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mercoledì 11 dicembre 2019

Crema spalmabile di...Ricciarelli: alla golosità non c'è mai fine.

All I want for Christmas is you - Cover 
Si, lo so, è pura follia.  
Ma non è colpa mia.
E' che certe volte mi ascolto parlare, e da affermazioni assurde tipo "sono così buoni che me li spalmerei addosso", si accendono lampadine che sembrano fari da stadio.
Isabelle Allende, aveva un altro modo di riferirsi al cibo che però, un po' si avvicina a questa mia fantasia malata, solo che lei avrebbe messo Antonio Banderas sopra una tortilla messicana in un bagno di guacamole...forse aveva ragione lei.
Per certe fantasie bisogna essere diversamente energici ed io in questo periodo mi posso permettere solo di alzare un cucchiaino. 
Comunque, nonostante la stanchezza del momento, la testa continua la sua irrefrenabile giostra e quando mi è stato chiesto dalla CNA Food and Tourism di Siena, di inventarmi una ricetta a base di Ricciarelli, sono quasi inorridita.
Trasformare i Ricciarelli in qualcosa di diverso? Ma non esiste.
Sono talmente buoni che ne mangerei una carretta, e se possibile me li spalmerei addosso...
Ecco, così nascono certe deviazioni, fastidiose come una malattia, disturbanti come una zanzara nell'orecchio in fase Rem, odiose come un tormentone musicale.
Ero per passare, confesso.
La sfida, per semplici motivi di coerenza e legame alla tradizione, mi sembrava una blasfemia.
Poi quella strana idea, che si fa spazio e solletica la curiosità e piano piano prende forma.
Per un momento ho avuto paura di sprecare un tesoro: i Ricciarelli deliziosi del Forno di Ravacciano, erano lì che aspettavano la mia bocca inermi e morbidi come una nuvola. Perché rovinare tutto?
Già, perché?
Se volete scoprire la storia e la ricetta tradizionale dei Ricciarelli di Siena, potrete andare a leggere sulla pagina ufficiale del Calendario del Cibo Italiano, che oggi ne celebra la giornata Nazionale.
Premetto: se vi regalano una confezione di Ricciarelli freschi, e per freschi intendo di Pasticceria o di Forno provenienti da SIENA, e non quelle confezioni industriali da pacco aziendale che stallano per mesi e a volte per anni in dispense dimenticate, mangiateli! Mangiateli così, godeteveli in purezza, dopo un caffè, con un bicchierino di Vin Santo, o da soli, davanti ad un bel film romantico.
Siatene gelosi, non fateli invecchiare.
Ma se, eventualmente, vi capitassero sotto mano dei Ricciarelli industriali, o i vostri deliziosi artigianali siano diventati secchi perché vi siete dimenticati dove avevate messo la scatola (è possibile? boh), allora fatevi questa crema spalmabile e mi direte.
La prima raccomandazione è utilizzare dei Ricciarelli che non siano morbidi.
Devono avere perso la loro umidità ed asciugarsi. Nel caso siate irreparabilmente sadici, seccateli un poco in forno a 100° per qualche minuto. Fate poi raffreddare bene il tutto.
Usando i ricciarelli industriali, con la lama di un coltello abbiate cura di togliere lo strato di zucchero a velo cristallizzato sulla superficie.
Il resto, è di una facilità imbarazzante.

Ingredienti per un vasetto da 200 g
100 g di Ricciarelli
30 g di miele di agrumi
65 ml di latte intero
60 g di cioccolato bianco
30 ml di olio di mais
la scorza grattugiata di un'arancia non trattata
  • Frullate i ricciarelli fino a ridurli in polvere fine e versateli in una ciotola. Aggiungete il cioccolato bianco che avrete grattugiato finemente. Mescolate bene. 
  • Aggiungete la scorza di arancia grattugiata. 
  • In una piccola casseruola scaldate il latte con il miele e fate cuocere fino a che il miele non sarà completamente sciolto. Il latte dovrà arrivare a fremere. A questo punto versatelo sulla farina di ricciarelli e mescolate bene fino a che il latte caldo non avrà sciolto il cioccolato, ottenendo una crema morbida. 
  • Aggiungete a filo l'olio e mescolate ancora bene per qualche istante fino a che tutto non sia molto omogeneo. Versatela in un vasetto sterile e lasciate raffreddare completamente. 
  • Mettete in frigo. La crema acquisterà una consistenza più densa e voluttuosa. Consiglio di lasciarla riposare almeno un giorno in modo che tutti gli aromi si sposino armoniosamente. Si conserva una decina di giorni tenuta al fresco.
Potrete spalmarla su del pan brioche tostato, potrete farcire dei Linzer al cacao oppure degli Alfajores, potrete riempirci delle crostatine di frolla sottile e aggiungere dei frutti rossi che fanno tanto Natale, oppure potrete mangiarvela così, a cucchiaiate, che è tanto ma tanto più facile e veloce! 
In ogni caso, è strepitosa! 

martedì 3 dicembre 2019

Panpepato Florentine al burro salato: il Panpepato, quello vero!

I saw Mommy kissing Santa Claus - Jackson Five
Sotto l'albero son stato
all'ascolto nella notte
ma dal buio del camino
solo odore di ballotte
Mi incantavo alle lucine 
che brillavano sfacciate,
esprimevo un desiderio
e scartavo cioccolata.
Prima o poi lui scenderà,
ed io son nascosto bene.
I pacchetti lascerà,
stare muto mi conviene.
Ma il silenzio nella casa
mi ha sorpreso a tradimento
lì sdraiato a pancia in giù
proprio sopra il pavimento
La mia mamma mi ha svegliato
piano piano con un bacio,
perché mi ero addormentato
come un gatto sul panpepato.

(Poesia di Natale, ispirata da mia figlia Alice).
Sul tavolo di Natale delle case senesi, due sono i dolci che fanno la differenza e a volte, dividono le famiglie: Panforte e Panpepato.
Il Panforte è per tutti; il Panpepato per gli intenditori.
Il Panforte garba anche ai bambini; il Panpepato è guardato con sospetto e se lo mangi, ormai sei grande.
Il Panforte è dolce, avvolgente, fruttato e mieloso.
Il Panpepato è spezia, cacao, pepe e un viaggio lontano.
Il Panforte è di chi vuole sentirsi a casa.
Il Panpepato degli avventurieri.
Entrambi non hanno nulla a che vedere con quelle rotelle rinsecchite avvolte in carta colorata, che vi è capitato di trovare da piccoli sotto l'albero e che non avete mai provato ad assaggiare.
E quando finalmente lo avete fatto, avete detestato talmente quei dolci che nella vostra testa è rimasta una sola condizione: "Mai più".
Ecco, prima di tutto, se vogliamo parlare di Panpepato, dobbiamo dire una cosa: assaggiate quello vero!
Giolisca, entusiasta pasticcera e Jolly del Forno di Ravacciano, con il suo Panpepato. 
Un viaggio nel vero Panpepato l'ho fatto anche io, grazie alla Cna di Siena che insieme ad uno sparuto gruppo di blogger da tutta Italia, ci ha permesso di incontrare alcuni dei più interessanti artigiani della città, primo fra tutti Il Forno di Ravacciano.
Un'azienda di totale gestione familiare ormai da tre generazioni, che ha iniziato l'attività oltre 50 anni fa con un piccolo forno servendo la clientela locale e che adesso distribuisce i suoi prodotti in tutta la provincia.
L'intera mattinata al forno di Ravacciano, mi ha fatto guardare i dolci della mia città da una nuova prospettiva e con un occhio più affascinato e grato.
L'entusiasmo e l'amore per il proprio lavoro così evidente in  Giolisca e Fabio, giovane coppia anche nella vita, si riversa nella qualità del loro prodotto,  grandemente apprezzato dalla cittadinanza: oltre 50 tipi di pane diversi incluse pizze e focacce, dolci per la colazione, Ricciarelli, Pan co' Santi, Panforte, Cavallucci, Panpepato, torte di compleanno, biscotti, e molto altro.
Nel Calendario del Cibo Italiano, oggi è la giornata del Panpepato: vi invito ad andare a leggere la storia ed i segreti di questo straordinario dolce senese.
Quello che invece abbiamo potuto fare noi, blogger golosi, è stato sperimentare cercando di trasformare uno spicchio di Panpepato, in un nuovo piatto, dolce o salato che sia.
Priva di fantasia e guizzi creativi, la sottoscritta si è limitata a realizzare delle semplici Florentine, dolci di origine francese caratterizzati dal uno strato sottile croccante costellato da frutta secca ed da una glassatura di cioccolato fondente molto amaro a contrastare la dolcezza della cialda.
Ho pensato di sostituire completamente la frutta candita con dadini di Panpepato, lasciando una manciata di Cranberries che conferiscono acidità e freschezza, ma sostituendo le tradizionali mandorle sbianchite, con mandorle salate e tostate insieme ad un bel pizzico di sale Maldon nell'impasto di burro.
Il Panpepato regala un meraviglioso "effetto Natale" al biscotto, grazie al profumo della spezia, in particolare della cannella e noce moscata, ed il sale rende l'insieme decisamente ruffiano, elegante e ultragoloso.
La sorpresa più grande è stata sentire il consorte, giudice implacabile e nemico giurato dei dolci, affermare che è impossibile resistere ad un dolce così.

