Visualizzazione post con etichetta su di me.. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta su di me.. Mostra tutti i post

mercoledì 30 settembre 2015

Fusilli bucati con zucchine grigliate e salmone: la ragazza delle lettere

Titolo canzone
A volte parlando con mia figlia, ho l'impressione di essere stata adolescente un milione di anni fa.
Certo è che la tecnologia (e la velocità con cui evolve), non aiuta ad illudersi che 2 generazioni di differenza (quasi tre) non siano poi un'eternità.
Per ironia della sorte, l'asparagina ha da poco cominciato la scuola superiore.
La stessa che ho frequentato io ben 30 anni fa (gosh)!
La sede è la stessa: un vecchio e decadente palazzo storico del centro di Siena, che nasconde affreschi, soffitti a volta, stucchi e spioncini da cui si riesce a sbirciare all'interno del Museo dell'Opera Metropolitana.
E' probabilmente uno dei palazzi più antichi arroccato nel cuore del cuore stesso cittadino.
Solo adesso mi rendo conto che la mia vecchia scuola è un Museo mascherato da istituto scolastico.
A parte questa parentesi nostalgica, il sistema del liceo è completamente cambiato: laboratori attrezzati, LIM, aule tematiche.
Gli studenti non hanno più la propria aula ma la cambiano ad ogni ora come nel sistema anglosassone. L'idea mi piace talmente che se potessi tornerei a scuola immediatamente.
Mentre ascolto mia figlia raccontare le sue giornate, i professori, i gruppi di lavoro su "uozzap" (aperti dagli insegnati per il filo diretto con gli studenti), cerco di ricordare, non senza una certa fatica,  come facessi io alla sua età. Come facevamo?
Lo chiedo anche a voi perché oggi, se mi guardo indietro, mi sembra di essere una cariatide.
Come facevamo senza internet, e.mail, telefono?
Fare una ricerca significava andare in biblioteca o attaccarsi all'Enciclopedia che i nostri genitori compravano a rate, e che non poteva mancare in una casa...al solo pensiero di quei volumi elefantiaci, mi vien male.
Vaglielo a spiegare che se dovevamo acquistare un biglietto per un concerto, facevamo la fila per ore al negozio di articoli musicali e spesso ce ne tornavamo a casa a mani vuote.
Se avevamo un'emergenza, nel borsellino c'era sempre un gettone ed una cabina telefonica da conquistare.
Le amicizie e l'amore volavano su carta perché noi scrivevamo lettere.
No messaggini,  uozzappate o feisbuk.
Noi sceglievamo la carta, il colore della penna.
Ci perdevamo dietro al racconto di emozioni e nostalgie e nonostante l'urgenza di dire, di svelare, sapevamo aspettare il tempo di una risposta. Ogni volta che trovavi una lettera in cassetta era un evento e leggerla diventata un rito, perché ci si nascondeva: in camera, in giardino, in bagno a seconda di chi fosse il mittente. E poi c'erano le scatole in cui riporla, lontano dagli sguardi della famiglia.
Come faccio a spiegare a mia figlia quanto fosse bella l'attesa di una lettera o di qualsiasi altro momento agognato quando la realtà ha completamente distorto il valore del tempo (alias tutto e subito)?
Ma poi, era davvero meglio prima o sto diventando esattamente uguale a mia madre, che non ha mai smesso di ripetermi quanto sono stata fortunata perché ai suoi tempi non aveva nulla?
Oggi mi sento la testa bucata come questi fusilli!
In questo periodo, si possono ancora trovare ottime zucchine.
Io prediligo quelle tonde, sode e non troppo grandi.
Le affetto con cura allo spessore di 3/4 millimetri e con tanta pazienza le griglio sulla bistecchiera e le mangio aggiungendole praticamente a tutto: ad un bel pollo a bocconcini saltato in padella con olio e limone e glassato con un filo di miele; ci faccio un carpaccio con parmigiano, noci e un'emulsione di extravergine e vin cotto; le faccio diventare delle piccole mille foglie ripiene di fiordilatte e pesto di pomodori secchi....insomma sono la mia verdura preferita del momento.
Le zucchine grigliate sono finite anche in questa pasta, veloce veloce e molto saporita, che valorizza il salmone fresco (che non mangiamo mai abbastanza ma che è una riserva illimitata di Omega 3).
A noi è piaciuta un sacco!
Ingredienti per 4 persone
320 g di fusilli bucati
400 g di filetto di salmone fresco, privato di pelle e lische
1 zucchina tonda grande bella soda
4 cucchiaini di Pesto Rosa La Gallinara
mezzo bicchiere di vino bianco secco
una manciata di mandorle a lamelle
Olio extravergine
Sale - pepe nero macinato fresco
Lavate bene, private del picciolo ed affettate la zucchina tonda in rondelle dallo spesso di si 3/4  mm
Su una piastra ben calda, grigliatele su entrambi i lati per 3 /4 minuti per lato, fino a che non vedrete le caratteristiche strisce della grigliatura. Tenetele da parte.
In una larga padella antiaderente, versate un filo d'olio, fatelo scaldare e rosolatevi bene il salmone ridotto a dadi non troppo piccoli.
Quando i pezzetti saranno ben rosolati, alzate la fiamma al massimo e versate il vino. Fate sfumare, quindi salate e tenete in caldo
Intanto avrete messo a bollire abbondante acqua salata e starete cuocendo la pasta secondo le indicazioni previste dalla confezione.
In un saltapasta, vesate il pesto rosa e diluitelo con uno o due cucchiai di acqua di cottura.
Quando la pasta sarà cotta, versatela nel pesto e giratela a fiamma vivace, aggiungete il salmone e le zucchine tagliate a filetti non troppo piccoli e saltate velocemente il tutto.
Impiattate e rifinite con filetti di mandorle e pepe macinato fresco.
Servite immediatamente.


lunedì 28 settembre 2015

Latte alla portoghese: non chiamatelo crème caramel!

Titolo canzone
Questa ricetta ce l'ho lì da un po'.
Fa parte di quel piccolo archivio di ricette estorte con espressione pietosa ai diretti interessati.
Quelle stesse ricette che li rendono indimenticabili a chi ha avuto il piacere di assaggiarne il cavallo di battaglia e che normalmente non se ne priverebbero neanche sotto tortura.
Il "mi passi la ricetta?" non fa parte del mio modus operandi.
Lo trovo brutale e poco educato.
Se si vuole che il custode di un piatto meraviglioso vi dia le chiavi del paradiso, dovete blandirlo, adularlo, scrivere una ode al suo piatto con onestà di sentimento.
E nel finale, buttarvi sul melodrammatico, con l'occhio lucido e la voce rotta.
Io ho affinato la tecnica e garantisco il risultato.
Il latte alla portoghese l'ho estorto con la stessa modalità alla Nella poco tempo fa.
Mi ci è voluta una vita ma adesso è mia (e di conseguenza anche vostra).
Il mio primo incontro con questa meraviglia è stato forse verso i 10 anni, quando vivevo ancora alla Bagnaia.
Fino ad allora l'unico budino al caramello che avessi mai mangiato, era quello delle bustine Elah che faceva la mamma la domenica.
Ogni tanto per merenda, avevamo la fortuna di ricevere anche quello al cioccolato.
La vita alla Bagnaia era scandita da momenti cruciali: la Vendemmia, l'apertura della caccia, il Presepe della Nella, la Schiacciata di Pasqua della Nella, il Concorso Ippico, il latte alla portoghese della Nella (per le grandi occasioni e come viatico per ogni malanno).
Ci invitava a casa e mentre parlava con la mamma, mia sorella ed io ci vedevamo piazzare davanti al naso un piatto con questo sontuoso dolce traballante.
"Piglia Nini, mangia che è coll'ova fresche e ti fa bene".
Lei lo faceva in uno stampo a ciambella scanalato, bellissimo.
L'ultima volta che ho assaggiato il suo latte, mi ero appena tolta i denti del giudizio.
Me lo ricordo bene. Avevo forse 25/26 anni.
Per togliere i maledetti, avevo dovuto fare un vero e proprio interventino ed avevo i punti in bocca.
Per una strana reazione agli antibiotici, mi trovai sdraiata per terra in bagno senza sensi.
Mia mamma spaventatissima, mi venne in soccorso quindi, essendo sola in casa, chiamò subito la Nella.
Lei le dette chissà quale istruzioni, fatto sta che poco dopo me ne stavo tranquilla e vagamente confusa sdraiata sul divano.
Un paio d'ore dopo, mi vidi recapitare un intero latte alla portoghese perchè "Nini questo ti rimette in forze, vedrai!".
Adesso Nella ha superato i 90 e vive da sola nella sua casetta perfettamente tenuta (fa ancora tutto da sola).
Mia mamma le abita vicino e va a trovarla ogni tanto. Di recente ha voluto che andassi con lei.
E' stata in quella occasione che sono riuscita a farmi raccontare del suo latte alla portoghese.
Potete immaginare lo stupore quando ho scoperto che lo cuoce sul fornello, a vapore?
Di latte alla portoghese ne parla anche l'Artusi nel suo "La scienza in Cucina", affermando che si tratta in breve di quello che i francesi (ma anche noi) chiamano Crème Caramel.
Personalmente non ne sono convinta.
Il dolce latte alla portoghese è molto conosciuto in Toscana, a Firenze ma anche a Siena dove vi è ancora una forte tradizione.
Le versioni che si trovano in giro sono molteplici: con uova intere, con tuorli, con uova intere e tuorli, con latte bollente, con latte freddo, con aroma di caffè, limone, vaniglia.
Rispetto alla crème caramel è più "rustico" ed in genere non si serve in monoporzione.
Inoltre si ha l'abitudine di far cuocere il budino fino a che la superficie non diventi una sorta di crosticina ambrata.
Dell'origine del nome non si hanno tracce.
Ipotesi invece ne sono state fatte molte: furono forse dei portoghesi in visita alla famiglia de Medici ad importare un dolce simile (basti pensare ai pasteis de nata che contengono crema cotta quasi caramellata), o forse anche solo i fiorentini, abilissimi a gustarsi questa crema senza sganciare un fiorino, ovvero "alla portoghese"?
Beh, il mistero resta. Ma la ricetta invece, quella della Nella, eccola qui:

Latte alla portoghese - per 8 persone - uno stampo di alluminio a ciambella di 24 cm di diametro. 
8 uova medie a temperatura ambiente
1 litro di latte fresco intero
1 bacca di vaniglia
7 cucchiai di zucchero (120 g)

Per il caramello
6 cucchiai di zucchero (100 g. c.ca)
1 cucchiaio di acqua.

