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mercoledì 4 novembre 2020

Pepatelli molisani al miele per il COOKIE SHARE

Oggi una ricetta della tradizione Molisana.
Non pretendo di avere la ricetta originale perché in un paese fatto di Campanili, ogni famiglia rivendica il proprio sapere in fatto di cucina, come assoluto. 
Quindi posso dire che questa ricetta è quella della famiglia di mio marito, ovvero quella di mia suocera, che in passato li faceva, come tradizione comanda, per le feste di Natale. 
Ho fatto una ricerca in rete ed ho trovato che nella maggior parte dei casi viene utilizzata l'ammoniaca. 
Ecco, in questo caso proprio no. 
I pepatelli (o mbepatiell' come vengono chiamati in dialetto), devono essere spaccaganasse. 
Duri e croccanti, come dei torroni. 
In effetti ho sentito mia suocera chiamarli torroncini più di una volta, proprio perché la presenza del miele e la mancanza di agenti lievitanti, li rende duri come il torrone. E cosi mi piacciono. 
Tanto poi diventeranno morbidi inzuppandoli in un buon vino dolce, e cosa c'è di meglio?
Fanno parte della famiglia dei "biscotti", quelli che vengono cotti due volte, come i cantucci, i tozzetti e molte altre derivazioni declinate regionalmente. 
Dolci semplici, di casa, fatti con ingredienti di facilissima reperibilità e soprattutto con la qualità di conservarsi a lungo. 
Tra l'altro i Pepatelli sono anche biscotti senza grassi, né uova né zucchero saccarosio. 
Meglio di così. 

Ingredienti per c.ca 2 kg di biscotti 

450 g di farina 0
200 g di mandorle tostate con la buccia
300/350 g di miele mille fiori 
la scorza di due arance non trattate
1 cucchiaino di cannella in polvere
1 pizzico di chiodo di garofano in polvere
un cucchiaino di pepe nero macinato fresco 
  • Su una spianatoia, fate la fontana con la farina e le mandorle, versate al centro il miele che avrete scaldato per farlo fondere, la scorza di arancia, le spezie. 
  • Impastate con cura in modo che tutti gli ingredienti siano perfettamente amalgamati quindi formate dei filoncini larghi 4/5 cm c.ca e sistemateli su una placca coperta con carta da forno. 
  • Infornate a 180° e cuocete per c.ca 25/30 minuti fino a quando la superficie non sarà dorata e ferma. 
  • Toglieteli dal forno e fateli raffreddare fino a che non saranno tiepidi, quindi con un coltello bel affilato, tagliate delle fettine di 5 mm di spessore e rimettetele sulla placca. 
  • Fate tostare per c.ca 15 minuti a 160° e fateli raffreddare perfettamente prima di metterli in una scatola ermetica. 



sabato 9 dicembre 2017

Ceppelliate di Trivento per la Giornata Nazionale dei Biscotti di Natale

It's the most wonderful time of the year - Pentatonix 
Passato l'8 Dicembre, si entra ufficialmente nella modalità natalizia.
Le case si riempiono di decorazioni, di luci, di profumi inebrianti generati dalle bontà sfornate senza tregua e che dovranno allietare le tavole del Natale.
Il primo Natale che ho trascorso in Molise, molti anni fa, nonostante fossi abituata ad una nonna che per le feste era in grado di produrre chili e chili di delizie e stiparle nella sua inesauribile dispensa, mi sono trovata in enorme imbarazzo.
A parte la capacità di mia suocera di cucinare per un esercito senza manifestare stanchezza, l'intero vicinato ci mette del suo, perché durante la settimana precedente al Natale, arrivano vassoi carichi di dolciumi di ogni tipo: gli immancabili "Mustaccioli", le "Rose Catarre", una versione molisana delle Cartellate Pugliesi, gli immancabili "Pepatelli", simil cantucci croccantissimi in cui il miele sostituisce lo zucchero, le "Cancelle" , cialde preparate con ferri tradizionali e molti altri di cui non ricordo il nome.
E' un continuo scambio di dolcezze che non si può rifiutare così che, anche a feste finite, le credenze delle famiglie straripano di dolci che andranno avanti fino quasi a Carnevale.
Trivento è un piccolo borgo in provincia di Campobasso a poco più di un'ora dal paese di mia suocera, Larino.
E' situato in posizione elevata, dominante l'intera valle del Trigno ed è conosciuto per una cosa unica nel suo genere: una scalinata di 365 scalini (uno per ogni giorno dell'anno) che dalla parte bassa, arriva fino alla Cattedrale ed alla parte alta del paese, chiamata Il Piano.
La Scalinata di S. Nicola rende il borgo ovviamente molto suggestivo ed una prova irresistibile per i più temerari, ma la sosta a Trivento regala anche la possibilità di visita della diocesi più antica del Molise.
Durante il periodo natalizio, le Ceppelliate sono il dolce più rappresentativo della zona ed il sapore così come la consistenza sono caratterizzati dalla presenza della sugna, che conferisce estrema friabilità ma anche un sapore "deciso", smorzato adeguatamente dall'aroma del limone e del ripieno d'amarena. Con il passare dei giorni, l'impasto mantiene la sua friabilità e si arricchisce di sapore.
Per la Giornata Nazionale dei Biscotti di Natale, all'interno del Calendario del Cibo Italiano, ho pensato di proporre un biscotto praticamente sconosciuto da una regione che porto nel cuore e che vorrei potesse essere scoperta con maggiore curiosità, perché riserva sorprese senza fine.
Sulla pagina ufficiale del Calendario, troverete una carrellata di meravigliosi biscotti delle feste, da Nord a Sud, realizzati dalla nostra Community.
Ingredienti per c.ca 15 Ceppelliate (C'pp'lieat)
250 g di farina 00
5 tuorli medi
125 g di zucchero semolato
100 g di sugna
4 g di lievito in polvere per dolci
la scorza grattugiata di un limone non trattato
mezzo cucchiaino di estratto naturale di vaniglia
100 g di confettura di amarene
zucchero a velo per rifinire

  • Setaccia la farina su una spianatoia e fai la fontana. Al centro metti i tuorli, lo zucchero, lo strutto morbido, la scorza di limone e la vaniglia. Aiutandoti prima con una forchetta, poi con le mani, impasta gli ingredienti velocemente fino ad ottenere un panetto morbido a cui darai la forma di una palla schiacciata. Avvolgi nella pellicola e lascia riposare in frigo per 30 minuti.
  • Stendi la pasta con il matterello ottenendo uno spessore di 2/3 mm. 
  • Con un coppapasta da 7/8 cm di diametro, ricava dei cerchi. Al centro metti la confettura di amarena e richiudi ottenendo una mezzaluna. Cerca di sagomare il biscotto evidenziando le punte: in cottura tenderà ad allargarsi ed a perdere leggermente la forma. 
  • Cuoci a forno preriscaldato a 180° per c.ca 20/23 minuti fino a che i biscotti non saranno dorati. 
  • Lascia raffreddare su una gratella quindi, una volta freddi, rifinisci con zucchero a velo.
  • Si conservano per 10/15 giorni in una scatola ermetica. 