Ingredienti per 18 Florentine
50 g di burro
50 g di zucchero demerara
50 g di golden syrup
50 g di farina 00 setacciata
50 g di panpepato tagliato a dadini piccoli
30 g di cranberries
25 g di mandorle con pelle tostate e salate, sminuzzate
25 g di mandorle a lamelle
Un generoso pizzico di sale Maldon in fiocchi
200 g di cioccolato al 70%
  • Preriscaldate il forno a 180°. Foderate 3 teglie con carta da forno.
  • Mettete il burro, lo zucchero, il golden syrup ed il sale Maldon in una casseruola a fondo spesso e fate cuocere a fuoco dolce fino a che il burro non sia completamente  sciolto. Fate ruotare la casseruola mentre cuoce, in modo da sciogliere uniformemente anche lo zucchero ed ottenere una consistenza caramellosa. 
  • Mentre questo si scioglie, mettete il resto degli ingredienti, farina, panpepato, frutta secca, in una ciotola e mescolate bene. Togliete il composto di burro dalla fiamma e versatelo sugli ingredienti e con un cucchiaio mescolate con cura per ottenere una massa uniforme e lucida.
  • Con un cucchiaino da caffè, formate le Florentine, ricavando un mucchietto di impasto che sistemerete sulla teglia (6 per ogni teglia) ben distanziato dagli altri. Durante la cottura i mucchietti si allargheranno e diventeranno molto sottili. 
  • Cuocete dagli 8 ai 10 minuti (prestando attenzione al forno - cominciate con 8 minuti - perché si bruciano con facilità). Dovranno diventare di un bel colore caramello dorato 
  • Lasciate raffreddare le Florentine qualche minuto prima di sollevarle con una spatola di metallo e sistemarle su una griglia. Raffreddandosi diventeranno croccanti. 
  • Una volta fredde potrete passare alla glassatura con il cioccolato. Se volete farlo in un altro momento, sistemate le Florentine in una scatola ermetica per non far prendere loro umidità. 
  • Per la copertura, dovrete temperare il cioccolato e potrete farlo con semplicità con il metodo dell'inseminazione. Tritate metà del cioccolato e fatelo sciogliere a bagnomaria controllando con un termometro che raggiunga la temperatura di 50°. A quel punto togliete la ciotola dalla casseruola, aggiungete il resto del cioccolato che avrete tritato molto finemente, e fate abbassare la temperatura a 28°, mescolando con una spatola per facilitare l'operazione. Quando il cioccolato sarà pronto avrà raggiunto quella temperatura, riportatelo a 31° su un bagnomaria molto delicato e sempre mescolando. A quel punto potrete glassare i vostri biscotti. 
  • Con un cucchiaino versate sul retro della Florentine la quantità giusta per coprire la superficie in uno strato di un paio di millimetri. Attendente che si sia leggermente rappreso e con una forchetta, disegnate delle onde o decorate come preferite. 
  • Lasciate raffreddare completamente prima di chiuderli in una scatola e servirli con un ottimo caffè o vino dolce. 

giovedì 11 luglio 2019

VAMOS A LA PIADA: Piadina con melone, primo sale e mousse di finocchiona

Vamos a la playa
Dico.
Non ce la si può fare.
Un cristiano normale non può stare tutto il giorno davanti ad un computer che naturalmente sviluppa un discreto calore, lavorando in cucina perché unico spazio disponibile in casa, senza aria condizionata ed un'esposizione al sole dalle h. 12.00 alle 19.00, tapparelle abbassate per illudersi che possano sbarrare il passaggio dei raggi solari...Dio, guardandomi da fuori mi pare d'essere metà Quasimodo e metà Caronte, un Quasimonte insomma (bestia mitologica metà agente di viaggio, metà donna rincoglionita dai colpi di calore). 
Ci si mette anche la menopausa, quella poi, te la raccomando.
In certi momenti, emano più calore io della mia macchina quando apro la portiera alle quattro del pomeriggio.
Mi strapperei la pelle di dosso.
Ci sono giorni che mi dimentico anche di mangiare.
Non ce la si fa.
Ma chi ha fame con questo alito di drago che ti sfiora la noce del collo?
Per disperazione, ieri sera mi sono mangiata un melone gelato di frigo con il cucchiaio da minestra: una scena penosa, un cercopiteco era più aggraziato di me.
Arrivo alla sera distrutta pensando che un tempo, forse mille anni fa, amavo l'estate.
Adesso l'estate mi piace solo al tramonto.
E quando ricomincerò a dire che fa un freddo porco.
E' già, ultimamente riempiamo le nostre conversazioni parlando del tempo.
Dovremmo capirne la ragione, se dipende dal nostro interlocutore o dal fatto che non abbiamo più niente da dire. Il che sarebbe molto triste.
Così torno a parlare di cibo, di qualcosa che ci salva dalla depressione spinta per una fantasia uccisa dal solleone.
Oggi, nella Giornata Nazionale della Piada o Piadina celebrata dal Calendario del Cibo Italiano , troverete in rete decine di ricette di cui la protagonista è proprio lei, la meravigliosa Piadina, in un festival di farciture e interpretazioni estreme.
Questo grazie alla generosità di un'azienda artigianale della riviera romagnola, che dal piccolo chiosco lungo mare, è passata alla produzione su grandi numeri, mantenendo inalterata la logica del prodotto della tradizione, utilizzando grani locali e antichi, prodotti rigorosamente territoriali come il Sale di Cervia e innovando il prodotto con l'inserimento di ingredienti selezionati come l'olio extravergine che caratterizza alcune delle piade in commercio. Non ultimo, la presenza del lievito madre della casa, presente in tutte le piade dell'azienda.
Parlo di Fresco Piada, l'azienda che oggi partecipa con il Calendario, al Flash Mob dedicato ad uno degli street food più amati nel mondo.
Vi invito a visitare il suo sito, perché è il bellissimo racconto di come si possa ancora fare prodotti artigianali con strumenti avanzati, utilizzando materie prime d'eccellenza e del territorio, mantenendo la presenza dell'artigiano e la sua manualità, protagonista di tutto il processo produttivo, ottenendo un grande prodotto distribuito freschissimo e senza l'uso di conservanti.
La selezione delle piade Fresco Piada è davvero incredibile: io ho avuto l'imbarazzo della scelta ma per provarla ho cominciato con La Ritrovata con Lievito madre e Sale di Cervia, realizzata proprio come ancora si fa nei piccoli chioschi della riviera, con la presenza del lievito naturale che garantisce una morbidezza e fragranza della piada per lungo tempo.
Ovviamente considero questa mia proposta, una non ricetta, realizzabile in un attimo una volta reperiti gli ingredienti.
Assolutamente estiva, fresca ma appetitosa, per me che amo il melone e i salumi della mia terra, ho sostituito il solito prosciutto che ben si sposa al melone, con una mousse di finocchiona, per avere un elemento cremoso nel ripieno.
La mia è una semplice piadina con Melone, Primo Sale e Mousse di Finocchiona.
L'unica cosa che dovrete preparare è la mousse. Utilizzate la stessa quantità di ricotta freschissima privata del suo siero per lo stesso peso di finocchiona. Frullate il tutto.
Tagliate a fettine sottilissime il melone dopo averlo privato della buccia così come il primo sale.
Scaldate bene la piada come insegnano nel sito di Fresco Piada quindi farcite: mousse, primo sale a fettine, un filo d'olio e pepe nero e per finire il melone.
Servite subito e GNAM!