Preparate il caramello direttamente nello stampo di alluminio.
Versate sul fondo il cucchiaio di acqua e fatelo scorrere su tutta la circonferenza. Aggiungete lo zucchero cercando di non sporcare i bordi.
Accendete a fiamma media sotto lo stampo e fate sciogliere lo zucchero senza toccarlo fino a che non raggiungerà una colorazione nocciola dorata. A questo punto toglietelo dal fuoco e fate roteare lo stampo proteggendovi le mani, per fare in modo che il caramello si distribuisca in parte anche sui lati.
Lasciate pure raffreddare.
Portate il latte a ebollizione con un baccello di vaniglia inciso, al quale avrete tolto i semini e sparsi nel latte.
Montate le uova ottenendo un bello zabaione gonfio e chiaro.
Eliminate l'eventuale pellicola della panna che si sarà formata sulla superficie del latte e versate a filo il latte caldo sul composto di uova mescolando velocemente con una frusta.
Si formerà una schiuma che piano piano diminuirà.
Versate la crema nello stampo. Se la schiuma è tanta, potete toglierla con un cucchiaio e metterla in una ciotolina.
Dopo qualche minuto vedrete che diventerà nuovamente liquida. Aggiungetela al resto del composto.
Preparate la vaporiera. Dovrete utilizzare una vaporiera rotonda in grado di contenere senza difficoltà lo stampo
Mettete sul fuoco a fiamma media e fate cuocere per almeno 45 minuti coperta con coperchio, senza aprire.
Passato questo tempo verificate la cottura. Infilate una lama affilata nel dolce e se uscirà pulita ed asciutta, il latte sarà pronto.
Per esperienza vi dico che ci vorranno dai 45 minuti ad un ora.
Al termine spegnete il fuoco. Togliete la vaporiera dal calore.
Eliminate il coperchio ma lasciate il dolce al suo posto, in attesa che si raffreddi.
Poi passate in frigo per almeno 3 ore o tutta la notte, coprendolo con una pellicola.
Per sformarla, basterà passare una lama affilata intorno ai bordi ed al centro dello stampo, appoggiare il piatto di portata sullo stampo e capovolgerlo con un colpo deciso.
Se non dovesse scendere subito, battete senza troppa forza verso il tavolo e sentirete il budino staccarsi.
Servite con il suo caramello.
NOTE:

  • Qualora non aveste la vaporiera, potrete cuocere il vostro latte con il tradizionale "bagnomaria". Mettete lo stampo in uno stampo in grado di contenerlo. Versatevi acqua bollente fino a metà del bordo quindi mettete in forno a 150° per 1 ora nella parte centrale. Fate sempre la prova coltello prima di toglierlo. Fatelo raffreddare nel bagnomaria quindi passatelo in frigo come sopra. 
  • Evitate di stracuocere il vostro dolce. Quando lo toglierete dal forno o dalla vaporiera dovrà avere un movimento "budinoso". Se è troppo fermo, significa che lo avete cotto troppo e alla presentazione non sarà bellissimo e sembrerà coperto di varicella. Si tratta del coagulo delle uova che si forma quando la crema è stracotta. Inoltre al palato sembrerà grumoso mentre deve essere vellutato e leggero. 
  • Si conserva in frigo ottimamente per 3 giorni ma sono certa che lo finirete molto prima. 







mercoledì 2 settembre 2015

Torta di carote al limone e mandorle senza grassi, gluten free: quando la vita presenta il conto!

What's new? - Billie Holiday
Come rientro dalle ferie non c'è male!
La mia estate non è stata niente di speciale anche perché le tanto agognate ferie non hanno prodotto quel senso di "stacco" di cui si ha bisogno dopo mesi sotto pressione.
Ho ancora negli occhi il mio lago ma mi sembra tutto già molto lontano.
Oltretutto negli ultimi tempi mi sono resa conto di avere sottovalutato un problema che mi è stato diagnosticato un paio d'anni fa e che adesso sta presentando il conto.
Se si comincia a distogliere l'attenzione dai propri impellenti doveri, dando finalmente il dovuto ascolto al proprio corpo, un ascolto onesto, attento e critico, ognuno è in grado di capire se qualcosa non va.
Ma questo va fatto senza distrazioni, serenamente, non rispedendo il sintomo al mittente solo perché non ci sembra importante o perchè "adesso non ho tempo".
Purtroppo è quello che ho fatto io per mesi a questa parte.
E' bastata una foto.
Scaricando quelle delle vacanze, l'ho vista.
Sono io il fotografo di casa, e la mia macchina è un'appendice al mio braccio destro.
Ma quel furfante di mio marito deve averla presa di nascosto scattandomi delle immagini a mia insaputa.
Immagini di una persona sorridente, rilassata, felice e....gonfia!
Aghhhh....ho avuto un momento di vero panico non riconoscendomi. E quella chi è?
Per lunghi attimi mi sono sentita gelare.
Di fronte a me c'era una matrona pettoruta dai fianchi ridondanti, le belle guanciotte, le cosce a stento trattenute da pantaloni troppo stretti.
Così, dopo un primo momento di confusione emotiva, sono corsa a pesarmi.
In neanche 2 mesi ho preso quasi 4 chili che per me è una cosa eccezionale, considerando che ho lo stesso peso da quando avevo 25 anni.
Ognuno conosce se stesso. Io ho immediatamente capito che quei chili non sono il frutto di bagordi disordinati visto che in estate mangio quasi la metà che nel resto dell'anno, e tutta roba fresca.
Magari un gelato in più, ci sta, ma non è quello a fare testo.
Inoltre sono sempre troppo stanca, dormirei in continuazione.
Le articolazioni mi provocano dolori costanti e piegarmi è sempre un supplizio.
Il fatto più eclatante è la mia capacità riflessiva: ho sempre la testa confusa, annebbiata. Vagamente depressa.
La memoria è andata a farsi un giro e non so quando tornerà. La mia memoria...sono conosciuta per essere quella che ricorda tutto, anche i nomi di clienti passati in agenzia 10 anni fa!
Adesso non ricordo se ho preso gli integratori 5 minuti dopo averli ingoiati.
Ho messo tutto insieme.
Ho ripreso in mano la mia diagnosi: Sindrome di Hashimoto.
Ho controllato sintomi e problematiche sul web. Ci sono dentro con tutte le scarpe.
Ciò che fino a qualche mese fa se ne stava quatto quatto senza darmi problemi, adesso è lì che organizza un rave party, ed io devo fare la volante della polizia che interrompe la festa!
In Italia milioni di persone ne soffrono.
Le donne in gran parte.
Ho deciso che una parte di questo blog sarà dedicata ad una missione: Patty versus Hashimoto. 
Seriamente, magari anche ridendoci un po' su, perché le cose troppo serie non mi vengono bene.
Cercherò di parlarne periodicamente raccontando i progressi della mia battaglia e quello che sto facendo.
Adesso sono ancora un po' scossa e leggermente intristita perché ho appena scoperto quello che dovrò schivare sul mio percorso verso lo "starbene".
Diciamo che un dolce è in grado di mettere allegria, e me ne serve un bel po'.
Non smetterò di postare dolcezze perché anche se non posso mangiarne, mia figlia mi ha incoraggiato dicendomi: "Dai mami, li farai per me".
Ingredienti per uno stampo da 18/20 cm di diametro
3 uova medie, bianchi e tuorli separati
la scorza grattugiata ed il succo di un grosso limone di Sorrento, non trattato
10 ml di liquore all'arancia (Cointreau o Aurum o uno vostro a piacere)
140 g di carote grattugiate finemente
125 g di zucchero di canna integrale
125 g di farina di mandorle
50 g di farina di riso
1 cucchiaino di lievito per dolci
Per la glassa al limone
150 g di zucchero a velo (fatelo in casa tritandolo nel cutter)
il succo di un grosso limone di Sorrento
una manciata di mandorle a lamelle per guarnire
Accendete il forno a 180°
In una larga terrina mettete le carote grattugiate, la farina di mandorle, lo zucchero, il lievito, il liquore ed i tuorli e mischiateli bene con una frusta elettrica.
Quando la miscela sarà ben amalgamata, aggiungete poco a poco la farina di riso setacciata.
Montate a neve ferma gli albumi ed aggiungeteli al composto con una spatola di gomma, mescolando dal basso in alto per non farli smontare.
Foderate uno stampo a cerniera da 18/20 e versatevi l'impasto.
Fate cuocere per 45 minuti fino a che non sarà bella gonfia e lo stecchino uscirà asciutto dalla prova.
Fate raffreddare completamente il dolce prima di toglierlo dallo stampo.