mercoledì 25 ottobre 2017

Cavatelli molisani per la Giornata Mondiale della Pasta

What the world needs now - Dionne Warwick
Se c'è una pasta che questo blog non si stanca di celebrare, quella sono proprio i Cavatelli.
I Cavatelli molisani per la fattispecie, visto che il Molise è diventato un luogo della mia vita da quando ho conosciuto mio marito (una vita fa).
Specifico la loro provenienza perché questo formato di pasta di semola di grano duro, viene preparata un po' in tutto il Sud Italia con nomi diversi a seconda dell'area di preparazione.
Per quanto mi riguarda, quando sento parlare di Cavatelli, sento parlare di Molise, una piccolissima regione misconosciuta che riserverebbe più di una sorpresa ai molti simpaticoni che affermano che "il Molise non esiste".
Mia suocera è la maestra dei cavatelli.
Ne prepara quantità da esercito ad una velocità che non ha dell'umano, tutti uguali, piccolissimi, leggeri, perfetti.
Lei li serve con un semplice sugo di pomodoro profumato da peperoncini verdi, nulla più.
E' un piatto della festa, che si mangia con il cucchiaio in rigoroso silenzio contemplativo, perché ogni cucchiaiata è un'esperienza che ha del mistico.
Per la Giornata Mondiale della Pasta o World Pasta Day  io li ho preparati con un ragù di salsiccia che tipicamente condisce i cavatelli della parte molisana più a nord, al confine con l'Abruzzo, ma se devo essere sincera, uno dei condimenti che preferisco per questo formato, è il sugo di cozze e fagioli (possibilmente piccoli come potrebbero essere degli zolfini), in cui il gioco di dimensione tra pasta e legume crea un trompe l'oeuil divertente e gustoso.
Il sapore delle cozze ovviamente fa il resto.
Nel tempo ho scoperto che preparare i cavatelli è un rilassante anti-stress.
Bisogna non avere fretta, ma sappiamo che la fretta è sempre una cattiva consigliera, specialmente quando si cucina.
Vi invito con grande piacere a dare un'occhiata nella pagina ufficiale del Calendario del Cibo Italiano, dove troverete una vera e propria festa all'insegna dei formati e delle paste più famose della nostra penisola.
Da Nord a Sud, quanto di buono la nostra tradizione preserva e tramanda, raccontato attraverso le abili mani delle amiche del Calendario.



Ingredienti per 4 persone

Per i Cavatelli
400 g di semola rimacinata di grano duro (io Senatore Cappelli)
cca. 200 ml di acqua a temperatura ambiente (tenetene un po' di più da parte in caso la pasta la richieda)
Un pizzico di sale

Per il ragù di salsiccia 
250 g di salsiccia nostrale fresca, privata del budello
250 g di passata di pomodoro (io uso quella fatta in casa da mia suocera)
1 piccola cipolla rossa
1 rametto di rosmarino tritato
1 ciuffo di prezzemolo tritato
100 ml di vino bianco secco (in alternativa io amo usare la birra rossa, stessa quantità)
sale e pepe qb (controllare perché le salsicce insaporiscono molto il tutto)
Olio extravergine d'oliva Gentile di Larino
  • Prendete una spianatoia e versatevi la semola formando la fontana. Al centro versate l'acqua ed il pizzico di sale. Cominciate ad incorporare l'acqua alla farina. Con la mano formate formate un vortice che raccoglierà farina dalla fontana e la porterà verso il centro. Tenete la restante acqua accanto a voi nel caso servisse. 
  • Quando la semola e l'acqua avranno formato una sorta di pastella aggiungete il resto della farina dalla fontana e cominciate ad impastare con energia richiudendo la pasta su se stessa senza maltrattarla, spingendo il peso del vostro corpo sugli avambracci e sui palmi lavorando a lungo (almeno 15 minuti) per ottenere un panetto liscio, elastico e morbido. 
  • Avvolgetelo nella pellicola e fatelo riposare una mezz'ora. 
  • Tagliate un pezzetto di pasta, conservando il resto nella pellicola affinché non si secchi. Tirate la pasta ricavando un cordino lungo e sottile come un mignolo (foto 1)
  • Con un coltello tagliate tanti gnocchetti di identica dimensione (8/10 mm di lato - foto 2)
  • Con la punta del vostro indice o pollice, prendete uno gnocchetto e incavatelo, trascinandolo sulla spianatoia verso di voi (foto 3 e 4).  Avrete ottenuto il vostro cavatello. La pasta deve richiudersi su se stessa come un piccolo petalo, con un incavo profondo e leggero che ricordi un ricciolo. Questo incavo raccoglie il condimento.
  • Via via che li preparate sistemateli su un vassoio coperto da un canovaccio pulito e cosparso di semola.
  • Se volete, potrete anche congelarli appena fatti, sistemandoli su un vassoio piccolo e passandoli prima in congelatore per 15/20 minuti e poi sistemati in  sacchettini in modo che non si appiccichino fra loro.  
  • Conviene prepararli e cucinarli. Lasciarli seccare mortifica il risultato alla cottura. 
Preparate il sugo
  • Tritate finemente la cipolla e mettetela in una larga casseruola con 3 cucchiai d'olio e il rosmarino e prezzemolo tritati. Fate passire a fiamma dolcissima, aggiungendo dell'acqua se necessario, fino a che la cipolla non sarà quasi trasparente. 
  • Aggiungete quindi la salsiccia privata del budello e sbriciolata con le mani. Alzate la fiamma leggermente e con l'aiuto di una spatola di legno, cercate di pestare la salsiccia in modo da sgranarla bene e non lasciare pezzi grossolani. Una volta sgranata, continuate a mescolare per farla rosolare bene negli odori. 
  • A questo punto alzate la fiamma a fuoco vivo e versatevi il vino o la birra e fate sfumare bene. 
  • Riportate la fiamma a fuoco dolce quindi versate la salsa di pomodoro e mescolate lasciando cuocere per c.ca 1 oretta.
  • Assaggiate e nel caso aggiustate di sale e pepe a piacere. 
  • Cuocete i cavatelli in abbondante acqua salata. Se la pasta sarà fresca, ci vorrà molto poco per cuocerli, intorno ai 5 minuti. Osservate come saliranno a fior d'acqua e quando l'acqua riprenderà il bollore, fateli cuocere qualche minuto assaggiando. Dovranno essere morbidi ma conservare ancora un po' del loro mordente. 
  • Condite con abbondante ragù di salsiccia e spolverate, se vi piace, con del caciocavallo stagionato grattugiato tipo quello di Agnone. 



lunedì 4 aprile 2016

Tempo di cicoria selvatica: I Malfatti o gli Gnudi?

