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mercoledì 28 marzo 2018

La Pastiera è una cosa seria

Concerto per Clarinetto K622 - W.A.Mozart - Sabine Meyer
Credo di avere sempre desiderato preparare la Pastiera.
Fin dalla prima volta che l'ho assaggiata, già da grande (avrò avuto forse 20 anni o poco più) e come fosse ora ricordo che era una cena di Capodanno fra amici.
Capodanno direte voi? Esatto.
Fra i dolci della serata, campeggiava una strepitosa Pastiera, portata per l'occasione da un'ospite napoletana, una ragazza che all'epoca frequentava un amico del gruppo.
Disse che per festeggiare il suo arrivo a Siena, non poteva mancare un tesoro della sua città.
All'assaggio ebbi un'epifania: non capivo cosa fosse quel incredibile ripieno tra il cremoso ed il granuloso e quella sinfonia di profumi inebrianti, un nulla di fiori e di spezie.
Il tutto abbracciato da una frolla cedevole ma avvolgente e quell'aspetto modesto, umile.
Fu un fulmine a ciel sereno, qualcosa che fin da quel momento avrei voluto saper fare.
Ma allora, non ero ancora così fissata con il cibo.
Ero una golosa impunita con un palato curioso e capii immediatamente che questo era un dolce maestoso la cui preparazione esigeva il giusto impegno e rispetto.
Sono passati forse 30 anni da allora, ma ho sentito che era arrivato il momento.
Non c'è certo bisogno di un'ennesima ricetta di Pastiera in questo Mare Magnum chiamato rete, e forse in tutta Napoli non c'è una famiglia che la prepari uguale all'altra.
Così posso starci anche io senza aver paura di essere blasfema.
Consideratelo come un omaggio sincero ad una città che amo, l'abbraccio fraterno e riconoscente ad un'amica speciale che tanto mi è stata vicina negli ultimi mesi e che generosamente mi ha donato questa ricetta.
Perdonate gli errori, l'orgoglio e la vanità e apprezzate lo sforzo.
Questa è la mia prima Pastiera!
Approntandomi a preparare la Pastiera, mi sono sentita come ai tempi del Conservatorio.
Anzi, più esattamente come quando ho dovuto affrontare lo studio del "concerto dei concerti" per noi clarinettisti: il concerto di Mozart KV622 per clarinetto e orchestra.
Puoi studiare la tecnica mille volte, sapere i passaggi a memoria, leggere la partitura al contrario.
Se non ce l'hai dentro,  è inutile. Mozart è difficile più di ogni altra cosa.
Per me la Pastiera è come questo concerto.
Adesso sto studiando la tecnica.
Sono già a buon punto comunque: il primo tempo e l'adagio mi vengono alla grande.
L'allegro finale ancora mi fa patire, ma è lei che manca: la mozartitudine della Pastiera.
E quella ce l'hai solo se hai mangiato pastiera a pranzo, colazione e cena.
Se hai assaggiato quella dei nonni, degli zii, degli amici e dei dirimpettai.
Se hai litigato per gli ingredienti, se hai fatto gara con la suocera, se hai osato mangiarla calda senza il dovuto riposo.
Posso solo sperare di essere riuscita a raccontarne il mio amore eseguendola dignitosamente senza pretendere di essere Sabine Meyer!
La ricetta arriva dalla mia cara Pasqualina, il cui blog è un concentrato di capolavori della tradizione campana e partenopea.
Se ancora non la conoscete, vi siete persi qualcosa.
A sua volta Pasqualina, l'ha ricevuta da Marcella Minù Orsi, che ringrazio personalmente da questi spalti visto che non ho ancora avuto il piacere di conoscerla.
Posso quindi dire, che questo è un post scritto a sei mani appassionate.
Prima di passare alla ricetta, va fatta una premessa: la Pastiera è una cosa seria.
Non è una crostata, non è una torta ripiena, non è una torta di ricotta così come non è tante altre cose.
Se si decide di tentare di prepararla come si deve, con la speranza che assomigli minimamente al dolce della devozione Pasquale, bisogna giocare secondo le regole.
Non vale la sostituzione d'emergenza.
Non vale la riduzione strategica.
Non vale il "ma a me non piace questo". Ok, se non ti piace, non fare la Pastiera.
Fai altro e non venire a chiedere con cosa puoi sostituirlo.
Non starò a raccontarvi della simbologia di questo dolce perché potete trovarla ovunque (date una occhiata qua per il bellissimo articolo), ma una curiosità ve la dirò: le losanghe di pasta adagiate sul ripieno sono sette, non solo come il numero degli ingredienti utilizzati per preparare la Pastiera, ma esattamente come la "planimetria" di Neapolis, così come ancora oggi si presenta, ovvero con i tre Decumani ed i quattro Cardini che li attraversano in senso trasversale.
La Pastiera è in tutto e per tutto l'anima ed il corpo di Napoli.
 Veniamo dunque alla ricetta, con alcune note a margine:

  • la frolla della pastiera viene fatta da tradizione con lo strutto. Nessuno vi spara se la fate con il burro ma almeno sappiate che sono due cose diverse. Volendo si può utilizzare il 50% di entrambi) 
  • nella maggior parte delle ricette di frolla, la quantità delle uova è molto alta. Questo la rende difficilmente gestibile. Risulta talmente morbida che si spacca mentre la stendete o è difficile da maneggiare. Va comunque fatta riposare a lungo. Questa frolla è un buon compromesso. Resta molto elastica, si stende sottile e non cede assolutamente. E con il riposo dopo la cottura, prende la giusta cedevolezza senza diventare molle. 
  • Fate attenzione alla freschezza della ricotta. Non utilizzate quella industriale e non trascurate l'uso del setaccio. 
  • Il successo di una ottima pastiera è la cottura. Checché ne dica la maggior parte delle persone, la cottura deve essere dolce e lunga. Questo impedisce al ripieno di seccarsi, non la fa gonfiare eccessivamente (con il rischio che si spacchi) e la asciuga alla perfezione. Diffidate di chi vi dice che la cottura deve essere alta. La bontà necessità di lentezza e delicatezza. 
  • La Pastiera è alta. E' uno scrigno generoso che vuole vedere il ripieno. La tradizione prevede che il livello del ripieno arrivi praticamente al bordo della frolla, che non deve mai essere più bassa di almeno 3 dita. 
  • Potete certamente assaggiarla una volta fredda, ma darà il meglio di sé almeno dopo tre giorni, sviluppando l'armonia di aromi per cui è famosa. 
  • Lo zucchero a velo per rifinire è tendente all'eretico, ma ormai l'hanno adottato praticamente tutti. Nella tradizione, la pastiera si serve nuda, bella della sua modestia e ricca della sua bontà. 

Ingredienti per uno stampo da 26/28 cm a bordi alti o due piccoli da 18/20

Per la pasta frolla 
400 g di farina 00
160 g di strutto (o 200 g di burro di ottima qualità)
130 g di zucchero a velo
3 g di sale
la scorza grattugiata di un limone ed una arancia
55 g di uova intere + 18 g di albume

Per la crema di grano 
550 g di grano cotto
300 ml di latte intero
30 g di strutto (o di burro)
La scorza intera di un'arancia e di un limone non trattati
Mezzo cucchiaino di cannella in polvere

Per la crema di ricotta
300 g di ricotta di pecora (io ho utilizzato la totalità di ricotta di pecora molto fresca e dolcissima).
300 g di ricotta di mucca
450 g di zucchero semolato
150 g di canditi di arancia
4 uova intere e 2 tuorli medi
estratto di fiori d'arancio