Preparate la glassa mescolando il succo di limone filtrato allo zucchero a velo. Versate il limone poco alla volta per cercare la consistenza giusta della glassa, che non deve essere troppo solida, ma deve essere fluida come il miele nuovo.
Una volta freddo,  mettete il dolce su una gratella appoggiata su un piatto e glassate il dolce facendo scorrere la glassa lungo i bordi.
Decorate con una manciata di mandorle a lamelle o la scorza grattugiata del limone.
Buonissima subito, diventa divina con il passare del tempo.
Conservatela al riparo dall'aria per non farla seccare.

venerdì 17 luglio 2015

Il blogger ed il libero arbitrio

Honesty - Billy Joel


Mi capita di osservare sempre più di frequente, esternazioni più o meno veementi circa un tema che tocca da vicino il mondo del food blogging.
Gli strumenti social sono mezzi potenti e indubbiamente catartici e spesso ne siamo utilizzatori compulsivi e tendiamo ad avvalercene, male, per reiterare il messaggio.
So per certo che risulterò impopolare scrivendo questo post, ma diciamo che mi esce dalle dita in maniera automatica e sento di doverlo fare.
Premetto che non sono qui a condannare il cosa ma il come.
In vita mia ho dovuto combattere molte battaglie, alcune completamente fallimentari, altre un po' meno ed avendo sempre lavorato come libera professionista, credo di aver faticato un bel po' per restare a galla. Chi è nella mia condizione sa bene di cosa parlo.
Ma da quando ho un blog, che ho aperto mossa esclusivamente dalla passione, ho potuto osservare dinamiche contraddittorie che mi fanno tutt'ora pensare. Certo è che qualcuno potrebbe scriverci un trattato di sociologia.
Venendo al nodo, il mondo del food blogging (ed immagino anche quello di altri "settori" blogger) ruota intorno al fenomeno delle "collaborazioni".
Termine che è chiarissimo a chi sta dietro ad un monitor ma che probabilmente non ha alcun significato per chi ci legge, per il lettore appassionato.
Così magari caro lettore, potresti essere informato che chi scrive può decidere o meno di intraprendere collaborazioni con aziende alimentari o di strumenti per la cucina e parlarne sul proprio blog. Puoi anche non esserne informato in maniera palese, ma lo intuirai da piccoli segnali sparsi sul blog come briciole di pane, banner, link o immagini.
Non sempre la collaborazione intrapresa dal blogger è coerente con il messaggio generale del proprio blog, ma questa è un'altra storia.
Di certo tu lettore affezionato continuerai a leggere il tuo blog preferito se questo continuerà, con i suoi contenuti e le sue ricette, a divertirti, interessarti, farti svagare per qualche minuto.
Per fortuna ogni lettore è dotato di sano spirito critico e potrà decidere di fare zapping fra blog come meglio crede.
Ma ovviamente il fulcro della questione è un altro.
I primi blog di cibo italiani sono comparsi sul web tra il 2004/2005.
Lentamente con entusiasmo ed energia hanno cominciato a raccogliere i primi lettori.
Fra il 2008/2010 il panorama food blog era già rigoglioso e proprio in questo periodo hanno cominciato ad apparire i primi segni di collaborazioni.
ll bello della storia è che all'epoca le aziende non avevano idea di cosa fosse un food blogger. Diciamo che erano all'età della pietra della comunicazione.
Televisione, radio o giornali erano gli unici strumenti attraverso i quali raggiungere il consumatore.
Chi gli ha spiegato cosa fosse un food blogger? Beh, facile: noi.
Blogger intraprendenti con grande seguito, hanno cominciato a scrivere ad aziende presentandosi, mettendosi a disposizione per "raccontare" i loro prodotti.
Per le aziende il vantaggio era indubbio: nessuno costo se non l'invio di campioni e un passa parola garantito.
Da quel momento in poi il fenomeno è diventato esponenziale.
Tanto che adesso sono le aziende a proporsi ai blogger offrendo collaborazioni in cambio merce.
Peccato che per ogni azienda che si propone al blogger, ci sono ancora almeno 20 blogger che scrivono ad aziende chiedendo prodotti. Di qualsiasi genere si tratti.
Una catena senza fine.
Stendo un velo pietoso sulla sfacciataggine di aziende e agenzie di comunicazione/marketing che propongono collaborazioni che sono vero e proprio lavoro in cambio di visibilità.
Così faccio anche su quei blogger che tormentano come gocce cinesi qualsiasi tipo di produttore, azienda, cooperativa.
Torno al punto che anticipavo. Lungi da me il voler criticare la scelta di ognuno.
Tutti noi abbiamo accettato questo genere di proposte agli albori del nostro blog.
Il fatto di essere cercati ci ha in qualche modo lusingato, ci siamo sentiti apprezzati e siamo caduti nella trappola.
Poi si cresce e si fanno delle scelte.
Ognuno fa le proprie ed io certo non sono qui per entrare nel merito di una scelta.
Quello che proprio mi dà fastidio è il modo in cui vengono combattute certe battaglie.
Ogni giorno ho la casella postale invasa da ogni genere di spam ed ogni genere di proposta.
Lo spam finisce nel cestino, le proposte vengono lette.
Quelle più naif mi provocano crisi di riso, quelle più sfacciate ricevono risposte decise, spesso ironiche, altre laconiche: no grazie.
L'indignazione su certe pretese è ormai roba vecchia.
Ci siamo indignati tutti, ne abbiamo parlato fino a perdere la voce, ci siamo venuti a noia a vicenda.
Mettere il Gran Pavese dell'indignazione su Facebook oltre che ad essere inutile, è fastidioso perchè tutti, ma proprio tutti siamo costantemente assaltati da proposte ridicole.
Il problema di base è la coerenza individuale.
Il blog dovrebbe essere una terra libera in cui dire e fare ciò in cui uno crede.
Può anche diventare uno strumento di lavoro ma le aziende, quelle che contano, quelle che retribuiscono un onesto lavoro, sanno riconoscere colui che lavora come un professionista.
Ricordiamoci che certi meccanismi e pratiche che noi condanniamo come il collaborare gratuitamente in cambio di visibilità, spesso ce le ritroviamo in casa senza battere ciglio.
Pensiamo forse che partecipare ad un Contest sia un gioco, un divertimento innocente?
Le aziende gongolano grazie ai Contest, e noi blogger ne siamo complici felici.
Massimo beneficio in minima spesa.
Quindi, chiudere la stalla quando i buoi sono scappati è una procedura un tantinello faticosa.
Mi piacerebbe che si smettesse di urlare allo scandalo sul web e si agisse secondo propria coscienza. Per ogni no deciso, ci saranno ancora tanti si entusiastici, ma sappiamo bene come funziona la rete. La coerenza, l'attenzione, la serietà, la preparazione, l'impegno.
Queste sono le sole cose a cui si dovrebbe anelare per nutrire il nostro blog e magari un giorno, diventare un bravo professionista.

venerdì 10 luglio 2015

Precoche sciroppate: ricordo di vacanze laboriose e felici.

Always the sun - The Stranglers
Come diligenti formichine, affrontiamo l'estate lavorando alacremente per imprigionare i sapori del sole e delle cose buone che questa stagione meravigliosa ci mette a disposizione.
E' faticoso, è impegnativo, è fonte giornaliera di incasinamento e botte di calore.
Eppure i nostri barattoli sono lì, belli in fila e pronti ad accogliere i frutti del nostro indefesso lavoro.
All'orecchio vi confido che una volta tanto vorrei essere "cicala" e stare spaparanzata al sole cantando la mia gioia oziabonda.
Le pesche sono un frutto capace di trascinarmi indietro nel tempo, alle vacanze che passavo con la mia famiglia all'Ansedonia.
Trascorrevamo il mese di agosto in una tenuta a poca distanza dal mare.
Un luogo incantevole con una ricco frutteto.
Il nostro soggiorno coincideva con la maturazione dei frutti per cui anche noi bambini aiutavamo i grandi a raccogliere le pesche, le lavavamo improvvisando guerre d'acqua in giardino ed alla fine eravamo i primi ad assaggiare le pesche pronte per essere versate nello sciroppo o la marmellata bollente da invasare.
Erano pesche rosse, così profumate e succose che credo di non averne più mangiate di così buone.
La pelle si toglieva incidendo con un'unghia alla fossetta del picciolo, e veniva via docile senza rompersi, lasciando il frutto nudo, perfetto, lucido e ancora caldo di sole.
Con un coltello e facendo molta attenzione, dividevamo le pesche a metà e queste si staccavano croccanti dal nocciolo che cadeva pulito e asciutto nel piatto.
Il resto passava alle mamme che procedevano alla cottura.
Ricordo che per ogni tre pesche sbucciate, la quarta finiva nella mia bocca, sgocciolando generosa lungo il mento ed attirando stormi di api pronte a gettarsi su quel nettare profumato.
Il divertimento di partecipare a quella catena laboriosa ci faceva sentire grandi e indispensabili. L'attenzione durava molto più del normale, ma il premio finale era troppo ghiotto.
Pagherei perché mia figlia avesse ricordi del genere.
Le pesche cotogne o precoche come le chiamano al sud, non sono così facili da trattare.
Purtroppo la loro buccia è ostinatamente attaccata alla polpa e vanno necessariamente pulite con uno spelucchino.
Inoltre il nocciolo è radicato nel cuore del frutto ed anche lì bisogna avere pazienza e scavare con la lama al fine di recuperare più polpa possibile.
Ma il loro sapore è unico e ricorda davvero tutto il sole dell'estate.
Quello che vi lascio è il procedimento per sciroppare le precoche utilizzato dai miei parenti in Puglia. E queste pesche arrivano proprio da lì.

Ingredienti per 3 vasi da 500 ml
PESCHE COTOGNE (PRECOCHE) SCIROPPATE
1 KG DI pesche cotogne o precoche a metà maturazione
440 g di zucchero
1 litro d’acqua
1 baccello di vaniglia
1 bicchierino di ruhm

Prendete le pesche e pelatele accuratamente con uno spelucchino. 
Tagliatele poi a pezzi grandi, spicchi o metà, anche se sarà difficile staccarle dal nocciolo.
In un litro d’acqua fate bollire lo zucchero con il baccello di vaniglia inciso sulla lunghezza per almeno 10 minuti fino a quando non si formeranno delle bolle grandi in superficie.
A questo punto versateci le pesche, il ruhm e fate bollire per non più di 5 minuti.
Prendete dei vasi grandi distillati in precedenza, in cui potrete mettere tutte le pesche.
Filtrate velocemente lo sciroppo e riempite i vasi comprendo bene le pesche. Chiudete ermeticamente.
Lasciatele al buio e fresco per almeno 3 mesi.
Potrete consumare le pesche e conservare lo sciroppo come bagna per dolci e farciture.

lunedì 22 giugno 2015

Merenda d'estate in terrazza: la focaccia pugliese di zia Enza.