Lontano lontano - L. Tenco 
Decisamente migliori delle malefatte, i Malfatti compaiono nei piatti senesi soprattutto in primavera, quando bietoline e spinaci sono al loro meglio e la ricotta, rigorosamente di pecora, sa di erbe giovani, di fiori ed è più dolce che mai.
Personalmente adoro la divagazione selvatica e questa volta, solo perché non sono riuscita a trovare della borragine che purtroppo è ormai in fioritura, ho optato per della cicoria selvatica appena colta, in ricordo dei tempi in cui seguivo la mamma durante le sue incursioni nei campi.
La mia cicoria era particolarmente croccante, amara al punto giusto mentre la ricotta di Pienza così cremosa e dolce che ho deciso di diminuire la quantità di verdura, per avere un composto ancora più delicato e fondente.
Non amo i Malfatti troppo duri.
Devo sentire l'impasto sciogliersi in bocca quindi spesso rischio con le consistenze, ma ad oggi sono sempre stata fortunata.
Cioè, se riesco a fare la pallina di impasto con le mani, vuol dire che per me è già troppo duro.
In cottura tende a compattarsi e la magia svanisce.
Io vado di cucchiaio, e formo delle quenelle non troppo grandi che poi faccio rotolare delicatamente ma più volte, in un piatto pieno di farina senza toccarle mai con le mani.
Cuocio una porzione alla volta in acqua bollente, ma con bollitura lieve affinché le quenelle non vengano strapazzate e rischino di disfarsi.
Dopo un primo momento di riposo sul fondo, le osservo risalire lentamente, con un movimento aggraziato, ballerino ed affiorare in superficie come pesciolini: a quel punto le pesco con la schiumarola e le sistemo con cura nel piatto.
Non ci vuole molto.
I Malfatti saranno anche d'aspetto poco attraente e modesto, ma sono una delle cose più buone che vi capiti di assaggiare se fatti come Dio comanda.
I Malfatti fuori dalla provincia di Siena sono conosciuto con il nome di "Gnudi".
Ma come, qui sono Malfatti e di là sono così belli che se ne vanno a giro gnudi?
L'idea mi ha sempre fatto sorridere. E a dirla tutta adoro l'appellativo "Gnudo": mi fa pensare ad un qualcuno così sfacciato e sicuro di se' al punto di non vergognarsi della sua nudità.
Spesso e volentieri la nudità più che imbarazzare, fa ridere.
Scatena ilarità: provate ad immaginare quei personaggi impazziti che si lanciano in corse forsennate nei campi di calcio nudi come mamma li ha fatti, inseguiti da uno stuolo di poliziotti esasperati...non sono esilaranti?
Beh, qui da ridere c'è proprio poco, anzi.
Rispetto massimo per una ricetta che sicuramente strapperà un sorriso soltanto dopo aver mugolato di godimento.
E' scontato dire che lo stesso impasto che utilizzerete per preparare i vostri Malfatti o Gnudi, potrà essere utilizzato con tranquillità per farcire dei meravigliosi tortelloni di pasta fresca.
La loro origine infatti è proprio questa: probabilmente nascono da un avanzo di ripieno e dalla genialità di qualche massaia oculata che non sapendo come riciclare la cosa, la buttata direttamente in acqua creando così degli gnocchi di ricotta buoni senza limiti.
Nel caso vogliate utilizzare questo impasto per dei ravioli, potete anche omettere l'uovo, che invece è fondamentale per la preparazione dei Malfatti: l'uovo è un addensante che fa aumentare di volume il composto e lo indurisce, il che non è controproducente per gli gnudi ma si può evitare nei tortelli.
Veniamo alla nostra ricetta che è davvero l'apoteosi della semplicità.
Nella mia variante, ho utilizzato del meraviglioso caciocavallo di Agnone, alto Molise, riportato a casa dalle mie vacanze di Pasqua.
Se non siete mai andati in Molise, fatelo.
La tappa ad Agnone è obbligatoria, non solo per la sua bellezza, per una visita alla Pontificia Fonderia delle Campane Marinelli (vale il viaggio), ma anche per i suoi straordinari caseifici.
Il caciocavallo di Agnone è uno di migliori d'Italia, ed in primavera è come assaggiare un prato di fiori. Provare per credere.

Ingredienti per 4 persone
400 g di ricotta di pecora freschissima
300 g di cicorietta di campo pulita e sbollentata
1 uovo grande
40 g di caciocavallo di Agnone grattuggiato + per rifinire
20 g di parmigiano grattuggiato
sale
pepe a piacere
un nulla di misto spezie Saporita (o noce moscata se preferite)
farina 00
olio extravergine
1 spicchio d'aglio
30 g di burro
3/4 belle foglie di salvia
Versate 2 cucchiai di olio extravergine in una larga padella e fatelo insaporire con uno spicchio d'aglio, quindi saltatevi per qualche minuto la vostra cicoria precedentemente sbollentata e ben strizzata.
Una volta insaporita, tagliatela grossolanamente al coltello.
Fate sgocciolare la ricotta in uno scolapasta in modo che perda il siero in eccesso, quindi versatela in una ciotola insieme alla verdura, il formaggio, l'uovo, le spezie.
Mescolate bene quindi assaggiate ed aggiustate di sale e pepe.
Con 2 cucchiai formate delle quenelle non troppo grandi e una alla volta fatele rotolare in un piatto pieno di farina in modo che siano ben coperte su tutta la superficie (questo strato di farina formerà una pellicola che impedirà ai malfatti di disfarsi in cottura) quindi versateli pochi alla volta in una pentola dove bolle acqua salata.
Impiegheranno si e no un minuto a venire a galla.
Scolateli con cura e sistemateli nel piatto di portata.
Condite con del burro noisette al profumo di salvia e rifinite con una bella grattugiata di caciocavallo di Agnone semi stagionato.