venerdì 5 gennaio 2018

Il Patè di lesso e la filosofia dell'avanzo

If it makes you happy - Sheryl Crow
Iniziare l'anno con un post sugli avanzi.
Spero che sia di buon auspicio visto che l'avanzo spesso non è sinonimo di cose importanti o a cui dare valore.
A volte è anche piuttosto pericoloso.
Se ti dicono per esempio, che sei "un avanzo di galera", io comincerei a farmi delle domande.
Eppure, se parliamo con le nostre mamme o le nostre nonne, chi ha ancora la fortuna di averle vicine, gli avanzi "roba sacra sono" e spesso la loro trasformazione in un pasto nuovo di zecca, costituiva ragione di vanto per la brava massaia.
Ma le massaie, da quel che mi dicono in regia, non esistono più.
Una specie pressoché estinta o non lontana dall'esserlo.
In una società dove tutto si consuma alla velocità della luce, dove le dispense sono stracolme, i frigo offrono asilo a formaggi, salumi e verdure che spesso si incrociano producendo nuove forme di vita in continua evoluzione, dove il carrello della spesa del vicino offre l'immagine della totale confusione mentale, della bulimia gastroemozionale, l'avanzo è ormai totalmente anacronistico, inutile.
Sappiamo benissimo tutti, per lo meno noi, che ancora abbiamo il coraggio di avvicinarci ai fornelli, che la verità è molto diversa.
Che dovremmo TUTTI cominciare a ragionare in termini di consumo misurato, etico, sostenibile.
E che di questa filosofia di rispetto delle nostre risorse così cara alle vere massaie, l'avanzo è uno dei fondamentali pilastri.
Non voglio entrare in tematiche più grandi di me, ma le guerre si vincono con piccole azioni quotidiane, costanti e ripetute.
Ritornare a dare il giusto valore a tutto quello che acquistiamo per alimentarci, utilizzandolo al meglio e non sprecandolo, ci rende oltre che responsabili, persone migliori.
Così, visto che ho ancora un contenitore con del buon bollito avanzato, stasera polpette, ma per voi, qualcosa di più chic e raffinato come un bel paté.
Di lesso ovviamente.
Purtroppo devo confessare di non essere una "massaia responsabile", perché spesso mi ritrovo a dover gettare alimenti che ho lasciato deperire semplicemente perché non sono stata oculata nei miei acquisti ed ho preso più di quanto avessi bisogno.
Ogni volta che accade, sento una fitta al cuore e mi maledico.
Però questo blog è un sostenitore dell'avanzo e per chi cerca idee in proposito, qui sotto ne troverà una piccola selezione.


Per la Giornata Nazionale degli Avanzi del Calendario del Cibo Italiano,  le proposte saranno numerose e molto creative che ovviamente, vi invito a leggere.
Con l'auspicio che le occasioni di spreco si riducano sempre di più.
Una piccola premessa: il bollito è una preparazione straordinaria che mangiata al momento dà la più grande soddisfazione. Nonostante tutto ha bisogno di essere accompagnato da salse per riequilibrare quella parte di succhi che perde in cottura.
Purtroppo l'avanzo semplicemente riscaldato è immangiabile quindi deve necessariamente essere trasformato. Il paté è un'ottima soluzione ma va arricchito di sapori e ben bilanciato con odori, spezie, ed elementi che possano fornire la giusta umidità/cremosità.
Mentre lo preparate, usate il vostro palato!

Ingredienti per cc.a 250 g
200 g di lesso misto (manzo, gallina, ecc)
50 g di burro salato a temperatura ambiente
Un cucchiaio abbondante di pistacchi sgusciati e non salati + qualcuno per decorare
Qualche fettina di tartufo nero (o bianco magari)
Mezzo cucchiaino di noce moscata
La punta di un cucchiaino di zenzero in polvere
La punta di un cucchiaino di cannella
Un nulla di chiodi di garofano in polvere
Abbondante pepe nero macinato fresco
Olio extravergine qb
Brodo del lesso qb
Sale qb
  • Prendi il lesso e prima di utilizzarlo lascialo fuori dal frigorifero almeno mezz'ora. Privalo delle parti cartilaginose quindi riducilo a pezzettini che metterai nel mixer insieme al burro, alle spezie, pepe e sale e ad un cucchiaio di olio e un paio di cucchiai di brodo tiepido 
  • Aziona il mixer a velocità media e comincia frullare il composto fino ad ottenere una pasta fine. Aggiungi il brodo e olio via via, per ottenere una consistenza vellutata e cremosa ma ancora sostenuta. 
  • Una volta ottenuta la crema, mettetila in una ciotola ed aggiungi i pistacchi tritati grossolanamente, il tartufo, mescola bene quindi aggiusta di sale e pepe se necessario. 
  • Trasferisci il paté in un barattolo di vetro o di ceramica che possa essere chiuso ermeticamente e conserva in frigorifero per 4/5 giorni. Eventualmente puoi congelare. 
  • Quando dovrai servirlo, toglilo almeno mezz'ora dal frigo: io gli do' una leggera scaldatina immergendolo a bagnomaria in modo che l'impasto si ammorbidisca e riprenda la sua consistenza spalmabile. 
  • Perfetto servito su fette di pan brioche tostato. 
  • Per la ricetta del Pan brioche, ti consiglio di cuore questa qui che è diventata un must in casa mia. Affetta le fette ad uno spessore non inferiore al cm o qualcosina di più: quando lo tosterai, la base sarà croccante ma lo spessore interno sarà morbidissimo e fragrante. 


sabato 9 dicembre 2017

Ceppelliate di Trivento per la Giornata Nazionale dei Biscotti di Natale

It's the most wonderful time of the year - Pentatonix 
Passato l'8 Dicembre, si entra ufficialmente nella modalità natalizia.
Le case si riempiono di decorazioni, di luci, di profumi inebrianti generati dalle bontà sfornate senza tregua e che dovranno allietare le tavole del Natale.
Il primo Natale che ho trascorso in Molise, molti anni fa, nonostante fossi abituata ad una nonna che per le feste era in grado di produrre chili e chili di delizie e stiparle nella sua inesauribile dispensa, mi sono trovata in enorme imbarazzo.
A parte la capacità di mia suocera di cucinare per un esercito senza manifestare stanchezza, l'intero vicinato ci mette del suo, perché durante la settimana precedente al Natale, arrivano vassoi carichi di dolciumi di ogni tipo: gli immancabili "Mustaccioli", le "Rose Catarre", una versione molisana delle Cartellate Pugliesi, gli immancabili "Pepatelli", simil cantucci croccantissimi in cui il miele sostituisce lo zucchero, le "Cancelle" , cialde preparate con ferri tradizionali e molti altri di cui non ricordo il nome.
E' un continuo scambio di dolcezze che non si può rifiutare così che, anche a feste finite, le credenze delle famiglie straripano di dolci che andranno avanti fino quasi a Carnevale.
Trivento è un piccolo borgo in provincia di Campobasso a poco più di un'ora dal paese di mia suocera, Larino.
E' situato in posizione elevata, dominante l'intera valle del Trigno ed è conosciuto per una cosa unica nel suo genere: una scalinata di 365 scalini (uno per ogni giorno dell'anno) che dalla parte bassa, arriva fino alla Cattedrale ed alla parte alta del paese, chiamata Il Piano.
La Scalinata di S. Nicola rende il borgo ovviamente molto suggestivo ed una prova irresistibile per i più temerari, ma la sosta a Trivento regala anche la possibilità di visita della diocesi più antica del Molise.
Durante il periodo natalizio, le Ceppelliate sono il dolce più rappresentativo della zona ed il sapore così come la consistenza sono caratterizzati dalla presenza della sugna, che conferisce estrema friabilità ma anche un sapore "deciso", smorzato adeguatamente dall'aroma del limone e del ripieno d'amarena. Con il passare dei giorni, l'impasto mantiene la sua friabilità e si arricchisce di sapore.
Per la Giornata Nazionale dei Biscotti di Natale, all'interno del Calendario del Cibo Italiano, ho pensato di proporre un biscotto praticamente sconosciuto da una regione che porto nel cuore e che vorrei potesse essere scoperta con maggiore curiosità, perché riserva sorprese senza fine.
Sulla pagina ufficiale del Calendario, troverete una carrellata di meravigliosi biscotti delle feste, da Nord a Sud, realizzati dalla nostra Community.
Ingredienti per c.ca 15 Ceppelliate (C'pp'lieat)
250 g di farina 00
5 tuorli medi
125 g di zucchero semolato
100 g di sugna
4 g di lievito in polvere per dolci
la scorza grattugiata di un limone non trattato
mezzo cucchiaino di estratto naturale di vaniglia
100 g di confettura di amarene
zucchero a velo per rifinire