Summer wind - F. Sinatra
Anche gli esami sono finiti.
La loro fine ha coinciso con l'entrata dell'estate nella nostra routine e dopo la gioia di esserci tolti anche l'esame di terza media, la domenica ha trascorso oziosa e lenta con un senso di incredibile sollievo e liberazione.
E adesso cosa ce ne faremo di tutto questo tempo libero?
E' una domanda che mi balena guardando mia figlia mentre gira per casa quasi confusa nel silenzio, dopo giorni mantra mammesco: "e studia".
Confesso che anche per me è cominciata la vacanza.
Adesso faremo tardi la sera per vederci un film invece di ripetere l'era Giolittiana (non che mi sia dispiaciuto rileggermi la storia del mio paese, ma dopo un po' basta).
Da noi si comincia a respirare aria di Palio.
Fra pochi giorni metteranno la terra in piazza (il nostro modo per dire che la piazza verrà coperta di tufo) ed il suono dei tamburi riempirà il silenzio dei pomeriggi estivi.
E' una bella sensazione.
Se poi, smettesse anche di diluviare quando meno ce lo aspettiamo, potrei godermi il mio terrazzo per qualche bella cena a lume di candela.
Per adesso si approfitta di ogni momento di sole ed in terrazza ci facciamo la merenda.
Questa volta con una focaccia la cui ricetta arriva da una zia di mio marito, zia Enza, da poco volata in cielo, e che ricordo spesso per la sua meravigliosa cucina, i suoi panzerotti fritti sul tetto di casa nella mezzanotte di mille agosti fa.
Durante l'ultimo viaggio fatto a Palo del Colle, dove abitava, le ho chiesto di darmi la ricetta della sua inarrivabile focaccia, che ho fatto spesso ultimamente nel tentativo, vano, di riuscire a farne una buona come la sua.
Spero che mi guardi con occhio benevolo da lassù.
Ingredienti per 2 teglie da 24 cm di diametro o una grande da 35
350 g di semola rimacinata (io Senatore Cappelli
150 g di farina 00
200 g di patate lesse
10 g di lievito di birra (mia zia ne usava 20 - ma con il caldo 10 g bastano e avanzano)
10 g di zucchero
5 g di sale
350 ml di acqua tiepida (ma questo dipende dalla farina che userete)
250 g di pomodorini tondi di Pachino
passata di pomodoro q.b.
olio extravergine d'oliva
origano secco
Lessate le patate e schiacciatele bene con una forchetta.
Mettete il lievito in una ciotola con acqua tiepida e lo zucchero e mescolate bene lasciando riposare una decina di minuti affinchè il lievito si attivi.
Setacciate le farine.
Sulla spianatoia mettete le patate schiacciate (non importa se ancora calde) e sopra le farina e fate la fontana. Al centro versatevi 3 bei cucchiai di olio extravergine.
Sui lati della fontana cospargete il sale.
Una volta che il lievito è attivo, versate piano piano l'acqua la centro della fontana e cominciate ad incorporare con le mani o con una forchetta dal centro fino a prendere la farina sulle pareti.
Aggiungete l'acqua via via ed impastate.
Dovrete ottenere una palla morbida e malleabile, anche un po' appiccicosa.
Lavorate qualche minuto quindi oleate bene i vostri stampi, ben bene le mani e dividete l'impasto stendendolo bene nelle teglie.
Fate lievitare da 1h30 a 2 ore. La pasta raggiungerà il bordo degli stampi.
Accendete il forno a 230° mettendo la griglia nella parte più bassa.
A questo punto si passa a condire la focaccia.
Lavate e tagliate i vostri pomodorini.
Stendete qualche cucchiaiata di passata di pomodoro sulla focaccia
Inserite i pomodorini nell'impasto schiacciandoli con il tagli verso l'alto.
Strofinate l'origano fra le mani sbirciolandolo sulla focaccia senza risparmiarvi.
Condite con un filo d'olio extravergine ed sale.
Infilate la focaccia in forno e cuocete per 5/10 minuti.
Passato questo tempo, spostate la griglia al centro e continuate la cottura per altri 20 minuti a 200°.
La focaccia dovrà essere bella dorata ed i bordi anche un po' sbruciacchiati se vi piace.
Toglietela immediatamente dalla teglia e sistematela su una griglia a raffreddare.
Buona calda, tiepida, fredda e riscaldata il giorno dopo, farcita con mortadella, prosciutto, formaggio. Insomma è buona sempre.





mercoledì 3 giugno 2015

Coniglio all'Etrusca: la scoperta dei diari della mia giovinezza.

Occhi di ragazza - G. Morandi
Che questo blog sia molto blog e poco food è abbastanza palese.
Ma che sarei finita nuovamente a scrivere forse era scontato.
In uno scaffale della mia incasinata libreria, nascosti in seconda fila dietro libri letti e riletti, ho trovato i miei diari di ragazza.
Ho tenuto diari praticamente da sempre e stamattina mentre cercavo un libro li ho visti.
Mi sono sentita strana e li ho osservati da lontano, inquieta.
Poi li ho presi, quaderni rivestiti di carta fiorita o a pois, diari con copertine rigide di stoffa e nastri per chiuderli, confidenziali massicci dalle pagine scurite scritte fitte fitte con penne colorate, stilo e pennarelli.
Sono una grafomane da sempre e spesso scrivo a mano perché mi piace.
Li ho sfogliati senza leggere, facendo scorrere veloce le pagine. Sono saltati fuori foglietti, lettere, appunti, note, cartoline, qualsiasi cosa.
Una strana malinconia mista ad estraniamento mi ha pervaso e ho riconosciuto una parte di me che non è mai cambiata e che è ancora qui, dentro questo blog.
Poi ho aperto l'ultimo diario, quello che avevo cominciato prima di decidere che avrei smesso del tutto, quasi fosse una dipendenza di cui vergognarsi e nella prima pagina ho letto:

"Oggi ho visto una coppia.
Lui teneva nella mano destra un sottile bastone bianco che faceva rimbalzare sul selciato, timidamente, senza offesa.
Il viso, rivolto al sole, sembrava annusare la vita. Sorrideva lievemente, indifeso in quella sua goffa andatura.
Solo dopo ho capito che era cieco.
L'altra metà della coppia si aggrappava fortemente a quel braccio tentennante. Parlava e rideva e guardava la gente stringendosi a lui, piccola. Mi è sembrata grandissima.
In braccio teneva un bambino, un fagotto incappucciato e rubizzo. Non smetteva di baciarlo su quelle guance di pesca, e parlava e rideva.
Nel breve tratto in cui li ho seguiti con lo sguardo, quel piccolo riassunto di felicità mi è parso un globo di pura luce. Non saprei dire se fosse lei a segnare la strada o lui a farsi guidare.
Quel piccolo globo di luce proseguiva portando con sé un pezzo del mio cuore.
Si, ho visto una coppia" (28/1/92).
Oggi una ricetta toscanissima e facile, perfetta per chi ama il coniglio.
Direttamente dall'Artusi, un piatto appetitoso e di stagione.
Io ho tenuto il coniglio a bagno in acqua e aceto per qualche ora prima di cucinarlo, per togliere eventuali odori quindi l'ho sciacquato ed asciugato bene prima di passare alla rosolatura.
Gli ho voluto dare un tono piccantino utilizzando una salsa piccante ma potete anche usare del peperoncino in polvere o a pezzi, oppure della 'nduja o harissa...decidete voi. La ricetta originale non prevede il piccante.
Ingredienti per 4 persone
1 coniglio di 1 kg tagliato i 12 pezzi incluso il suo fegatino
80 g di pancetta o rigatino
200 g di olive nere
1 cipolla bianca
1 carota
1 gambo di sedano
2 spicchi d'aglio
3/4 foglie di salvia
1 rametto di rosmarino
1 bicchiere di vino bianco secco
3 cucchiai di olio extravergine d'oliva
sale - pepe (io l'ho sostituito con 2 cucchiaini di Salsa del diavolo de La Gallinara)
Brodo vegetale qb
In una larga casseruola a fondo spesso, mettete gli odori tritati (cipolla, carota e sedano), la pancetta tagliata sottile, gli spicchi d'aglio e l'olio extravergine e fate passire a fiamma dolce.
Quando le verdure saranno morbide e la pancetta ben rosolata, alzate la fiamma, aggiungete il coniglio con il trito delle erbe aromatiche ed il fegatino tritato, e fate rosolare a fuoco vivace una decina di minuti su tutti i lati.
Quando sarà ben rosolato, bagnate con il vino e fate sfumare quindi abbassate la fiamma, aggiustate di sale e continuate la cottura per c.ca 1 ora bagnando via via con brodo vegetale caldo.
Cuocete coperto lasciando un piccolo spiraglio aperto con un cucchiaio di legno.
Quando il coniglio sarà quasi cotto, aggiungete le olive e la salsa piccante e fate ben insaporire per altri 10 minuti  sulla fiamma.
Servite ben caldo accompagnandolo con il vostro contorno preferito.

martedì 19 maggio 2015

Biscottini di mandorla e limone: il patentino di madre non idonea.