lunedì 21 marzo 2016

U Vredétte de Tornola - Il Brodetto Termolese di Tornola per l'MTC #55

Ma come porti i capelli bella bionda - Cochi e Renato
Comincio questo post scusandomi.
Primo, perché sarà lunghissimo.
Secondo, perché sto per addentrarmi in un mondo a cui sono estranea e di cui non posso vantare esperienze se non quelle vissute passivamente o per acquisizione: non ho neanche un goccio di acqua salata nelle vene! E' triste ma è la dura verità.
Di lago, un buon 50%, ma se parliamo di salmastro, l'unico effetto che ha su di me è quello di ridurmi i capelli alla stregua di una scopa di saggina.
La mia famiglia non ha mai avuto una barca; qualsiasi cosa che ondeggi sotto di me, mi provoca un terribile malessere.
Mio padre pescava carpe fangose nel laghetto artificiale della tenuta in cui sono cresciuta mentre io guardavo Sampei alla televisione.
Le uniche volte in cui ho creduto di essere un vero pescatore, sono state quelle in cui ho trascinato a fatica un rastrello più grande di me per raggranellare una manciata di arselle, durante le mie estati di bimba all'Ansedonia.
Nonostante ami il pesce perdutamente, posso contare sulle dita le volte in cui l'ho mangiato veramente buono e le ricordo tutte, compreso il fatto che il vero pesce freschissimo, appena scaricato dal peschereccio, è quello che trovo a casa dei miei suoceri, in Molise.
Suoceri Molisano/Pugliesi che hanno per il pesce una totale venerazione.
Difficilmente compro pesce dove vivo, perché non ne trovo degno di questo nome.
La grande distribuzione ci offre molti prodotti decongelati e per avere l'illusione di mangiare un pescato autoctono e decentemente fresco, bisogna cogliere l'attimo e fiondarsi al banco pesce il venerdì o il sabato.
In ogni caso, sul Tirreno, che è il versante in cui vivo, non vi è una vera e propria tradizione di "brodetti". Qui si parla di zuppe, spesso maschie e robuste che poco si avvicinano alla tradizione Adriatica, che è quella che paradossalmente conosco meglio, proprio grazie alla famiglia di mio marito.
Così per questa sfida meravigliosa, voluta fortemente da Anna Maria, la vincitrice dell'MTC 54 con una ricetta che celebrava il miele in un post che è un omaggio alla vita, il mio primo ed unico pensiero è andato ad un piatto molisano, che è la bandiera e l'orgoglio di una delle più belle cittadine di mare della nostra penisola: Termoli.
Per questo devo ringraziare con tutto il cuore i miei cari Pino e Lucia, cittadini veraci di Termoli, che mi hanno aiutato a ricostruire la storia di questo piatto.
Prima di passare alla ricetta, Anna Maria ci chiede di raccontare di un momento legato al cibo che nella vita ha fatto la differenza.
Chiedere questa cosa a chi ama profondamente il cibo è mortalmente complicato, perché si rischia di dover fare una lista infinita.
Considerando la propensione alla logorrea della sottoscritta e la lunghezza di questo post cercherò di sintetizzare: hanno fatto e fanno la differenza tutti quei momenti in cui ho potuto condividere del buon cibo con le persone che amo; quando ho la fortuna di incontrare qualcuno che fa del rispetto della materia prima e del territorio la propria missione in maniera appassionata, consapevole, onesta (e questi incontri fortunatamente sono stati molti fino ad oggi); hanno fatto la differenza le scoperte in viaggio, quando attraverso il convivio ho potuto accedere almeno in parte, alla cultura di un popolo (questi i momenti per me più intensi); non ultimo ogni volta che ho provato un'emozione profonda di fonte alla bontà delle cose semplici, come una fetta di pane strofinato con un pomodoro ancora caldo di sole o il siero di latte di mozzarella di bufala che ti cola lungo il mento subito dopo averla pescata dalla vasca e morsa in diretta, o l'assaggio del primo olio verde e piccante che scende denso sulla fetta di pane direttamente dalla pressa...Potrei continuare ad oltranza ma vi risparmio.
Pretendere di preparare il Brodetto termolese di Tornola a Siena, con pescato del Tirreno, è ovviamente utopico e un tantinello blasfemo, ma non avendo alcuna "cultura" sulla cucina di mare, invece di improvvisare ho preferito seguire ciò che tramanda la tradizione.
Questa sfida diventa quindi il pretesto per parlarvi di un piatto spettacolare, che racconta la storia di un luogo, della sua gente e di un passato che si è perso e che si cerca di mantenere vivo in una zuppa.
Tornola è il rione più antico del borgo Vecchio di Termoli, quello in cui vivevano la maggior parte dei pescatori e dove si dice sia proprio nato questo brodetto.
Un piatto antichissimo, di cui si hanno le prime tracce scritte solo nel settecento, proprio quando in Italia il pomodoro entrò in tutte le case.
Gli storici sono certi che una versione "bianca" di questa minestra fosse già consumata dagli abitanti di Termoli nel XVI secolo, nel periodo in cui i Viceré di Napoli fecero costruire le prime torri a difesa dei Saraceni, quindi subito dopo la scoperta dell'America.
Era a tutti gli effetti la cena del pescatore che, sbarcato dalla paranza al calar del sole, riportava a casa la "schaffetta", una porzione di pescato povero, la rimanenza dopo la vendita del pesce migliore alle famiglie benestanti.
Si può immaginare come sia impossibile codificare una ricetta che nei secoli ha seguito la regola del "quel che c'è" e che era diversa da famiglia a famiglia, da mano a mano.
Ancora oggi, ogni ristorante di Termoli afferma di preparare il vero e solo Vredétte de Tornola, ma la vera ricetta resta il tocco della mano di chi lo prepara ed una materia prima di impareggiabile freschezza.
La differenza la fa la conoscenza dei tempi di cottura dei pesci utilizzati, dei gesti e della memoria sensoriale di chi ha avuto la fortuna di assaggiare questo piatto preparato come si deve.
Secondo la tradizione che si rifà all'Ultima Cena, le tipologie di pesce da utilizzare dovrebbero essere almeno 13, tra cui crostacei come Cicale (che io non ho trovato e sostituito con scampetti), molluschi come seppioline o polipetti, trigliette, gallinelle, piccoli merluzzi, scorfanetti, tracine, saraghetti, lucerne, gattucci, occhiate, razze, coda di rospo e una manciata di cozze e vongole (anche se i più tradizionalisti le mettono al bando a favore delle lumachine di mare). Gli intenditori considerano un brodetto completo solo con la presenza di grongo e pinna nobilis (o cozza penna).
Nessun genere di pesce azzurro è previsto così come non vi è alcun elemento acido come vino bianco o aceto (sia mai) se non la fresca acidità del pomodoro.
Immancabile è invece il peperone verde, che firma con incredibile delicatezza il carattere di questo piatto commovente.
Il Brodetto termolese aveva una variante più rustica che adesso si è perduta ma che i vecchi ricordano come il piatto della "fratellanza" fra pescatori: il Pappone.
Anche in questo caso si trattava di una zuppa di scarto con pesci senza spine, che però aveva una ritualità tutta sua. Veniva preparato sulla spiaggia cotto su un falò o in navigazione sulla paranza, dai pescatori e servita direttamente nell'unico tegame di terracotta in cui era cucinato. I pescatori si servivano a turno, mangiando dal tegame con la propria forchetta. La zuppa era arricchita da molto pane raffermo di grano duro che assorbiva il brodo e rendeva più semplice e nutriente l'impresa.
Questo momento ricreava l'intimità familiare, rafforzava l'amicizia e tentava di colmare quella nostalgia di casa radicata nel cuore di ogni pescatore.
Quando il pesce scarseggiava, si raccoglievano le breccioline del bagnasciuga coperte da minuscole alghe con foglioline simili a quadrifogli e si bollivano nell'acqua con olio e odori per poi servire la zuppa con tanto pane raffermo a calmare la fame.
Del brodetto di Tornola esiste una ricetta depositata in un ufficio notarile di Isernia a ricordare quanto serio e prezioso sia questo piatto per i Termolesi.