  • Puoi preparare la Pastiera in due tempi così che il procedimento non ti risulti troppo lungo. La sera prima potrai cominciare preparando la frolla e la crema di grano, che deve essere perfettamente fredda prima di essere aggiunta al resto degli ingredienti. 
  • Per la frolla fai sabbiare farina e zucchero setacciati con il burro tagliato a dadini. Aggiungi il la scorza grattugiata, il sale e le uova leggermente sbattute. Lavora il tutto nella planetaria con il gancio a foglia fino a che non otterrai una palla compatta ed omogenea. Schiacciala leggermente e avvolgila nella pellicola. Falla riposare almeno un'ora o tutta la notte. 
  • Metti il grano scolato dal suo liquido, in una casseruola larga ed aggiungi il latte con le scorze intere (ottenute pelando la superficie della buccia senza prelevare la parte bianca),  la cannella ed il burro. Fai cuocere a fiamma dolcissima mescolando via via, fino a che non otterrai una crema ed il grano non avrà assorbito il latte. Non deve essere troppo asciutto. Si addenserà molto raffreddandosi. Togli dalla fiamma, fai raffreddare. Solo una volta freddo elimina le scorze. 
  • Prepara la crema di ricotta: prima falla scolare del siero in eccesso, poi passala ad un setaccio sottile in modo da renderla fine e cremosa. Io mi sono aiutata con un tarocco di plastica. Aggiungi lo zucchero e con una frusta a mano o elettrica, batti fino a che lo zucchero non si sia sciolto. 
  • Mescola crema di grano e crema di ricotta. 
  • A parte sbatti con la forchetta le uova (assolutamente non montare albumi o tuorli) ed aggiungile al composto, incorporando con una frusta e sbattendo a mano in modo che il tutto sia omogeneo e cremoso. Aggiungi l'estratto di fiori d'arancio con parsimonia. Parti da poche gocce ed assaggia. Il rischio "effetto saponetta" è dietro l'angolo. 
  • Aggiungi i canditi ridotti a dadini piccoli e mescola bene. 
  • Prepara gli stampi. Se hai lasciato la frolla in frigo la notte, tirala fuori almeno mezz'ora prima di utilizzarla. Stendi la frolla ad uno spessore di c.ca 3mm e fodera la teglia di alluminio imburrata. Non usare carta da forno. Puoi usare anche teglie usa e getta. 
  • Accendi il forno a 160°. 
  • Buca il fondo con i rebbi di una forchetta e versaci la crema fino a 5 mm dal bordo. 
  • Prepara le strisce con cui otterrai le losanghe. Ricordati: sono sette. Disponile con garbo sulla superficie facendo aderire i bordi alla circonferenza della torta. 
  • Fai cuocere una torta alla volta: a me sono servite due ore. Dopo la prima ora, ho aggiunto mezzo'ora di tempo alla volta osservando il colore della superficie. 
  • Quando la torta comincia a gonfiare, puoi aprire e chiudere lo sportello del forno per far uscire un po' di umidità. 
  • Il colore deve essere caramellato e non eccessivamente scuro. Fai la prova stecchino. Quando esce pulito anche se leggermente umido, è pronta. Attenzione a non farla asciugare eccessivamente. 
  • Una volta pronta, falla raffreddare completamente nello stampo. Non avere fretta di sformarla tanto la prova assaggio è consigliata almeno il giorno dopo (io non ho resistito, lo confesso). Per sformarla, capovolgila in un piatto e poi girala aiutandoti con un secondo piatto. A Napoli, non ci si fanno troppi scrupoli: si serve direttamente dallo stampo. 
  • Si conserva a lungo, nella credenza. Non è necessario tenerla in frigorifero (in caso, solo se pensate di consumarla dopo diversi giorni - in quel caso prima di servirla lasciala a temperatura ambiente almeno un'ora). 
  • Se siete arrivati fin qui, coraggiosi, tutti i miei auguri di una Pasqua Serena con chi volete voi! 

giovedì 16 febbraio 2017

Eliche con salsa di zucca e croccantini di parmigiano agli amaretti: un viaggio a Napoli e straordinarie coincidenze

