra guida Cecilia.
Fatto sta che senza vergogna, sento la gola che si stringe al pensiero della bellezza indomabile di questi luoghi.
Lasciando Galway si percorre la strada costiera R336 in direzione Maam Cross, addentrandoci nel Connemara national Park. Questa zona così particolare è lontana dall'immagine che ci si fa dell'Irlanda tutta verde e coperta di pascoli.
In realtà il Connemara e l'Irlanda dell'ovest sono stati i territori più colpiti dalla grave carestia delle patate che si abbatté sull'isola dal 1845 per 5 anni.
Adesso provate ad immaginare un paese che all'epoca contava c.ca 8 milioni di abitanti in grande aumento demografico, e che al termine di questa carestia, fra persone morte letteralmente di fame ed altre fuggite in America per non morire (cc.a 2 milioni), si ritrova con c.ca 2 milioni di sopravvissuti.
Le ragioni di questa tragedia furono molteplici, in primis l'occupazione inglese che sfruttava la produzione alimentare locale esportandola e lasciando agli irlandesi il minimo della sussistenza, tra cui ovviamente le patate, principale fonte di nutrimento.
Tutto questo territorio, per altro ingrato in quanto difficile da coltivare, è caratterizzato dalla presenza di estese "miniere" di torba, materiale organico preistorico che viene estratto e lasciato asciugare all'aria o in balle di plastica quindi utilizzato come combustibile. Quando il fungo della peronospora attaccò le coltivazioni, per questa gente non ci fu più nulla da fare.
Viaggiando si notano continui giacimenti di torba intervallati da laghetti, ruscelli e greggi di pecore a perdita d'occhio.
Immancabili, le "casette della carestia"(famine in inglese), che si possono incontrare in gran numero lungo la costa.
Spesso gli irlandesi che acquistano terreni in cui sorgono i ruderi di queste casette, costruiscono la propria dimora nelle vicinanze per mantenerne viva la memoria e per il rispetto di chi prima di loro, ha vissuto questa tragedia.
Se si ha la fortuna di incontrare una giornata di sole, il colore e la bellezza di questi paesaggi di estrema rudezza è toccante ed unico.
Il nome Connemara deriva dal gaelico, e prende il nome da una tribù di nome Conne, unita alla parola Mara che in gaelico significa mare.
Per l'ora di pranzo, Lough Inagh ci ha accolto con questa luce e questi colori.
Potete bene immaginare la mia faccia e la sensazione di essere arrivata direttamente dentro un sogno.
Di fronte al laghetto si trova un lodge, Lodge Lough Inagh assolutamente delizioso, dove è possibile fermarsi per un light lunch, anche perché intorno non c'è assolutamente nulla per chilometri e la sosta vale davvero il viaggio.
Lasciando il lago in direzione Kylemore, si arriva in brevissimo tempo alla splendida Abbazia omonima. Questo stupendo monumento ha una storia molto romantica, come spesso hanno edifici dall'aspetto sognante. Mitchell Henry e la sua bellissima moglie Margaret trascorsero la luna di miele in un cottage a Kylemore vivendo giorni meravigliosi al punto che il marito decise di fare un regalo alla moglie tanto amata costruendogli il Castello di Kylemore ed i meravigliosi giardini.
Qui vissero anni stupendi, dando alla luce 9 bambini ma l'improvvisa morte della moglie tanto amata non fu mai superata da Mitchell, che decise di vendere il castello. Successivamente divenne un college per ragazze di buona famiglia ed oggi invece è un museo gestito oculatamente da monache.
Si percepisce un'atmosfera speciale e camminando fra i sentieri dell'enorme giardino, si ha come la sensazione che qui il tempo si sia irrimediabilmente fermato.
Le pecore di Aran, questo è il tipo autoctono che abbiamo incontrato mille e mille volte, non sono originarie delle Isole omonime come molti pensano, ma realmente irlandesi. Sull'isola di Aran veniva lavorata la lana dalle abili mani delle donne e successivamente venduta.