Fonti
Termoli un post d'amare - D. Fiorilli - 2008 B&C Adevertising
Mangiare Molisano - E. D'Ascenzo - 2003 Edizione Enne 
Le regole per preparare un buon Brodetto di Tornola quanto più vicino al tradizionale sono poche e semplici:
  • Si cuoce in un ampio tegame di terracotta per distribuire uniformemente il calore.
  • Il pesce non si sfiletta né si taglia a pezzi ma va eviscerato con cura e mantenuto intero a parte le triglie che vanno squamate accuratamente. Gli ortodossi di questo piatto affermano che il pesce andrebbe tenuto il meno possibile in acqua dolce mentre lo si prepara, altri lo laverebbero esclusivamente in acqua salata. Non va privato della testa ma vanno eliminate le pinne ed accorciata la coda. 
  • Il tempo di cottura dipende dalla pezzatura dei pesci e dalla loro tipologia. L'ordine prevede che si inseriscano per primi molluschi e crostacei e per ultimi i pesci con la polpa più tenera e delicata come triglie e merluzzetti. In ogni caso, una volta posizionati i pesci nel tegame, non vanno più toccati né quantomeno mescolati. 
  • La cottura è veloce quindi è consigliabile non allontanarsi dal tegame. Il pesce è pronto quando l'occhio diventa una pallina bianca. I profumi del brodetto non prevedono l'aggiunta di basilico ma non va assolutamente trascurata la presenza di un ottimo extravergine, possibilmente di terra Molisana. 
  • Si serve caldissimo rigorosamente con pane casereccio di grano duro di qualche giorno o adeguatamente tostato. 
Prima della ricetta un regalo che ci ha fatto la nostra Dani di Acqua e Menta,  la nostra Lady delle infografiche, con una spettacolare aiuto per non sbagliare niente ma proprio niente quando si prepara un Signor Brodetto. 


Ingredienti per  4 persone 

1,5 kg di pesce misto da paranza tra cui qualche cicala di mare, molluschi come seppioline o polipetti, trigliette, gallinelle, piccoli merluzzi, scorfanetti, tracine, saraghetti, lucerne, gattucci, occhiate, razze, coda di rospo e una manciata di cozze e vongole
400 g di pomodori pelati maturi e senza semi
1/4 di peperone verde dolce piccante
2 spicchi d'aglio
un mazzetto di prezzemolo
5 generosi cucchiai di olio extra vergine Gentile di Larino
sale qb
Pulite il pesce accuratamente, eviscerandolo e sciacquandolo per eliminare le tracce di sangue. Tagliate pinne e coda. Squamate bene le triglie.
Lavate accuratamente cozze e vongole.
Eliminate le barbe dalle cozze e spazzolatene bene le valve quindi fate spurgare in una ampia ciotola con un pizzico di sale, smuovendo ripetutamente la bacinella e cambiando spesso l'acqua fino al momento della cottura.
Scottate in acqua bollente per qualche istante i pomodori su cui avrete inciso una croce, spellateli e tagliateli in quarti eliminando i semi. Tenete da parte i petali di pomodoro.
Lavate il peperone, tagliatelo in pezzi lunghi non più di 3 cm e tenete da parte.
Versate l'olio nel tegame ed aggiungete gli spicchi d'aglio.
Cuocete a fiamma gentile insaporendo l'olio per mezzo minuto quindi aggiungete i pomodori, il peperone ed il prezzemolo tritato, quindi dopo 3/4 minuti aggiungete polipetti e seppioline, i crostacei e le cozze con le vongole.
Fate cuocere mescolando per cc.a 5 minuti fino a che cozze e vongole non saranno aperte.
A questo punto cominciate ad aggiungere i pesci posizionandoli con delicatezza sul fondo del tegame cominciando con quelli dalla polpa più tenace tipo scorfanetti, gallinelle, razza, coprendoli con acqua calda, ed aggiungendo successivamente i pesci dalla polpa più delicata come tracine, merluzzi e triglie che saranno aggiunti negli ultimi 5/6 minuti di cottura. Aggiungete acqua via via che inserite i pesci. In totale il brodetto dovrà cuocere una 15na di minuti.
Il sale va aggiunto con oculatezza per non mascherare il sapore del pesce.
Si serve a tavola, nel tegame in cui è stato cotto lasciando che i commensali possano servirsi da soli.
Ha un sapore morbido dolce e avvolgente, con un ritorno leggermente piccante ed il profumo inebriante del peperone che meravigliosamente si sposa con il sapore del mare.
A casa dei miei suoceri, si mangia prima il pesce e nel meraviglioso brodo rimasto, senza filtrare, si cuoce la pasta, preferibilmente spaghettini spezzati: l'ottava meraviglia.
Per l'accompagnamento, ho voluto osare preparando il mio primo pane di semola rimacinata, utilizzando del lievito madre disidratato.
Un esperimento direi riuscito visto il gradimento della famiglia.
Ho cercato la ricetta in rete in quanto la mia conoscenza in materia di panificazione è minima, è mi è venuta in soccorso Alessandra.
So benissimo che il risultato sarebbe stato ben diverso utilizzando del lievito madre, ma al momento non ho ancora deciso di entrare nel tunnel.
Ingredienti per un pane di cca 600 g
Per la biga:
250 g di semola di grano duro rimacinata
125 g c.ca di acqua (ma potrebbe essere di più in base a quanta ne assorbe la vs semola)
5 g di lievito madre secco
Per l'impasto finale 
la biga
250 g di semola rimacinata
150 g di acqua (c.s)
10 g di lievito madre disidratato
1 cucchiaino di miele (o 2,50 di malto)
10 g di sale.
Cominciate con la biga la sera prima. Deve lievitare tra le 13/18 ore. Io ho cominciato alle 17.00 per avere il pane pronto alle 11.00.
Mettete la semola con il lievito e l'acqua in una ciotola ed impastate velocemente per 3/4 minuti, ottenendo un impasto grumoso e poco raffinato. Incidete una croce sopra e coprite con pellicola.
Lasciate lievitare in ambiente dai 17/21°C.
Anche la temperatura dell'acqua è molto importante, ed in genere si attesta tra i 14/16 gradi.
D'estate si consiglia l'utilizzo di acqua di frigo per non accellerare la lievitazione.
Il giorno dopo la vostra biga sarà pronta se avrà triplicato la sua dimensione e presenterà numerosi fori con un leggero sentore alcolico.
Versate la semola nella ciotola dell'impastatrice, aggiungete la biga, il resto del lievito, il miele e l'acqua. Impastate con il gancio per c.ca 3 minuti a velocità bassa.
Quando l'impasto sarà ancora morbido, ma non prima dei 3 minuti, aggiungete il sale ed aumentate la velocità a 4 continuando ad impastare per altri 4/5 minuti, fino a che l'impasto non si aggrapperà fortemente al gancio ed avrà un aspetto liscio.
Toglietelo dalla ciotola e dategli una forma tonda, lasciandolo riposare per 40 minuti coperto da un canovaccio pulito.
Adesso passate alla pezzatura. In questo caso potrete fare un'unica pagnotta.
Per ottenere una bella palla stretta, procedete alla pirlatura ripiegando i bordi della palla verso il centro e ruotando l'impasto mentre pirlate. Quindi lasciate l'impasto sulla spianatoia (appoggiato ad un foglio di carta da forno) con la chiusura verso l'alto.
Dovrà lievitare per almeno un'altra ora coperto da un canovaccio.
Preriscaldate il forno a 230°. Io ho riscaldato anche la pietra refrattaria su cui ho poi capovolto con delicatezza il pane una volta lievitato.
Ho inciso profondamente la superficie con 4 tagli paralleli ed ho infornato dopo avre spruzzato acqua fredda nel forno, per avere un lieve vapore.
Dopo 20 secondi dallo spruzzo, mettete il manico di un cucchiaio di legno tra la porta del forno per avere un leggero tiraggio e lasciatelo così per 10 minuti. Quindi chiudete e proseguite la cottura per altri 30 minuti c.ca.
Ricordate di abbassare a 200° la temperatura negli ultimi 15 minuti di cottura.
Per la cottura dovrete affidarvi al vostro forno. Il mio ha richiesto c.ca 10 minuti in più perché è notoriamente più basso nelle calorie, ma potrete fare la prova della "bussata": battendo sotto la base del pane, questo dovrà suonare a vuoto.
Lasciate raffreddare completamente su una gratella prima di tagliarlo.