  • Setaccia la farina su una spianatoia e fai la fontana. Al centro metti i tuorli, lo zucchero, lo strutto morbido, la scorza di limone e la vaniglia. Aiutandoti prima con una forchetta, poi con le mani, impasta gli ingredienti velocemente fino ad ottenere un panetto morbido a cui darai la forma di una palla schiacciata. Avvolgi nella pellicola e lascia riposare in frigo per 30 minuti.
  • Stendi la pasta con il matterello ottenendo uno spessore di 2/3 mm. 
  • Con un coppapasta da 7/8 cm di diametro, ricava dei cerchi. Al centro metti la confettura di amarena e richiudi ottenendo una mezzaluna. Cerca di sagomare il biscotto evidenziando le punte: in cottura tenderà ad allargarsi ed a perdere leggermente la forma. 
  • Cuoci a forno preriscaldato a 180° per c.ca 20/23 minuti fino a che i biscotti non saranno dorati. 
  • Lascia raffreddare su una gratella quindi, una volta freddi, rifinisci con zucchero a velo.
  • Si conservano per 10/15 giorni in una scatola ermetica. 



domenica 26 novembre 2017

Il Berlingozzo per la Giornata Nazionale dei Dolci con Olio Extravergine

La porti un bacione a Firenze - Narciso Parigi
Spesso dentro le ricette di un territorio, si annida il carattere della propria gente.
E il carattere toscano è spesso rustico, senza fronzoli al limite della ruvidezza, ma anche goliardico e schietto, senza bisogno di perdersi dietro a troppe parole.
Ma la propensione alla semplicità e all'essenziale non sono sinonimo di mancanza di bellezza.
Perché alla bellezza i toscani sono abituati da tutta la vita: la bellezza di una terra che ammalia il mondo intero; capolavori d'arte e architettura capaci di mandarti in confusione, preservati con amore e rispetto senza limiti.
Penso al destino che mi ha portato qui, nel cuore d'Italia: a volte vorrei scappare da questo paese e non tornare mai più, poi penso a ciò che dovrei lasciare ed il cuore mi si stringe.
Perché a questa bellezza si diventa dipendenti, prigionieri.
La ricetta di oggi è un dolce di origine Fiorentina che viene preparato durante il periodo di Carnevale.
La caratteristica di questo ciambellone dall'aspetto semplice e modesto, è la presenza  dell'extravergine e la forte aromatizzazione attraverso l'utilizzo di liquori ed zeste d'arancia.
Un dolce di casa che contiene 3 ingredienti toscani nell'anima: l'olio extravergine, il Vin Santo e l'aroma di anice.
Ingredienti riconoscibili singolarmente al palato ma estremamente armonizzati e alleggeriti nei toni dalla cottura.
Un dolce che deve essere accompagnato da un bicchierino di buon vino dolce, Vin Santo o un Passito di Montefalco o perché no, di Pantelleria.
Ma per i più piccini, inzuppato nel caffellatte la mattina, va certamente benone.
Per Carnevale, potrete decorarlo con confettini, monopariglia colorata o zucchero in granella per conferire un aspetto allegro e festoso.
In questa giornata, il Calendario del Cibo Italiano, celebra la Giornata Nazionale dei dolci con Olio Extravergine.
Una carrellata di buonissimi dolci in cui l'extravergine assume un vero ruolo di ingrediente fondamentale in grado di caratterizzare fortemente il risultato finale.
Per leggere tutte le bellissime ricette a lui dedicate, vi invito a leggere la pagina ufficiale della Giornata , dove troverete una carrellata di dolci regionali da riproporre immediatamente.
Ricetta tratta dal Grande Libro della vera Cucina Toscana di Paolo Petroni

Ingredienti per uno stampo da 24/26 cm di diametro
400 g di farina 00
200 g di zucchero
90 ml di olio extravergine (io ho usato olio da Gentile di Larino)
2 uova medie + 2 tuorli
200 ml di Vin Santo
50 ml di liquore all'anice (tipo Varnelli ma anche l'Ouzo se l'avete).
La scorza grattugiata di due arance non trattate
1 bustina di lievito in polvere
1 pizzico di sale
  • Montate le uova ed i tuorli con lo zucchero utilizzando le fruste elettriche o la planetaria. Fate montare per 5/6 minuti fino a che il composto non sarà gonfio e leggero. 
  • Mentre continuate a montare, versate a filo l'olio e fate incorporare. 
  • Miscelate i liquori (possibilmente a temperatura ambiente) e versateli nel composto insieme alle zeste d'arancia e continuate a montare per qualche istante. 
  • Setacciate la farina con il lievito, aggiungeteci il sale quindi incorporate poco alla volta al composto continuando a montare per qualche minuto. 
  • Quando il composto sarà liscio ed omogeneo, versatelo in uno stampo a ciambella imburrato ed infarinato e cuocete in forno a 170° per c.ca 35/40 minuti. 
  • Essendo un dolce preparato nel periodo di Carnevale, potete decorarlo con confettini colorati, monopariglia o zucchero in granella. Come più vi aggrada. 

mercoledì 15 novembre 2017

Creme caramel allo zafferano e caramello alla liquirizia: l'oro rosso cresce in paradiso.