Dicitencello Vuje - R. Murolo
Quante possibilità ci sono che due persone si trovino in casa lo stesso formato di pasta, abbiano un ricordo in comune e su una rivista a caso peschino quella unica ricetta che tra cento, infiamma la loro fantasia e golosità, e finiscano col realizzarla praticamente lo stesso giorno per dedicarla entrambe a quel ricordo comune?
Se faccio un rapido calcolo...forse zero virgola?
E quale faccia pensate abbia fatto la sottoscritta quando, avendo deciso di programmare la pubblicazione di questa ricetta per oggi, si trova di fronte un esatto clone della stessa pubblicata con 4 giorni di anticipo, con dentro praticamente le stesse emozioni ed entusiasmo?
Il primo pensiero è stato: "è partito il post e non me ne sono accorta".
Il secondo, "è incredibile, ho un ologramma nella web sfera!"
Al terzo non ci sono arrivata perché ho cominciato a ridere come una scema ed ho mandato un messaggio alla diretta interessata, che come me è rimasta basita dopo aver visto l'immagine della stessa pasta, praticamente quasi con lo stesso styling.
La personcina in questione è Alice del blog Panelibrienuvole e con lei, ben più di una volta mi è capitato di avere post programmati con la stessa ricetta o ricette realizzate con lo stessa ispirazione di base.
Tante coincidenze e causalità che ti fanno capire come in questo ambiente, molte di noi si assomiglino, nel bene e nel male, legate da una fortissima passione in comune, che è in grado di smuovere "il cielo e l'altre stelle" come direbbe qualcuno parecchio più saggio di me.
Questa passione è stata in grado di muovere oltre 70 cristofori destinazione Napoli, dove lo scorso 13/15 gennaio si è tenuto il terzo raduno MTC. 
Ormai chi mi segue sa tutto della sfida di cucina più appassionante del web. Il Raduno invece è stata la conferma che una Community virtuale è fatta da persone vere, che amano lasciare la tastiera per guardarsi vis à vis, per abbracciarsi, per ridere e parlare fino allo sfinimento.
Per mangiare finalmente insieme come se non ci fosse un domani.
Così è stato nei tre giorni a Napoli, che per me sono stati ancora più speciali ed emozionanti, visto che festeggiavo un traguardo importante del mio calendario personale.
Non dimenticherò mai nella vita, l'affetto, l'allegria, i nuovi abbracci, le risate e, naturalmente, Jean Polle, strepi...tante compagno di merende!
Un piccolo puzzle di immagini rubate con il cellulare dei momenti più belli di questa tre giorni unica e irripetibile.
Un week end organizzato alla perfezione dagli instancabili Fabio e Annalù, meravigliosi padroni di casa. Anche il maltempo alla fine si è scocciato e ci ha lasciato in pace.
Abbiamo visto pure il blu del cielo napoletano, un azzurro che è il vero simbolo di questa straordinaria ed incredibile città.
Così per ricordare quei giorni e ringraziare il Pastificio Gentile che con nostra grande sorpresa, ci ha fatto dono del proprio straordinario prodotto, ho preparato questa deliziosa pasta perché amo le Eliche fin da bambina, perché adoro la zucca, perché il contrasto evidente dolce e salato mi fa impazzire e perché è davvero facile e veloce.
Non conoscevo la pasta Gentile ma l'ho trovata davvero di altissima qualità, un'eccellenza del territorio che la Campania deve tenersi stretta e valorizzare.
Mi è piaciuta l'idea di sposare una pasta del sud con un condimento tradizionalmente nordico.
Certi matrimoni funzionano benissimo.

Ingredienti per 4 persone (da Sale e Pepe Febbraio 2017)
320 g di Eliche pasta Gentile
300 g di zucca gialla tipo Mantovana
200 g di panna fresca
40 g di parmigiano reggiano grattugiato
2 amaretti secchi
3 o 4 foglie di salvia
20 g di burro
nove moscata
sale - pepe qb
  • Private la zucca della buccia e dei semi e tagliatela a dadini e mettetela in una casseruola con il burro, la salvia e 4 dl di acqua. Salate e portate a bollore e cuocendo per 15 minuti c.ca a fuoco moderato. Una volta morbida, frullate il composto con la sua acqua in un bicchiere da mixer a immersione per ottenere una crema vellutata e liscia.
  • Sbriciolate gli amaretti finemente e mescolateli al grana e poi versate il composto su un foglio di carta da forno posizionato su una placca, quindi fatelo cuocere in forno per 3/4 minuti a 220° in modo che si dori e formi una cialda. Togliete la carta dalla placca e fatela raffreddare su una griglia. La cialda morbida, diventerà croccante raffreddandosi. Mentre si raffredda tostate i pinoli in un padellino per qualche istante. 
  • Cuocete la pasta in abbondante acqua salata come da indicazioni sulla confezione quindi scolatela e saltatela nel tegame in cui avrete precedentemente versato la crema di zucca mescolata con la panna e fatta addensare. 
  • Mantecatela per qualche istante, quindi impiattate rifinendo con il croccantino all'amaretto, i pinoli ed una macinata di noce moscata. Servite immediatamente. 