Con questa ricetta sono onorata di partecipare alla sfida #55 dell'MTC di Marzo  sul Broeto dell'Adriatico di Anna Maria


domenica 3 gennaio 2016

Il Calendario del Cibo Italiano: La Giornata Nazionale dei Cavatelli

Con le mani - Zucchero 
  
Il Molise è una regione minuscola e sottovalutata.
Talmente così poco conosciuta che un giorno qualcuno simpaticamente ha lanciato il motto "Il Molise non esiste", tormentone che ha invaso la rete per un certo periodo qualche tempo fa.
Di controparte i Molisani ha risposto con un hashtag eloquente: #ilmoliseesiste, postando centinaia di foto dei luoghi più incantevoli di questa regione.
Perché il Molise sarà pure piccolo e sconosciuto ai più, ma la concentrazione di bellezze e luoghi ancora incontaminati è tale da lasciare a bocca aperta chiunque vi arrivi per la prima volta.
Perché ho così a cuore questa regione? Il destino mi ci ha condotta attraverso mio marito, la cui madre è Molisana doc e tutt'ora vive in un dei paesi più antichi del basso Molise: Larino.
Dopo quasi 30 anni di frequentazioni di quella terra, posso affermare di sentirmi per 1/4 molisana e di provare un sentimento speciale per qualsiasi cosa arrivi da qui, in particolare ovviamente, per la sua cucina, un concentrato di semplicità e essenzialità derivanti dalla difficile arte di arrangiarsi, cosa di cui i Molisani sembrano essere raffinati conoscitori.
Ho fortemente voluto essere Ambasciatrice per la Giornata Nazionale dei Cavatelli, per fare un omaggio al "mio" Molise, con la speranza di avere rispettato in toto questo piatto, simbolo incontrastato della cucina contadina di questa regione.
Vi invito a leggere la loro storia sul sito dell'Associazione Italiana Food Blogger dove oggi si celebra questa speciale giornata.
Non troverete solo la ricetta dei Cavatelli al sugo vedovo, ma anche un bel po' di contributi di amiche che hanno voluto partecipare alla loro festa!
Non avrete scuse per provare anche voi a cimentarvi nella preparazione di questa facilissima pasta fresca.
Buona lettura a tutti.