Gold - Spandau Ballet
C'è una spezia che amo davvero molto, una spanna sopra le altre e questa è lo zafferano.
Il suo aroma elegante e complesso mi incanta ogni volta e cerco sempre nuove occasioni per utilizzarlo.
Dopo aver visitato un luogo speciale in cui viene prodotto, poi, sono stata travolta da una sorta di frenesia, complice il ricordo della bellezza dell'Azienda Fruto Prohibido.
La mia regione è conosciuta per la produzione di zafferano.
Nella mia provincia si produce lo Zafferano di S. Gimignano Dop; allontanandoci un po' troviamo quello delle Colline Fiorentine , ma si possono trovare produttori su tutto il territorio regionale e questa è una tradizione che si tramanda da secoli.
Durante l'esplorazione dell'azienda Fruto Prohibido, gestita da José Manuel Carvjal Gil, semplicemente Pepe per gli amici, promossa dal Calendario del Cibo Italiano, ho potuto scoprire di più sulla mia spezia del cuore, in particolare quanto impegno e passione richieda il grande lavoro necessario per ottenerla.
L'azienda si trova a Bellosguardo, una zona di Firenze situata a sud in posizione elevata rispetto al resto della città, da qui ovviamente il nome.
Un nome a cui non si da tanto peso fino al momento in cui non si realizza personalmente quanto azzeccato sia quell'aggettivo "bello" di fronte a "sguardo".
Il nostro ospite, che nella vita ha sempre fatto il giardiniere ma che, quando 30 anni fa ha lasciato la sua Valencia per l'Italia, si è buttato in una nuova avventura, quella del "giardiniere-contadino", ci ha incantato con la sua passione per la campagna la cui estetica deve essere addomesticata dalla saggia mano dell'uomo, e per l'idea primaria della sua "filosofia", ovvero quello della "campagna-giardino", presente ovunque in quel luogo.
Il Crocus, questo bellissimo fiore lilla dai cui pistilli si ottiene il prezioso zafferano, raggiunge la sua "maturazione" quindi fiorisce tra ottobre e novembre.
Non sempre è prevedibile il momento esatto in cui fiorirà, in particolare quest'anno, con un Settembre ed Ottobre praticamente estivi.
Il Crocus ama il freddo ed è proprio quando le mattine sono più rigide che il fiore fa capolino fra l'erba.
Il coltivatore deve essere costante nell'osservazione della zafferaneta, perché la fioritura avviene in qualche settimana ma ci possono essere giornate in cui nel campo spuntano pochi fiori e giornate in cui potrà fiorire anche la metà dell'intero raccolto annuo.
La raccolta avviene in prima mattina, quando il fiore è ancora chiuso.
Una volta raccolti tutti i fiori, si procede al distacco degli stimmi, che poi andranno fatti seccare prima di poter essere messi in commercio. Questo lavoro viene spesso effettuato dalle mani delicate delle donne ed è comunque un lavoro di estrema pazienza ed attenzione.
Il nostro ospite Pepe 
José ci racconta che l'appezzamento destinato alla coltivazione del Crocus è di 700 mq da cui annualmente ricava c.ca 200/250 g di zafferano.
Per ottenere un solo grammo di zafferano ci vogliono 150 fiori e questo vi da una misura del lavoro richiesto per questa attività.
La sua produzione è certificata biologica e José riesce a vendere il suo eccellente raccolto alla maggioranza dei ristoratori locali senza dover impegnarsi in strategie di commercializzazione o partecipare a mercati nella provincia.
Lo spettacolo che si apre davanti ai nostri occhi nella "sorpresa" che ci ha riservato il nostro ospite, al termine del tour della sua splendida campagna, è quanto di più irreale ed inaspettato: una Firenze immersa nel sole autunnale, scevra di elementi disturbanti, coronata da un bosco rigoglioso.
Nel silenzio più assoluto.
Un momento di totale commozione che ci ha tolto le parole per un lungo istante.
Il resto della nostra visita si è limitato alla contemplazione di ciò che ci circondava.
Crocus già privati dei pistilli 
Patricia al termine della raccolta 
Di ritorno da Bellosguardo, avevo nella testa già l'idea della ricetta che avrei voluto preparare al profumo di zafferano.
Un dolce al cucchiaio, un crème caramel (che come ho spesso detto è uno dei dolci del mio cuore), allo zafferano con caramello alla liquirizia.
Una ricetta facile che nella procedura di preparazione, ha preso ispirazione dal Crème caramel allo zenzero di Ottolenghi.
Ve lo propongo qui con la speranza che vorrete provarlo...è assolutamente magnifico.
Ingredienti per 4/5 monoporzioni
390 ml di latte intero
60 ml di panna
5 pistilli di zafferano
1 cucchiaino di estratto di vaniglia
100 g di zucchero semolato
3 uova grandi

Per il Caramello
100 g di zucchero
2 cucchiai di acqua
la punta di un cucchiaino di polvere di liquirizia

  • Miscelate latte e panna e versateli in una ciotola insieme ai pistilli di zafferano. Coprite con una pellicola e lasciate in infusione per 24 ore in frigorifero. 
  • Il giorno dopo filtrate il tutto. Accendete il forno a 170°.
  • Preparate il caramello versando lo zucchero in una casseruola a fondo spesso, insieme all'acqua ed alla liquirizia in polvere. Fate sciogliere lo zucchero a fiamma dolce senza mescolare. Quando comincerete a vedere sciogliere lo zucchero ai bordi, potrete eventualmente aiutarvi ruotando la casseruola fino a che non si sarà sciolto completamente arrivando ad una tonalità ambrata intensa. Sentirete il profumo della liquirizia spandersi. 
  • Versate immediatamente il caramello negli stampi preparati e tenete da parte mentre preparate la crema. 
  • Con una frusta a mano lavorate le uova con lo zucchero e la vaniglia. Non dovrete montare ma solo fare in modo che lo zucchero si sciolga bene e le uova si amalgamino al meglio. A questo punto versate il latte allo zafferano sul composto di uova e mescolate bene. In questa maniera non si formerà schiuma. 
  • Con un mestolo riempite i vostri stampi e preparate la cottura a bagnomaria. 
  • In una pirofila che possa contenere i vostri stampini, appoggiate un paio di fogli di carta assorbente sul fondo (impediranno agli stampini di muoversi) e due dita di acqua bollente. Sistemate gli stampini quindi finite di riempire la pirofila di acqua arrivano a coprire 2/3 degli stampi. Con molta cautela, mettete in forno. 
  • Fate cuocere per c.ca 45/50 minuti facendo la prova con lo stuzzicadente che dovrà uscire pulito. 
  • Togliete gli stampi dal forno e fateli raffreddare completamente a temperatura ambiente fuori dalla pirofila. Quindi copriteli con pellicola e fateli riposare una notte in frigo. 
  • Al momento di sformarli, passate con delicatezza una lama tutto intorno allo stampino, appoggiate un piattino sulla bocca e capovolgete dando delle piccole scosse al per aiutare la crema a staccarsi. Servite subito.

domenica 12 novembre 2017

Risotto al colombaccio con riduzione al Vin Santo e melograno e ricordi di caccia.

Bang Bang - Lady Gaga & Tony Bennet
Il mio rapporto con la caccia e di conseguenza con la cacciagione è ambiguo.
Sono cresciuta in una riserva di caccia dove da fine ottobre ad aprile inoltrato, ogni fine settimana avevano luogo battute di caccia epocali.
Decine e decine di Jeep con cacciatori super accessoriati, mute di cani addestratissimi e guardia caccia al seguito, si inoltravano nei boschi della tenuta e per l'intera giornata era tutto un rumore di spari, vociame e cani abbaianti.
La tenuta è sempre stata fittamente abitata da una moltitudine di animali, a cui mia sorella ed io ormai non facevamo più caso: lepri e fagiani ci davano il buongiorno sul ciglio di casa; famigliole di daini pascolavano sfacciatamente vicino al paddock dei cavalli; cinghiali golosi rivoltavano le aiuole in cerca di radici.
E le lepri a volte finivano in salmì se ci si metteva di mezzo il nostro pastore tedesco Bella.
Ma questa è un'altra storia.
Quando passeggiavamo nei boschi dietro casa, non era infrequente avere incontri ravvicinati con questi animali; i nostri occhi esperti li scovavano nella fitta macchia senza difficoltà.
Durante le cacciate, ascoltavamo stormi di fagiani alzarsi in un volo disperato con il loro caratteristico ed assordante grido che ho scoperto soltanto da poco, emettono per dissuadere i predatori, quando si sentono in pericolo.
Quel grido era seguito dal "PAM" delle doppiette, in un epilogo silenzioso a cui ormai eravamo abituate.
Alla fine di quel rituale ancestrale, i cacciatori rientravano alle loro case con un discreto bottino.
 Quando si svolgeva la cacciata al cinghiale, non mancava occasione di ricevere un grosso incartamento con dei pezzi di animale appena macellato.
L'espressione di mia madre era quella di chi ha appena ricevuto una lettera minatoria da qualche cosca mafiosa.
Se avesse potuto, avrebbe cordialmente declinato, ma l'omaggio arrivava dalla Fattoria e non si poteva dire di no.
In casa mia la cacciagione non ha mai avuto un grosso appeal.
Non perché non piacesse, ma proprio non la capivamo.
I miei genitori l'hanno assaggiata per la prima volta quando ci siamo trasferiti in Toscana; noi bambine non ci spiegavamo la necessità di uccidere quegli animali simpatici che razzolavano nella nostra quotidianità.
Mia madre ha imparato il termine "frollare" dalle donne locali.
Credo che abbia cucinato il cinghiale o il fagiano un paio di volte senza infamia e senza lode, mentre la lepre le veniva da Dio, perché con la carne di coniglio è sempre stata imbattibile e forse la somiglianza aiutava.
In ogni caso quando si parla di caccia, vivo sensazioni contrastanti.
Da una parte ricordo quei momenti con malinconia perché l'autunno nella tenuta era un momento di estrema bellezza, di generosità di frutti e le cacciate rientravano in una ritualità che vedevo legata al ciclo della natura.
Dall'altra non ho mai amato profondamente il sapore della selvaggina, non sono mai andata pazza per il cinghiale che è un simbolo della cucina della mia terra e quel sapore "forte" che resta il pregio di questa carne, non mi entusiasma.
Oggi, che vivo a due passi dalla città, quando sento il suono di uno sparo ho una sorta di piccolo mancamento, una madelaine proustiana che non passa attraverso il senso del gusto ma dell'udito.
Mi rivedo ragazzina, rivedo La Bagnaia, ricordo i suoi colori in questa stagione e la malinconia mi travolge.
Non amando follemente la cacciagione, ho deciso che avrei provato a cucinare qualcosa di non troppo complicato sulla scia di un risotto al piccione che ho mangiato tanti anni fa cucinato da una cara amica e che mi sembrò una delle cose più buone dell'universo mondo.
Ho trovato dei colombacci.
Colomba e piccione non sono la stessa cosa ma non sto qui a spiegarvi le differenze, vi dico solo che il colombaccio è leggermente più grande del piccione, ha minor bellezza nei colori maggiore forza nel sapore.
Il mio amato Puccini lo cucinava spesso proprio nel risotto.
Per la Giornata Nazionale della piccola cacciagione, ho optato anche io per un risotto, a cui ho voluto aggiungere una riduzione ottenuta da Vin Santo e succo di melograno, per aggiungere un tocco di freschezza/acidità e dolcezza ad una carne di grande personalità.
Sul sito del Calendario del Cibo Italiano oggi troverete una carrellata di piatti formidabili che utilizzano la piccola cacciagione e vi invito a darci una occhiata.
Ingredienti per 4 persone
300 g di Riso Carnaroli
2 colombacci
1/2 bicchiere di vino bianco secco
1 piccola cipolla rossa
1 gamba di sedano
mezza carota
1 rametto di rosmarino
1 rametto di timo
1 foglia di alloro
mezzo spicchio d'aglio
1 foglia di salvia
olio extravergine Chianti Dop
50 g parmigiano qb
sale e pepe qb