Blower's daughter - Damien Rice
Si cresce.
Un'ennesima prova si profila all'orizzonte, neanche troppo lontano e osservando dall'esterno, alla ricerca di emozioni, paure, sudori freddi, nulla, se non uno sguardo perso in chissà quale mondo.
Lei vive leggera e inconsapevole.
O forse no. Forse sono io, madre apocalittica che assorbe ogni tensione e fa sua quella che dovrebbe essere una preoccupazione se pur accettabile, di una bimba preadolescente.
Allora scavo, sondo la mia memoria. Mi sembra così lontano, nebuloso. Una cosa però me la ricordo: andare a scuola mi piaceva.
Qui invece non capisco. Non più.
Quell'immagine di bimba che mi ero fatta nella testa, adesso ha lasciato posto ad una signorina che si muove come un'ombra per casa.
Vive chiusa nella propria camera da letto per accedere alla quale servono strumenti pesanti di disinfestazione.
Nella nostra vita si ripete ogni giorno l'ennesima epocale lotta tra il bene e il male: lo studio o il cellulare.
Non racconto nulla di nuovo, so che milioni di famiglie vivono il nostro stesso calvario quindi è solo un modo come un altro per raccontare una storia uguale a se stessa. Se non fosse che a meno di 4 settimane la signorina in questione dovrà affrontare il suo primo vero esame, la sua prima vera prova da piccolo individuo pensante, e l'unica persona presa dal panico in famiglia sono io.
Roba che non ci dormo la notte.
Si può essere più deficienti? Io vorrei tanto fare la madre forte, evoluta, cinica, che di fronte all'indifferenza dei figli sull'argomento studio, li lascia in balia della marea. Se bocciano sarà una lezione che non dimenticheranno e diventeranno più forti.
Ma dov'è scritto?
Io mi rendo solo conto che vivo ogni suo fallimento, ogni sua debolezza, ogni suo sbaglio come una sconfitta personale. Come la riprova di un'inadeguatezza nel lavoro di genitore: "madre non idonea" c'è scritto sul mio patentino.
Poi torno a pensare a freddo a com'ero io alla sua età, a quanto tempo passavo sui libri: poco. Quando tempo passavo a giocare: tanto. Non c'erano cellulari, ma c'era la musica, lo sport, i libri, la televisione. Ogni scusa era buona per svicolare l'impegno. Eppure sono sopravvissuta.
Ieri sera a tavola, durante una bellissima cena in terrazza al calore di un maggio generoso, parlando di scuola (ormai è l'argomento quotidiano), ho sospirato esclamando con reale nostalgia e desiderio:"quanto vorrei tornare a scuola".
Di tutta la mia vita, di ogni istante meraviglioso vissuto, di ogni gioia e conquista, di ogni regalo o scoperta, gli anni della scuola sono stati il vero ed unico periodo di totale libertà e spensieratezza.
Per ognuno di noi.
Non c'è e non ci sarà mai più un momento così assolutamente perfetto. Per ognuno di noi.
Dovrebbero scriverlo sulle istruzioni per l'uso.
L'amarezza della preoccupazione va smorzata con qualcosa di avvolgente, dolce ma non troppo, profumato e dal cuore fondente. Ma con una sorpresa croccante che risveglia l'umore e lo spinge verso l'allegria, la positività.
Se non esiste medicina per tutto ciò, ci sono i biscottini di mandorla con l'aroma inebriante del limone. Ma ricordate di usare mandorle di ottima qualità per ottenere dei dolcetti assolutamente indimenticabili.
Io ho usato delle stupende mandorle di Avola procurate dalla mia amica Flavia e che sto per terminare.
Non le batte nessuno. Pur avendo provato le pugliesi di Toritto o Bitonto, quelle di Avola sono di una eleganza sensoriale unica.
Per finire, questi sono tra i miei biscottini preferiti in assoluto. Non dimenticate le mandorle amare o le armelline, mi raccomando.
Ingredienti per c.ca 40 biscottini
250 g di farina di mandorle
5 g di farina di mandole amare o armelline
175 g di zucchero
2 albumi (60 g c.ca)
la scorza grattugiata di un limone non trattato
100 g di granella di mandorle tritate al coltello.
In una larga ciotola miscelate la farina di mandole, di mandorle amare, lo zucchero e la scorza di limone quindi aggiungete gli albumi leggermente sbattuti.
Lavorate il composto con un cucchiaio fino ad ottenere una palla, quindi lasciatelo riposare un'oretta coperto da una pellicola.
Aiutandovi con un cucchiaino, prendete dei pezzi di impasto e formate delle palline grandi come ciliegie.
Stendete la granella di mandola su una spianatoia e rotolatevi sopra le palline in modo che si rivestano di briciole su tutta la superficie.
Una volta ricoperte, schiacciatele leggermente fra le mani ed appoggiatele su una teglia ricoperta di carta da forno.
Fate cuocere in forno preriscaldato a 180° per c.ca 20 minuti.
Dovranno essere dorate e croccanti all'eterno e morbide e fondenti all'interno.
Lasciate raffreddare e conservatele in scatole di latta o vasi di vetro ermetici. Resteranno morbide per 5/6 giorni migliorando nel sapore.
Per gli amanti di pasta di mandorle, sono assolutamente irresistibili.

martedì 28 aprile 2015

Quando si smette di essere eterni. Insalata tiepida di finocchiella, pere e feta.

Eternity - Robin Williams
La primavera è tempo di pulizia.
In casa, intorno e dentro di noi.
Pulizia in tutti i sensi ed in particolare dal superfluo o dall'eccessivo, decidete voi.
Sono appena rientrata da un week end all'insegna dello "stile di vita" come attenzione a noi stessi ed alla nostra salute, elemento che si tende a dimenticare o trascurare per tutto quel periodo in cui ci si sente eterni. Mai provata questa sensazione?
Io si.
Se non fosse per i dolori, per le malinconie, per il ritmo vitale improvvisamente rallentato, vi direi che mi ci sento ancora, ma non è così.
Siamo eterni ed imbattibili con l'energia dei nostri venti/trent'anni, con le tasche vuote ma la testa piena di idee, obbiettivi, sogni.
Siamo eterni ogni volta che ci innamoriamo e non solo di qualcuno, ma di qualcosa, di un luogo, di un progetto, una canzone, un quadro, una poesia.
Il nostro senso di eternità ci sostiene e ci fa fare cose mai credute possibili, dal capolavoro alla figura barbina, ma siamo eterni e ce ne dimentichiamo un attimo dopo.
Più ci scontriamo con il dolore, con la morte, più crediamo all'eternità, le siamo fedeli, ci rifugiamo in lei. Usciamo, corriamo, mangiamo, facciamo l'amore. Gridiamo alla morte: non ci fai paura perché noi, noi siamo eterni.
Mai, per un momento, ci abbandoniamo al compiacimento dell'idea della fine, perché siamo certi di essere immortali. Siamo giovani, belli, forti e immortali.
Poi qualcosa cambia. Non so dire quando e come, ma improvvisamente si comincia a contare alla rovescia. Si contano anni, persone che mancano, le cose non fatte, i luoghi mai visti.
Paradossalmente ogni mancanza non sembra così atroce se quando eri eterno hai messo da parte esperienze ed affetti. Ti dici solo che ci saranno altre storie a riempire quei buchi e va bene così.
Senti vibrare ancora quel senso di eternità negli occhi scuri di tua figlia, nel suo agile corpo di cavallina ribelle. Lo riconosci ed il cuore ti batte ancora forte.
Un giorno si smette di essere eterni ma non è poi così male.
Si assapora ogni cosa come se fosse l'ultima , si sceglie perché si vuole e non perché capita, si riesce anche a dire dei "no" che ci danno autostima.
Si diventa grandi, mortali e si smette di preoccuparsi della cellulite. :)
Ora, perchè si diventa mortali non vuol dire  che si debba morire domani.
Magari se continuiamo a volerci bene, campiamo fino a cent'anni e qualche altra soddisfazione possiamo pure levarcela.
Le mie ultime analisi mi hanno riportato con i piedi per terra e sul fronte colesterolo and co., sono stata moooolto moooolto cattiva.
Da qui cominciamo a ragionare e comincerò a postare qualche piatto un pochino meno lussurioso ed un po' più morigerato, senza dimenticare che a me mangiare piace, ancor più di cucinare.
Una non ricetta per oggi, perché è talmente facile che non dovete far altro che lavare ed affettare due ingredienti vegetali, metterli su una placca da forno e lasciare cuocere il tempo sufficiente.
Un'insalata buona, ma buona, di quelle che piacciono tanto a me, con un sapore inedito e gustoso ed una parte croccante deliziosa composta da un mix di semi pieni di buone proprietà, principalmente Omega 3 che mantengono giovani e frizzantini.
Ho scoperto una linea di prodotti Bio nati in Toscana che mi ha lasciato a bocca aperta per la varietà e qualità delle proposte. Se volete saperne di più, andate a leggere cosa vi racconta Nuova Terra.
Qui di seguito la mia ricetta velocissima.
Ingredienti per 4 persone
4 finocchielle femmine non troppo grandi
2 pere abate IGP
250 g di feta
3 cucchiai di olio extra vergine
1 cucchiaino di aceto balsamico tradizionale.
3 cucchiai di Mix Omega (semi di girasole, semi di zucca, semi di lino) Nuova Terra
1 cucchiaio di semi di finocchio Nuova Terra
Sale - pepe a piacere
Lavate e affettate le finocchielle ottenendo dei ventagli non più spessi di 5 mm.
Lavate le pere con la buccia e tagliate a fette longitudinali alte 1 cm.
Disponete pere e finocchi su una placca coperta di carta da forno quindi miscelate l'olio, l'aceto balsamico ed il sale in una ciotolina e versatelo sulle verdure.
Spargete il mix omega sulle verdure con i semi di finocchio, che avrete parzialmente schiacciato con un mortaio.
Mettete in forno a 180° per 45 minuti fino a che i finocchi non saranno dorati e le pere cotte ma non sfatte.
Disponete le verdure in una insalatiera.
Sbriciolatevi sopra la feta e condite con un filo d'olio a crudo e se vi piace, aggiungete ancora il mix Omega per rifinire. Servite subito.


martedì 10 marzo 2015

Tangerine cake: fare pulito!