venerdì 2 maggio 2014

Pappardelle di primavera con bottarga di muggine per la Cucina dell'Extravergine

It's raining again - Supertramp
Alla fine mi sono dovuta rassegnare.
Questo mese dopo tanto tempo ho dovuto saltare l'MTC il cui tema era il Quinto Quarto.
Con tutto che sono anche piuttosto restia sull'argomento, avevo però in mente una bella ricetta di cui le pappardelle in oggetto sarebbero state protagoniste. Gli ingredienti fondamentali però, non li ho trovati.
Pare che le creste di gallo dalle nostre parti siano cosa sconosciuta.
Bah, terrò quell'idea nel cassetto e cercherò di realizzarla quando riuscirò a reperire tutti gli ingredienti, Le pappardelle le avevo fatte, fiduciosa fino all'ultimo che qualcosa avrei combinato.
Dopo l'ennesima telefonata negativa del consorte in spedizione alla ricerca dell'ingrediente perduto, ho dovuto decidere cosa cucinare per il pranzo di domenica.
La pasta ormai era pronta, quindi mi sono improvvisata un semplice ragù di verdure primaverili irrobustito da una bella grattugiata di bottarga di muggine deliziosa dimenticata in frigo vergognosamente.
Pisellini freschissimi, zucchine mignon e bottarga a pioggia.
Il tutto accompagnato da un olio extravergine Molisano tipico di Venafro, provincia di Isernia.
Per la Cucina dell'Extravergine, questa volta ci spostiamo in una delle regioni più piccole e meno conosciute della penisola.
Un luogo a cui sono legata e di cui ho parlato spesso in questo blog. Una regione che avrebbe bisogno di essere ampiamente promossa perché al suo interno riserva delle incredibili sorprese e mantiene a tutt'oggi delle aree ancora vergini e legate alla tradizione del passato. A partire dalla sua straordinaria cucina.
Ma di questo parlerò prossimamente in un nuovo post.
Intanto vi lascio questa ricetta estremamente facile se non fosse per il tempo necessario a preparare la pasta. Ogni tanto si può e si deve fare la pasta fresca, per non perdere la mano, per rendere felice il nostro palato, per fermare il tempo. Che aspettate?
Nel frattempo, date un occhiata alle ricette realizzate dalle mie compagne di avventura:
Risotto con mousse di melanzane e pomodori Pachino di Stefania Cardamomo & Co 
Spaghetti al pomodoro di Teresa Scatti Golosi
Pane carasau home made con tartare di avocado di Sabina Cookn' book
La pappardella è un formato di pasta lunga che ancora non avevo pubblicato ma che in Toscana è molto amata.
La larghezza del nastro di pasta è c.ca di 1 cm e mezzo e la sottigliezza della sfoglia a vostro piacere, ma dipende soprattutto dal tipo di condimento che andrete ad usare.
Su condimenti di carne importanti, come un bel ragù toscano, a me piace "sentire" la pasta, che lascio un po' più spessa.
Questa volta l'ho tirata piuttosto sottile visto il condimento delicato e fresco.
Ingredienti per 4 persone
Per le pappardelle
300 g di farina 00
100 g di semola rimacinata Senatore Cappelli
4 uova intere medie
1 cucchiaio generoso di olio extravergine tipico di Venafro
un pizzico di sale
Per il ragù di verdure
1 porro grande
250 g di pisellini novelli
3 zucchinette fiore piccole e sottili
1 ciuffo di prezzemolo
olio extravergine tipico di Venafro
sale - pepe bianco
bottarga di muggine da grattugiare
Preparate la pasta in anticipo: mettete a fontana le due farine miscelate. Rompetevi al centro le uova, aggiungete l'olio ed il sale e cominciate a mischiare le uova con una forchetta incorporando molto lentamente la farina. Quando al centro si sarà formata una pastella piuttosto densa, cominciate ad impastare con le mani per incorporare il resto della farina ed ottenere una palla.
A questo punto dovrete lavorare con energia la pasta, usando i polsi e piegando la pasta su se stessa ogni volta, cercando di non stracciarla né stirarla aggressivamente.
Deve essere un massaggio energico ma rispettoso delle fibre dell'impasto, che andrà sempre richiuso su se stesso. Quando la pasta sarà liscia ed omogenea (non dovrà mostrare quindi una superficie a buccia di arancia ma bella liscia), quindi non prima di 10 minuti di lavoro, la avvolgerete nella pellicola trasparente e la lascerete riposare tranquilla, almeno 30 minuti o più.
Più riposerà e più riuscirete a stenderla con facilità usando il matterello.
Se non siete esperte dell'uso del matterello, potrete usare la macchinetta tira pasta, ma vi perderete così la magia di questo momento.
Io ripeto la routine di mia nonna Emma, che ricavava belle sfoglie rotonde e le lasciava asciugare sulle tovaglie stese sul suo letto matrimoniale. Io le ho semplicemente appoggiate sulla spalliera del mio divano, coperta da una tovaglia.
La pasta va poi arrotolata su se stessa e tagliata allo spessore indicato.
Una volta pronte le pappardelle, spolveratele con un po di semola e lasciatele asciugare su un canovaccio fino alla cottura.
Pronte le pappardelle, preparate il condimento.
Affettate sottilmente il porro e fallo cuocere a fuoco molto dolce in una larga padella antiaderente con due o 3 cucchiai di olio extravergine tipico di Venafro.
Quando il porro sarà bello morbido e cotto (se necessario aggiungi un po' d'acqua durante la cottura), ovvero dopo c.ca  5 minuti, aggiungi i pisellini freschi e sgusciati. Se sono di buona qualità, non ti richiederanno troppo tempo per cuocerli. A me sono bastati una decina di minuti.
Dopo c.ca 7 minuti, ho aggiunto le zucchine affettate sottilmente ed ho proseguito la cottura.
Via via che le verdure cuocevano, ho aggiunto del brodo vegetale fatto con le bucce dei piselli, una carota ed una cipollina fresca, preparato in precedenza. Voi usate il vostro o anche semplice acqua calda.
Salate (con giudizio perché la bottarga è molto salata) e pepate a fine cottura quindi cuocete la pasta in abbondante acqua calda. La cottura delle pappardelle è veloce. Basteranno c.ca 5 minuti.
Toglietele un po' al dente e saltatele con il ragù di verdure ed un po' di acqua di cottura.
Impiattate, grattuggiatevi sopra abbondante bottarga ed irrorate generosamente con olio extravergine di Venafro.




venerdì 8 febbraio 2013

La qualità dell'Extravergine: Cavatelli con ceci di Navelli, cime di rapa ed Olio Extravergine Molisano