Per il brodo
1 piccola cipolla
mzza carota
1 gamba di sedano

Per la riduzione al Vin Santo e melograno
il succo di una melagrana grande.
Stessa quantità di Vin Santo
1 pizzico di sale
  • Preparate il colombaccio: privatelo delle ali e delle cosce quindi disossatelo. Tritate al coltello la polpa ricavata, lasciando intero il petto di uno dei due colombacci quindi in una larga padella versate 4 cucchiai abbondanti di olio e fate rosolare a fuoco vivo tutta la carne, insieme anche alle ali, le cosce e le ossa della carcassa. 
  • Una volta ben rosolato il tutto, mettete la carne in un piatto tranne le ali e le cosce e preparate una casseruola non troppo grande, piena d'acqua, in cui metterete le ossa insieme agli odori (cipolla, sedano e carota) un pizzico di sale. Portate a ebollizione e fate cuocere sobbollendo per c.ca 1 ora. Questo sarà il brodo con cui cuocerete il vostro risotto. 
  • Proseguite poi con la cottura delle ali e delle cosce che vi prenderà dai 10 ai 15 minuti. 
  • In una padella di rame adatta a contenere tutto il risotto, mettete un trito degli odori (carota, cipolla e sedano) a cui aggiungerete anche gli aromi finemente tritati (rosmarino, salvia, aglio, timo - la foglia di alloro intera) e 4 cucchiai di olio extravergine. Fate passire a fiamma dolce fino a quando le verdure non saranno morbide e gli odori avranno profumato bene il fondo.
  • Prendete il petto di piccione rimasto intero e scaloppatelo quindi tenete queste fettine da parte. Mettete il resto della carne nella padella per il risotto e fate insaporire bene quindi aggiungete il riso e fate tostare per qualche minuto. 
  • Alzate la fiamma e bagnate con il vino facendo sfumare mescolando velocemente. Quindi abbassate la fiamma e cominciate ad aggiungere il brodo ben caldo procedendo alla cottura del risotto. 
  • La cottura dipenderà dal tipo di risotto che userete ma in genere si attesta intorno ai 15/16 minuti. Personalmente a me piace cotto ma che mantenga ancora un'idea di anima nel chicco. 
  • Mentre il riso cuoce, preparate la riduzione al Vin Santo e melograno: sgranate un frutto grande e maturo e strizzatene il succo utilizzando uno schiaccia patate. Raccogliete il succo e versatelo in un padellino insieme alla stessa quantità di Vin Santo e un pizzico di sale. Cuocete a fiamma media fino a che il liquido si sarà ridotto ad un terzo formando uno sciroppo. Mantenete caldo. 
  • Quando il risotto sarà all'onda, procedete alla mantecatura: io ho usato nuovissimo olio extravergine Chianti Dop e parmigiano. Una macinata di pepe nero è consigliatissima. Lasciate riposare il riso qualche minuto quindi impiattate, versando la riduzione ai bordi di ogni piatto, intorno al riso. Decorate con le fettine di petto scaloppate, qualche chicco di melagrana e servite immediatamente. 




mercoledì 8 novembre 2017

Le mie ciambelline al Vin Santo

The first time ever I saw your face - Roberta Flack
La ricetta dei biscotti più semplici e buoni del mondo.
Impossibile non avere gli ingredienti in casa e davvero, piacciono proprio a tutti, grandi e piccini.
In Toscana sono molto conosciuti ma nella mia vita li ho sempre associati a mia nonna paterna, della provincia di Rieti, che non ha mai mancato di farmeli trovare quando scendevamo a Roma durante la mia infanzia e adolescenza.
Le ciambelline al vino dei miei ricordi, erano fatte con vino rosso o bianco, quello che nonna aveva in dispensa in quel momento.
Il resto, olio, zucchero e farina, ingredienti imprescindibili.
Il biscotto che ne esce, ha la memoria di chi li fa e quelli di nonna non erano lisci e perfetti, ma leggermente bitorzoluti, mai eccessivamente croccanti, ma pieni e pastosi in bocca e smettevi di mangiarli solo quando lei ti toglieva il sacchetto di carta in cui li conservava, da sotto le grinfie.
Oggi posso ammettere senza falsa modestia, che sono uno dei miei cavalli di battaglia.
i miei amici più cari li ricevono in dono chiedendo il bis.
L'ultima soddisfazione mi è arrivata dalla Germania, quando un sacchetto è partito insieme a molte altre cose buone per salutare la famiglia della bimba tedesca che abbiamo ospitato qualche settimana  fa. E subito mi è tornato un messaggio commosso con richiesta di ricetta.
Dire che amo farli e mangiarli è ormai scontato, ma nella mia personale classifica dei dolci che preferisco, sono probabilmente in cima.
E' il dono della semplicità di una preparazione onesta, senza fronzoli ma di cui non riesci a fare a meno.
La mia ricetta, oramai rodata e inalterata, vede protagonista il nostro Vin Santo, un ottimo extravergine (fondamentale per non ritrovarsi con un retrogusto che rovina un'armonia perfetta) e sempre e comunque, gli adorati semi di anice pestati fino a ridurli in polvere.
Il resto è talmente semplice da essere imbarazzante. Nulla da pesare, si lavora a sentimento.
Un consiglio: fatene tanti.
PS. Sono biscotti versatili: ognuno può aromatizzarli nel modo che preferisce.
Se vi piace il limone, abbondate, se non amate l'anice, toglietelo, se siete creativi usate spezie più ricercate come cannella, zenzero, coriandolo, noce moscata.
Se vi piace la contaminazione osate con lo zafferano ed i pinoli.
Insomma, seguite il vostro gusto e trovate la ciambellina che più vi assomiglia.
Non ci sono limiti alla fantasia.
Altrimenti provate queste. Non vi deluderanno.
Ingredienti per c.a. 100 ciambelline
1 bicchiere di Vin Santo
1 bicchiere di Olio extravergine
1 bicchiere di zucchero semolato
1 cucchiaino ricolmo di semi di anice tritati con piccolo mortaio
1 pizzico di sale
1 cucchiaino di lievito per dolci.
Farina 0 (io ho usato una farina macinata a pietra) quanta ne prende la miscela di liquidi e zucchero (c.ca 700 g o 6 bicchieri)
zucchero di canna tipo demerara per rifinire qb.
  • In una larga ciotola versate il Vin Santo, l'olio (misurato con lo stesso bicchiere con cui avete versato il Vino), lo zucchero (idem come sopra) e i semi di anice. Con una frusta mescolate il tutto per qualche minuto.
  • A questo punto cominciate ad aggiungere la farina setacciandola via via. Non dimenticate il cucchiaino di lievito setacciato ed il pizzico di sale. In un primo tempo incorporatela utilizzando la frusta, poi, quando il composto comincerà a stare insieme usate il cucchiaio. Rovesciate il tutto sulla spianatoia. Dovrete ottenere una palla consistente morbida ma sostenuta. Dovete essere in grado di fare dei rotolini di pasta che non si schiaccino e non appiccichino. La pasta resterà comunque lucida grazie all'olio e questo consentirà allo zucchero in rifinitura, di attaccarsi. 
  • Una volta pronto l'impasto, fate riposare qualche istante mentre accendete il forno a 180° e preparate le teglie rivestite di carta da forno.
  • Cominciate a tagliare dei pezzi di impasto e arrotolate per ottenere dei cordini dal diametro di 8 mm c.ca. Tagliateli e formate delle ciambelline non più grandi del tondo che forma l'unione del vostro pollice ed indice (cresceranno in cottura). 
  • In un piatto versate lo zucchero di canna e passateci su entrambi lati ognuna delle vostre ciambelline. 
  • Sistematele sulle placche e cuocete in forno per 25/28 minuti, fino a quando la superficie sarà bella dorata ed il fondo leggermente caramellato. 
  • Fate raffreddare e conservate in una scatola di latta:  si conservano molto lungo e sono fantastiche a colazione a pranzo e a cena. 
Sulla storia ed origini di questo rustico biscotto, vi invito a leggere l'omaggio del Calendario del Cibo Italiano alle Ciambelline al Vino  sul suo sito ufficiale.