Only Time - Enya
Si avvicina lentamente quella stagione in cui vengo travolta da raptus incontenibili: fare pulito!
Me ne sono chiesta spesso la ragione e la prima risposta che sempre mi balena nella mente: è la luce.
La luce che ritorna nelle nostre case mette a fuoco quanto abbiamo accumulato nel tempo, quanto abbiamo messo da parte nei giorni freddi, anche solo per farci compagnia.
Oggetti di qualsiasi genere, vestiti, pensieri.
La luce ha nel mio caso, un potentissimo effetto che riconduce ad un non colore, il bianco, simbolo di purezza, ordine, essenzialità.
Cerco l'ordine dentro di me ed intorno a me come un assetato cerca l'acqua nel deserto.
Viene da se che in una casa di 69 metri quadrati in cui gravitano 3 esseri umani mediamente disordinati, l'impresa si presenta ardua, se non impossibile.
La prima cosa che avrei voglia di fare in questi momenti è armarmi di un sacco gigantesco e buttare dentro ogni cosa.
A partire da quanto ho stipato in cucina, sopra, sotto e dentro i pensili, nel forno, nei cassetti.
Perché ormai, credetemi, non ho più il minimo spazio gestibile.
La frenesia ha preso pigolo ulteriormente dopo aver letto un bellissimo post della mia amica Mapi, in cui racconta di un meraviglioso libro giapponese, Il magico potere del riordino, che sicuramente l'autore deve aver scritto per anime sconsolate come la mia.
Potete ben capire che questo oggetto andrà ad ingrossare la ormai impossibile montagna di libri accolti in questa casa. Ho però la speranza che mi aiuti a liberarmi di ogni eccesso.
Spesso siamo legati ad oggetti a cui vogliamo dare per forza un senso ed un ricordo, quando stupidamente il ricordo è già dentro di noi e l'oggetto è solamente un interruttore che accende uno spot su quel momento.
Io so solo che quando mi libero della zavorra e vedo ordine intorno a me, mi sento leggera, anche la mia testa è in ordine, i miei pensieri volano veloci, le soluzioni ai problemi sono chiare, immediate, ed io sono semplicemente più felice.
Una torta per invitare l'inverno ad andarsene.
Come sempre ci pensa lei, la bionda signora bionica del lifestyle americano, l'inossidabile Martha Stewart. Ormai sto saccheggiando il suo libro Cake senza alcun ritegno ed avendo alcune arance che campeggiano nel mio cesto della frutta da un po', ho deciso che avrei provato questo dolce.
Che in originale richiede l'uso di mandarini (tangerine) ma la Martha, bonariamente, accetta anche delle succose arance.
Certo è che il mandarino sarebbe perfetto e trasformerebbe questo dolce in una celebrazione di feste invernali.
Così invece è un dolce pieno di sole che invita giornate luminose ad entrare nella nostra casa.
Provatelo, come sempre lei non sbaglia un colpo.
Ingredienti per uno stampo a ciambella da 26 cm di diametro
225 g di burro a temperatura ambiente
360 g di farina 00
1 cucchiaino di bicarbonato di sodio
1 cucchiaino di sale
380 g (io 300) di zucchero semolato
6 uova grandi
2 cucchiai di zeste di mandarino finemente grattate (In alternativa usate quelle di arancia)
125 ml di succo di mandarino (o arancia) spremuto fresco
2 cucchiai di liquore all'arancia tipo Grand Marnier
1 cucchiaino di estratto di vaniglia naturale
185 g di yogurt bianco
Per la glassa
270 g di zucchero a velo
3 cucchiai di succo di mandarino fresco.
Accendete il forno a 180°.
Imburrate lo stampo per ciambelle e spolveratelo lievemente con la farina eliminando quella in eccesso.
In una ciotola mescolate la farina, il bicarbonato ed il sale.
Con la frusta elettrica montate il burro con lo zucchero ad alta velocità per c.ca 3/5 minuti, fino ad ottenere un composto chiaro e spumoso.
Aggiungete le uova, una alla volta, senza aggiungere il secondo fino a che il primo non sia stato ben incorporato. Quando tutte le uova saranno ben incorporate, aggiungete le zeste di mandarino, il succo, il liquore e la vaniglia.
Adesso riducete la velocità a bassa, e cominciate ad incorporare la farina in tre tempi, alternandola allo yogurt (in 2 tempi).
Versate l'impasto nello stampo e battetelo lievemente sul tavolo affinché vengano eliminate eventuali bolle d'aria.
Cuocete per c.ca 50/55 minuti e fate comunque la prova stecchino.
Fate raffreddare la torta 30 minuti prima di rovesciarla su una gratella e farla raffreddare completamente.
Preparate la glassa: Mescolate con una frusta lo zucchero ed il succo fino a che non otterrete un composto morbido e fluido.
Rovesciate la torta su una gratella e con un cucchiaio versate la glassa delicatamente sul dolce.
Lasciate asciugare prima di servire. Si conserva morbida ed umida per 3/4 giorni coperta con la pellicola.



mercoledì 4 marzo 2015

Quiche di carciofi, prosciutto e menta fresca: i miei 10 viaggi da sogno.

New World Symphony - Antonin Dvorak
Arrivo in questo periodo dell'anno e puntualmente comincio a guardare le valige.
Lo faccio con desiderio, con speranza e con assoluta dipendenza.
Nella mia vita partire è stato prima una necessità professionale, poi nel tempo, una necessità vitale.
Ho fantasticato e ancora lo faccio su quei viaggi e quei luoghi che hanno sempre avuto per me un significato speciale.
A volte sono stata tentata di buttare giù una lista delle "100 cose da fare prima di morire" poi ho soprasseduto perché ero certa che almeno 80 sarebbero stati luoghi da visitare e l'impresa diventava ardua assai.
Ma nessuno mi impedisce di sognare, così continuo a farlo ed oggi condivido con voi una lista piccola piccola dei 10 viaggi che avrei sempre voluto fare e che non credo farò mai (ma chi lo sa...qualcuno dice che se lo puoi sognare, lo puoi fare :D).
Mi piacerebbe che anche voi mi raccontaste i vostri, anche impossibili, ma che sono nella vostra testa quei luoghi di sogno in cui rifugiarvi.
Ecco i miei. L'ordine ovviamente,  è puramente casuale.

  1. Viaggiare su una nave cargo. Essenziale, economico, silenzioso e rilassante. Un viaggio per il quale non è necessario un bagaglio stratosferico e dovrei solo preoccuparmi di caricare un Kindle di libri da leggere ed un portatile per scrivere. Fermarsi fuori dalle rotte abituali dove la nave scarica le merci. Nulla a che vedere con le crociere urlanti e le folle inferocite al buffet. Qui i passeggeri possono essere un massimo di 8/12. Scendere nelle città dove le soste sono lunghe, anche 2 giorni. Un viaggio per viaggiatori veri, dove l'elemento avventura è tenuto a bada dai ritmi rigorosi della nave. 
  2. Milonga e Patagonia: un sogno bellissimo nel quale indulgo spesso. Poter trascorrere una settimana a Buenos Aires in una scuola di Tango con il mio uomo di casa, imparare degnamente questo ballo meraviglioso, trascorrere le serate nelle milonghe fumose della Boca per poi spostarsi ad ascoltare il rumore dei ghiacci millenari del Perito Moreno che si staccano e piombano nel mare della fine del mondo. 
  3. Borneo Malese: se siete cresciuti col mito di Sandokan (presente), non potete avere almeno una volta desiderato di scoprire quelle foreste e quelle spiagge. Il Borneo è la terza isola al mondo per grandezza e quasi l'intera superficie è coperta di foreste nelle quali vivono una quantità immensa di animali. Una parte di questa isola non è mai stata esplorata. Ci potete credere che esista al mondo qualcosa di ancora sconosciuto all'uomo? 
  4. Get your kicks on Route 66: Se fosse per me partirei per gli Usa un giorno si e l'altro pure. Posso anche dire che li ho visitati un bel po' ma questo sogno resta. Una bella attraversata dalla città del vento Chicago a quella del cinema, Los Angeles, nella vera bassa, depressa provincia americana. Come? Sarebbe bello in moto, ma anche in Camper non è male. Anche se viaggiare in auto lungo quelle strade a volte eternamente dritte, è il modo migliore ovviamente. 
  5. British Colombia, Rocky mountains e Alberta: ecco, questo è uno di quei sogni che mio marito ed io programmiamo ogni anno per poi rimandarlo a quello dopo. Si parla di Canada, costa occidentale. Un viaggio impegnativo economicamente, ma forse con la più bella natura che si possa immaginare. Città dal fascino irresistibile come Vancouver e foreste incontaminate, laghi, montagne imponenti...forse questo sogno riuscirò ad esaudirlo un giorno. 
  6. The Beach: credo che molti di voi abbiano visto quel film, piuttosto angosciante in verità, in cui Di Caprio arriva ad una spiaggia simbolo di paradiso in terra, libertà e ideali di fratellanza, rivelandosi poi un incubo da cui scappare. Si tratta della spiaggia di Maya Bay sull'isola Thailandese di Ko Phi Phi Lee. Questa è la mia idea di mare perfetto. Che continuerò a sognare, perché dopo l'uscita del film, questa spiaggia si è trasformata in luogo di turismo selvaggio, proprio quello da cui desidero allontanarmi. 
  7. Machu Pichu: beh, sono scontata lo so. Non è un viaggio impossibile in quanto turisticamente ormai si può fare con grande facilità. Per me resta un sogno, una di quelle destinazioni mitiche, come per molti può essere il Messico con i suoi templi o l'Egitto con le sue Piramidi. Questo villaggio costruito a oltre 2400 metri in un luogo impervio e difficile da raggiungere, ha rappresentato per me, nella mia testa di ragazzina, l'incredibile. Il fascino che ancora riesce a produrre sulla mia immaginazione, il suo nome e le foto che via via mi capita di vedere, lo mettono in assoluto fra i luoghi che vorrei con tutto il cuore vedere. 
  8. Orient Express: Ditemi che ci avete pensato almeno una volta. Un viaggio all'insegna del lusso e dell'eleganza, in carrozze che sembrano saloni reali, cuccette accoglienti e romantiche. Ecco, oggi tutta la poesia dell'originale Parigi-Istambul non esiste più, ma ci sono treni di lusso che ricordano questo percorso mitico con tratte più brevi. Una la farei volentieri. E non disdegnerei neanche la Mosca - Vladivostoc in Transiberiana. 
  9. El Camino de Santiago: non ridete. Può sembrare ridicolo ma a questo viaggio ci ho pensato più di una volta. Specialmente quando ero una ragazzetta. Mi sarebbe piaciuto farlo in bici e assolutamente tutto, attraversando i Pirenei a Roncisvalle. Un pochino l'ho fatto, visitando Burgos, Estrella, Logrono, Pamplona, ma così non vale. Bisogna conquistarlo con la fatica e forse, il dono per chi riesce, è una migliore comprensione di sé e del proprio sentire. 
  10. Botswana e Delta dell'Okavango: non poteva mancare l'Africa, quella più nera e misteriosa. Quella lontana e mitica, dove la natura ti sovrasta e ti parla attraverso il barrito degli elefanti ed il ruggito dei leoni. Quell'Africa in grado di farti un incantesimo da cui non potrai più liberarti. Quella terra che abbiamo scoperto attraverso i documentari di fronte ai quali abbiamo imparato a riconoscere gli animali selvaggi. Soltanto sentirne pronunciare il nome mi fa accelerare i battiti del cuore. 