Quindi per comprare un capo con questo meraviglioso materiale, qualcora non possiate andare ad Aran, non avrete certo difficoltà a trovarlo girando per l'Isola.
Queste pecore sono molto particolari: zampe e muso nerissimi.
Da lontano sembrano quadrate, un po' come quelle dei cartoni animati, ed è stato divertente tentare di immortalarle dal bus o quando le abbiamo incontrate live, perché sono particolarmente sfuggenti e ritrose.
Altri animali che incontrerete durante il vostro pellegrinare in terra irlandese, sono le mucche ed i pony.
La tradizione vuole che se ne contate 13 (di pony - ma attenzione devono essere quelli irlandesi e non semplici cavalli) durante il giorno, sarete fortunati nei giorni a venire. Beh, io li ho contati tutti e 13!
Tornando a Galway da Kylemore, si percorre la N59 fino a Leenaun costeggiando il grande fiordo di Killary e si prosegue sulla 336 fino al delizioso paese di Maum An Mam. Proprio lungo questa strada si incontra il famoso ponticello del film "A quiet man" che fu costruito appositamente per il set ma che non è mai stato "smontato" a memoria del grande film. Dal pullman purtroppo non sono riuscita a fotografarlo ma potrete farlo voi se ci andrete.
Credo di averi tediato abbastanza, ma tornerò a parlare di Irlanda molto presto, con la seconda puntata del mio viaggio ed un nuova ricetta. Vi lascio però un pane profumato di burro che si fa in un baleno e che è proprio tradizionale di questa terra.
Buonissimo mangiato il giorno stesso, a me è rimasto morbido per 3 giorni avvolto in un panno di lino.
Il Soda bread è un pane povero che si prepara in un attimo, non necessità di impasto e va fatto riposare 30 minuti prima di infornare.
L'agente lievitante è il bicarbonato di sodio che a contatto con il latticello (la parte sierosa che si separa dalla massa grassa quando viene prodotto il burro) ha una reazione chimica e provoca la lievitazione.
Si trova praticamente in tutte le case irlandesi proprio per la facilità con cui si può preparare.
L'impasto viene inciso profondamente con una croce per "fare uscire le fate", come dicono gli irlandesi.
Ho trovato questa motivazione così deliziosa che ho voluto immediatamente prepararlo e se vi dico che si fa in un attimo, credetemi.
Perfetto tostato con ottimo burro e marmellata o con burro salato e salmone irlandese!
Da una ricetta di Paul Hollywood - Bread
250 g di farina 0
250 g di farina integrale (io ho usato la mia farina Verna)
1 cucchiaino di bicarbonato di sodio
1 cucchiaino di sale
420 ml di latticello (si trova nei negozi bio ma si può fare anche in casa)
Setacciare entrambe le farine e metterle in una larga ciotola miscelandole.
Aggiungere il bicarbonato ed il sale e mescolare bene.
Fate un buco al centro ed aggiungete il latticello e mescolate con un cucchiaio di legno o con una mano per ottenere un impasto denso e appiccicoso.
Infarinate un piano di lavoro e buttateci sopra l'impasto. Rollatelo con delicatezza e richiudetelo su se stesso un paio di volte per far stare insieme il composto.
Con le mani a coppa fate ruotare l'impasto per ottenere una palla che metterete su una teglia coperta di carta da forno ben infarinata.
Con un coltello ben affilato fate delle profonde incisioni a croce per fare uscire le fate.
Non vi preoccupate se vi sembrerà che le parti si separino. Si ricongiungeranno di nuovo con la cottura e lievitazione.
Lasciate riposare l'impasto 30 minuti mentre scaldate il forno a 200°.
Cuocete il pane al centro del forno per 30/40 minuti, fino a quando la crosta non sarà marrone dorato e marrone pallido sui tagli.
Battete il pane nella parte inferiore e se suona a vuoto, vuol dire che è pronto.
Fate raffreddare su una griglia e servitelo come più vi piace.
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