martedì 31 ottobre 2017

Panini di zucca per... "Una Zucca da Fiaba"

Life - Des'ree
TESTADIZUCCA

La notte in cui nacque Testadizucca, sul povero villaggio di Boscolungo si abbatté il temporale più pauroso che essere umano avesse mai visto.
Ad ogni tuono i pavimenti tremavano; ad ogni lampo le fragili case si riempivano di spettri lucenti.
I cani guaivano cercando rifugio sotto i letti; i bambini piangevano sotto le gonne delle madri.
Le vecchie pregavano la fine del mondo di allontanarsi da lì.
Un lampo cadde sopra la quercia anziana squarciandola a metà dall'alto in basso.
In quel momento, nella casa di fronte al grande albero, una creatura venne alla luce e quando il tuono spezzò il silenzio,  la giovane madre chiuse gli occhi per sempre.
Testadizucca si presentò al mondo senza piangere, con gli occhi ben aperti ed una testa piena di capelli color del tramonto.
La levatrice tagliò il cordone ombelicale, lo avvolse con delicatezza in una mussola e lo appoggiò per un istante sul petto della madre.
Al contatto del corpo ancora caldo, il neonato emise un vagito e pianse, di un pianto quasi silenzioso, composto.
La levatrice allora, lo prese tra le sue braccia e con voce amorevole gli parlò: "Sei nato nella tempesta senza paura. Adesso sei solo ma hai le mani grandi e saprai combattere le tue battaglie. Nel tuo cuore c'è coraggio e compassione. Fortunato chi saprà amarti e averti amico perché tu sei unico e speciale".
Testadizucca crebbe nella vecchia casa della nonna.
Qualche settimana dopo essere venuto al mondo, alzava già il capino ascoltando attento i suoni intorno a sé.
Gli occhi avevano perso il velo della nascita ed un mattino la nonna si accorse con stupore che erano diversi l'uno dall'altro: il destro verde chiaro, con pagliuzze gialle come i suoi capelli ed il sinistro scuro come la notte.
Le venne da piangere pensando a quanto difficile sarebbe stata la vita per questo figlio della tempesta e giurò di proteggerlo con ogni forza fino a che fosse stata in vita.
Il piccolo si alzò dritto in piedi che non aveva compiuto 5 mesi.
Mosse i primi passi poco dopo e pronunciò la prima parola che non gli era spuntato il primo dentino.
Una sera, mentre la nonna lo metteva a letto pronta ad addormentarlo amorevolmente, lui la guardò, sorrise e con un fil di voce disse: "Vita".
Quando il bambino cominciò a camminare, la nonna non lo perdeva di vista un momento: il piccolo era veloce come un gatto selvatico ma non si allontanava di molto.
Scendeva con cautela i pochi scalini che dall'ingresso di casa lo separavano dall'aia e si fermava ad ogni anfratto con l'urgenza di studiare l'ambiente che lo circondava.
Accucciato sulle sue gambette incerte, osservava sorridendo il movimento di file di formiche cariche di cibo; si chinava sul prato ed appoggiava l'orecchio su fili d'erba e boccioli di fiori di campo e li ascoltava attento come se qualcuno gli stesse parlando.
Un giorno la nonna lo trovò seduto sul ceppo di un albero con in mano un uovo che teneva con delicatezza vicino alle gote: "Nonna, vita qui" - le spiegò il bambino con sguardo serio e convinto.
"Certo amore, qui dentro c'è un pulcino come te", disse la nonna, chiedendosi stupita come avesse fatto un bambino di pochi mesi a capire l'essenza di un uovo.
Fu soltanto intorno ai due anni che la nonna capì il dono di Testadizucca.
Per la spesa settimanale al mercato, la nonna amava portare con sé il bambino, che era tutto un gridolino di gioia perché la gente lo rendeva allegro; gli anziani lo salutavano con un buffetto sui capelli, le massaie se lo stringevano al petto.
Una giovane donna che serviva al banchetto dei formaggi, bella come una pesca matura e con un pancione tondo e dritto, vide il bimbo avvicinarsi con un'espressione incantata.
Il piccolo si sollevò sulla punta dei piedi e con la manina cercò di raggiungere il ventre della donna.
Allora lei vedendo lo sforzo del bambino, si chinò piegandosi sulle ginocchia ed il bimbo appoggiò il suo viso alla pancia e cominciò a parlare: "Qui la bimba dorme. Domani tu l'abbracci".
La nonna che aveva osservato tutta la scena, capì che il suo nipotino aveva la capacità di sentire e prevedere l'arrivo di una nuova vita.
Per qualche ragione a lei sconosciuta, il piccolo aveva ricevuto un senso speciale che lo avvicinava al mistero della vita e chissà fin dove quel dono poteva portarlo.
La giovane donna che ascoltava sorpresa il bambino, si accarezzò il ventre e sentì la sua creatura muoversi. Sorrise al piccolo e si preparò intimamente ad abbracciare presto la sua bambina.
Gli anni passavano e Testadizucca cresceva sereno a contatto con la natura.
Trascorreva le giornate osservando i contadini preparare il terreno per la semina, raccogliere gli ortaggi, nutrire gli animali. Gli uomini lo cercavano nell'incertezza, lo consultavano: "Allora piccolo, seminiamo oggi?" - "Aspetta 6 giorni, la terra non è pronta".
E loro aspettavano.
Lo portavano nelle stalle e lui toccava con tenerezza le bestie gravide, avvisava gli allevatori del tempo che mancava alle nascite, e qualche volta piangeva quando sentiva che un piccolo non ce l'avrebbe fatta.
Le sue giornate erano lunghe e piene di meraviglia ma stava diventando grande e la scuola l'aspettava.
Il primo giorno di scuola, la nonna lo accompagnò per mano e prima di lasciarlo gli dette un bacio e gli disse: "qui starai bene, ti farai tanti amici ed imparerai molte cose. Non avere paura".
La maestra fece sedere tutti i bambini al loro posto e cominciò l'appello, ma quando giunse al suo turno, una vocetta crudele e secca dal fondo della classe gridò: "TESTADIZUCCA! Lui è Testadizucca!".
Una risata corale riempì la stanza mentre la maestra cercava di sedare quella confusione.
Testadizucca, che non capiva la ragione di quel soprannome e dell'ilarità che aveva scatenato, si guardò intorno smarrito. "La zucca è un frutto magnifico" - pensava calmo - "E' il pane dell'inverno, a tutti piace la zucca".
Ma c'era qualcosa nel tono di quella voce che gli procurò un dolore che non seppe spiegarsi.
Purtroppo le cose non andarono meglio con il passare del tempo.
La maestra scriveva l'alfabeto alla lavagna, formava le parole ed ogni simbolo diventava incomprensibile davanti ai suoi occhi: le lettere ballavano, cambiavano ordine, si capovolgevano. Mentre tutti gli altri bambini cominciavano a leggere, lui scendeva in un baratro di confusione e tristezza.
Quando la maestra lo chiamava alla lavagna per comporre una parola, i bambini lo deridevano - "Hai la zucca vuota, Testadizucca!".
La maestra gridava di smettere, ma non sapeva come aiutare quel bambino strano e silenzioso deriso ogni giorno di più dai compagni.
Lui tornava a casa stanco, adombrato, trascinando la cartella senza cura e chiedeva ogni volta alla nonna la ragione della sua incapacità di riuscire a leggere o a scrivere come tutti gli altri bambini.
"Perché mi chiamano Testadizucca, nonna?"
"Perché sono bambini senza fantasia. Non vedono quanto siano belli i tuoi capelli accesi come fiamme, loro non sanno tutte le cose che conosci tu, non si rendono conto che la zucca è un frutto prezioso e importante. Sono sciocchi e invidiosi perché tu sei speciale".
La sera del 31 ottobre, quando il paese si apprestava a celebrare la festa di fine estate in un rito giocoso che serviva a scongiurare l'arrivo di un inverno duro e crudele, Testadizucca aiutava la nonna a decorare la casa con candele, foglie secche colorate e rami di melograno.
Sul camino arrostivano le castagne ed il profumo inondava la casa.
Qualcuno bussò alla porta ed il piccolo corse ad aprire, ma con sua grande sorpresa non c'era nessuno.
Sull'ultimo scalino troneggiava una gigantesca zucca gialla con ancora tralci e foglie attaccati.
La nonna ed il bambino ammutoliti, la sollevarono insieme e con grande sforzo la portarono sulla tavola.
"E adesso che facciamo nonna? Chi l'avrà portata?"
"Chi lo sa? Guarda com'è bella e grande...possiamo farci un sacco di cose buone. Che ne dici di un bel pane di zucca, ed una minestra? E forse anche un po' di zucca grigliata ed una torta?"
Testadizucca si leccava i baffi all'idea di tutte le cose buone che avrebbe preparato la nonna e batté le mani con gioia.
Con un grande coltello la nonna si apprestò a tagliare quel frutto regalato: la zucca si aprì in due con un grande "crack" ed il bambino vide centinaia e centinaia di semi luccicanti aggrappati ai filamenti gialli.
Li osservò a lungo in silenzio per la prima volta, quindi con gli occhi lucidi di pianto guardò la nonna e disse: "Nonna, ognuno di questi semi è una vita che salverò".
La nonna sgomenta strinse le mani al bambino senza sapere cosa dire.
Lui continuò a parlare con voce tremante: "Ogni seme è una vita umana, ma non so di chi. Qualcuna è già qui, altre arriveranno, ma sarò io a dar loro una seconda occasione salvandole dalla morte. Non so come ma so che è così".
Raccolse uno ad uno i semi di zucca, li asciugò e li mise su una cesta vicino al camino.
Li fece seccare per qualche giorno e li ripose con cura in un grande barattolo che nascose sotto il suo letto.
Quella notte la sua tristezza svanì.
Seppe con certezza che avrebbe imparato a leggere, sarebbe diventato un grande guaritore e avrebbe celebrato la vita ogni giorno della sua esistenza.
Si addormentò sereno e nel suo cuore, si chiamò Testadizucca.
Una fiaba un po' stramba per una giornata tra il magico ed il mistico, che ci accompagna verso due giorni di celebrazioni legate ai nostri Santi ed ai nostri cari che non ci sono più.
Il Calendario del Cibo Italiano vuole ricordare un ortaggio che riempie le nostre tavole nei mesi invernali e che ha il colore dell'Autunno: la zucca.
Così, avvicinandoci alla simbologia un po' magica della zucca, abbiamo deciso che oggi ci saremmo inventate delle storie da raccontare ai nostri bambini, magari anche a noi stessi, che una favola non fa male a nessuno.
In questa pagina troverete quindi una selezione di bellissime ricette con protagonista la Zucca, e le fiabe che le accompagnano. Buona lettura.
Per l'occasione ho voluto preparare dei panini di zucca al profumo di rosmarino e fiocchi di sale di Camargue.
Sono estremamente morbidi e perfetti anche per essere utilizzati come buns per i vostri hamburger, o molto più semplicemente da servire in tavola tiepidi o farciti come ho fatto io, e come piacerebbe a Testadizucca, con porchetta e provola di caciocavallo. In ogni caso usate la vostra fantasia.
I panini sono facili e e veloci da fare.
Mi sono ispirata a questa ricetta con variazioni personali.