Aspettando i vostri viaggi da sogno, apro le danze alla primavera che sta già tutta dentro questa quiche deliziosa, preparata con il resto di un sacchetto di farina di farro che volevo terminare e quattro carciofi che languivano in frigo. Una manciata di menta già rigogliosa nella mia fioriera ha impreziosito il tutto. Non tralasciate il prosciutto perché i carciofi lo amano appassionatamente.
Ingredienti per uno stampo da 30x10 cm con fondo amovibile
Per la brisé
190 g di farina di farro
90 g di burro salato molto freddo
2 cucchiai di acqua gelata
una macinata di pepe nero fresco
Per il ripieno
4 carciofi grandi
2 limoni
1 porro
2 uova grandi
50 g di prosciutto crudo tagliato a fettine
2 cucchiai di olio extravergine
80 ml di panna fresca
50 g di parmigiano grattugiato
una manciata di foglie di menta fresca tritata grossolanamente
sale - pepe qb
Preparare la brisé mettendo su una spianatoia la farina a fontana ed il burro tagliato a cubetti. Prima di cominciare sporcate la farina con una macinata di pepe nero.
Sabbiate la farina pizzicando il burro con la punta delle dita cercando di ridurlo in briciole incorporando la farina stessa. Quando il composto sarà bricioloso e leggero, aggiungete l'acqua ben fredda ed impastate giusto il tempo di far stare il tutto insieme in una palla.
Avvolgete con pellicola e mettete in frigo per 30 minuti. Se l'ambiente in cui lavorate non è molto caldo, potete già stendere la pasta e foderare lo stampo, mettendo poi il tutto in frigo a riposare mentre preparate il ripieno.
Pulite i carciofi: eliminate le foglie dure esterne, tagliate il gambo lasciando un paio di cm.
Tagliate la punta dei carciofi a c.ca 2/3 dal cuore e poi tagliate a metà il fiore. Togliete il fieno e le eventuali spine che dovessero essere al centro quindi mettete i carciofi in una ciotola piena di acqua fredda acidula con il succo di un limone.
Fate bollire una casseruola d'acqua acidulata con limone e quando i carciofi saranno pronti, buttateli in acqua e fateli sbianchire per 3/4 minuti.
Scolateli bene. Tenete da parte 3 metà carine che vi serviranno a decorare la quiche e riducete in piccoli spicchi i restanti carciofi.
Affettate finemente il porro e fatelo imbiondire con dolcezza nell'olio extravergine quindi aggiungete i carciofi a spicchi e le 3 metà. Fate insaporire bene, salate e cuocete aggiungendo un o due cucchiai d'acqua se necessario, per 5 minuti. Fate raffreddare.
Sbattete le uova in una ciotola, aggiungendo la panna, il parmigiano, la menta tritata, sale e pepe. Aggiungete i carciofi a spicchi e tenete da parte le metà. Mescolate bene
Foderate con la brisé il vostro stampo, bucherellatelo nel fondo e coprite la base con le fettine di prosciutto.
Versate il contenuto della ciotola e distribuitelo bene nella base.
Aggiungete le 3 metà graziosamente sulla superficie e fate cuocere in forno preriscaldato a 180° per c.ca 35 minuti, fino a che il tutto non sia bello dorato e gonfio.
Fate raffreddare leggermente, sformate e servite con una bella insalatina di misticanza.


lunedì 26 gennaio 2015

Torta di mele rosa dei Monti Sibillini al Brandy: ma chi ha paura di invecchiare!

As time goes by - Diana Krall
Qualche giorno fa, proprio dopo la scadenza non proprio indolore del mio nuovo compleanno, sono ricaduta nella solita elucubrazione sul tempo che passa.
Che passa troppo in fretta. Che passa senza controllo.
Insomma, a me è sembrato che la decade dei 30 anni sia volata in un attimo, ma quella dei 40 è come se fosse durata niente, in particolare da quando è nata mia figlia.
Il colpo di grazia me lo ha dato un film sul quale ho riso fino alle lacrime e che consiglio vivamente a tutte le mie amiche e le mie lettrici che si avviano alla ferale celebrazione del mezzo secolo: Ci vuole un gran fisico, con la strepitosa Angela Finocchiaro.
Se non lo avete ancora visto, fatelo. E non perché sia un film magistrale, di stupenda scrittura o di particolare profondità.
Ma perché fa ridere, tanto, su qualcosa che invece a noi donne provoca momenti di depressione convulsa: invecchiare.
Se per gli uomini invecchiare è direttamente proporzionale all'idea di perdere la propria potenza di maschio impollinatore, per noi donne tutto è legato all'esteriorità, alla bellezza che sfiorisce lasciando spazio solo ad un lontano ricordo di ciò che siamo state.
A partire dai rituali mattutini (una decina di creme e cremine spalmate, massaggiate, schiaffate, picchiettate sulla faccia e dintorni), la ginnastica facciale nei tempi morti (in macchina al semaforo con smorfie esilaranti), l'indagine su cedimenti corporei e volumi non richiesti, le nottate insonni, le caldane violente al limite dell'autocombustione (esiste, vi giuro), i malumori e la rabbia controllati con respirazioni da partoriente, i rapporti con figlia adolescente ribelle e madre settantenne con atteggiamenti da liceale, guardando questo film ho riso tanto, ma tanto, fino alle lacrime ed al singhiozzo, in presenza di un marito basito ed una figlia che ogni tanto sgomitava il padre chiedendo "ma cosa le prende"?
Forse era un momento particolare, ero stanca e un po' giù, ma la Finocchiaro con questo film, si è trasformata nel mio "angelo della menopausa"(e se guarderete il film capirete di cosa parlo).
Ci vuole grande intelligenza e sensibilità nel prendersi gioco di sé con la stessa leggerezza con cui questa attrice si è buttata in questa parte. Che certamente la rappresenta, ma che rappresenta tutte noi, senza distinzione di ceto sociale, colore o conto in banca.
Non solo noi nel mezzo del cammin di nostra vita, ma anche voi, belle, fresche, polpose ed atletiche 20/30enni, perché nessuna scampa a questo difficile passaggio.
Il mio invito di oggi è quindi di guardare Ci vuole un gran fisico se vi vengono le paturnie da compleanno in arrivo e di farlo in compagnia di qualche cara amica e qualcosa di buono da mangiare, come questa torta di mele assolutamente strepitosa.
Facendo un esercizio di meditazione concentrato su un unico, saggio, liberatorio mantra: ECCHISENEFREGA.
Ingredienti per una tortiera di 26 cm 
220 g di burro morbido
200 g di farina 00
200 g di zucchero
4 uova medie
1 cucchiaino di lievito
5 mele rosa dei Monti Sibillini
gelatina di mele cotogne
3 cucchiai di Brandy
Sbucciate le mele, dividetele a spicchi e quindi riducetele a fettine dallo spessore di 5 mm.
Mettetele in una ciotola, versatevi il Brandy e mescolate con un cucchiaio. Coprite con la pellicola e fate riposare il tempo che preparate l'impasto.
Separate i tuorli dagli albumi.
Sbattete i tuorli con lo zucchero fino ad ottenere un composto gonfio e pallido.
Incorporate il burro che deve essere ben morbido ma non sciolto, e lavorate la cream fino a che non sarà uniforme.
Successivamente unite piano alla volta, la farina setacciata con il lievito.
Per ultimo aggiungete gli albumi, che avrete montato a neve ben ferma. Prima un cucchiaio per ammorbidire l'impasto, quindi successivamente il resto che dovrete incorporare con una spatola, mescolando dall'alto in basso.
Foderate la tortiera con carta da forno quindi versate la metà dell'impasto e distribuitelo su tutta la base aiutandovi con una spatola.
Sgocciolate le mele e distribuitene metà sulla superficie in senso circolare non troppo vicine l'una dall'altra, infilandole leggermente nell'impasto in maniera obliqua.
Coprite le mele con il resto dell'impasto e ripetete l'operazione con il resto delle mele, sistemandole con grazia sulla superficie, senza spingerle troppo nell'impasto.
Cuocete a 180° per c.ca 45/50 minuti (fate la prova stecchino), e fino a che la superficie non sia bella dorata.
Lasciate intiepidire su una gratella quindi sformate e spennellate la superficie con gelatina (io di mele cotogne) o con marmellata di pesche o albicocche diluita con una goccia di brandy.


giovedì 18 dicembre 2014

La difficile ed abusata arte di riciclare i regali: zuppa di verza e ceci neri di Pomarico