mercoledì 14 maggio 2014

Un classico intramontabile: il Babà per l'MTC

Comme facette mammeta - Orchestra Italiana
Non ce la farò a leggere tutti i post che parteciperanno a questa sfida ma di una cosa sono certa: saranno tutti uno più strabiliante dell'altro.
E non mi riferisco solo in senso creativo, ma emotivamente.
Perché relazionarsi ad un classico come il Babà è un'esperienza che va fatta almeno una volta nella vita e qualcuna di noi aspettava da tempo di farla.
Per quanto mi riguarda, posso dire di essermi letta ogni ricetta che gravita nel web, i classici sul savarin dai grandi maestri francesi alla tecnica da Cordon Bleu, ma fino ad oggi non ero riuscita a trovare il coraggio.
Perché il coraggio di buttarsi sul Babà è piuttosto quella sorta di soggezione mista a rispetto che si ha di fronte ad un classico inimitabile.
Un po' come andare ad una festa di carnevale vestendosi da Marilyn: magari ti dicono che il travestimento è bellissimo, ma ovviamente tu non sei Marilyn!
Questo è il sentimento che mi pervade ogni volta che decido di affrontare la sfida con una ricetta immortale.
Il confronto mi sembra inarrivabile, anche un tantino eretico e finisco col soprassedere.
Eppure, quando ho letto il post di Antonietta mi si è immediatamente spalancato un mondo.
Il suo racconto di come questa ricetta sia abitualmente preparata in famiglia, dolce delle feste così apparentemente facile da realizzare utilizzando il fattore tempo quasi come il ritorno alla necessità di sedersi ed aspettare, così come di fare le cose senza fretta, è stato motivo di grande entusiasmo e di immediato desiderio.
Quello che mi succede da un po' di tempo a questa parte quando sento la parola "lievitato".
Dagli insuccessi clamorosi collezionati negli anni all'incoraggiamento con la prima sfida, il restarne completamente soggiogata è stato inevitabile.
Così ho voluto provarci subito, senza ravanare nella fantasia, restando sul classico più classico, e non avendo a disposizione Rum, ho optato per il limoncello.
Uno dei dolci del mio cuore resta la Delizia al Limone, ed è a lui a cui mi sono ispirata realizzando questo Babà.
L'impasto è una gioia da lavorare.
Il profumo che si spande per la casa assolutamente irresistibile.
Io ho realizzato la ricetta con lievito di birra perché ancora non sono entrata nel tunnel del Lievito madre (e non ho intenzione al momento).
Ma rispetto alla ricetta di Antonietta, i tempi di lievitazione sono stati inferiori.
In solo 45 minuti gli stampini monoporzione erano già al massimo e lo stampo grande già arrivato al bordo.
Quello che posso dire, è che la prossima volta dimezzerò la quantità di lievito e concederò più tempo all'impasto per crescere con calma.
Ingredienti per uno stampo a ciambella da 26 cm di diametro o per 10/12 babà c.ca
300 g di farina tipo 0 Manitoba
3 uova cat A grandi
100 g di burro ammorbidito
100 g di latte
25 g di zucchero
10 g di lievito di birra
1/2 cucchiaino di sale fino

h. 8.00 Preparare il lievitino
Dal totale degli ingredienti, Intiepidite 50 g latte e scioglietevi il lievito con un cucchiaino di zucchero, quindi aggiungete 70 g di  farina ed impastate ottenendo un panetto morbido che farete lievitare in una ciotola coperto fino al suo raddoppio (c.ca 1 ora).

h. 9.00 PRIMO IMPASTO
Nella ciotola della planetaria versare il resto della farina, ovvero 230 g. Fate la fontana e mettetevi il lievitino e le uova quindi cominciate ad impastare con il gancio.
Quando le uova saranno state incorporate dalla farina cominciate ad aggiungere il latte rimasto, una cucchiaiata alla volta, per ammorbidire l'impasto, facendo attenzione a non renderlo troppo molle. Valutate al tatto: l'impasto non deve essere appiccicoso. Impastate a velocità 2 per qualche minuto in maniera che l'impasto sbatta vigorosamente per 5/8 minuti.
Quando l'impasto sara omogeneo, copritelo e fatelo lievitare per 90 minuti c.ca (io l'ho messo nel forno con la luce accesa).