Ingredienti per 12 panini 
125 ml di acqua tiepida
65 ml di latte tiepido
8 g lievito di birra fresco
mezzo cucchiaino di zucchero
1 uovo grande a temperatura ambiente
4 g di sale
45 g di burro fuso e intiepidito
150 g di purea di zucca (da zucca gialla molto soda)
300/380 g di farina 0
2 cucchiaini colmi di rosmarino tritato finemente ed un rametto per decorare
2 cucchiai di semi si zucca
1 tuorlo d'uovo con 1 goccio di latte per lucidare i panini

  • Per prima cosa preparate la zucca: tagliatela a dadini privandola della buccia e mettetela a rosolare in una padella con un filo d'olio, uno spicchio d'aglio ed un rametto di rosmarino. Salate e cuocete a fiamma media per c.ca 8/10 minuti, non aggiungendo acqua. Mescolate via via durante la cottura. Una volta morbida e rosolata, mettetela con il suo liquido (scartate aglio e rosmarino), in un bicchiere da mixer a immersione, e frullatela bene. Tenete da parte e fate intiepidire. 
  • Miscelate acqua e latte e scioglietevi il lievito di birra con lo zucchero, fino a quando non si sarà attivato formando la tradizionale schiumina in superficie.
  • Nella ciotola della planetaria, setacciate 300 g di farina. Formate la fontana e versate il sale sui bordi. Al centro mettete il puré di zucca, l'acqua e l'uovo e il rosmarino tritato, e con il gancio cominciate ad impastare a velocità media. E' possibile che dobbiate aggiungere farina: questo dipende da quanta umidità porterà con sé il vostro puré di zucca. In caso aggiungete fino a che l'impasto non sarà morbido ma non più appiccicoso (c.ca 10 minuti)
  • Quando l'impasto comincerà a staccarsi dalle pareti lasciandole pulite, versate a filo il burro fuso ed aumentate la velocità. L'impasto si incorderà aggrappandosi bene al gancio. Lavorate l'impasto per altri 5/6 minuti a velocità più sostenuta. 
  • A questo punto, ottenuto un impasto lucido ed omogeneo, coprite la ciotola con la pellicola e fate lievitare nel forno con la lucina accesa per almeno 1h, fino a che non raddoppierà di volume.
  • Una volta lievitato, rovesciatelo su una spianatoia infarinata e sgonfiatelo con le mani. Tagliatelo in 12 parti uguali e pirlate ogni panetto ottenendo una pallina rotonda e ben incordata. Sistemate ogni pallina su una teglia distanziandole di un paio di cm l'una dall'altra per consentire loro di crescere in lievitazione. 
  • Rimettete in forno per la seconda lievitazione altri 45 minuti c.ca (anche 1 ora). 
  • Una volta pronti,  scaldate il forno a 180° e lucidate ogni panetto con tuorlo e latte. Rifinite i vostri panini con i semi di zucca, rametti di rosmarino a piacere e un pizzico di Sal de Camargue in fiocchi. 
  • Fate cuocere per c.ca 25 minuti, o comunque fino a che non saranno belli gonfi dorati.
  • Una volta sfornati, toglieteli dalla carta da forno e fateli raffreddare su una griglia. Serviteli tiepidi o a temperatura ambiente. 
  • Si possono tranquillamente congelare una volta freddi.