The Christmas Waltz - Christine Chenoweth
Ci siamo.
Fra poco meno di una settimana affronteremo quello che per molti è il periodo più atteso dell'anno e per alcuni, una concreta ragione per sparire dalla faccia della terra: il Natale.
Lasciamo perdere tutte le belle motivazioni, il calore della famiglia, la magia, la festa per i bimbi e concentriamoci su quello che per tutti, e dico tutti, diventa ragione di ansia, stress, panico, fatica, noia, malumore: Fare i regali.
No, non alzate la manina per dirmi che voi vi divertite, che per voi è una gioia e bla bla bla.
Non ci crede nessuno. Perché in fondo in fondo lo so che vi girano le scatole.
E vi girano perché ci sarà sempre quel regalo che dovete fare e per il quale non avete la benché minima idea. Come voi, tutti!
E' questa la ragione per cui sotto l'albero, il giorno di Natale, apriremo scatole che noi umani preferiremmo non avere mai scoperchiato; indosseremo facce di cera che nemmeno al Madame Tussaud; formuleremo ringraziamenti falsi come i soldi del Monopoli. E penseremo immediatamente quale fine miserrima far fare al dono appena ricevuto.
E qui comincia il bello.
Perché nessuno al mondo sa riciclare i regali.
Il più delle volte si viene scoperti. Ve lo dice una che il giorno del suo matrimonio ha aperto un dono al cui interno c'era ancora il biglietto destinato alla persona da cui proveniva.
Non ci si rimane bene.
Per svariate ragioni: la prima, quella più bruciante, è la consapevolezza che di voi quella persona non ha capito nulla e pur di onorare il dovere (qualcuno di voi si è mai preoccupato del fatto di non aver ricevuto un regalo da un parente o un conoscente? mah....), vi rifila la più ignobile ciofeca della storia, riciclata o meno poco importa.
Meglio niente per favore.
La seconda, è che certe cose sono talmente inutili e brutte che a chiunque vogliate rifilarle, farete sempre una figura di merda. Ergo, non lo fate.
La terza è che bisogna essere bravi, davvero, e pochi lo sono, forse nessuno.
Si potrebbe porre fine all'ignobile catena di S. Antonio del ricicloregalo, fermandosi prima di spendere.
Non hai idea cosa regalare alla tua vicina di casa? Alla suocera? All'insegnante di danza?
Togli la mano da quel soprammobile orrido e vai dal fioraio. I fiori non passano mai di moda.
Ti hanno appena regalato una collana bijou che neanche Marie Antoinette?
Blocca l'insano pensiero di impacchettarla per darla a tua sorella...quando avrai smesso di ridere, fagliela vedere scherzandoci sopra, e magari sarà lei a chiedertela.
Fare un regalo dovrebbe essere un momento di piacere e divertimento dettato dall'affetto e non dal  sadico gusto (o crudeltà gratuita) tipico di quei genitori che abbinano nomi impossibili a cognomi deliranti (di Guido Piano e Guglielmo Marconi il mondo è pieno).
Fermatevi.
Fate un regalo in meno, date un abbraccio in più. Lo so, sono retorica.
Ma a riciclare i regali, tanto non siete capaci.
E per calmare l'acidità di stomaco sollevata dall'ennesimo sgradito pensiero (ma chi ha inventato il detto che "basta il pensiero"?), una bella zuppetta, sana, deliziosa, confortante quanto un abbraccio. Facilissima quanto raccontarla.
Zuppa di verza e ceci neri di Pomarico
Ingredienti per 4 persone
200 g di cavolo verza tagliato a julienne
2 patate medie
1 carota
una gamba di sedano
una piccola cipolla rossa
150 g di ceci neri di Pomarico già cotti (preparati come indico qui)
una foglia di alloro
3 cucchiai di passata di pomodoro
un cucchiaino di paprica dolce
pepe nero macinato fresco
Olio extravergine
Pulite le verdure: pelate e tagliate a rondelle la carota.
Pelate la patata e tagliatela a dadini, lavate e affettate a julienne la verza, affettate sottilmente la cipolla ed il sedano.
Versate 3 cucchiai d'olio in una larga casseruola insieme al sedano ed alla cipolla ed alla foglia di alloro.
Fate cuocere a fiamma dolce fino a che non saranno morbidi.
Aggiungete la passata di pomodoro ed il cucchiaino di paprica dolce.
Fate andare qualche minuto sempre a fiamma dolce quindi aggiungete le verdure e mescolate bene per insaporire quindi coprite il tutto con acqua fredda a filo.
Fate cuocere per c.ca 1 oretta. Dopo 45 minuti aggiungete i ceci cotti e proseguite la cottura aggiustando di sale.
Se vi piace, potrete passare una parte della zuppa con il mixer a immersione, per ottenere un brodo cremoso (io non l'ho fatto).
Servite ben calda con un filo di olio extravergine Gentile di Larino, una macinata di pepe nero fresco e piccoli crostini di pane.


lunedì 29 settembre 2014

Streusel cake con pere e mandorle: ognuno ha i lettori che si merita.

With a little help from my friend - The Beatles 
Ci sono delle cose che quando accadono, ti mettono nella condizione di guardare a ritroso, di interrogarti e piombare in attimi di panico semplicemente perché ti consentono di realizzare che quanto hai fatto fin ora sull'onda dell'entusiasmo, è qualcosa di reale, che non tocca solo te, ma altri.
Pochi, molti, non ti è dato di saperlo.
O forse un poco si, se ti metti a guardare quegli infernali strumenti statistici di cui capisci poco e niente.
Qualcuno che legge queste pagine c'è.
E non è la tua amica blogger che ti segue, passa per un saluto o per un commento, quella che si ferma a leggere il titolo e osservare la foto oppure quella che legge tutto e ti scrive in privato per ringraziarti.
L'inghippo è proprio lì.
E forse ci cadiamo in tante perché è una di quelle cose che non si spiegano.
Un po' come quando aspetti il decollo dell'aereo e stritoli la mano al tuo compagno di viaggio per la paura, perché non c'è verso che entri nella tua testaccia che c'è una ragione se quel bestione si alza in volo, si stacca da terra e solleva quel pandemonio di metallo mettendosi a volare.
Non te lo spieghi e basta. E muori di paura.
Beh, con il blog non vivo certo lo stesso panico, ma quando accadono certe cose capisco perché sono qui e perché continuo a scrivere.
La ragione sei tu.
Che in silenzio trovi il tempo di aprire questa pagina, di ritagliarti un momento prima che cominci il casino della tua giornata o che aspetti la pausa caffè per sbirciare la nuova ricetta.
Tu che casualmente sei arrivata qui inciampando in una catena di link e ti sei innamorata di una ricetta come è successo a me ed hai voluto provarla.
Tu che non hai bisogno di commentare perché condividi i miei pensieri, sorridi alle mie imbranataggini ed un po' mi assomigli. E magari vieni qui solo per leggere, che del cibo non te ne frega niente.
Con mio enorme stupore, ed emozione e consapevolezza, so che ci sei e che il mio scrivere, il mio divagare, il mio lanciare messaggi nell'etere come le cinque note di Incontri Ravvicinati, arriva da qualche parte, anche a te.
Se scrivo questo post adesso, dopo quasi 4 anni di vita virtuale, che altro non è che la trasposizione scanzonata di una vita vissuta, è perché solo oggi capisco di avere una grande responsabilità nei tuoi confronti.
Che tutti noi che giocherelliamo con una finestra come questa, dovremmo avere ben presente.
Il nostro lettore non ha nulla a che vedere con il nostro mondo virtuale di amiche blogger.
E' una persona vera che ci osserva in silenzio e ci chiede di essere affidabili.
Nella maggior parte dei casi non gliene importa nulla della bella foto (quella è una fissazione di noi blogger), né della ricetta figa (che non sa di niente).
Ci legge perché si sente vicino a noi, perché lo divertiamo, perché magari, scriviamo anche cose intelligenti ogni tanto.
Quello che mi viene da dire, chiudendo questa divagazione del lunedì, è che ognuno ha i lettori che si merita.
Ed io lo confesso, sono proprio fortunata!
Per la serie ricette affidabili e facili, finalmente riesco a postare questa meraviglia di Delia Smith da suo libro Cakes. 
Tre parole: facile, bella, buona.
Tu, lettore che mi segui in silenzio, non hai scuse per non provare. ;)
Ingredienti per uno stampo da 20 cm di diametro
Per la torta
110 g di farina autolievitante
1 cucchiaino raso di lievito in polvere
50 g di burro morbido
50 g di zucchero semolato
50 g di mandorle macinante
1 uovo grande
qualche goccia di estratto di mandorle naturale
un pizzico di sale
3 cucchiai di latte
2 pere sbucciate, private del torsolo, divise in quarti ed ogni quarto in 3 fettine
Per lo Streusel
50 g di burro sciolto
75 g di farina autolievitante
50 g di zucchero demerara
40 g di mandole a lamelle
una spolverata di zucchero a velo.
Setacciate la farina in una larga ciotola facendola cadere dall'alto per renderla più aerata, quindi aggiungete tutti gli ingredienti tranne le pere e con una frusta elettrica mischiate fino ad ottenere un composto cremoso.
Con un cucchiaio distribuite il composto in uno stampo a cerniera imburrato e foderato sulla base con carta da forno. Livellate bene con una spatola.
Distribuite in cerchio le pere coprendo bene tutti gli spazi (vi verranno c.ca 2 strati), quindi preparate lo Streusel.
Mescolate la farina con lo zucchero quindi aggiungete il burro fuso ed incorporate gli ingredienti secchi con una forchetta. Aggiungete quindi le mandorle a lamelle e mescolate ancora ottenendo un composto bricioloso.
Distribuitelo sulla superficie coprendo le pere e passate in forno preriscaldato a 200°C per 40/45 minuti.
Una volta pronto, fatelo raffreddare una ventina di minuti quindi passate una spatola intorno ai bordi per staccare eventuali parti del dolce. Aprite la cerniera e fate scivolare il dolce con delicatezza su una griglia aiutandovi con la carta da forno.
Fate raffreddare completamente e servite.