h. 10.30 SECONDO IMPASTO
Lavorate il burro a pomata in una ciotola insieme allo zucchero rimanente.
Sgonfiate l'impasto con il gancio e cominciate a lavorare a velocità 1 aggiungendo un cucchiaio di burro alla volta, passando al successivo solo quando il primo sarà ben assorbito.
Una volta terminato il burro, aumentate la velocità della planetaria prima a 2 per c.a 10 minuti e poi aumentatela a 3 per ulteriori 5 minuti. L'impasto diventerà sempre più lucido e si aggrapperà saldamente al gancio. Dovrete lavorarlo con energia fino a quando tirando un lembo dell'impasto, non riuscirete ad ottenere il famoso "velo", che garantirà un'alveolatura porosa e regolare, in grado di assorbire con facilità la bagna che deciderete di utilizzare.
Adesso dovrete sistemare l'impasto nello stampo prescelto.
Io ho utilizzato uno stampo da budino o brioche da 1 litro e mezzo, senza buco, e mi è avanzato impasto con cui ho ottenuto 4 babà monoporzione.
Dall'impasto staccate 3 palline di 8 cm di diametro c.ca aiutandovi con e le mani, "strozzando" la pasta tra pollice ed indice. Sistematele alla base dello stampo imburrato e copritelo con un telo umido.
Fatelo lievitare per c.ca 2 ore ( a me è bastata 1 ora e 20).  L'impasto triplicherà di volume.
Accendete il forno a 220°C.
Una volta pronto, portate la temperatura a 200° e fate cuocere per 20/25 minuti, coprendo con un foglio di alluminio dopo il primi 10 minuti di cottura.
Una volta pronto, fate raffreddare una decina di minuti.
Il babà scivolerà con estrema facilità fuori dallo stampo e mentre lo farete raffreddare, preparerete la bagna. Sistematelo su una base che possa raccogliere il liquido ed abbia bordi bassi per poter far scivolare fuori il dolce con facilità una volta terminate le operazioni di "inzuppamento".
Per la bagna al limoncello:
500 ml di acqua
200 g di zucchero
100 ml di limoncello
Portate ad ebollizione l'acqua con lo zucchero ed il liquore e fate sobbollire per 10 minuti quindi lasciate intiepidire e cominciate a versare con un mestolino la bagna sul dolce.
Ripetete l'operazione ogni 15 minuti in modo che questo abbia il tempo di assorbire il liquido fino a che ne sarà completamente inzuppato. Via via che effettuate questa operazione, raccogliete il liquido che si deposita sul piatto e riversatelo sul dolce. Ci possono volere anche tre ore prima che il dolce sia bagnato alla perfezione. Mentre il dolce prende il tuo tempo per trasformarsi in babà, preparate la guarnizione. Ovviamente potete preparare la crema mentre il dolce lievita, così avrà il tempo di raffreddarsi bene in frigo prima di servire.
Per la crema Chantilly al limone
500 ml di latte intero
4 tuorli grandi
40 g di amido di mais
140 g di zucchero
la scorza di un limone di Sorrento (non trattato)
250 ml di panna fresca molto fredda
4 cucchiai di limoncello
Questa è la crema che in genere preparo io e che aromatizzo come preferisco.
Mettete il latte con il limoncello e la scorza del limone (solo la parte gialla della buccia, fate attenzione quando la ricavate dal frutto) in una casseruola dal fondo alto e portate il tutto a fremere. Spegnete e lasciate in infusione per almeno 1 ora.
Sbattete i tuorli con zucchero e farina aiutandovi con una forchetta fino a che il composto non sarà omogeneo. Non è necessario che li montiate o usiate una frusta elettrica, basta solo che il composto stia insieme ed abbia cominciato a schiarire. Prendete un paio di cucchiaiate di latte tiepido (dalla casseruola) e "rompete" la crema per ammorbidirla.
Riaccendete il fuoco sotto il latte, versatevi il composto di uova e con una frusta, mescolate bene per sciogliere le uova nel latte e continuate a cuocere a fiamma dolce.
La crema arriverà velocemente a cottura. Spegnete immediatamente a densità preferita senza superare i 3 minuti dal momento in cui prenderà bollore, rischio stracciatella.
Io non tolgo le bucce di limone fino a che la crema è fredda. Le elimino proprio all'ultimo per dare maggiore aroma al tutto.
Versate la crema calda in una ciotola di acciaio e coprite immediatamente con una pellicola trasparente. Cercate di abbattere la temperatura in una ciotola con acqua ghiacciata quindi mettete in frigo.
Al momento di servire, eliminate il limone, montate la panna con una frusta elettrica e miscelate crema e panna con delicatezza (la panna dovrà essere la metà della crema ed il mio consiglio è che sia montata bella ferma).
Decorate il babà.
Prima va lucidato. Io ho optato per una gelatina di limoni amalfitani che avevo in casa (ed ho utilizzato i limoni per completare la decorazione).
L'ho scaldata leggermente e ho spennellato tutto il dolce senza esagerare per dare un lieve tono lucido.
quindi ho aggiunto delle fettine di limone e la chantilly al limone.
Dopo di che c'è poco altro da fare se non lanciarsi a fauci sguainate sul piatto.
Grazie Antonietta.

Con questa ricetta partecipo con grandissima gioia all'MTC di Maggio sul Babà di Antonietta.