Flower's song - Alice in wonderland
La qualità dell'extravergine nasce principalmente nell'oliveto. 
All'origine chiunque ha la possibilità di produrre un eccellente olio extravergine se alcuni passaggi fondamentali vengono rispettati. 
La differenza di cultivar e di territorio non sono gli elementi discriminanti per la qualità, perché la varietà dona ad ogni olio un proprio carattere e personalità. 
Ciò che invece determina profondamente il risultato finale sta nel processo produttivo, ovvero nella raccolta, nel trasporto e nello stoccaggio delle olive. 
Questi sono i momenti critici che possono influire in maniera definitiva sulla qualità di un olio extra-vergine.
Come già ho accennato in precedenti post, la raccolta precoce delle olive tutela il frutto dal deterioramento che avviene soprattutto in fase di trasporto. In più la componente aromatica dell'olio viene salvaguardata. 
In alcune regioni, come la Sicilia, le olive si raccolgono già da metà ottobre, quando i frutti sono ancora verdi o hanno appena cominciato il processo di invaiatura (il "coloramento" della buccia). Ed il motivo non è il bel tempo, ma una conoscenza antica ed il rispetto di un prodotto.
La pigmentazione profonda del frutto (in questo caso sia di buccia che della polpa) è la causa principale dell'inizio dei processi di ossidazione e irrancidimento: i tessuti cellulari del frutto si degradano, rilasciano la sostanza oleosa e fanno aumentare inevitabilmente l'acidità dell'olio. Così olive raccolte troppo mature, o da terra, o conservate in sacchi per il trasporto, danno inizio all'azione dannosa degli enzimi presenti sulle bucce. 
All'interno del frutto si trovano i "vacuoli" che altro non sono che piccole celle in cui è contenuto l'olio. Se queste cellette si rompono, oltre a perdere l'olio, si avrà l'inizio di processi di fermentazione che causeranno gravi difetti nel prodotto finale (di cui ho già parlato qui).
Il miglior metodo per assicurare la raccolta di un'oliva sana e la nascita di eccellenti oli è ovviamente quello a mano ed il solo ausilio delle macchine per i punti più alti della pianta. 
Le olive che toccano terra, non andrebbero raccolte per le ragioni di cui sopra ed il rischio di mosca olearia.
Le olive andrebbero trasportate velocemente in frantoio su cassette di plastica traforate per permettere l'aerazione e non dovrebbero essere eccessivamente pesanti (20/25 kg). 
L'ammasso in sacchi di plastica o iuta è assolutamente deleterio. 
Le olive giunte al frantoio, dovrebbero essere frante il giorno stesso della raccolta, per evitare lo sviluppo dell'acido lattico dovuto proprio allo stoccaggio delle olive, al calore prodotto dall'inizio di fenomeni di fermentazione che possono raggiungere anche i 40°. Questo purtroppo crea il gravissimo difetto del "riscaldo". 
In breve il bravo oleicoltore dovrebbe seguire queste semplici regole:
RACCOLTA: precoce, all'inizio dell'invaiatura, quando il frutto va dal verde chiaro al rosato violaceo, evitando la completa maturazione.
TRASPORTO DELLE OLIVE: Con mezzi idonei a garantire l'integrità dei frutti, utilizzando cassette di plastica aerate ed impilabili con facilità
STOCCAGGIO DELLE OLIVE: deve avvenire in locali freschi, aerati e senza presenza di muffe, nel completo rispetto delle norme igieniche. Le olive dovranno essere frante il giorno della consegna insieme ad olive della stessa tipicità. 
Per saperne di più, voglio consigliarvi un bel libro di semplice lettura dal titolo "La via dell'Olio" di Massimo Epifani, attraverso il quale potrete avvicinarvi al mondo dell'olio extravergine in maniera appassionante. 
La consueta rubrica sulla cucina dell'Extravergine oggi si addentra in una delle regioni meno conosciute d'Italia, il Molise. 
Qualche tempo fa ed in più riprese, ho espresso la mia dichiarazione d'amore per questo luogo bellissimo ed adesso mi ritrovo a parlarne, rendendo omaggio ad un olio che riserva ogni volta delle sorprese per la sua incredibile bontà. 
Già il nome della cultivar è una poesia: Gentile di Larino. Non è bellissimo?
Quindi con le mie amiche di avventura, questa volta andremo sulle colline rotonde e morbide dove nasce l'oliva Gentile e dove il vento trasporta l'odore del mare e della terra. 
Non perdetevi le ricette che sono state preparate in abbinamento a questo straordinario olio:
Minestra con fagioli di Badda e verza a casa di Stefania, Cardamomo and co.
Topinambur in crema a casa di Teresa, Scatti di gusto
Insalata tiepida di fagioli e finocchi a casa di Fausta, Caffè col Cioccolato

Il non ho potuto evitare di preparare dei cavatelli, il piatto di pasta forse più celebrato in questa regione. 
Li faccio in casa, su insegnamento di mia suocera e per maggiori dettagli potrete leggere questo post
Li ho voluti servire con dei piccoli e dolcissimi ceci di Navelli (Abruzzo) che non hanno bisogno di stare a mollo per lungo tempo, e delle tenere cime di rapa a dare una punta di amaro che a me piace tanto. Naturalmente generoso olio extravergine e una spolverata di peperoncino (per uno slancio di carattere) e si ha un piatto completo, bilanciato e veramente appetitoso. Piacerà anche ai vostri bambini, garantito! 
L'olio che celebriamo con questa ricetta è un olio Molisano prodotto a Larino
L'Olio di Flora, spremuto dalle olive raccolte a mano di “Gentile di Larino”, che, già a qualche mese dalla sua prima raccolta, ha saputo farsi conoscere ed apprezzare per la sua qualità di olio extravergine fruttato leggero con due performance: la medaglia d’oro quale 1° classificato al Premio “Goccia d’Oro” e la stella del Concorso Biol, quale biologico di alta qualità.
Anche le raccolte 2009 e 2010 sono state oggetto di riconoscimenti da parte di questi due concorsi, insieme all’inserimento nella Guida ai migliori oli extravergini del mondo “Flos Olei” 2010 e 2011, con il mensile di gastronomia più longevo (1929) “La Cucina Italiana”, che lo riporta per due anni consecutivi grazie alla selezione fatta da un grande esperto, l’oleologo Luigi Caricato.
Nel numero di maggio del 2009 di questa prestigiosa rivista viene inserito fra “i cinque oli per le verdure cotte”e l’anno successivo, sempre a maggio, fra i venti oli extravergine di eccellenza, monovarietali, dop o biologici, con un articolo dal titolo molto significativo, “Fuoriclasse de 2010”.
Fruttato leggero, delicato, avvolgente che emana note di carciofo, di sedano e di lattuga; sentori di salvia e di menta e al gustoortaggi freschi con mandorla dolce a marcare il retrogusto. Perfettamente dosati l'amaro ed il piccante, ciò che rendono equilibrato ed armonico l'Olio di Flora, caratteristiche perfette per accompagnare un piatto di pasta come i cavatelli che condivido con voi.

Ingredienti per 4 persone:
350 gr di farina di semola rimacinata
acqua (quanta ne prende l'impasto, più o meno un bicchiere)
un pizzico di sale
Per la preparazione dei cavatelli fate riferimento al post che vi ho indicato sopra.
Per il condimento:
150 gr di ceci di Navelli secchi
300 gr di cime di rapa molto tenere
2 foglie di alloro
1 spicchio d'aglio
olio extravergine L'Olio di Flora
Sale - Pepe q.b.
Peperoncino a piacere
Mettete i ceci a mollo in abbondante acqua e sale per c.ca 2 ore.
Fateli cuocere a fiamma moderata per c.ca 1 ora con 2 foglie di alloro ed un pizzico di sale grosso. Dovranno cuocere sobbollendo e mai ad alto bollore.
Mentre i ceci cuociono, lavate, mondate le cime di rapa e conservate le parti più tenere ed i fiori. Un una pentola fate bollire abbondante acqua salata quindi cuocetevi le cime di rapa per 5/7 minuti e scolatele ancora croccanti conservando l'acqua di cottura.
In una larga padella versate un paio di cucchiai d'olio e fatelo profumare con uno spicchio d'aglio (non fate colorare l'aglio), aggiungete le cime di rapa ed i ceci scolati dalla propria acqua, eliminando le foglie di alloro.
Saltate bene e fate insaporire. 
Cuocete i cavatelli nell'acqua delle cime di rapa e scolateli non appena saliranno a galla (2/4 min c.ca). Versateli nella padella con le cime di rapa ed i ceci e saltate per qualche istante. Servite immediatamente con un generoso filo d'olio.

Vi aspetto fra due settimane per un nuovo appuntamento con la Cucina dell'Extravergine.